martedì 7 ottobre 2025

Bruno Castro

Bruno Castro (Trieste, 24 febbraio 1918 – Mar Mediterraneo, 14 giugno 1942) è stato un militare e aviatore italiano, decorato di medaglia d'oro al valor militare alla memoria nel corso della seconda guerra mondiale.

Completati gli studi medi a Trieste si iscrisse alla facoltà di commercio della locale università. Arruolatosi nella Regia Aeronautica nel febbraio 1940 fu ammesso a frequentare la Scuola allievi ufficiali piloti di Foligno dalla quale, nel mese di settembre, fu trasferito a quella di Castiglione del Lago per la specialità caccia. Nominato sottotenente nell'aprile 1941, fu assegnato alla 355ª Squadriglia del 24º Gruppo Autonomo Caccia Terrestre di stanza ad Alghero, da dove iniziò subito i suoi voli di guerra volando sui Fiat C.R.42 Falco da bombardamento a tuffo dotati di bombe alari.[1] Cadde in combattimento nel corso della battaglia di mezzo giugno (14-15 giugno 1942), e fu insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria.


Onorificenze

Medaglia d'oro al valor militare
«Giovanissimo pilota da caccia, primo in ogni azione audace, si offriva volontario per partecipare ad una audacissima azione da bombardamento in picchiata su di una nave portaerei facente parte di una imponente formazione navale nemica. Sfidando la fortissima reazione contraerea e aerea avversaria, si lanciava, decisamente, anima, velivolo ed arma sulla nave che veniva duramente colpita. Quindi, impegnato combattimento con soverchianti unità da caccia, con ardore e aggressività incomparabili, le assaliva, riuscendo ad abbattere numerosi velivoli. Sopraffatto, scompariva in quel mare che tante volte aveva vittoriosamente sorvolato. Cielo del Mediterraneo Occidentale, 14 giugno 1942.»
— Regio Decreto 25 novembre 1942

Luigi Carnera

Luigi Carnera (Trieste, 14 aprile 1875 – Firenze, 30 luglio 1962) è stato un astronomo e matematico italiano.

Dopo gli studi di matematica compiuti all'Università di Pisa quale alunno della Scuola Normale Superiore, cominciò la sua carriera come assistente di Max Wolf a Heidelberg in Germania, dove scoprì 16 nuovi asteroidi. Lavorò inoltre a Potsdam e in Argentina.

Nel 1908 tornò in Italia per la cattedra di astronomia presso l'istituto Idrografico della Marina di Genova dove contribuì a potenziare l'osservatorio astronomico, e nel 1919 divenne direttore dell'Osservatorio astronomico di Trieste. In seguito fu direttore dell'Osservatorio astronomico di Capodimonte, a Napoli, a partire dal 1932 e fino al termine della sua carriera, nel 1948.

A Napoli tenne inoltre la cattedra di Astronomia Generale e di Astronomia Geodetica presso l'Istituto Universitario Navale (oggi Università "Parthenope").

Gli è stato dedicato l'asteroide 39653 Carnera.


Asteroidi scoperti: 16

466 Tisiphone (17 gennaio 1901)

469 Argentina (20 febbraio 1901)

470 Kilia (21 aprile 1901)

472 Roma (11 luglio 1901)

476 Hedwig (17 agosto 1901)

477 Italia (23 agosto 1901)

478 Tergeste (21 settembre 1901)

479 Caprera (12 novembre 1901)

480 Hansa (21 maggio 1901)

481 Emita (12 febbraio 1902)

485 Genua (7 maggio 1902)

486 Cremona (11 maggio 1902)

487 Venetia (9 luglio 1902)

488 Kreusa (26 giugno, 1902)

489 Comacina (2 settembre 1902)

808 Merxia (11 ottobre 1901)

Giuseppe Caprin

Giuseppe Caprin (Trieste, 16 maggio 1843 – Trieste, 15 ottobre 1904) è stato uno scrittore italiano, giornalista e patriota, combatté con Giuseppe Garibaldi e fu ferito a Bezzecca (1866).

Nato a Trieste da Giuseppe e Teresa Guardianich. Dopo studi commerciali si dedicò al giornalismo. Lasciò la città nel 1866 per seguire Garibaldi. Ferito gravemente a Bezzecca fece ritorno a Trieste continuando a dedicarsi al giornalismo, la tipografia e l'editoria. Collaborò con varie testate giornalistiche fino a diventare direttore del quotidiano liberal-nazionale L'Indipendente.

Ottenne due volte il premio municipale di storia patria istituito da Domenico Rossetti De Scander: nel 1892 per Tempi andati e nel 1902 per Il Trecento a Trieste.

L'ultima sua opera, «L'Istria nobilissima», fu pubblicata postuma dalla moglie Caterina Croatto-Caprin.

Opere principali
Sfumature (1876)
A suon di campane (1877)
I nostri nonni (1888)
Marine istriane - Lagune di Grado (1890)
I tempi andati (1891)
Pianure friulane (1892)
Alpi Giulie (1895)
Il Trecento a Trieste (1897)
Il teatro nuovo (1901)
L'Istria nobilissima (1905)

Glauco Cambon

Glauco Cambon (Trieste, 13 agosto 1875 – Biella, 7 marzo 1930) è stato un pittore italiano.


Nato a Trieste nel 1875, era figlio di Luigi Cambon (1838 - 1904), noto avvocato e deputato nel Parlamento di Vienna, e di Elisa Tagliapietra, che aveva uno dei frequentati salotti cittadini. Dopo aver iniziato gli studi classici nella sua città natale, si trasferì a Monaco di Baviera e si iscrisse nel 1892 alla locale Accademia e solo dopo pochi mesi di frequenza, nel gennaio 1893, ottenne la menzione d'onore nel concorso di composizione con il dipinto La Musica. Rimase a Monaco fino al 1895, per poi trasferirsi a Roma per completare gli studi dal 1900 al 1905. Partecipò alle Biennali di Venezia del 1897 e del 1907, prima con il pastello Ritratto di signora e poi con il Ritratto dell'artista Benussi.

Dopo il 1905, rientrato a Trieste, vi rimase fino allo scoppio della prima guerra mondiale; durante questo periodo si interessò anche alla cartellonistica pubblicitaria. Assiduo lettore di Gabriele D'Annunzio, rifiutò le proposte di Tommaso Marinetti che voleva introdurlo nel Futurismo, per rimanere fedele al proprio ideale passatista.

Riparato a Milano, si sposò con la pittrice Gilda Pansiotti e vi rimase stabilmente. Morì improvvisamente a Biella nel 1930, dove si era recato per l'esecuzione di un ritratto.

lunedì 6 ottobre 2025

Arduino Buri

Arduino Buri (Trieste, 26 giugno 1905 – ... 1981) è stato un militare e aviatore italiano, veterano della guerra d'Etiopia e della guerra di Spagna, considerato un asso della specialità aerosiluranti della Regia Aeronautica durante la seconda guerra mondiale, divenuto particolarmente noto per l'attacco contro la nave da battaglia britannica Nelson, che rimase gravemente danneggiata, durante l'operazione Halberd.

Nacque a Trieste all'interno di una famiglia di forti sentimenti italiani. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, suo padre varcò la frontiera per arruolarsi nell'esercito italiano, e per rappresaglia lui, che aveva nove anni, e sua madre vennero deportati dalla gendarmeria imperiale presso il campo di concentramento di Katzenau, nei pressi di Linz, dove rimasero fino a che non furono scambiati con altri prigionieri e poterono rientrare in Italia.

Dopo la fine della guerra ritornò a Trieste, e quando nel 1920 si costituirono le prime "Squadre Volontarie di Difesa Cittadina" ne entrò subito a far parte con il grado di capo manipolo. Tali squadre avevano lo scopo di difendere il territorio italiano che confinava con la Jugoslavia dalle mire jugoslave. All'età di diciassette anni, insieme a moltissimi reduci di guerra, partecipò alla Marcia su Roma.

L'anno successivo si arruolò nel Regio Esercito, frequentando la Scuola Allievi ufficiali di complemento di Pola, al termine della quale fu assegnato come sottotenente al corpo degli alpini. Appassionatosi al mondo dell'aviazione, dopo la riorganizzazione della Regia Aeronautica voluta da Italo Balbo nell'ottobre 1927 passò in servizio nell'aviazione, e conseguì il brevetto di pilota militare presso la Scuola di volo di Passignano nel giugno 1928, assegnato successivamente in servizio in una squadriglia di idrovolanti, volando sui Savoia-Marchetti S.59bis in voli di ricognizione diurni e notturni, soccorso aereo, e prove motori. Nel 1935, allo scoppio della guerra d'Etiopia, in forza all'Aviazione della Somalia volò sugli IMAM Ro.1 della 1ª Squadriglia Somala Ricognizione Terrestre, e poi sui Caproni Ca.101, eseguendo voli di bombardamento, ricognizione e copertura aerea alle truppe terrestri, e collaborando coi generali Ferruccio Ranza e Annibale Bergonzoli. Al termine del conflitto risultava decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare, e promosso tenente in servizio permanente effettivo (s.p.e.) nel settembre 1936.

Promosso capitano nel marzo 1937, con il nome di copertura di "Arduino Brazza" partì per combattere nella guerra di Spagna in forza all'Aviazione Legionaria come comandante della 289ª Squadriglia Bombardieri Veloci del XXIX Gruppo, equipaggiata con i Savoia-Marchetti S.79 Sparviero. Eseguì numerosi bombardamenti su città, vie di comunicazione, e ponti, venendo decorato con una Medaglia d'argento al valor militare e due Croci al merito di guerra.

Rientrato in Patria, dopo l'entrata in guerra si distinse subito il giorno 20 per una ricognizione fotografica eseguita con un S.79 della 259ª Squadriglia sul porto di Biserta, in Tunisia. Successivamente chiese, ed ottenne, il passaggio alla specialità aerosiluranti. In forza al 108º Gruppo del 36º Stormo, il 27 settembre 1941 partecipò all'operazione Halberd pilotando un bombardiere aerosilurante Savoia-Marchetti S.M.84, e colpendo con un siluro la prora la nave da battaglia Nelson che rimase danneggiata, tanto da dover rientrare in Gran Bretagna per le riparazioni che richiesero sei mesi. Il coraggioso attacco rimase impresso nella memoria del vicecomandante dell'unità, commodoro Patrick M. Archdale, che nel dopoguerra volle incontrarlo per stringergli la mano e congratularsi con lui. Con il suo S.M.84 il 15 novembre dello stesso anno affondò presso l'isola de La Galite il piroscafo britannico Empire Defender (8.600 tpl), che navigava isolato da Malta a Gibilterra. Promosso tenente colonnello per merito di guerra, dopo la firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana, entrando nelle file dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana. Qui operò insieme a Remo Cadringher nella ricostruzione della specialità aerosiluranti, venendo posto al comando dell'Ispettorato aerosiluranti presso lo Stato maggiore dell'ANR.

Al termine della guerra venne sottoposto a procedimento di epurazione, degradato da tenente colonnello ad aviere semplice senza i benefici della pensione, e allontanato dal servizio. Decise quindi di emigrare in Argentina, dove appena superata la Dogana, un ufficiale lo invitò a presentarsi all'Istituto Aerotecnico di Cordoba dove iniziò subito a lavorare come meccanico motorista, divenendo successivamente capo reparto, e poi fu trasferito alla Direzione Generale di Buenos Aires.

Nel 1954 ritornò in Italia a bordo del transatlantico Giulio Cesare, ma appena sbarcato a Genova fu oggetto di minacce da parte dei camalli del porto. Trovò la sua casa saccheggiata dapprima dai partigiani e poi dai tedeschi, rimase senza soldi, e soffrì la fame tanto da dovere chiedere ai frati dell'Opera Francescana di Milano un pasto caldo per lui e la sua famiglia. Cercò, ostinatamente, di rientrare in servizio o, almeno, che gli fosse riconosciuto il suo grado con diritto alla pensione, come era avvenuto per tanti altri militari aderenti alla RSI. Ottenuto il reintegro nel grado di colonnello, e il riconoscimento delle decorazioni ottenute prima dell'8 settembre 1943, nel 1967 chiese udienza all'allora Ministro della Difesa Giulio Andreotti, che gliela concesse. Durante il loro incontro Andreotti gli propose la riammissione in servizio per sei mesi, con il comando dell'Accademia aeronautica di Pozzuoli, al termine del quale sarebbe stato messo in congedo definitivo con il grado di generale di brigata aerea. Unica condizione necessaria era la firma di un semplice documento che recitava: «Rinnega il suo passato nella RSI». Quando vide quel documento raccolse le sue carte e disse «Onorevole mi chiamavo Buri quando sono entrato nel suo ufficio, mi chiamo ancora Buri e non rinnego il mio passato!», si alzò in piedi, salutò e uscì dalla porta. 

Lavorò come istruttore di volo presso l'Aeroclub di Bologna fino a sessanta anni, organizzando raduni aerei e svolgendo attività di divulgazione della storia degli aerosiluranti italiani.

Onorificenze

Medaglia d'argento al valor militare
«Comandante di gruppo aerosilurante, forte combattente ed animatore, riaffermando le sue brillanti doti di pilota e di comandante, trascinava in magnifica gara di ardimento i gregari, con superbo sprezzo del pericolo, superando il formidabile fuoco di sbarramento contraereo e navale ed i rabbiosi attacchi della caccia avversaria. Si scagliava contro la squadra inglese, armato del suo coraggio e della sua ferrea volontà di colpire gli obiettivi assegnati, riusciva col suo reparto ad affondare varie unità nemiche, danneggiandone gravemente altre, che erano costrette a ripiegare alle loro basi. Cielo del Mediterraneo centrale, 27 settembre 1941-XIX.»
— Regio Decreto 22 dicembre 1941.


Medaglia d'argento al valor militare
«Partecipava a numerose azioni di bombardamento su importanti obiettivi terrestri e navali, infliggendo gravi danni all'avversario e confermando in ogni contingenza elevate doti di combattente, pronto ad ogni cimento. Cielo del Mediterraneo Centrale, 11 giugno-20 agosto 1940.»
— Regio Decreto 9 gennaio 1941.


Medaglia d'argento al valor militare
«Volontario in missione di guerra per l'affermazione degli ideali fascisti, partecipava quale capo equipaggio a numerose azioni di bombardamento e ricognizione. Malgrado violenti scontri con la caccia nemica e intensa reazione antiaerea, portò sempre a termine i compiti affidatigli dimostrando eccellenti doti di combattente. Cielo di Lerida-Teruel-Saragozza, 8 febbraio-28 marzo 1938.»


Medaglia di bronzo al valor militare
«Comandante di sezione staccata ed avanzata, in perfetta collaborazione con le truppe operanti, partecipava a numerose azioni belliche, rivelando spiccate dori di comandante, organizzatore ed animatore. In bombardamenti e mitragliamenti eseguiti a volo rasente, durante violenti combattimenti, ha dimostrato coraggio, sereno sprezzo del pericolo, alto senso di responsabilità. Il 9 aprile, in volo di protezione di una nostra colonna, rendeva vano ogni tentativo di accerchiamento da parte abissina e permetteva ai nostri di compiere una importante missione. Il 19 maggio, durante aspro combattimento in cui una nostra colonna veniva fortemente impegnata, partecipava tempestivamente colla sua sezione alla lotta, apportando valido aiuto ai nostri. Con precisi bombardamenti eseguiti fino a sera tarda, infliggeva al nemico tali perdite da farlo desistere da ogni azione offensiva. Cielo di Uadarà, Mega Allata, 31 marzo-30 maggio 1936.»

 
Croce al merito di guerra (5 conferimenti)
— 1

Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
— 21 aprile 1939

Medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa Orientale 1935-1936 (ruoli combattenti) 

Medaglia commemorativa della campagna di Spagna (1936-1939) 

Medaglia di benemerenza per i volontari della campagna di Spagna 

Medaglia commemorativa del periodo bellico 1940-43 

Avanzamento per merito di guerra

Silvano Buffa

Silvano Buffa (Trieste, 15 maggio 1914 – Mali Spadarit, 10 marzo 1941) è stato un militare italiano, ufficiale del 7º Reggimento Alpini e insignito della medaglia d'oro al valor militare.

Figlio di Rodolfo e Anna Ognibeni, entrambi originari di Pieve Tesino in Trentino, nacque a Trieste il 15 maggio 1914. Frequentò dapprima il Liceo classico Francesco Petrarca di Trieste e in seguito proseguì gli studi presso la facoltà di giurisprudenza di Padova dove si laureò appena ventitreenne.

Fu comandante della 64ª Compagnia fucilieri "La Crodarola" del 7º Reggimento alpini e nel 1940 partecipò alla campagna italiana di Grecia sul fronte greco-albanese. Nel 1941 cadde durante la conquista del monte Mali Spadarit; per tale impresa impresa gli fu conferita la medaglia d'oro al valor militare.

Per moltissimi anni i genitori ignorarono dove si trovasse il corpo del loro figlio, nonostante le ricerche del padre, Rodolfo. Fu solamente nel 1986 che il fratello Mario seppe che i resti erano stati sepolti prima all'Ossario di Bari, dove riposano i Caduti d'Oltremare, e quindi trasferiti al Sacrario di Redipuglia.

Il 1º dicembre 2001 la salma fu finalmente portata a Pieve Tesino dove ora riposa nella tomba di famiglia.

Il Gruppo ANA di Pieve Tesino, nato nel 1960 è intitolato a Silvano Buffa.


Onorificenze

Medaglia d'oro al valor militare

«Durante l’attacco di una munitissima posizione nemica, essendo rimasto ferito il comandante di compagnia, assumeva arditamente il comando del reparto e dava costante prova di calma, fermezza, capacità ed indomito valore, riuscendo, col suo esempio trascinatore, a condurre i suoi uomini fin sulla vetta violentemente contrastata dall’avversario. Giunto valorosamente fra i primi sull’obbiettivo e colpito mortalmente, riusciva, dimentico del suo stato e con superbo esempio del più alto sentimento del dovere, ad impartire gli ordini per l’ulteriore proseguimento dell’azione. Nell’affidare poi ad altro ufficiale il comando della compagnia, ordinava al suo porta-ordini di comunicare al superiore comando che egli aveva assolto in pieno il proprio dovere ed era riuscito a raggiungere la difficile meta. Chiudeva la sua nobile esistenza al grido di « Viva l’Italia ». Mali Spadarit (Fronte greco), 10 marzo 1941

— Regio Decreto 29 novembre 1941.


Croce di guerra al valor militare

«Mentre guidava una pattuglia in una ardita e rischiosa missione veniva attaccato da forze superiori. Circondato e catturato, con perizia e astuzia riusciva ad evadere e rientrava al reparto recando utili notizie sul nemico. Ciafa Sirakut (fronte greco), 26 dicembre 1940


A Trieste gli è stata intitolata la scala che porta dal Parco della Rimembranza alla Cattedrale di San Giusto.

Giuseppe Bruni

Giuseppe Bruni (Trieste, 1827 – Trieste, 18 agosto 1877) è stato un architetto e ingegnere italiano, seguace dello storicismo.

Nato nel 1827 da Angelo Bruni e Teresa Coretti, dopo aver frequentato l'Accademia di belle arti di Venezia lavorò nel settore dell'edilizia marittima e civile nella sua città natale. Dal 1870 partecipò come architetto alla progettazione di vari edifici nell'allora Piazza Grande (Piazza Unità d'Italia) a Trieste. Nel 1872 fu incaricato dal sindaco di Trieste Massimiliano d'Angeli, di progettare il palazzo del municipio, che fu poi portato avanti dall'architetto Eugenio Geiringer. Morì nel 1877 all'età di 50 anni.

Opere:
Palazzo Modello, Trieste (1871–1872)
Grand Hotel Europa, Fiume (1872–1874)
Palazzo del Municipio, Trieste (1872–1875)

Palazzo del Municipio

Eugenio Boegan

Eugenio Boegan (Trieste, 2 ottobre 1875 – Trieste, 18 novembre 1939) è stato un esploratore e speleologo italiano.

Inizia già da ragazzo l'esplorazione delle grotte del Carso, assieme ad altri coetanei con i quali costituisce il Club Alpino dei Sette. Alcuni anni dopo il gruppo confluisce nella Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie, della quale nel 1904 Boegan viene eletto presidente, ed ove porrà le basi di quello che successivamente diverrà il Catasto delle Grotte.

Numerosi i suoi studi e le sue pubblicazioni sia sulle cavità che sull'idrologia carsica, tra le quali quelle su varie grotte del Carso, sulle sorgenti di Aurisina e sul fiume sotterraneo Timavo. La sua maggiore opera è però il libro Duemila grotte (sottotitolo Quarant'anni di esplorazioni nella Venezia Giulia), scritto assieme a Luigi Vittorio Bertarelli, all'epoca primo presidente del Touring Club Italiano, ed edito per la prima volta nel 1926 a cura dello stesso Touring Club Italiano. Il libro costituì un punto di riferimento nella speleologia moderna e rimane ancora oggi un esempio insuperato di monografia speleologica regionale.

La commissione grotte gli fu successivamente intitolata, ed oggi si chiama Commissione Grotte Eugenio Boegan.

Aldo Brandolin

Aldo Brandolin (Trieste, 1910 – Medesso Poljo, 22 gennaio 1942) è stato un militare italiano, decorato di medaglia d'oro al valor militare alla memoria nel corso della seconda guerra mondiale.

Nel 1929 conseguì il diploma presso il Liceo scientifico della sua città natale, e nello stesso anno fu ammesso a frequentare la Regia Accademia Militare di Artiglieria e Genio di Torino, uscendone con il grado di sottotenente di artiglieria il 1º settembre 1931. Dopo aver seguito il corso di applicazione d'arma nel 1933 fu destinato a prestare servizio presso il 23º Reggimento artiglieria da campagna, e promosso al grado di tenente il 10 gennaio 1938 partì per combattere nella guerra di Spagna partecipando alle operazioni belliche con il 2º Reggimento bersaglieri. Rimpatriato a causa di una malattia dopo due mesi, rientrò in servizio presso il 23º Reggimento artiglieria da campagna, fu trasferito in seguito al 152º Reggimento fanteria dove conseguì la promozione a capitano il 1 gennaio 1940. Al comando della batteria di accompagnamento del reggimento entrò in guerra sul fronte jugoslavo il 6 aprile 1941. Cadde in combattimento a Medesso Poljo (Bosnia) il 22 gennaio 1942, durante un'operazione di controguerriglia. Per onorarne il coraggio in questo frangente fu insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria.


Medaglia d'oro al valor militare

«Comandante di batteria, assumeva volontariamente il comando di una colonna incaricata di snidare forti nuclei che infestavano la zona. Tra l’infuriare della tormenta impegnava l’agguerrito nemico tre volte superiore per numero e per armi in duro e cruento combattimento. Benché gravemente colpito al petto con l’esempio del suo eroico ardire continuava imperterrito a dirigere l’azione dissimulando la ferita per timore di affievolire lo slancio aggressivo delle sue truppe. Stremato di forze con serena fermezza montava a cavallo e persisteva risolutamente nell’arduo compito di comandante ordinando di sostenere con l’arma bianca l’impari lotta. Accortosi di una minaccia di accerchiamento con imperturbabile calma disponeva il ripiegamento trasportando tutti i feriti. Rientrava per ultimo alla base ove dopo aver incitato con indomita volontà il presidio alla resistenza e col pensiero rivolto ai caduti ed alla patria spirava da prode. Fulgido esempio di eroismo e di alte virtù militari. Medesso Poljo (Bosnia), 22 gennaio 1942».

— Decreto Luogotenenziale dell'8 febbraio 1945


La caserma della 2ª Batteria missili Raytheon MIM-23 Hawk del 5º Reggimento Artiglieria Contraerea a Terzo di Aquileia ha portato il suo nome.

Giovanni Domenico Bossi

Giovanni Domenico Bossi (Trieste, 28 luglio 1767 – Monaco di Baviera, 7 novembre 1853) è stato un pittore e miniaturista italiano.

Fu uno dei maggiori miniaturisti-ritrattisti del neoclassicismo. Le sue opere fanno parte della tradizione del miniaturismo veneziano su avorio. Esse rappresentano il rispettivo modello di un realismo, per quei tempi inusuale e privo di compromessi.

Bossi fu attivo tra il 1789 e il 1853 in numerose città europee quali Amsterdam, Parigi, Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera, Vienna, Stoccolma e San Pietroburgo. Egli ottenne prestigiosi incarichi dalle famiglie signorili di allora di Prussia, Paesi Bassi, Meclemburgo-Schwerin, Svezia e Russia. Per questo divenne, nel corso della sua attività di successo, membro delle accademie di Belle Arti di Stoccolma (1798) e di Vienna (1818). Nel 1824 fu nominato pittore di corte dal re di Svezia, Carlo XIV. Si stabilì definitivamente a Monaco di Baviera verso il 1850, nella Theresien Straße, al numero 19. In Monaco fu nominato pittore di corte.

domenica 5 ottobre 2025

Antonio Gandusio

Antonio Gandusio (Rovigno d'Istria, 29 luglio 1872 – Milano, 23 maggio 1951) è stato un attore italiano.

Gandusio fu uno dei più famosi attori brillanti del teatro novecentesco. Si avviò agli studi di Giurisprudenza spinto dal padre, avvocato, e conseguì la laurea studiando prima a Genova e poi a Roma, dove coltivò la sua passione per la recitazione che lo spinse a studiare presso una filodrammatica e, successivamente, a trovare scritture presso alcune delle più rinomate compagnie teatrali dell'epoca.

Nel 1899 ottenne un ingaggio con Alfredo De Sanctis e, successivamente, iniziò lunghe collaborazioni con le compagnie di Irma Gramatica, Flavio Andò, Evelina Paoli, Lyda Borelli, Ugo Piperno, Virgilio Talli, Maria Melato e Annibale Betrone, ottenendo la possibilità di lavorare con attori del calibro di Tina Di Lorenzo, Sergio Tofano e Uberto Palmarini.

Le sue caratteristiche fisiche (voce sgraziata, una lieve gibbosità, viso irregolare) lo resero adatto al ruolo di brillante.

Sulla scia della tradizione di irredentismo della sua famiglia, che aveva storicamente fornito capitani alla Repubblica di Venezia, nel 1915 venne condannato a morte dal tribunale militare austriaco, perché si rifiutò di arruolarsi nell'esercito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale.

Nel 1918 divenne capocomico, portando in scena un repertorio basato principalmente di pochade e farse: tra i vari allestimenti, però, sono da ricordare anche quelli dei drammi di Luigi Pirandello, di cui Gandusio fu sensibile interprete. L'attività capocomicale lo spinse a farsi interprete di parte della nuova drammaturgia italiana rappresentata dall'opera di Luigi Chiarelli e Luigi Pirandello. Nella sua attività di capocomico, ebbe l'opportunità di dirigere attori quali Paolo Stoppa, Nico Pepe e Nando Gazzolo.

Morì poco prima di effettuare alcune registrazioni teleteatrali per la RAI.

Nella sua città natale, Rovigno, il teatro cittadino prende il suo nome.

Giovanni Capodistria (Vittori)

Giovanni Antonio Capodistria (Corfù, 11 febbraio 1776 – Nauplia, 27 settembre 1831), è stato un politico e diplomatico corfiota di origini italiane, nato durante l'amministrazione veneziana, poi politico della Repubblica delle Sette Isole Unite, quindi diplomatico dell'Impero russo e infine primo capo di Stato della Grecia indipendente.

Giovanni Capodistria nacque nella città di Corfù veneziana, il centro principale delle Isole Ionie ed era il sesto figlio del conte Antonio Maria Capodistria e di Diamantina Gonemi. I Capodistria erano iscritti nel Libro d'Oro della nobiltà corfiota fin dal 1679 in virtù di un ascendente che era stato nominato conte da Carlo Emanuele II di Savoia e derivavano il loro nome dall'omonima cittadina istriana da cui la famiglia (Vittori era il cognome originario) proveniva, mentre i Gonemi (famiglia della madre) erano iscritti nel Libro d'Oro da ancor più lunga data (1606).

Godette dell'educazione e dei mezzi riservati all'élite dell'epoca e poté studiare medicina, filosofia e giurisprudenza all'università di Padova. Frequentando i salotti veneziani, incontrò Isabella Teotochi e Ugo Foscolo. Nel dicembre del 1795 entrò all’Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova. Nel 1797 conseguì la laurea in filosofia e medicina.

In seguito all’occupazione francese delle isole Ionie e alla confisca dei beni di famiglia, rientrò a Corfù ed esercitò la professione medica. 

Nel marzo 1802, Capodistria aveva fondato il Collegio Medico a Corfù, un’associazione medica (la prima del suo genere in Grecia). Come membro del governo, intraprende iniziative per istituire un sistema di istruzione pubblica – fino a quel momento praticamente inesistente – e nel 1805 fonda l’Archiginnasio.

Mentre era a Vienna come membro della delegazione russa al Congresso del 1814-15 venne informato della fondazione di una “Società Filomusa” ad Atene con lo scopo di promuovere la conservazione delle antichità, ma anche di far progredire l’educazione dei giovani greci; la società ha ricevuto il sostegno diretto di diplomatici e filelleni britannici. Capodistria decise di fondare una Società Filomusa a Vienna, con lo scopo principale di aiutare i giovani greci a perseguire una “educazione europea”, e lo zar la sostenne come mezzo per contrastare l’influenza britannica nei Balcani.

Una delle sue prime priorità come governatore è stata l’istituzione della prima Banca nazionale greca. Nell’aprile 1828 firmò un decreto che autorizzava il conio della fenice, la prima moneta nazionale della Grecia moderna. Fondò anche la prima tipografia sull’isola di Egina (allora capitale provvisoria della Grecia) e il primo Museo Archeologico (museo archeologico di Egina). Nel 1829 Nauplia divenne la capitale della Grecia. A Nauplia fu fondata anche la Scuola militare degli Evelpidi.

Ha assunto il compito della ricostruzione delle città devastate e di un’economia in declino. Ha posto le basi per i primi sistemi di istruzione e di stato sociale, fondando scuole di monitoraggio (cioè scuole che impiegano il “sistema di istruzione reciproca”), scuole di artigianato e il primo orfanotrofio organizzato del Paese. Ha anche fondato la prima fattoria modello e la scuola di agricoltura, vicino alla città di Nauplia. Ha mostrato particolare interesse nella promozione dell’agricoltura e ha anche sostenuto la navigazione e la costruzione di cantieri navali sulle isole.

Ha anche posto le basi per un sistema giudiziario e di pubblica amministrazione, introducendo un codice di procedura civile e un insieme di leggi, istituendo tribunali di primo grado nelle sedi delle prefetture, tribunali locali nelle città e tribunali d’appello. Nonostante i suoi sforzi, non è stato in grado di garantire prestiti da banche estere; ha tuttavia ricevuto appoggi e aiuti finanziari da governi stranieri, in particolare Russia e Francia. Ha anche usato la sua fortuna personale per contribuire finanziariamente alle molte esigenze dello stato greco, rifiutandosi anche di ricevere alcun salario come governatore.

Il 9 ottobre 1831 venne assassinato da due membri della famiglia Mavromichalis, una famiglia grande e potente che ha agito come governante (bey) della penisola semi-autonoma di Mani nel Peloponneso. La famiglia si rifiutò di cedere i propri privilegi e le proprie autorità al governo centrale e nel 1830 incitò un’aperta ribellione a Mani contro Capodistria. Alcuni di loro furono arrestati e messi in prigione, il che alimentò ulteriormente la loro animosità che portò all'assassinio di Capodistria.

A lui è intitolata l’Università di Atene.

sabato 4 ottobre 2025

Tullio Vallery

Tullio Vallery (Zara, 21 settembre 1923 – Venezia, 28 dicembre 2019) è stato un ex Assessore e “Senatore a vita” nonché Commendatore al merito della Repubblica.

Nato a Zara nel settembre del 1923, durante la sua vita è stato uno dei più importanti rappresentanti dei Dalmati e di tutto l’ambito riguardante l’esilio giuliano e dalmata del dopoguerra.

Insieme a numerosissimi italiani di Zara, fu costretto a lasciare la propria città e si stabilì con la famiglia, nel giugno del 1949, a Venezia nel Centro Raccolta Profughi “Marco Foscarini”, dove, con grande spirito di iniziativa, si dedicò a migliorare le condizioni di vita degli esuli. Negli anni Cinquanta fu istituita l’Associazione Libero Comune di Zara in Esilio e nel 1963 ne venne eletto assessore e dal 2006 Senatore a vita. Tra gli anni 60, 70 e 80 organizzò a Venezia grandi Raduni Nazionali dei Dalmati.

Nel 1954 viene eletto Cancelliere della Scuola Dalmata dei S.S. Giorgio e Trifone. Nel 1992 viene eletto Guardian Grande, ruolo che ricoprì orgogliosamente fino al 2013. In quegli anni creò e diresse la “Collana di ricerche storiche Jolanda Maria Trèveri” che ancora oggi viene pubblicata.

Tullio Vallery scrive così nel suo libro “La Liberazione di Zara distrutta. 1943-1948”:

Ma Zara è rimasta italiana e lo sarà sempre nel cuore dei suoi cittadini, ovunque essi siano. L’attuale Zadar è un’altra città.

È vero, ci sono ancora le chiese in cui siamo stati battezzati, il mare è rimasto più o meno lo stesso ed il famoso raggio verde si può ancora ammirare al tramonto, ma non c’è più, nè ci può essere, quella particolare atmosfera che abbiamo respirato nella nostra infanzia”.

Diego Zandel

Diego Zandel (Fermo, 5 aprile 1948) è uno scrittore italiano.

Nasce nell'ospedale di Fermo, nelle Marche, dal momento che la sua famiglia, originaria di Fiume, è ospite nel vicino campo profughi di Servigliano, che raccoglie gli esuli italiani dell'Istria, Fiume e Dalmazia in fuga dalla Jugoslavia. Questa origine avrà molta rilevanza nei suoi libri, compresi quelli di genere thriller. Anche la Grecia, in particolare l'isola di Coo (detta anche Cos o Kos), della quale era originaria la famiglia di sua moglie Anna, scomparsa nel 2012, entrerà nella sua narrativa per il suo portato storico e geopolitico, per il suo essere appartenuta nei secoli, come tutte le isole del Dodecaneso, a diversi Stati.  

Tutta la produzione narrativa di Zandel appare, comunque, spesso collegata a esperienze autobiografiche, o a echi e risvolti di tali esperienze, in forma diretta (come in "Una storia istriana", considerato il suo capolavoro, dove racconta una tragica vicenda famigliare accaduta in Istria all'inizio degli anni Quaranta) o più lontana, con agganci anche a particolari momenti storici, come gli anni di piombo (il romanzo "Massacro per un presidente"), la guerra nella ex Jugoslavia ("I confini dell'odio"), la guerra nell'Egeo ("Il fratello greco") oppure le foibe e l'esodo istrofiumano ("I testimoni muti" e, più recentemente, "Eredità colpevole").Più in generale, vale per Zandel quanto scritto da Elvio Guagnini, professore emerito di letteratura all'Università di Trieste, in merito al romanzo L'uomo di Kos: "Zandel sa coniugare gli “slarghi” delle descrizioni e dell'analisi con il ritmo sempre sostenuto di un racconto ricco di momenti di sospensione e di colpi di scena. Usa con intelligenza i trucchi del genere (dei generi) ai quali fa riferimento. Usa con altrettanta intelligenza anche la seduzione del paesaggio e dell'ambiente, per tenere avvinto il lettore. E, accanto a tratti “di consumo” usati con intelligenza (ma sappiamo che non tutta la letteratura detta di consumo è necessariamente “di consumo”), sa intrecciare una storia d'azione a un romanzo di analisi. Non è poco." Un'analisi che vale un po' per tutti i suoi romanzi, in cui il gusto del mistero, della memoria e dell'avventura s'intrecciano incisivamente agli eventi della piccola e della grande storia.

Nel 2023 gli è stato conferito il Premio Tomizza come "personalità che nel tempo si è distinta nell'affermazione concreta degli ideali di mutua comprensione e pacifica convivenza tra le genti delle nostre terre".

Fratelli Vojak

Antonio Vojak (Pola, 19 novembre 1904 – Varese, 9 maggio 1975) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo centrocampista o attaccante.

Grande mezz’ala della Juventus negli anni venti, è acquistato dal Napoli nel 1929 a 25 anni. In sei stagioni con la casacca azzurra, Vojak disputa 189 partite, siglando 102 reti.

Nella stagione 1932/33, Vojak sigla 22 reti, uguagliando il record di Attila Sallustro (compagno di reparto) quale miglior realizzatore azzurro in una stagione. Lascia il Napoli a 31 anni, e rimarrà sempre nella storia del Napoli come colui che oltre che segnare, giocava con una retina sulla testa per trattenere i capelli.

Per 78 anni ha detenuto il record di gol in un solo campionato in tutta la storia della società (22 gol) ed è uno dei calciatori  che hanno segnato di più in serie A con la maglia azzurra: 102 gol in 189 gare disputate.


Oliviero Vojak (Pola, 24 marzo 1911 – Torino, 21 dicembre 1932) è stato un calciatore italiano, di ruolo attaccante. 

Fratello minore del ben più celebre Antonio, veniva conosciuto in campo come Vojak II. Cresce calcisticamente a Pola, poi dopo una stagione nella Pro Gorizia, approda alla Juventus, che lo fa debuttare a meno di 17 anni in prima squadra. Dopo aver giocato 9 gare ufficiali dal 1927 al 1931, viene ceduto al Napoli, dove disputa ancora una stagione. 

Muore appena ventunenne a causa di una polmonite, il suo feretro viene portato a spalle dall’intera squadra della Juventus, con la quale Vojak II ha potuto fregiarsi del titolo di campione d’Italia per il campionato 1930/31.

Guido Miglia

Guido Miglia, scrittore e giornalista, è nato a Pola nel 1919. Laureatosi nel 1942 in materie letterarie, discutendo con Carlo Bo una tesi su Cervantes, ha diretto nella sua città il quotidiano del C.L.N. "L'Arena di Pola", dalla fondazione (luglio 1945) alla firma del Trattato di Pace (febbraio 1947), quando fu perduta l'Istria.

Dopo l'esodo ha ripreso l'insegnamento. Nel 1954 ha fondato la rivista "Trieste", che ha diretto fino al 1959. Dal 1960 ha scritto racconti istriani per la Rai, sede di Trieste, e per la Rai ha curato una rubrica mensile intitolata "Anni che contano: colloqui con i giovani". Dal 1968 per il quotidiano "Il Piccolo" di Trieste ha scritto elzeviri sul mondo istriano e sui problemi dei giovani e della scuola.
Il suo primo libro di racconti "Bozzetti istriani", uscito nel 1968, ha avuto la medaglia d'oro del Premio Settembrini di Venezia da una giuria composta da Aldo Palazzeschi, Dino Buzzati, Ugo Facco de Lagarda, Diego Valeri.
Per il volume "Quassù Trieste", esito da Cappelli nel 1968 a cura di Libero Mazzi, ha scritto il capitolo "Le due Istrie".
Nel 1969 ha pubblicato un secondo libro di racconti: "Le nostre radici".
Nel 1973 è uscito "Dentro l'Istria - diario 1945-47".

Dal 1987 ha condotto in direta ogni giorno "Voci e volti dell'Istria", una rubrica della Rai, sede di Trieste.

È stato ordinario di lettere italiane e storia dell'Istituto Geometri di Udine e nell'Istituto Tecnico Femminile di Trieste.

Nel 1990 è uscito un altro libro di racconti "Istria - I sentieri della memoria ", edito dall'Unione degli Istriani.

Luigi De Manincor

Luigi De Manincor (Rovigno, 14 luglio 1910 – Varazze, 13 febbraio 1986) è stato un velista italiano. Partecipò alle olimpiadi di Berlino del 1936 ed in qualità di timoniere conquistò, con l'imbarcazione di otto metri "Italia", per i colori nazionali la medaglia d'oro di vela nel campo di regate di Kiel.

Nato a Rovigno nel 1918, a otto anni si trasferì a Trieste, seguendo il padre Arturo, funzionario di fiducia dell'ammiraglio Millo, comandante dell'Alto Adriatico, che era stato nominato ispettore alla Capitaneria di porto di Trieste.

Si diplomò all'istituto nautico triestino, raggiungendo nella nostra marina da guerra il grado di capitano di corvetta. Il suo carniere di allori olimpici avrebbe potuto essere più pingue se la guerra non avesse impedito lo svolgimento delle olimpiadi del '40 e '44, infatti alle prime olimpiadi del dopoguerra quelle del '48 svoltesi a Londra, nel campo di regata di Torquay, nella classe Dragoni si classificò quarto con l'imbarcazione "Ausonia".

In seguito venne chiamato a Genova per dirigere il cantiere navale di Baglietto, in cui si costruivano celebri imbarcazioni da regata. Divenne inoltre skipper del finanziere Italo Monzino, guidando il suo Mait nella regata Buenos Aires-Rio de Janeiro. Fu inoltre comandante del grande yacth a motore, di proprietà del Monzino, con cui effettuò varie crociere, prediligendo sempre il mare di casa, l'Adriatico, facendo più volte scalo nella natia Rovigno.

Nel 1993 nel cimitero di Rovigno, al di sopra della tomba di famiglia, è stata apposta la seguente lapide:

IN MEMORIAM

COM.TE LUIGI de MANINCOR

1910-1986

MED. ORO VELA - OLIMPIADI

BERLINO 1936

QUARTO OLIMPIADI LONDRA 1948

I ROVIGNESI NEL MONDO 1993



Gaetano La Perna

Gaetano La Perna è stato uno storico e scrittore italiano, nato a Pola nel 1929, dove ha portato a termine gli studi medi superiori.

Il 14 febbraio 1947, in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Pace, prese la via dell'esilio per stabilirsi definitivamente, nel 1949, a Modena, dove ha vissuto fino alla morte, avvenuta nel settembre 2000.
Laureatosi presso l'Università degli Studi di Urbino con tesi in storia moderna sulla Resistenza, ha condotto una lunga carriera scolastica tutta dedicata all'insegnamento e al delicato ufficio di capo istituto.

Ha collaborato per moltissimi anni con il settimanale degli esuli giuliani "L'Arena di Pola" ed è stato consigliere e assessore del Libero Comune di Pola in Esilio.

Autore del libro "Pola- Istria-Fiume 1943-45. L'agonia di un lembo d'Italia e la tragedia delle foibe", trattato pregevole per il rigore scientifico, supportato dalla grande ricchezza dei documenti citati in bibliografia, reperiti in una paziente, quanto fondamentale ricerca negli archivi di tutta l'Istria, apertisi appena dopo il dissolvimento della ex Jugoslavia.

Antonio Ive

Il dott. Antonio Ive, nacque a Rovigno d'Istria il 13 agosto1851 da Eufemia Ruffini e Pietro Ive, studiò privatamente al ginnasio, (li lateîne, come si diceva a Rovigno). Con l'aiuto del Comune di Rovigno potè recarsi a studiare al liceo-ginnasio superiore di Capodistria, (1865), assolti a pieni voti gli studi liceali, passò all'università di Vienna, (1869), ove s'iscrisse in lettere italiane, latine e greche, avendo come docente il grande glottologo dalmata Adolfo Mussafia.

Conseguito il diploma per l'insegnamento della filologia classica e italiana, (1875), insegnò al Ginnasio di Capodistria. Già nel 1874 pubblicò la versione in dialetto rovignese della IX novella del Decamerone. Nel 1877 per i tipi della Loescher di Torino escono i fondamentali "Canti popolari istriani raccolti a Rovigno".

Dal 1878 per più di un anno soggiornò a Parigi per perfezionarsi nello studio della filologia romanza. Nel 1879 su incitamento dell'Ascoli si recò a Veglia per studiarne l'antica parlata, ultimo retaggio della lingua dalmatica. Da tali studi nacque una pubblicazione di canti popolari in veglioto. Dopo aver insegnato al ginnasio di Rovereto e Trento, insegnò filologia classica e tedesco al ginnasio di Innsbruck e finalmente nel 1893 ottenne la cattedra di lingua e letteratura italiana all'Università di Gratz.

Tra gli anni 1902-1907 si recò più volte nella campagna romana per le sue ricerche etnologiche-linguistica su questa area, stringendo amicizia con varie personalità dell'epoca come il Nigra, Monaci ed il poeta Pascarella. Frutto di tali ricerche fu il libro "Canti popolari velletrani" del 1907, che venne recensito da Benedetto Croce in "Critica".

Fu autore inoltre del libro "I dialetti ladino-veneti dell'Istria", ove per ladino-veneto intende il linguaggio istrioto od istro-romanzo, cioè la parlata originaria dell'Istria che era, e parzialmente ancora è, in uso a Rovigno, Dignano, Valle, Fasana e Sissano di cui traccia un dotto e tuttora fondamentale profilo glottologico. Tra le altre sue pubblicazioni citiamo le "Novelline popolari rovignesi", Vienna 1877; le "Fiabe popolari rovignesi", Vienna 1878; "L'antico dialetto di Veglia", in Archivio glottologico italiano vol. IX, 1886; oltre ai "Saggi di dialetto rovignese", pubblicati in appendice alla "Storia di Rovigno", del rovignese Bernardo Benussi, oltre a varie altre opere edite ed inedite tra cui il manoscritto Dizionario Istrioto Italiano, che attualmente si trova presso la biblioteca dell'Università di Zagabria.

Nel 1907 fu parte in causa, anche se involontaria, del conflitto scoppiato all'Università di Graz, tra gli studenti italiani, che reclamavano la istituzione di una facoltà in italiano e quelli tedeschi. Con feriti d'ambo le parti, ma soprattutto del campo tedesco.

Moriva il 9 gennaio 1937 a Graz e le spoglie vennero riportate a Rovigno il 13 dello stesso mese. La sua ricca biblioteca, composta da più di 3.000 volumi venne affidata alla biblioteca Civica di Rovigno, ove andò ad arricchire i precedenti lasciti dello Stancovich, del dott. Borghi e del canonico Sebastano Bronzin oltra ai vari manoscritti ed opere a stampa degli Angelini e di altri benemeriti.

Bruno Ispiro

Bruno Ispiro (Rovigno d'Istria, 20 marzo 1920 – Trieste, 21 aprile 1992) è stato un calciatore italiano, di ruolo centravanti.

Giocò fin da piccolo come attaccante in varie formazioni calcistiche rovignesi, tra cui la squadra dei Salesiani di Rovigno detta dei "Diavoli Neri", facendosi notare ben presto per le sue doti calcistiche, soprattutto nel gioco di testa in cui eccelleva. Fu il primo giocatore di Rovigno richiesto da una squadra di un'altra città: l'Ampelea di Isola d'Istria. Da questa squadra, in seguito spiccò il volo, per militare in squadre di primo rango, come il Genoa, la Lazio e da ultimo nella Triestina che allora giocava in serie A ed era una dei più forti club del campionato. Fu anche centrattacco della Nazionale giovanile italiana e riserva in quella maggiore. Col Genova nella stagione 1941-42 segnò ben 17 reti segnalandosi all'attenzione generale. La guerra bloccò in parte la sua travolgente ascesa, ma continuò in seguito ad essere un protagonista nel campionato 1947-48 con le maglie dei rosso alabardati che vide la Triestina di Nereo Rocco, Striuli, Blason, Zorzin, Giannini, Sessa, Radio, Rossetti, Pison, Trevisan, Begni e del Nostro concludere il campionato seconda al solo grande Torino. Fu inoltre protagonista con la maglia della Triestina di una sensazionale cinquina al Padova, nel risultato storico di 9 a 0 nel campionato 1948-1949. Complessivamente giocò 87 partite in serie A, tra Genoa, Lazio e Triestina. 

Silvano Abbà

Silvano Abbà  (Rovigno, 3 luglio 1911 – Isbuscenskij, 24 agosto 1942) è stato un pentatleta e militare italiano.

Figura di cavaliere d'altri tempi, abile nella scherma, splendido cavallerizzo ed ottimo nuotatore, incominciò a distinguersi alle Olimpiadi di Berlino del '36 dove, mettendo a frutto le sue splendide doti di soldato, salì sul podio guadagnando all'Italia la medaglia di Bronzo nel Pentathlon moderno, gara che comprende i concorsi di scherma, equitazione, nuoto, tiro e corsa.

Ma fu nella sfortunata campagna di Russia che, alla testa del 4^ Squadrone del Savoia Cavalleria di cui era il comandante, ebbe modo di mettere in luce oltre alle indubbie qualità d'atleta anche il suo intrepido coraggio venendo insignito della medaglia d'oro al Valor militare per essere stato uno splendido protagonista dell'eroica carica del Savoia Cavalleria, avvenuta il 24 agosto del 1942 nella ritirata di Russia a Isbuschenskij, forse l'ultima carica di cavalleria fatta da un esercito occidentale e giudicata da molti la più bella pagina di storia della cavalleria dei tempi moderni, in quanto non fu solo un "beu geste", come la famosa carica di Balaclava, ma servì a spezzare l'accerchiamento di un nutrito reparto del corpo di spedizione italiano in Russia che altrimenti sarebbe caduto in mani nemiche.

Per illustrare le sue gesta penso che non ci sia nulla di meglio che riportare integralmente la motivazione per la medaglia d'oro al valor militare:

"Comandante di squadrone di eccezionale valore, in giornata di cruenta battaglia, col proprio squadrone s'impegnava frontalmente, attaccando munite posizioni avversarie. Conquistata d'un balzo una prima linea, difesa da numerose mitragliatrici, si lanciava nuovamente alla testa dei suoi cavalieri contro lo schieramento successivo: Ferito una prima volta stramazzava al suolo, si rialzava con indomita energia e procedeva all'annientamento di ulteriori centri di fuoco nemico, decidendo così l'esito vittorioso di un'epica giornata. Nell'ultimo superbo scatto, colpito per la seconda volta a morte, cadeva da prode sul campo. — Quota 23 di Isbuchenscki, 24 agosto 1942".

Per dare un esempio del suo sangue freddo basti riferire che durante le concitate cariche di cavalleria, nei momenti di pausa, il Cap. Abbà trovò anche il tempo di riprenderne le fasi con la fedele macchina fotografica che venne ritrovata al collo del suo corpo inanimato con l'otturatore ancora aperto.

Vi è da dire che si era già precedentemente meritato una medaglia al valor militare, una d'argento ed una di bronzo, per le imprese compiute a Las Foias e Mazaleon, ove il suo reparto era entrato per primo così come a Gandesa e a Tortosa.

Alla sua memoria a Roma è stata intitolata la via S. Abbà, posta significativamente tra via P. de Cubertain e via Dorando Pietri e lo stadio della scuola militare della Cecchignola di Roma.

Il suo nome designa inoltre la sede della Sezione dell'Arma di Cavalleria di Gorizia e Civitanova Marche e in quest'ultima città, il 30 maggio 1993, gli è stata intitolata anche una Piazza. A Trieste, il locale circolo ippico ha istituito un trofeo per cavalieri ed amazzoni, dedicandolo alla sua memoria, inoltre nel museo di Pinerolo si custodisce la sua medaglia d'oro al valor militare, mentre la sciabola ed il cappello sono tenute come reliquie dalla sezione d'arma di Cavalleria di Voghera.

Al suo nome nella natia Rovigno nel 1993 è stata dedicata una lapide commemorativa nel locale cimitero:

IN MEMORIAM
CAPITANO SILVANO ABBÀ
1911-1942
MED. BRONZO PENTATHLON MODERNO
OLIMPIADI BERLINO 1936
M.O.V.M. ISBUSCHENSKI 1942
                                                                          
I ROVIGNESI NEL MONDO 1993