mercoledì 10 gennaio 2024

Quando certi esuli di Zara volevano la Dalmazia indipendente, 1992

I documenti qui riportati dimostrano che, alla disintegrazione della Jugoslavia del 1991, alcuni italiani di Dalmazia profughi in patria aspirassero, nientemeno, che all’indipendenza della loro terra d’origine. Le lettere seguenti furono indirizzate all’avvocato Pietro Serrentino (1921-2010), nato a Zara ed esule a Jesolo Lido (VE); fanno parte della Collezione di Franca Balliana Serrentino. Autore delle missive è il dottor Ameglio Gradi, zaratino riparato a Siena, segretario del Libero Comune di Zara in esilio. Gradi è pure referente, per la provincia di Siena, dell’Associazione Nazionale Reduci e Rimpatriati d’Africa (ANRRA). È poi socio dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (UNUCI), sede di Siena.

Io sono per un governo dalmata in esilio – ha scritto Ameglio Gradi – che chieda all’Unione Europea una Dalmazia stato franco/europeo e perché esista una Bosnia-Erzegovina stato indipendente, perché i suoi territori non vadano a gonfiare la Croazia e la Serbia” (Lettera a Pietro Serrentino, 17 agosto 1992).

A qualcuno potranno sembrare ipotesi ingenue, indifendibili sul piano diplomatico e, soprattutto, su quello militare, eppure ci fu un grande dibattito su tali lettere circolari. Il tema dell’indipendenza dalmata fu noto a vari personaggi del tempo, come Massimo Barich, Silvio Cattalini, Renzo de’ Vidovich, Ottavio Missoni, Miriam Paparella Bracali, Elio Perissi, Antonio Pitamitz, Alfredo Puccinelli, Nerino Rismondo, Maria Vittoria Barone Rolli, Tullio Vallery e Giorgio Varisco. Essi, o i loro familiari, sono menzionati nelle corrispondenze di Ameglio Gradi riguardo al tema, come pure è menzionata la rivista «Zara», diretta da Nerino Rismondo.

Ecco la lettera-manifesto sull’indipendenza dalmata, datata a Siena il giorno 8 agosto 1992. Ameglio Gradi la indirizzò al sindaco ed al Consiglio del Comune di Zara in esilio (Collezione Franca Balliana Serrentino).

Nel Consiglio del Libero Comune di Zara in esilio vi è il Sindaco ragusino, il Vice sindaco zaratino, i Consiglieri, che conosco io, sono zaratini Rismondo e Trigari, mentre Mattarelli [Eugenio?, NdR] è bocchese; insomma vi è rappresentata tutta la Dalmazia.

Che si aspetta a chiamarla Regione Dalmata in esilio, o meglio Stato Dalmata in esilio, con un governo? E a presentarci come tali all’Unione Europea ed alle Nazioni Unite per dare il nostro contributo per la sistemazione della ex Jugoslavia e della Dalmazia?

La Dalmazia in mano ai croati costringe la Bosnia-Erzegovina e la Serbia e gli altri stati all’interno ad essere tutti economicamente vassalli della Croazia per il possesso delle coste e dei porti. La Croazia è entrata in possesso della Dalmazia per le violenze degli Asburgo verso i dalmati, violenze esercitate per mezzo del servilismo dei croati verso l’Impero Austriaco e non per altri meriti. È ora che facciamo sentire la nostra voce, ma non come italiani, l’Italia ci ignora o ci rifiuta, ma come dalmati in esilio (Regno di Dalmazia).

L’esilio dei dalmati iniziò nel 1797 con il trattato di Campoformio. I primi dalmati in esilio si naturalizzarono nei vari stati dell’Italia di allora, compresi quelli che per motivi di lavoro si trovavano già trapiantati nella Penisola, non dimentichiamo che i dalmati erano un popolo marinaro, che i commerci li portavano a stabilirsi in tutti il mondo, ma che continuavano ad essere dalmati delle Repubbliche di San Marco e San Biagio [Ragusa]. Dal 1797 o dal 1814 dovettero scegliersi un’altra Patria, se non dichiararsi sudditi degli Asburgo. 

Approfittiamo del disordine attuale, perché la Dalmazia divenga uno stato franco sotto l’egida dell’Unione Europea, o dell’ONU. Facciamoci avanti proponendo questa soluzione, prima che l’ONU e la Unione Europea riconoscano ai croati i confini amministrativi, come confini dello Stato croato, o che la nostra terra venga divisa tra Montenegro, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Croazia, con il rompicapo dell’appartenenza delle isole.

Finita la guerra per l’indipendenza della Bosnia, la Bosnia, la Serbia, il Montenegro e la Croazia cominceranno la guerra per il possesso di Zara, Sebenico, Spalato, Ragusa e le Bocche [di Cattaro] e guardate che tutti questo porti sono molto più vicini a Sarajevo e a Belgrado piuttosto che a Zagabria ed i croati non vorranno mollarli, perché fonte della loro ricchezza.

Il Sindaco del Comune di Zara in esilio è ragusino ed i ragusini godevano di una grande fama di essere dei fini diplomatici. Coraggio! Ora, o mai più.

Gradi Ameglio”.

Ameglio Gradi, Lettera-manifesto per l’indipendenza della Dalmazia, 1992, particolare. Collez. Franca Balliana Serrentino

In conclusione si riproduce un’altra lettera del medesimo autore diretta a Puccinelli e inviata in copia a molti altri dalmati per ribadire gli stessi argomenti.

“Ti scrivo come segretario del Libero Comune di Zara in esilio e ti rimetto, qui dietro copia della lettera che ho rimesso a Missoni, Luxardo, Rismondo, Serrentino, Trigari e Mattarelli. (…) Vedo che il consigliere Barich e lo zaratino de’ Vidovich hanno un’opinione del problema dalmata come la mia. Costituiamo uno Stato di Dalmazia in esilio e facciamoci avanti al Parlamento europeo, perché la Dalmazia non faccia parte della Croazia, ma sia il primo stato franco dell’Europa unita, con moneta europea, ove la prima lingua sia il croato, la seconda l’italiano e la terza il tedesco. Quali conseguenze ha avuto la mozione approvata dall’assemblea del 29.9.1991, presentata da Renzo de’ Vidovich?” (Lettera di Ameglio Gradi a Alfredo Puccinelli, 14 agosto 1992).

È noto che, dal 1975, fu proprio l’ingegnere Silvio Cattalini, nato a Zara, a proporre il dialogo con gli italiani delle terre abbandonate, i “rimasti”, con uno spirito di pace in dimensione europea, nel rispetto dei singoli stati. Lui tracciò un solco. Quei temi sono ancor più attuali oggi. 

Riunione dalmata poco prima del crollo della Jugoslavia – Tra gli altri: Silvio Cattalini, da sinistra, Pietro Serrentino, Giovanni Puccinelli, Nerino e Maria Rismondo, Ottavio Missoni, Massimo Barich, Benny Pecota e Renzo de’ Vidovich, 1988. Collez. Franca Balliana Serrentino



lunedì 1 gennaio 2024

La vergogna del trattato di Osimo e le responsabilità di parte dell'associazionismo dei profughi corrotti

Ben prima del Parlamento di Roma (dove sedevano, tra gli altri, due illustri istriani ed uno dalmata che ricoprivano posti di rappresentanza in seno alla attuale Associazione delle Comunità istriane e nella Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, tutti eletti nelle file della Democrazia Cristiana: Corrado Belci, nato a Dignano, che fu strenuo difensore del Trattato di Osimo e votò per la cessione della Zona B alla Jugoslavia; Giacomo Bologna, nato ad Isola, il quale nonostante le direttive del partito votò contro la ratifica al Trattato, e per questo venne espulso in 24 ore; Paolo Barbi, nato a Lesina, il quale invece di votare contro la ratifica, si assentò prima dall'aula), che ratificò il Trattato nel 1977, già nell'autunno del 1975, cioè prima della firma, il Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia e quelli della Provincia e del Comune di Trieste furono chiamati ad esprimersi nel merito della firma del Trattato.

E molti furono gli Istriani, in maggioranza iscritti alla ANVGD, che eletti in questi tre consessi votarono a favore della ratifica del Trattato, oppure si astennero dal farlo, per non perdere la poltrona! In internet si trovano con facilità pure i verbali delle rispettive riunioni. 

Alleghiamo il volantino di denuncia che, dopo gli esiti del voto degli enti locali, l'Unione degli Istriani distribuì per le vie di Trieste: in sostanza una sorta di "albo della vergogna", per informare la cittadinanza di come si comportarono i politici di allora.

Si tratta di una brutta pagina di storia, che è bene però ricordare!