Intanto iniziamo col ricordare che il Regno di Jugoslavia, costituitosi alla fine del 1918 con il nome di Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, dal 1929 si reggeva su una dittatura del re Alessandro il quale, pensando di poter diminuire gli insanabili contrasti etnici e religiosi del paese, aveva abolito la costituzione ed accentrato ogni potere su di sè, creando una nuova e fantasiosa divisione amministrativa del territorio - basata sui nomi dei fiumi e non più sulle regioni storiche - che aveva esasperato ulteriormente il clima di conflittualità tra Croati e Serbi in particolare, i due gruppi più numerosi e importanti del Paese.
Dal 1933 il malcontento nelle regioni dalla Croazia si era trasformato in quotidiani disordini civili che il regime contrastò con una serie di omicidi, tentati omicidi e arresti di figure chiave dell'opposizione croata, incluso il leader del Partito contadino croato (Hrvatska seljačka stranka, HSS), Vladko Maček.
Quando Alessandro venne assassinato a Marsiglia nel 1934 da un bulgaro affiliato al movimento croato ustascia, a governare il Paese allo sbando venne suo cugino, il principe Paolo, il quale si pose a capo di una Reggenza triumvirata i cui membri erano il senatore Radenko Stanković e il governatore della Sava Banovina, Ivo Perović. La Reggenza costituita da un Consiglio di oltre venti membri, governava per conto del figlio undicenne di Alessandro, il principe Pietro, ma il membro importante era il principe Paolo, il quale mantenne la dittatura, anche se cambiarono sensibilmente i rapporti con gli Stati vicini, la maggior parte dei quali aveva disegni irredentisti e di espansione revanscista sul suo fragile territorio.
Per garantire quella difficile armonia con i Paesi contermini, la Jugoslavia aveva sottoscritto, sin dall’inizio, diversi accordi, spesso contraddittori tra loro: dal 1921, Belgrado aveva negoziato la Piccola Intesa con Romania e Cecoslovacchia di fronte agli appetiti ungheresi sul suo territorio e, dopo un decennio di trattati bilaterali, aveva formalizzato gli accordi soltanto nel 1933. Nel 1934 fu sottoscritta con Romania, Grecia e Turchia l’Intesa Balcanica, volta a contrastare le aspirazioni bulgare.
La nomina del serbo Milan Stojadinović a Capo di Gabinetto della Reggenza aveva ad un certo punto consentito di migliorare i rapporti indispensabili, anche dal punto di vista economico e commerciale, con la Germania e con l’Italia (accordi che prevedevano, nelle intese segrete siglate con Galeazzo Ciano, l’invasione congiunta dell’Albania, altra questione illuminante che gli storici non precisano mai!), la tensione etnico-religiosa tra Serbi da una parte e Croati e Sloveni dall’altra trovò una sorta di equilibrio.
Quando questi venne rimosso, arrestato e consegnato ad una legazione britannica in Grecia per essere detenuto alle Isole Mauritius fino al termine del conflitto mondiale, al suo posto venne nominato, nel febbraio 1939, Dragiša Cvetković, nel successivo mese di agosto, le diatribe serbo-croate si attenuarono ulteriormente attraverso un nuovo anche se difficile progetto di federalizzazione della Jugoslavia, che aveva portato alla creazione della Banovina della Croazia, grazie ad un accordo raggiunto con il leader del partito dei contadini croati (che nel 1938 aveva raggiunto il 44% dei consensi) Vladko Maček.
Cvetković, così come il suo predecessore Stojadinović, aveva ben compreso come la Jugoslavia, in particolare dopo l’Anschluss che aveva portato la Germania nazista al confine settentrionale delle Caravanche e dopo l’invasione dell’Albania e della Grecia, e soprattutto con lo scoppio della guerra nel settembre 1939, non poteva evitare, in nessun modo, di instaurare una alleanza con Hitler.
Dopo l’ingresso nell’Asse di Ungheria e Romania (1940), e con le pressioni della Germania affinché anche la Jugoslavia vi aderisse, con clausole del tutto particolari e privilegiate (faceva comodo a tutti una Jugoslavia neutrale nello scacchiere balcanico), toccò al principe Paolo che aveva incontrato Hitler a Berchtesgaden, in Baviera, due volte in poche settimane il 4 ed il 17 marzo, convocare il il 19 marzo il Consiglio della Corona per discutere i termini del Patto e in che modo si dovesse firmarlo.
I membri del Consiglio erano in grande maggioranza disposti ad accettarlo, il Patto, ma solo a condizione (accolta dal Führer) che la Germania permettesse che le sue concessioni fossero rese pubbliche:
- il riconoscimento del rispetto della sovranità jugoslava e dell'integrità territoriale;
- la garanzia che Berlino non avrebbe fatto alcuna richiesta a Belgrado di passaggio o trasferimento di truppe durante durante la guerra.
Tra le clausole segrete concordate, era previsto anche un compenso territoriale a seguito della prevista vittoria sulla Grecia, con l’espansione a sud, verso la Macedonia ellenica, fino alla città di Salonicco.
Senza tralasciare il fatto che tutti i membri della Reggenza, già dopo il primo incontro del 4 marzo con Hitler, avevano all’unanimità autorizzato il Principe Paolo a proseguire le trattative, nella riunione decisiva il Consiglio della Corona, composto, lo vogliamo ricordare agli “smemorati”, da ministri Serbi, Croati e Sloveni, deliberò con 15 voti a favore e 3 voti contrari, la sera del 19 marzo, che la Jugoslavia diventasse uno stato membro dell’Asse.
Fu così, come abbiamo visto nei giorni scorsi, che Dragiša Cvetković si recò a Vienna e firmò il 25 marzo l’alleanza con la Germania.
Naturalmente i servizi segreti britannici erano ben al corrente di tutto ciò che accadeva in Jugoslavia ed avevano già collaborato alla preparazione di un colpo di stato, che venne messo a punto molto prima della firma del Patto Tripartito.
La notizia della firma a Vienna dell’alleanza mise subito in moto le reazioni a catena programmate, con la sobillazione dei primi manifestanti che si radunarono per le strade di Belgrado gridando "meglio la tomba che schiavo, meglio la guerra del patto" (bolje grob nego rob, bolje rat nego pakt).
Il colpo di stato, pianificato nei dettagli dal generale Dušan Simović venne lanciato alle ore 2:15 del 27 marzo e coinvolse, per ragioni di sicurezza (legati ai dissapori etnici tra gli ufficiali dello Stato maggiore), esclusivamente ufficiali fidati della aviazione.
Sotto la supervisione di Borivoje Mirković, con sede presso la base di Zemun, gli ufficiali assunsero il controllo degli edifici e dei luoghi sensibili della capitale Belgrado in poche ore, provvedendo all’occupazione dei ponti sulla Sava tra Zemun e Belgrado (attuata dal colonnello Dragutin Dimić), dell'amministrazione comunale, della direzione della polizia e della stazione radio di Belgrado (sotto il comando del colonnello Stjepan Burazović), dei ministeri e della sede dello Stato maggiore (compiuta dal maggior Živan Knežević), della residenza reale (a cura del colonnello Stojan Zdravković), dell'ufficio postale principale di Belgrado (svolta dal tenente colonnello Miodrag Lozić), e delle caserme.
Vennero interrotte alle ore 3.18 tutte le comunicazioni tra Belgrado e il resto del paese, carri armati e artiglieria furono schierati su tutte le strade principali di Belgrado.
Alle ore 14.00 tutti i luoghi strategici del Regno erano già nelle mani delle truppe fedeli ai leader del golpe.
Al momento del putsch, il principe Paolo era a Zagabria in viaggio per una vacanza programmata a Brdo, nella attuale Slovenia. Il vice primo ministro e leader croato Maček, informato di ciò che accadeva a Belgrado, incontrò il principe Paolo alla stazione ferroviaria della capitale croata per discutere la situazione. Si è quindi tenuto un incontro presso la residenza di Ivan Šubašić, Governatore del Banato della Croazia, cui prese parte anche il comandante dell'esercito a Zagabria, August Marić.
Maček, durante la concitata riunione, esortò il principe Paolo a opporsi al golpe, mentre Marić promise il sostegno delle unità dell'esercito suggerendo che il principe Paolo rimanesse a Zagabria, con la possibilità di mobilitare unità dell'esercito nella Banovina a suo sostegno. Il principe Paolo però rifiutò, temendo per la sorte della consorte, la principessa Olga e quella dei figli, che erano rimasti a Belgrado.
Accompagnato da Šubašić, raggiunse quindi la capitale in treno la stessa sera e fu ricevuto da Simović, che lo condusse al ministero della guerra dove Paolo cedette il potere, abolendo immediatamente la Reggenza.
Avendo preso accordi con il console britannico a Zagabria, il principe e la sua famiglia partirono quella sera stessa per la Grecia, dopodiché si recarono prima in Kenya e successivamente in esilio in Sudafrica.
Il palazzo reale, circondato dai manifestanti, venne occupato dal generale Simović e dagli altri leader del golpe, i quali diffusero un fasullo messaggio radio che impersonava la voce del Principe Pietro, definito "proclama al popolo", invitando la popolazione a “sostenere il re”.
Peccato che il re fosse ancora minorenne e quindi non in grado di avere legittimamente la corona. Alla soluzione di questo problema i golpisti erano in realtà già pronti, cambiando la data di nascita e facendolo diventare maggiorenne.
Come dirà lo stesso Pietro successivamente, egli apprese soltanto dalla radio di essere “diventato” maggiorenne e di essere il nuovo re di Jugoslavia!
L’incoronazione, avvenuta il 28 marzo in presenza del Patriarca ortodosso Gavrilo II, segnava in realtà “l’inizio della fine della monarchia”, un “errore madornale” come lo stesso Pietro successivamente riconoscerà.
Così come farà lo stesso Simović, che giudicherà molti anni dopo come “imbroglio” il colpo di stato, di cui fu “uno dei padri e vittima allo stesso tempo”, e che criticherà come “atto miope”.
Dopo 10 giorni, infatti, la Jugoslavia - che si era messa apertamente dalla parte dei nemici del patto dell’asse, tradito soltanto due giorni dopo averlo firmato, ed il cui nuovo governo non era stato riconosciuto dalla maggior parte degli Stati belligeranti - venne attaccata e smembrata, senza dichiarazione di guerra (e non poteva essere che così, secondo le convenzioni internazionali in vigore, poiché una dichiarazione di guerra non poteva essere redatta e consegnata a dei rivoltosi che avevano rovesciato l’unico Governo finora legalmente riconosciuto).
Foto: Belgrado, 27 marzo 1941. Manifestazioni di piazza a seguito del colpo di stato.