Abbiamo già parlato di Simeone Gliubich, il vescovo croato che favorì in tutti i modi l'elemento slavo in Dalmazia. Tuttavia, possiamo dire che costui si contraddisse da solo. Infatti egli esamina nel suo libro ( "Dizionario biografico degli uomini illustri della Dalmazia"), che va fino al 1850, circa 550 dalmati illustri nelle scienze, nelle lettere, nelle arti, nelle armi e nella Chiesa cattolica. Sebbene il libro sia in parecchi riguardi molto arzigogolato, nullameno ne risulta che di 500 scrittori dalmati ben 362 scrissero soltanto in italiano e in latino, che 50 scrissero, oltrechè in italiano e in latino, pure qualche cosuccia insignificante in slavo, e che solo 58 scrissero esclusivamente in slavo.
Inoltre, gli archivi di Venezia conservano i rapporti dei provveditori veneziani al loro governo, dai quali risulta che alla fine del XV sec. la Dalmazia contava appena 60.000 abitanti. Se si considera che le città erano latine e che, per esempio, Spalato sola nel 1244, secondo narra Tomaso Arcid., aveva 500 masiere (casupole nel sobborgo), bruciate dai croati, e, secondo Mica Madio, poteva mandare 1200 suoi cittadini armati contro il conte croato a Clissa, si comprenderà che dei 60.000 dalmati pochi potevano essere gli slavi. Forti colpi alle cittadinanze italiane furono dati dalle pestilenze e dai terremoti devastatori (terribile quello di Ragusa nel 1667).
I vuoti si riempivano di slavi, che s'italianizzavano. Specialmente grandi furono le immigrazioni, favorite da Venezia, di contadini slavi, fuggenti dinanzi ai turchi (soprattutto XVII secolo) e, dopo il "nuovo" e il "novissimo" acquisto a spese dei turchi, la Dalmazia veneziana aveva, si può dire, triplicato la sua popolazione. Durante il dominio austriaco continuarono le immigrazioni dalle province turche. Soltanto così si arrivò alle odierne (del 1920... sic) proporzioni numeriche dei dalmati parlanti le due lingue.
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