sabato 24 febbraio 2024

Marina Smaila testimone: «Italiana per nascita e scelta»

«Ero coccolata e anche un po’ viziata. Sono entrata nel campo profughi e ho smesso di essere bambina, non sono più stata capace di giocare». 

Marina Smaila aveva otto anni quando, il 10 febbraio 1947, con i trattati di pace di Parigi vennero ridisegnati i confini orientali dell’Italia e anche la città di Fiume, assieme all’Istria e alla Dalmazia, passò alla Jugoslavia. Agli italiani che vivevano lì da sempre venne detto di scegliere: se rimanere italiani pagando il prezzo di lasciare tutto (soldi in banca compresi) per emigrare all’interno dei nuovi confini della Patria, oppure restare dove erano nati rinunciando alla cittadinanza italiana e sottomettendosi al regime comunista di Tito. 

Marina Smaila ha raccontato la sua storia di esule fiumana a Castelnuovo del Garda nel corso della serata organizzata dal Comune in collaborazione con l’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, per commemorare il Giorno del ricordo, che dal 2004 viene celebrato il 10 febbraio di ogni anno. A chi, al termine dell’incontro, la ringraziava della sua testimonianza, Marina Smaila rispondeva ringraziando a sua volta per averla ascoltata.

Perché per lei, come per tutte le vittime scampate a persecuzioni e massacri di ogni matrice, poter testimoniare è un privilegio. Lo è ancor più per gli esuli istriani fiumani e dalmati, costretti per decenni a non raccontare ciò che avevano vissuto o visto subire ad altri conterranei uccisi e gettati nelle foibe. 

«Per anni di noi non si è potuto parlare, eravamo l’emblema che l’Italia aveva perso la guerra». E il suo debito di guerra con la Jugoslavia l’Italia «lo pagò con i nostri beni che avevamo lasciato a casa», ha ricordato la testimone descrivendo l’odissea della sua famiglia (oltre a lei, i genitori con la madre incinta e altri tre figli). L’arrivo a Trieste, poi a Udine nel centro smistamento profughi, poi l’approdo nel campo profughi di Mantova in cui la famiglia Smaila rimase per due anni prima di essere trasferita nel campo di Verona allestito nel chiostro San Francesco dove oggi c’è il Polo Zanotto, sede dell’università. Al trauma di vivere in condizioni di estrema povertà, si aggiunse i primi anni quello dell’emarginazione: «Qui ci chiamavano slavi, mentre a Fiume dopo il ’45 eravamo “sporchi italiani”, considerati tutti fascisti». Alle compagne di scuola che alle medie, a Mantova, la prendevano in giro per la sua origine, il padre le disse di rispondere che lei era italiana due volte: «Per nascita e per scelta, perché noi per rimanere italiani abbiamo perso tutto».

K.F. L’Arena (23.02.2019)

Ileana Ardito: «Papà nelle foibe, così la vita ripartì da Vicenza».

La profuga Ileana Ardito, scomparsa nel 2022, giunse a Vicenza dopo la morte del genitore, preso dai partigiani di Tito e infoibato non si sa dove.

«Sono Ileana Ardito, nata a Fiume, in Italia, il 15 febbraio 1933, da mamma Rosa Broggian, nata a Montegalda (Vicenza) il 27 ottobre 1895 e papà Savino Ardito, nato a Spinazzola (Bari) il 15 giugno 1887». 

Un racconto in prima persona che come da buona abitudine comincia con le presentazioni. E le prime parole a cui attinge con cura Ilenia Ardito, scavando nei ricordi che fissa su un foglio, danno subito le coordinate principali della sua storia: l’anno e il luogo di nascita, che rimandano immediatamente a fatti dolorosamente precisi, quelli di migliaia di italiani ammazzati e gettati come animali nelle foibe dalle milizie jugoslave di Tito, ma anche il riferimento ai suoi genitori. Con quel nome, quello di suo padre, scritto in maiuscolo che fa intuire l’amore di una figlia rimasto spezzato.

La storia della profuga Ileana giunta a Vicenza dopo la morte del genitore

E poco importa se quando comincia a scrivere questa sua testimonianza di profuga istriana a 77 anni, se nel frattempo ha costruito a Vicenza una famiglia piena di affetto con il “suo” Pietro e con sua figlia Lorella. Già, poco importa, perché c’è un passato che non passa e che non può passare e il suo desiderio, nonostante lo scorrere del tempo, è ancora quello di scoprire «dove sono le spoglie di mio padre, portare un fiore dove è stato ucciso». 

Suo padre, Savino Ardito, preso dai partigiani di Tito e infoibato non si sa dove

Papà Savino, mandato dallo Stato Italiano a Fiume in qualità di maresciallo maggiore della pubblica sicurezza, è un uomo possente che si scioglie in teneri abbracci e in larghi sorrisi quando lei lo chiama affettuosamente “papaci”. Quegli abbracci e quei sorrisi finiscono quando lei ha 12 anni e quell’appellativo, “papaci”, le rimane strozzato in gola. Perché suo padre viene giustiziato dai partigiani di Tito. A guerra finita. Quando cioè uno pensa di essere finalmente al sicuro, di potersi lasciare alle spalle tutto quel buio. Invece no. Il peggio deve ancora arrivare. Arriverà il primo di maggio, quando l’aria tiepida di un giorno di primavera diventerà un soffio gelato.

I tedeschi se ne erano andati, il padre andò a consegnare l'arma 

«I tedeschi se ne erano andati, mio padre quel mattino disse: “Figlia mia, ora vado in questura a consegnare l’arma, dalla quale ringraziando Dio non ho mai sparato un colpo; in tasca ho tutti i nostri risparmi, torno, organizziamo il rientro a Vicenza, e lì voglio coronare il mio sogno, aprire un’osteria”. A mezzogiorno, visto che papà non tornava, mio fratello è andato in questura a vedere, ma lo hanno rimandato a casa dicendo che li stavano interrogando tutti e che sarebbe tornato appena finiti gli interrogatori».

Savino Ardito non tornò più a casa

La piccola Ileana ascolta quelle parole e «non so perché, ma sono scappata in camera, chiudendo la porta e scoppiando in lacrime, dicendo: “Mio papaci non tornerà più, non lo rivedrò più”». Il suo cuore capisce subito. No, non lo rivedrà più. «I partigiani di Tito, nascosti per anni nei boschi, alla partenza dei tedeschi uscirono dai nascondigli, circondarono la questura, arrestarono 83 uomini tra comandanti e agenti e li rinchiusero in prigione. Per due settimane mia mamma andava in prigione a portare una bottiglia d’acqua, senza poterlo vedere. Un giorno su quella bottiglia mio padre scrisse un messaggio: Cordic. Era il nome di un partigiano che mio padre aveva più volte salvato dai tedeschi. Mia madre andò quindi da questo brav’uomo, ma nulla egli poté contro la furia di questi partigiani (non riesco a chiamarli uomini), tant’è che per il dispiacere quest’uomo si licenziò da ogni attività partigiana». Anche l’ultimo, fugace, barlume di speranza se ne va. 

La tragedia: il padre buttato vivo nelle foibe

«Dopo questi 15 giorni le 83 persone vennero in segreto caricate su un camion e lì si consumò la tragedia: ci dissero che vennero picchiati e massacrati, legati assieme, tagliati i genitali e messi in bocca, buttati vivi nelle foibe. Senza un processo, senza un motivo, chi c’era c’era, a guerra finita». Ecco cosa fu quella pagina di storia. Una storia per anni taciuta, giustificata, negata, con la tacita complicità di una parte della politica pronta a cancellare ciò che non era funzionale alla propria narrazione.

«Vivemmo nel terrore, il terrore di essere italiani»

Eppure ecco cosa fu quella pagina di storia, uno squarcio di tragica brutalità sull’orrore comunista. «Rimanemmo senza un centesimo, per sopravvivere mia mamma vendeva i vestiti di mio padre: un paio di scarpe per due uova. Vivemmo nel terrore, il terrore di essere italiani, il terrore di essere fascisti. Di notte mia madre mi fece uscire con la sciabola d’ordinanza di mio padre, avvolta in uno straccio, e me la fece gettare nel fiume per paura che i partigiani ammazzassero anche noi. Dopo un anno, per rimanere italiani, prendemmo un treno, tra profughi e mari di lacrime, e come profughi siamo tornati a Vicenza». 

A svelarci le memorie di Ileana è la figlia Lorella che vive a Vicenza:

Ed è qui che «comincio la vera vita da italiana, senza etichette finalmente. Sono tornata a Fiume due volte, ma il dolore che ho vissuto là non me l’hanno più fatta sentire casa mia» scrive Ileana. 

Ileana Ardito «nata a Fiume, in Italia, il 15 febbraio 1933, da mamma Rosa Broggian, nata a Montegalda (Vicenza) il 27 ottobre 1895 e papà Savino Ardito, nato a Spinazzola (Bari) il 15 giugno 1887» se n’è andata a giugno del 2022. E quel giorno, sua figlia Lorella, che conserva le sue memorie scritte, l’ha salutata così: «Cara mamma, ora puoi lasciare quel dolore che ti accompagna da quando, fanciulla, sei stata strappata alla tua terra e tornare a sorridere con tutti i tuoi cari, nella luce». 

Roberta Labruna (GdV 10 febbraio 2024)

Kovacich sospettato della strage di Vergarolla

A Fiume la memoria di un Giuseppe Kovacich (in croato Josip Kovačić) colto da morte naturale qualche anno dopo è tuttora viva. Vi è di più: al cimitero di Cosala è sepolto assieme ad altri partigiani un tale Josip Kovačić, nato a Fiume il 27 marzo 1917 e morto il 26 gennaio 1962. Almeno gli estremi anagrafici corrisponderebbero perfettamente con la descrizione che il SIM fornisce ai servizi inglesi: «Il 6 luglio 1946, un bollettino del Battaglione 808° allerta Roma che a Fiume, dal febbraio 1944, è attivo Giuseppe Covacich (in questo documento compare come Covacich, con la C), trent’anni, un ex membro della Marina militare italiana:

Ricopre – scrivono gli agenti – un ruolo importante nella vita politica di Fiume ed è molto zelante nel perseguitare gli italiani. Ogni due giorni si reca a Trieste a bordo di un’automobile targata Sussak, per visitare l’Ufficio politico slavo di via Cicerone 6, sito al piano terra. Covacich è un agente dell’Ozna”».

Dalla relazione di WILLIAM KLINGER, supplemento all'Arena di Pola, 2014.

L’odissea di Paulini, esule di Pola: “Siamo stati dimenticati per anni”

È venuto meno l’ostruzionismo che nascondeva la verità sull’esodo degli italiani d’Istria: una verità per troppo tempo censurata. Non si è parlato mai di Pola, come di nessuno dei martiri istriani”. Elpidio Paulini è nato a Gimino d'Istria nel novembre del 1940.

Arrivato a Macerata nel 1961 per il servizio aeronautico, ricorda la strage di Vergarolla, “una strage politica”, così come ricorda “l’esodo che seguì la tensione da guerra civile che il confine orientale italiano vide svolgersi agli sgoccioli della seconda guerra mondiale”. “Pola fu una strage terroristica”, ricorda Elpidio, che nel successivo febbraio partì con suo padre per Cervignano del Friuli, “dove trascorremmo alcuni mesi, ospitati in un granaio”.

"Fino a pochi anni fa non si sapeva nemmeno che Vergarolla fosse esistita”. Dopo l’attentato, “prima di andare via da Pola, gli italiani non mangiarono più pesce. I corpi dei morti per l’esplosione erano finiti nell’acqua, che era diventata rossa”, ricorda.

Nacqui a Gimino d’Istria e vissi i primi anni a Canfanaro; mi traferii a Pola per le elementari, con mio padre. A Vergarolla, una frazione di Pola, il 18 agosto del ‘46 scoppiarono delle mine che uccisero più di cento persone. Io ero poco più piccolo dei ragazzi che si trovavano quel giorno sulla spiaggia di Vergarolla, lì per una gara natatoria".

Una delle figure relative a quell’evento che oggi viene ricordata è quella di Geppino Micheletti, il medico che vedrà sabato intitolato a Macerata il parco delle Vergini.

Pur sapendo che nello scoppio erano morti i figli di 6 e 9 anni, continuò a operare e salvare vite – racconta Paulini – sia italiane che slave". Dopo l’attentato, nel febbraio ‘47, Elpidio si sposta con suo padre verso Cervignano del Friuli. Arriverà a Macerata nel ‘61 per svolgere servizio aeronautico.

Negli anni che seguirono l’esodo, la storia degli istriani venne completamente rimossa, censurata. Oggi ci sono scrittrici come Anna Maria Mori che raccontano quelle vicende”. Fra diversi dolorosi aneddoti sull’infanzia a Canfanaro d’Istria, uno su tutti è quello che riguarda il parroco del paese, don Marco Zelco, "impiccato dai nazisti su denuncia dei partigiani, perché probabilmente si era rifiutato di nascondere armi nella canonica. Il ricordo del suo corpo che dondola nella piazza, nel febbraio ‘44, non mi abbandona nemmeno oggi ad 84 anni. Oggi si può parlare di quelle vicende e questo poter raccontare mi dà pace”.

Sostenere i partigiani nelle nostre terre dopo l'8 settembre 1943 signfiicava sostenere tito nel disegno annessionistico e di pulizia etnica (U. degli Istriani)

Anche in occasione di questo 10 Febbraio, sono state numerose le storpiature di carattere storico raccontate in diverse conferenze e convegni organizzati da Comuni ed Associazioni in tutta Italia. Talvolta anche in buona fede.

Come sovente accade, di fronte ad argomenti così "sensibili" non si ha il coraggio oppure l'onestà di dire la verità. Di fronte a queste situazioni, noi diciamo limpidamente che chi ha paura della polemica rimanga a casa, al calduccio, piuttosto che raccontare mezze verità.

Su un aspetto in particolare è necessario essere categorici, e cioè sulla "sollevazione" partigiana nella Venezia Giulia dopo l'8 settembre 1943 e la mancata adesione alla medesima della stragrande maggioranza degli Italiani d'Istria, di Fiume e di Zara, motivo per il quale saranno poi considerati "fascisti in fuga dal paradiso socialista di Tito".

Nulla di più falso e di sbagliato, naturalmente, perché a Gorizia, a Trieste, in Istria, a Fiume ed in Dalmazia, dopo l'armistizio, unirsi ai partigiani slavi,  i quali avevano già proclamato l'annessione di tutta la Venezia Giulia e di parte del Friuli alla Jugoslavia di Tito, e a quelli comunisti italiani che li sostenevano, voleva dire, esattamente, consegnare le proprie terre allo straniero.

Ed infatti, quei pochissimi che lo fecero, si macchiarono, direttamente o indirettamente, di efferati delitti e di molte centinaia di infoibamenti.

Sostenere Tito ed i suoi uomini con la stella rossa voleva dire sostenere il suo disegno annessionistico e di sradicamento totale della nostra millenaria cultura ed identità. Come in effetti avvenne.

Sostenere la "resistenza" in Istria, voleva dire in sostanza coronare il sogno imperialista sudslavo - che risaliva alla fine dell'Ottocento e venne perseguito con maggiore veemenza e violenza, attentati compresi, dalle organizzazioni segrete jugoslave come il TIGR sin dal Trattato di Rapallo del 1920 -, di rendere slave terre da duemila anni prima romane, poi veneziane e quindi italiane. Come purtroppo accadde.

Noi onoriamo, dunque, senza infingimenti, con il dovuto rispetto e sincera riconoscenza, tutti coloro che sono caduti, barbaramente massacrati, per la Venezia Giulia italiana, combattendo il disegno criminale del maresciallo Tito e dei suoi servitori!

Ci vuole chiarezza, ovvero verità ed onestà, su questi aspetti fondamentali del nostro olocausto, che ben conosciamo avendolo vissuto sulla nostra pelle, e non intendiamo permettere a nessuno, a differenza di altre realtà associative, anche purtroppo del nostro mondo, di mistificarli o di reinterpretarli a seconda delle circostanze!

I titini lapidarono mio padre, poi giocarono a calcio con la sua testa. Sono cattolica, ma non posso perdonare: il mio è un calvario senza redenzione

Mio padre era una persona perbene. Non lo dico perché ne ho idealizzato la figura. Lo dico perché quando torno nella mia terra e pronuncio il suo nome la gente ancor oggi inchina la testa con deferenza. Si chiamava Giuseppe, era un ragazzo del ’99, aveva combattuto nella prima guerra mondiale. Faceva l’impiegato nel municipio di Gimino d’Istria, dove io sono nata nel ’36. Era un patriota, ma non aveva incarichi nel Partito nazionale fascista. Ricordo che la domenica mattina la cucina di casa nostra era zeppa di contadini analfabeti. Portavano a mio padre le lettere dal fronte dei loro figlioli. Lui gliele leggeva e poi scriveva le risposte.

Caro, caro il mio papà Giuseppe! Lo vidi l’ultima volta che avevo quasi sette anni, e ricordo sempre, come fosse ieri, il suo ultimo bacio affettuoso, e le mie mani piccole dentro ai suoi folti capelli. 

Venne catturato il 2 ottobre 1943, il giorno dopo fu fatto sfilare in paese con una catena legata al collo e una bisaccia piena di pietre sulla schiena. Con quelle fu lapidato, al limitare del bosco, sotto un ciliegio. Aveva 44 anni. I suoi capelli, nerissimi, erano diventati improvvisamente tutti bianchi.

Nel 1992, caduto il Comunismo, ho voluto indagare di persona tornando in Istria per scoprire chi lo aveva ucciso. Un testimone oculare, un pastore, mi ha condotta fino a quel ciliegio. Non poteva sbagliarsi: dopo essere stato costretto a guardare l’esecuzione, incise, sconvolto, la data sulla corteccia, 3 ottobre 1943. Si leggeva ancora, un po’ slabbrata, perché nel frattempo l’albero era cresciuto. Un altro contadino mi ha riferito che la gente veniva incitata a bastonare mio papà, ma si rifiutava di farlo. Venne lapidato da quattro contadini del posto, e ad uno di questi mio padre fece da padrino. Dopo la lapidazione gli aguzzini guardarono nella bocca del cadavere del mio babbo e videro due denti ricoperti d’oro che tentarono di strapparglieli ma non ci riuscirono; lo decapitarono e portarono la testa da un orefice di Canfanaro per il recupero delle capsule. Infine giocarono una partita di calcio usando come pallone la testa mozzata, almeno finché mantenne la forma sferica.

Quello che successe in Istria non fu guerra contro nemici. Né lotta per idealità. Fu delitto determinato da odio implacabile per l’italianità. Ucciso alle spose il marito e ai figli il padre, gli assassini si portavano nell’intimo spazio del dolore di quelli per annunciarne l’uccisione, prelevarne gli averi, intimar loro di non cercarne il cadavere e di levarne via ogni foto, ogni ricordo. Si conducevano le vittime predestinate, legate peggio che bestie l’una all’altra da fili di ferro, sull’orlo della foiba, e non sempre si sparava su tutte, perché bastava colpirne qualcuno, tanto il peso di questo avrebbe tirato giù nel fondo, vivi, gli altri, perché della morte lenta e crudele potessero sino all’ultimo istante avere contezza. Si lapidarono persone, come accadde a mio padre, costringendole a portarsi sulle spalle le pietre che sarebbero servite a finirle. Si cavarono gli occhi alle vittime. Si tagliarono loro i testicoli conficcandoglieli in bocca. Si recinse d’una corona di filo spinato il capo d’un prete. Fu crudeltà pura. Fu dolore infinito. Fu, nella storia dell’uomo, certo un momento soltanto, ma tra i maggiormente infamanti.

Nella nostra famiglia ci furono otto vedove in dieci giorni. Sono cattolica, ma non ho perdonato, il mio è un calvario senza redenzione. Un trauma all’età di 6-7 anni marchia il carattere. Mi è stata fatta un’ingiustizia irreparabile: morirò con quella sul cuore. Senza verità non c’è giustizia. E senza giustizia non c’è pace ed io sono una donna senza pace”.

Nidia Cernecca (1936-2020), esule istriana, Premio Histria Terra 2013.

Cognomi italiani fra gli slavi della campagna istriana

Cognomi italiani fra gli slavi della campagna istriana

«Nomen omen».

di Giannandrea Gravisi

[Tratto dal Bollettino della Reale Società Geografica Italiana (Roma 1922), pag. 221-237; inserimento autorizzato dalla dott.ssa Lina Maria Vitale. direttrice della Biblioteca della Società Geografica Italiana.]

Se l'esistenza nell'Alto Adige di fratelli da redimersi linguisticamente è un fatto noto a molti in Italia, ben pochi invece sanno dell'italianità sopita, ma non ancora completamente spenta, in un'altra provincia redenta dalla nostra guerra, la quale, sebbene più dimenticata, meno nota, merita pure la considerazione, l'affetto dei connazionali: intendiamo parlare dell'Istria.

L'italianità della costa istriana e dei maggiori centri dell'interno nessuno che ragioni spassionatamente l'ha mai messa in dubbio; ma non a tutti è noto quanta italianità s'asconda nelle nostre campagne, anche le più lontane ed appartate, anche in quelle ritenute completamente slave. Sì, sì: sangue italiano scorre nelle vene di molti contadini che la nostra lingua conoscono male o ignorano del tutto. Quanti di quei campagnoli indossanti i rozzi panni del contadino slavo hanno i loro consanguinei, anche molto prossimi, nelle venete cittadette della costa istriana o negli alpestri paesetti della Carnia o del Cadore!



Alcuni anni or sono noi avevamo consigliato (1) agli istriani di dedicarsi allo studio dei cognomi italiani nelle plaghe abitate da slavi, certi che siffatte ricerche, oltre che portare un considerevole contributo alla storia e all'etnografia istriana, avrebbero avuto il compito di dimostrare l'esistenza di estese venature italiane nelle zone falsamente ritenute del tutto slave, incoraggiando il tentativo doveroso di salvare quei naufraghi dell'italianità.

[222] Ora ripetiamo l'incitamento e lo facciamo seguire da una raccolta di cognomi, la quale, anche se incompleta e non scevra da inesattezze, potrà dare ad ogni modo un'idea della vastità e gravità del fenomeno e spingere ad eventuali provvedimenti.

Senza voler entrare nel merito della questione che riveste un carattere oltre che scientifico anche politico-nazionale, ci sia permesso di esprimere la nostra convinzione che cioè, ricongiunta la nostra provincia alla Madre Patria; cessata la sfrenata agitazione politica degli avversari nazionali, prima tollerata anzi favorita dal governo austriaco; ripristinate le scuole italiane soppresse e istituitene di nuove, le cose si cambi eranno e in nostro favore e che molto del terreno perduto potrà e dovrà essere riconquistato.

I cognomi li abbiamo raggruppati secondo i comuni censuari, cioè le località che costituiscono i comuni locali, che compongono a lor volta i distretti giudiziari (mandamenti). Come lo dice espressamente il titolo di questa raccolta e lo indica la cartina, noi prenderemo in considerazione solo quella parte dell'Istria che è abitata prevalentemente da slavi; saranno quindi escluse quasi del tutto le coste e le maggiori località interne abitate da italiani. Non vi figureranno neppure il distretto di Castelnuovo e le frazioni di Castua annesse all'Italia; che se pur appartengono amministrativamente all'Istria, non presentano un carattere di vera istrianità e sarebbero più a posto se trattate assieme alla «Carsia».

I cognomi raccolti non sono esemplari singoli, sperduti nel mare magno dello slavismo, ma, come vedremo, comunissimi e notissimi, tanto che si ripetono molto di frequente non solo fra le famiglie dello stesso villaggio, ma anche in più villaggi e in differenti distretti. Se non si può negare l'esistenza di nomi slavi fra gli italiani delle città e borgate (cosa facilmente spiegabile coll'inurbamento dei campagnoli slavi, che finiscono poi coll'italianizzarsi), i casi inversi sono ben più numerosi e degni di studio. Non di rado accade di imbattersi in villaggio intere plaghe, abitati da slavi dai nomi quasi esclusivamente italiani. Mettere in evidenza questi fenomeni, queste anomalie, non sarà dei tutto inutile e ricercarne le cause generali e locali sarebbe poi sommamente istruttivo!

Abbiamo voluto tener conto anche dei cognomi sulla cui origine avevamo dei dubbi; questi figureranno in caratteri minuti, dopo ogni comune locale, assieme ad esempi di cognomi italiani evidentemente slavizzati (2). E ci parve opportuno ricordare talvolta i nomignoli italiani, coi quali molto spesso si distinguono fra loro le famiglie slave, di lingua e cognome. [223].

[224] Per mettere assieme questa nostra raccolta abbiamo voluto personalmente compulsare gli «indici» dei libri tavolati per i numerosi cornuni dei distretti giudiziari di Capodistria e Pisino, correggendo e completando i dati raccolti con indagini fatte sul posto o presso persone pratiche dei luoghi.

Per gli altri distretti ci siamo serviti delle cortesi comunicazioni di carissimi amici e conoscenti, i quali per essere quasi tutti legali o segretari comunali danno affidamento di aver portato un contributo coscienzioso e competente alla modesta opera nostra. Abbiamo anche consultate le seguenti opere, che hanno attinenza con l'argomento pertrattato: B. Benussi: Abitanti, animali e pascoli in Rovigno e suo territorio nel secolo XVI. «Atti e Memorie della Soc. Istriana di arch. e storia patria» 1 Parenzo, II, 1-2; C. De Franceschi: La popolazione di Pola e suo territorio nel secolo XV. «Archeografo triestino», vol. III, serie 2. Trieste, 1907; C. De Franceschi: L'italianità di Pisino nei secoli decorsi. «Pagine istriane», Capodistria, 1904, II, n. 3 e 4-6; G. A. Gravisi: Saggio di commento ai cognomi istriani. «Pagine istriane», V, 1907; D. Olivieri: Saggio di una illustrazione della toponomastica veneta. Città di Castello, Lapi, 1915; B. Schiavuzzi: Cenni storici sulla etnografia dell'Istria. «Atti e Memorie, ecc.», XVIII, r e 2; P. Tomasin: Die Volksstämme im Gebiete Triest und Istrien, Trieste, 1890.


Il distretto politico (circondario) di Capodistria che aveva nel 1910 38.000 italiani, 31.895 sloveni e 17.573 serbo-croati, (3) consta dei tre distretti giudiziari (mandamenti) di Capodistria, Pinguente e Pirano. Dell'ultimo, perché costiero e italiano, non faremo parola; del secondo parleremo più sotto. Il distretto giudiziario di Capodistria, oltre che dei comuni costieri di Capodistria e Muggia, in grande maggioranza italiani, si compone dei sottoelencati comuni rurali prevalentemente slavi. [225]


COMUNE LOCALE DI MARÉSEGO.

Boste: Bersán, Bonazza, Bordón, Bressan, Codarin («Gnoc»), Cleva, Disiot, Sabadin, Vescovo.

Marésego: Barbo, Bersan, Bonin, Chersicla, Deponte (fraz. di Clibano), Domio, Fabiani, Favento (fraz. di Centóra), Giacomin, Grimalda, Rodella, Sabadin («Podestà»), Toscan.

Trusche: Agneletto, Barbo, Ficon, Franza, Giacomin, Santin, Turco.

Babich («Bonazza», «Fighér», «Mercante», «Meschin», «Pizzo»; «Squaro», «Santonel», «Suro»), Belich («Podestà»), Furlanic, German («Canonico», «Consiglier», «Codin», «Piccolo», «Principe», «Sbiro», «Tasso»), Iurincich («Baseggio»), Maranzina («Brustolin»), Perossa («Cibilin», «Clai», «Ferciùt», «Rizzo»).


COMUNE LOCALE DI OCCISLA-CLANZO.

Cernotti: Furlàn, Rodella.

Draga: Daris, Delfabbro.

Grociana: Alberti, Daris, Fonda, Pettaròs.

Occisla: Bandi, Bonetta, Daris, Furlan, Memon, Pettaròs, Sanzin, Vidon, Zulian.

Piedimonte: Grando.

Poggio-Presnizza: Furlan, Memon.

Andreassich, Brodettich, Capun, Cavre, Marsettich, Maver (Mauro?), Otta, Scoria.


COMUNE LOCALE DI PAUGNANO.

Carcáse: Baruzza, Bigatto, Bonazza, Búbola, Capèl, Cherin, Cleva, Contestabile, Degàn, Delbello, Delgiusto, Delúch, Derìn, Franza, Gottardis, Gorella, Grisòn, Pettaròs, Tomasin, Zanier.

Costabona: Baruzza, Bonazza (fraz. di Puzzole), Capel, Delúch, Ermanis, Germanis, Grison, Rota, Sabadin.

Gasón: Bonin, Bordon, Bonazza, Cerút, Cleva, Codarin, Debernardi, Fortuna, Germanis, Gregoretti, Grando, Morgàn, Sergàs («Palestrina»), Segolin, Zettin.

Monte: Baruzza, Bersan, Bonin, Bonazza, Bressàn, Candido, Capèl, Carli, Debernardi, Francarli, Germanis, Gorella, Grego, Morgan, Ravalico, Savarin, Sergàs.

Paugnano: Andrioli, Barbo, Baruzza, Bonin, Candido, Carli, [226] Cèrcego (fraz. di Manzano), Cherin, Debernardi, Ermanis, Germanis, Rota, Savarin.

Bartolich, Bembich, Castellich, Crevatin, Fornasarich, Furlanich, German, Grisonich (4), Marchesich («Caporal», «Rizzo», «Rizzotto», «Simonetto»), Perossa («Lavron», «Pettaròs», «Ricco», «Toso»),


COMUNE LOCALI DI S. DORLIGO DELLA VALLE.

Bagnoli: Alberti, Bandi, Bonanno, Corradin, Montagna, Pettaròs, Russiàn, Sanzin, Toscàn, Venturini, Zuliàn.

Moccò-Borst: Bonanno, Bonetta («Bonaparte»), Pettaròs, Sanzin, Zuliàn.

Caresana: Bandi, Barbo, Bordon, Corda, Fattòr, Passerit, Zuliàn.

Gabrovizza: Bandi, Locatèl, Oio, Riosa.

Ospo: Bandi, Fattor, Locatèl, Rodella, Zulian.

Prebenégo: Bandi, Daris, Fattor.

S. Giuseppe di Rusmagna: Bonanno, Bordon, Daris, Pettaròs, Sanzin, Segulin, Zigante, Zulian.

S. Dorligo: Bandi, Bonazza, Bonetta, Furlan, Montagna, Pettaròs, Sanzin.

S. Servolo: Bandi, Daris, Furlan, Passerit.

Andreassich, Curét (Coretti?), Gardellich, Marsettich, Maver (Mauro?), Otta, Scoria, Valentich, Zerbo, Zobin.


COMUNE LOCALE DI VILLA DECANI.

Antignano: Bordon, Corda, Fattor, Fortuna, Furlàn, Grison, Metton, Memòn, Milòch (Milocco) (5), Turco, Toscan.

Covedo: Cargnèl, Carlevaris, Daris, Domio, Franza, Giacomin, Luchin, Oio, Riosa, Rodella, Turco, Vidali, Zigante.

Cristòglia: Franza, Giacomin, Grison.

Lonche: Franza, Furlan, Memon.

Popecchio: Bordon, Contestabile, Flandia, Oio, Rodella, Zigante.

Rosariól: Domio, Furlan, Giacomin, Rodella, Santin, Zigante. [227]

S. Antonio: Bordon, Bonin, Domio, Dellasavia, Ficòn, Giacomin, Luchìn, Riosa, Santin, Turco.

San Sergio-Cernicàle: Domio, Furlan, Franza, Memon, Oio («Brandolin»), Zigante.

Sasseto-Xaxid: Bordon, Contestabile, Flandia, Grison, Giacomin, Rodella, Zigante.

Villa Decani: Bordon, Dellasavia, Fattor, Fortuna, Grison, Giacomin, Metton, Pezza, Rodella, Toscan.

Andreassich, Bertòch, Calligarich, Cavallich, Furlanich, Marcucich, Maurich, Montanich, Palusa, Scoria, Sever, Valentich, Zerbo, Zubin, Supin.


In vasto distretto giudiziario di Pinguente consta di due soli comuni locali: Pinguente e Rozzo. (6) Queste due borgate rappresentano due indomite rocche di italianità, che si mantennero tali anche negli anni più tetri del servaggio. Ci occuperemo solo delle località rurali.


COMUNE LOCALE DI PINGUENTE.

Cernizza: Corva, Germanis, Grisòn, Mariòn, Ponis, Zonta.

Colmo: Cinco, Fabris, Forza, Marion, Marastòn, Nadàl, Zornada.

Danne: Delfàr, Floredan (7).

Draguccio: Pachialàt, Rigo, Sterpin, Zanelli, Zorzenon.

Grancino-Rachitovich (8): Secolin, Zigante.

Grimalda: Bressàn, Micoli, Sterpin.

Marcenigla: Agàpito, Corazza, Germanis, Paladin.

Nilino-Lanischie: Scala, Solaro, Spinotti.

Rácizze: Abbondanza, Corazza, Liussi, Marziól, Paladin.

Sálise: Bassanese, Germanis, Toscan, Zonta.

S. Sirico-Socérga: Gravisi, Massalin, Rota. [228]

Sovignaco: Fabetta; Mantovan, Marion, Pinzán.

Tuttisanti: Germanis, Marion, Rigo, Zornada.

Terstenico: Cerin, Floredan, Strólego.

Valmorosina: Cargnel, Dezorzi, Franza, Petersemolo.

Vetta-Verch: Agapito, Baióch, Bassanese, Corazza, Ferro, Giosio (9), Marion, Paladin, Pinzàn, Zigante, Zornada.

Bartolich (10), Bassich, Baxa, Burlovich, Busán, Busdón, Cattarincich, Clarich, Contich (11), Crevatin, Curellich (Corelli), Crotta, Fantinich, Fermeglia, Flego (greco?) German (12), Giurada, Grossich, Lizzanich, Marchesich (13), Merlich, Pizzòch, Rafaellich, Zadeo.


COMUNE LOCALE DI ROZZO.

Dolegna: Demàrch, Sergo.

Goregna: Demàrch, Mazzaròl, Sergo.

Lesìschine: Spinotti, Solaro.

Sémìci: Mazzaròl, Sergo.

Bassich, Barbich, Cancianich, Clarich, Guglia, Pizzòch, Paulettich.


Il distretto politico di Parenzo che nel 1910 aveva 41.274 italiani, 1962 sloveni e 17.031 serbo-croati, consta dei distretti giudiziari di Parenzo, Buie e Montona.

Dei due primi non ci occuperemo, essendo costieri e prevalentemente italiani. Il distretto giudiziario di Montona (14), consta dei comuni locali di Montona, Pòrtole, Visignano e Visinada. Queste quattro cittadette sono prettamente italiane, di tipo spiccatamente veneto, quindi non figureranno nell'elenco. Ma anche nelle campagne, specie del bacino del Quieto, l'italianità ha salde e profonde radici (S. Domenica di Visinada e Castellièr). «È certo che i nomi italiani sparsi nel territorio, dice il [229] Morteani (15), se anche slavizzati, ricordano il periodo in cui l'elemento italiano era il solo nella campagna, dove per vicende storiche fu soprafatto dallo slavo. Chi visita questi pendii resta maravigliato di sentir parlare un bellissimo dialetto veneto da contadini slavi, che certo conoscono meno quella che dicono la loro lingua... Causa le guerre fra città e città, fra signori feudali e città, fra i patriarchi e Venezia, tra questa e Genova; causa le numerose pestilenze che desolarono la provincia ed annientarono quasi la popolazione della campagna, si senti il bisogno di accogliere l'elemento croato che venne dapprima dalla Contea e più tardi, ne' secoli XVI e XVII, in gran parte dalla Dalmazia interna, Bosnia ed Erzegovina per importazione della repubblica veneta».


COMUNE DI MONTONA.

Brancacia-Bercáz: Basiaco, Barbarosso, Bassanese, Battaia, Benvenuti, Carlin, Colomban, Corazza, Decarin, D'Antignana, Facchin, Facchinetti, Flamingo, Franco, Grimalda, Linardòn, Lubiana, Mechis, Marastòn, Paladin, Parenzàn, Pulin, Paoletti, Rodella, Romano, Rocco, Stefanutti, Sorgo, Schiozzi, Trevisan, Visintin, Zanco, Zigante.

Caldiér: Benvenuti, Bon, D'Agostini, D'Antignana, Davanzo, Gallo, Lagànis, Melòn, Micoli, Moraro, Paladin, Pilato, Valenta, Zonta.

Caròiba: Davanzo, Delseno, Garbin, Marcon, Micoli, Mauro, Pilato, Viola.

Montreo: Pinzàn.

Novacco: Delseno, Damiàn, Gallo, Marcon, Micoli, Pilato, Valenta.

Raccòltole: Corazza, Calegari, Decarin, Garbin, Gasparini, Orlandini, Pilato.

Sovischiena: Bassanese, Ferro, Zigante.

Zumesco: Calegari, Corazza, Codella, D'Agostini, D'Antignana, Furlan, Gilberti, Laganis, Sandri, Valenta, Zigante.

Banco, Bartolich, Bellétich, Cottiga, Flego, German, Ghersa, Divìách, Pozzéco, Ritossa, Scropetta, Segòn, Soldatich, Stelco, Suràn. [230]


COMUNE DI PORTOLE.

Castellaro-Gràdena: Boschin.

Ceppici: Chersicla, Damiani, Defranceschi, Lorenzini, Vigini.

Pioppino-Topolóvaz: Bonazza, Boschin, Bùbola, Dellosto, Sambo, Vigini.

Portole-campagna: Bassanese, Basiaco, Benvenuti, Bonazza, Carmini, Cassetti, Cavo, Chersicla, D'Antignana, Debortoli, Delconte, Facchin, Felice, Franzutti, Furlàn, Girardelli, Grimalda, Laganis, Lonzani, Lubiana, Mantovan, Mauro, Pinzin, Persico, Rabusin, Romano, Sorgo, Travaglia, Visintin, Zanco.

Stridone-Sdregna: Bassanese, Paladin, Punis, Sorgo, Visintin, Zadeo, Zigante, Zonta.

Bartolich, Belić, Bellétich, Bembich, Busecchian, Busán, Calegarich, Crevatin, German, Grossich, Marchesich, Maurettich, Orsich, Paolettich, Pocecco, Stelco, Zottich, Zubin (16).


COMUNE LOCALE DI VISIGNANO.

Mon delle botte: Bottegaro, Grattòn, Moferdin, Pilato, Sorgo.

S. Giovanni della Cisterna: Foraboschi, Gasparini, Viola.

S. Vitale: Bazzola, Benléva, Benvegnù, Corazza, Corella, Det-lamarna, Damian, Garbin, Giorgis, Mainenti, Marangoni, Raguzzi, Simonetti.

Ferletta, Ritòssa, Smoglian, Zvitán (Civitán?).


COMUNE LOCALE DI VISINADA.

Castellier: Alberti, Agostelli, Cossetto, Delbello, Depolo, Gambin, Gortàn, Lovo, Martinetta, Nòrbedo, Pace, Rinaldis, Riosa, Scattòn, Simonetti, Solaro, Valle, Ventin.

S. Domenica: Alberti, Bernazza, Candriella, Cleoni, Cossetto, Crosilla, Destallis, Ferrarin, Filippini, Fortuna, Garbo, Gasperini, Gioseffi, Gardellin, Giusti, Giromella, Munda, Palma, Poi, Pulin, Parata, Rinaldi, Riosa, Terzollo, Valenta, Ventin, Vianelli, Zuliani.

  

Nel distretto politico di Pisino, secondo la statistica ufficiale austriaca del 1910, accanto a 4029 italiani e 916 d'altra lingua (rumeni: a Briani-Berdo), c'erano 291 sloveni e 42.877 serbo-croati.

Se pur in minoranza, l'elemento italiano ebbe sempre una parte preponderante per censo e coltura (17); e da Pisino ed Albona, che sono i centri maggiori, l'italianità si irradiò benefica per le circostanti campagne. Anche qui, fra le masse slave troveremo numerosi i cognomi nostri; sono per lo più di carnici, friuliani e cadorini che usavano venir in Istria ad esercitar umili mestieri manuali (18) e che in parte, purtroppo, hanno perduta la loro nazionalità e dimenticato il dolce idioma. Nelle località che gravitano verso la Val d'Arsa sono numerosi pure i cognomi rumeni; anche di questi, per quanto ci sarà possibile, terremo nota.

Il distretto politico si suddivide nei due distretti giudiziari di Albona e Pisino.

Il distretto giudiziario di Albona consta a sua volta dei comuni locali di Albona e Fianona, entrambi molto vasti. La popolazione italiana si agglomera in quelle due pittoresche cittadette, fedeli di Venezia; ma si parla italiano anche nei due porti rispettivi e nostri connazionali sono sparsi pure nelle località rurali; come Sempre, noi ci occuperemo soltanto di queste ultime, lasciando da parte i centri urbani. [232]


COMUNE LOCALE DI ALBONA.

Albona-campagna: Baschiera (19), Coccòt, Derossi (20), Fasiól, Gobbo, Luciani, Manzani, Mazzaròs, Parenzàn, Signorelli.

Bergoto-Traghetto: Coccòt, Gobbo, Lizzul-Mazzarin (21), Negri (22), Pesenti, Zuliani.

Cerri: Bacchia, Coccòt, Derossi, Gobbo, Lanza, Ongaro, Villiani, Zandomènego, Zuliani.

Cerroveto-S. Lucia: Gobbo, Lupetin.

Cinniana-Sumbergo: Bello,

Cugno: Coccòt, Tirelli.

Montagna-Cherénizza: Gobbo.

S. Lorenzo: Gobbo, Filippi, Lupetin.

S. Domenica: Baschiera, Derossi, Devalle, Ongaro, Parenzàn, Santalesa, Zuliani.

Ripenda: Coccòt, Derossi, Delise, Gobbo, Pellegrini, Russiàn, Zago.

Santalesi: Bello, Ermagora, Gobbo, Santalesa, Triscoli.

Vettua: Derossi, Donada, Gobbo, Santalesa, Ongaro, Zuliani.

Batéllich (Batél, vedi Dignano), Bugliàn, Ceccada, Dundora, Faraguna (23), Miletta, Schira, Vidálich (Vidali).


COMUNE LOCALE DI FIANONA.

Chersano: Bacchia, Depiera, Derossi, Mattás-Cancellier, Rovis.

Briani-Berdo: Defranza.

Cosliaco: Bonetta, Fulgo, Morsi, Surian. [233]

Felicia-Ceppich: Monti, Defranza, Salamon.

Villanova: Privilegio, Stròlego.

Carlich, Fermeglia, Sgagliardich, Soldatich, Vidalich, Vosilla (24).


Il distretto giudiziario di Pisino (25) è composto dei quattro estesi comuni locali: Antignana, Bogliuno, Gimino e Pisino. (26) Il nucleo maggiore di famiglie italiane si trova nella città capoluogo di distretto che appunto per questo è esclusa dagli elenchi susseguenti, nei quali invece figurano anche i nostri connazionali che vivono accanto agli slavi, in alcune borgate maggiori del distretto. Come in quello di Albona, troveremo anche qui alcuni cognomi rumeni.


COMUNE LOCALE DI ANTIGNANA.

Antignana: Benedetti, Bottegaro, Defàr, Depiera, Marcòn, Pelizzari.

Corrídico: Aquilante, Angelini, Cleva, Fabris, Fattor, Lizzardo, Luch (De Luca), Mofferdin, Vernier, Voschion.

S. Pietro in Selva: Benedetti, Galànt, Giorgis, Mazzuca, Paris (27).

Banco, Ferencich (Fierencis?), Flego, Iacus, Maurich, Neffat, Paulettich, Paulinich, Ranèr, Savròn, Zanettich, Zunta, Zvitán (Civitán?).


COMUNE LOCALE DI BOGLIUNO. (28)

Bogliuno: Ferranda, Sergo, Travaglia, Vicellio. [234]

Lettái: Boldrin, Busighin, Signorelli (a Gradigne), Travaglia, Villa.

Passo: Fabian, Fedél.

Bassich, Cancianich, Chich (Chicco?) Curellich (Corelli), Furlanich, Grossich, Malinarich, Pasqualich, Pauletich, Piculich, Ulianich (Oliani), Zottich.


COMUNE LOCALE DI GIMINO.

Gimino: Bello, Cipolla, Comin, Crosilla, Degiorgio, Dellizuani, Follo, Galante, Giacomelli, Giacomini, Longo, Marzàn, Milanés, Pelosi, Peterzòl, Raimondi, Rosa, Rovis («Battistin», «Cargnelich», «Cressina», «Fracanassa», «Turùs», «Valentincich»), Stefanutti, Subiotto, Tomasini, Vidulin, Voschion, Zaccaria.

S. Giovanni d'Arsa: Lanza.

Bartolich, Damianich, Ivaninich, Valentich (29).


COMUNE LOCALE DI PISINO. (30)

Bottonéga: Antoniàs, Bassa, Valle.

Cáschierga-Padova: Cargnùss, Comin, Corazza, Versa.

Cerreto: Felice.

Cherbune: Marziol, Vezzi.

Chersicla: Bassa, Cargnuss.

Gallignana: Basón, Defranceschi, Deltin, Depiera, Fabris, Fornasàr, Gaetan, Galant, Geromella, Goitàn, Lanza, Marzan, Monàss, Pazienti, Picòt, Rodella, Salamon, Valle, Verdin.

Castelverde-Gherdosella: Antoniàs, Comin, Duca, Garbo.

Grobinico: Crosilla.

Lindaro: Fabris, Fosco, Goitàn, Gortàn, Marzàn, Monàss, Picot, Renier, Revelante, Rodella, Stefanutti, Vadagnel, Valle.

Moncalvo-Gologorìzza: Crosilla, Defranceschi.

Novacco: Cattonaro, Ortis, Pacchialàt, Segàr.

Pédena: Bosco, Comisso, Fernasàr, Geromella, Giacomini, Lanza, Marotti, Monti, Niclis, Romandelli, Rovis, Sergo, Valle, Zigant. [235]

Pisino-campagna: Agostinis, Barozzi, Bressàn, Cazzetti, Defàr, Facchin, Fattòr, Fosco, Gustin, Paris, Pàscoli, Rigo, Salàr,

Terviso: D'Agòstinis, Paladin.

Tupliáco: Marzàn.

Vermo: Facchin, Fortuna, Franzin, Gortàn.

Zamasco: Corazza, D'Antignana, Dellaschiava, Versa, Zigante.

Bacchiaz («Perinich»), Baldé, Barbancich, Baxa, Boscovich, Checo (slavizz. in Hek), Cius (Chiussi?), Chicovich (Chicco?), Contich, Dermit, Faragona, Gabriellich, Gamber, Gasparich, Goitanich, Ivaninich, Marfàn, Neffat, Puiàs, Paulettich, Rafaellich, Rovina, Sironich, Tonincich, Ulianich (Oliani), Uxa, Valentich (31).


Il distretto politico di Pola aveva nel 1910, 51.692 italiani, 3737 sloveni e 30.572 serbo-croati e consta dei distretti giudiziari di Dignano, Pola e Rovigno (campagna) e della città autonoma di Rovigno. Di quest'ultima, prettamente italiana, nè del distretto giudiziario di Pola perché costiero e preponderantemente italiano, per i soliti motivi, non ci occuperemo.

Il distretto giudiziario di Dignano (32), è composto dei comuni locali di Barbana, Dignano e Sanvincenti. Ometteremo la città di Dignano e la borgata di Sanvincenti, italiane di lingua, costumi e cognomi, per occuparci delle altre località che sono invece prevalentemente slave. [236]


COMUNE LOCALE DI BARBANA.

Barbana: Agostinis, Batèl, Celia, Cleva, Defranceschi, Deghenghi, Gambin, Gobbo, Malusa, Manzin, Mazzan (33), Pizzulin, Quaranta, Salamon, Scattàro, Spada, Travaglia, Valle, Zuccon.

Castelnuovo bocca d'Arsa: Celia, Cheba, Chiargo, Cleva, Corva, Dettoni, Fornasar, Latin, Marotti, Mazzàn, Petenér, Spada, Valle, Zatella, Zuliani.

Golzana: Batél, Cancellar, Celia, Chersan, Cleva, Conto, Conto-Bora, Conto-Peruzzo, Fumetta, Lanza, Mazzàn, Quaranta. Spada, Valle.

Porgnana: Agostinis, Batél, Bordon, Brun, Butti, Cancellar, Celia, Chiargo, Cleva, Dettoni, Fumetta, Gambin, Gobbo, Lanza, Latin, Manzin, Mazzàn, Pizzulin, Quaranta, Salamon, Scattàro, Spada, Spagnol, Stenta, Valle, Ventin.

Saini: Batèl, Cancellar, Conto, Cheba, Lanza, Latin, Mazzàn, Pagliàr.

Antonellich, Belóc(io), Biletta, Borina, Cicada, Faraguna, Gagliardich, Marcetta, Missán, Perzán, Piglián, Savòr, Smoglián, Zanettich.


COMUNE DI DIGNANO.

Carnizza: Batél, Bonassin, Brun, Chiadro, Celia, Corva, Curinazio, Geromella, Latin, Malusa, Mazzàn, Pola, Rosa, Segotta, Valle, Zatella, Zuccon.

Filippano: Bonassin, Cheba, Corva, Lanza, Latin, Mazzuca, Mazzàn, Pagliàr, Pizzolin, Tirchis.

Marzana: Batel, Cheba, Corva, Deprato, Galante, Gonàn, Gortàn, Malusà, Manzin, Marotti, Zatella, Zuccòn, Zuliani.

Roveria: Bonassin, Cantarutti, Ferlin, Mazzan, Quaranta, Sandri.

Ballia, Barán, Bellich, Beloc(io), Biletta, Bonecco, Dúndora, Fogar, Iucupilla, Marzetta, Maruz, Miglián, Missán, Perzán, Piglián, Possidel, Razzàn, Silián, Smoglian.


COMUNE DI SANVINCENTI. (34).

Boccòrdi: Bonassin, Cancellàr, Chersan, Conto, Ferlin, Follo, Mazzan, Paris, Salambàt, Sandri, Scattàro, Stenta. [237]

Smogliani: Ferlin, Mazzan, Morosin.

Stocchetti-Stocòuzi: Barbetti, Celia, Chersan, Cioli, Corva, Ferlin, Follo, Mazzàn, Stenta, Zoppolati, Zulian.

Babán, Cicada, Codiglia, Missàn, Piglian, Razzán, Smoglian (35).


Del distretto giudiziario di Rovigno, prenderemo in considerazione solo il comune di Canfanaro, perché degli altri due che lo compongono, quello di Rovigno è prettamente italiano e quello di Valle egualmente, meno le due piccole frazioni di Carmèdo e Moncalvo.


COMUNE LOCALE DI CANFANARO. (36)

Canfanaro: Bacchia, Deltreppo, Morosin, Ruggero, Zonta.

Morgani: Cerin, Vidolin.

Sossi: Cancellàr, Zonta.

Villa di Rovigno: Barbaro, Basilisco, Carlevaris, Cescutti, Chersàn, Crosilla, Fornasari, Lovisati, Naiaretto, Revelante, Vidolin.


Note:

  1. Saggio di commento ai cognomi istriani, in «Pagine Istriane» , Anno V, 1907.
  2. L'ora defunto patriota dott. Pietro Ghersa di Albona faceva ascendere a ben 20.000 i cognomi istriani alterati dai politicanti; dopo un suo poderoso discorso in argomento (1898), la dieta provinciale istriana proponeva al Ministero austriaco dell'interno la revisione generale delle matricole ecclesiastiche. Non sarebbe bene farla ora questa revisione? Vedi in proposito N. Cobol, Toponomastica della Venezia Giulia, in «Alpi Giulie», Trieste, 1921.
  3. Sono i dati dell'ultimo censimento ufficiale austriaco.Comune locale di Marésego.
  4. Evidentemente dalla famiglia dei conti Grisoni di Capodistria, ora estinta.
  5. Nome comunissimo a Valle-Oltra e nelle Basse friulane.
  6. Nel 1922 ne sorsero due altri: Dragucci e Silino-Slum.
  7. Forse d'origine rumena, visto che si riscontra a Danne e Terstenico, abitati da «Cici».
  8. L'egregio avv. Antonio Sandrin di Pinguente, che ci aiutò molto in questa raccolta, è d'avviso che il nomignolo «gamber», dato ad alcune famiglie Rosaz, potrebbe spiegare il nome slavo del paese (rak = gambero); anche per questo non ci piace la traduzione italiana «Grancino».
  9. D'origine greca come gli Agàpito.
  10. Trenta famiglie a Sovignaco.
  11. I numerosi Contich di Arcelle-Racizze e Vetta discendono dai conti Walderstein, detti anche Bolterstain e Boltrestain.
  12. Una frazione di Sovignaco si chiama appunto Germania; il paese era nel Medio Evo feudo di famiglie tedesche.
  13. I Marchesich del Pinguentino, di Monte (Capodistria) e Stridone (Portole) discendono dai Gravisi, marchesi di Pietrapelosa.
  14. Una buona parte dei cognomi del distretto li devo alla cortesia dell'amico avv. Angelo Corazza di Montona.
  15. Vedi L. Morteani, Storia di Montona. Trieste 1905, pag. 27 e seg., 118 e segg.Comune locale di Portole.
  16. L'amico prof. Giov. Lughi ci assicura, sulla base dei registri dell'approvvigionamento, che più della metà degli slavi pertinenti al vasto comune di Portole portano cognomi italiani o di origine italiana. Vi sono p. e. 453 Visintin, di cui 422 nel comune censuario di Portole e 31 a Stridone (senza contare quelli degli altri comuni); sono originarî da Vicenza. Numerosissimi sono pure i Bassanese, venuti da Bassano (Vicenza) col nome di Benigni, che, slavizzato, sopravvive nella denominazione di Villa Beninici. Del resto moltissime altre ville e casali hanno nome italiano: Armagna, Ballini, Benzani, Foschici, Freschici, Passini, Pighini, Tassi, Visintini, ecc. Del pari numerosi sono i nomignoli italiani, che spesso corrispondono al nome della villa: «Ballin», «Beninich», «Benzàn», «Bozza», «Buio», «Capelan», «Carampàn», «Condamarco», «Foschich», «Freschich», «Garbin», «Garibaldi», «Istrian», «Manestrin», «Maràn», «Marinaio», «Pighin», «Passin», «Scoián», «Scavazzo», «Segar», «Segolln», «Spadòn», «Spazzapân», «Turco», «Tasso», «Tivédi». Molti ricordano a Portole il capo del partito slavo della campagna, Pietro Basiaco, che vestiva alla foggia goldoniana e parlava magnificamente il dialetto veneto-istriano.
  17. Vedi in proposito: C. De Franceschi, L'italianità di Pisino nei secoli decorsi, in «Pagine istriane», Capodistria, 1904.
  18. Come tessitori, da ciò i cognomi Tesser, Tesserin, Tessarolo e lo slavo Calaz; come fabbri, da ciò: Fabro, Fabris, Delfabro, Fabretto, Favretto e gli slavi Covach e Covacich; come sarti, quindi i Sartori, Sartoretto e gli slavi Snidarich e Snidersich.
  19. Le otto famiglie Baschiera del comune di Albona, discendono da un taglialegna venuto dal Veneto ai servizi dei conti Battiala, nel 1812. (Gentile comunicazione del sig. Ernesto Nacinovich-Frisolin di S. Domenica).
  20. Nel comune locale 14 famiglie. Un Derossi era notaio ad Albona nel 1600. (Comunicazione come sopra).
  21. Il primo nome è evidentemente rumeno. L'egregio segretario comunale di Albona, sig. Edoardo Vorano, ci comunica che nel comune ci sono ben 94 famiglie Lizzul, di cui 73 a Cinniana-Sumbergo. Altri nomi rumeni fra gli slavi sarebbero Burul, Cergnul e Chersul.
  22. Nel 1599 Giov. Battista Negri, Pietro Rino e don Priamo Luciani, alla testa del popolo d'Albona, cacciarono 800 Uiscocchi, ch'erano piombati di notte per saccheggiare le case e profanare le chiese.
  23. Anche Faragona, 90 famiglie in tutto il comune.
  24. A questi nomi italiani slavizzati e incerti aggiungiamo alcuni rumeni: Belulovich, Burul, Burulcich, Ciceran, Chersul, Contus, Francolla (?), Lizzul, Pezzulich, Scrobe, Scavre, Sicul; sono comuni specialmente a Briani, dove, come a Villanova e Frascati-Susgnevizza, si parla ancora rumeno.
  25. I dati che riguardano questo importante distretto dell'Istria interna, oltre che da ricerche personali, ci provengono dalla gentilezza dell'amico cav. dott. Nazario De Mori, R. pretore a Pisino.
  26. Nel 1922 venne istituito il comune rumeno di Valdarsa.
  27. Rumeno: Fragnul.
  28. In questo vasto comune, che comprende si può dire tutto il versante occidentale del M. Maggiore, i nomi italiani non alterati sono pochi; più numerosi invece gli storpiati nella grafia o con aggiunte esotiche; a Frascati-Susgnevizza e villaggi vicini si notano parecchi cognomi rumeni: Bacco, Bortul, Brencella, Ciceran, Contus, Luxi-ch, Mezzul, Musul, Romaz, Scalier, Stenta (?), Vlach (Valacco).
  29. Rumeni Chersul (Gimino) e Lizzul (S. Giov. d'Arsa).
  30. A differenza di Gimino, che ne ha soltanto tre, Pisino è composto di ben 20 comuni censuarì, in molti dei quali, fra la popolazione slava, si trovano cognomi italiani; di questi non pochi sono orrendamente storpiati.
  31. Nel vasto comune locale di Pisino numerose sono le frazioni o ville denominate da qualche cognome italiano o apparentemente tale; le rispettive famiglie non sempre vi abitano: Bottonega: Cesari; Càschierga: Corazzi, Rumini; Gallignana: Baldeti, Bastini, Delfini, Goitani, Lanzi, Levini, Madalenzi, Marcozzi, Marzani, Merletti, Salamoni; Grobinico: Cargnellici; Lindaro: Baxi, Baxoti, Gerolimi, Marzani; Pisino-campagna: Bressani, Chechi, Fattori, Gustini, Parisi, Sberlini; Pisin-vecchio: Deffari, Facchini, Franzini, Marsetti, Pilati; Moncalvo: Baroni, Pigliani; Novacco: Bertoni, Ciussi, Segári; Pedena: Floricici, Fornasari, Mariani, Médighi, Pacialati, Perinici, Róvisi, Serghi, Valentici, Ziganti, Zudighi; Scopliaco: Basoni, Bressani.
Cognomi rumeni: Bazzul (Castelverde), Ciceran (Grobinico), Fragnul (Pisino-campagna). Lizzul (Pedena), Runco (Cherbune, Grobinico e Scopliaco).


32. Buona parte di questi dati li dobbiamo alla cortesia degli amici Piero Filiputti, nodaro, e cons. Francesco Postét, R. pretore a Dignano.
33. Dal nome personale latino Mattius. Ved. Olivieri, op. cit., pag. 75.
34. Nel 1628 il territorio di Sanvincenti venne ripopolato dai Grimani di Venezia con coloni tratti dalla Dalmazia e dalla Trevisana; avanzi di questi ultimi sarebbero le famiglie Follo, Ferlin, Morosin e Salambat, sparse per la campagna. Vedi Carlo Defranceschi, L'Istria. Note storiche. Parenzo, 1879, pag. 366.
35. Nomignoli italiani fra gli slavi del distretto sarebbero: «Baretina» (Stanzie-Dignano), «Bergalin» (Barbana), «Colinaio» (S. Vincenti), «Furlan» (S. Vincenti), «Maturlo» (Filippano), «Papa» (Castelnuovo), «Papagál» (Carnizza), «Primario» (S. Vincenti), «Scaramela» (Roveria), «Settepani» (Marzana), «Sior» (Prodòlo-Carnizza), «Tandarela» e «Tron» (Marzana).
Cognomi rumeni del distretto: Borala (Saini); Ciceran (Barbana), Porgnana (Saini); Cergnul (Carnizza); Lizzul (Carnizza, Golzana, Saini); Chersul (Porgnana, Saini); Franciulla (Castelnuovo, Golzana, Porgnana) e forse i due diffusissimi cognomi Perusco e Varesco. 
36. Sono esclusi gli abitanti italiani della borgata. L'egregio segretario com. sig. Matteo Cossara ritiene italiani parecchi altri cognomi apparentemente slavi: così Banco, Burich (Burri), Cervar (Cervaro), Contessici! (Contessi o Contesin?), Marich (Mari), Milotìch (Milotti), Ocret (Ocretti), ecc.