“È venuto meno l’ostruzionismo che nascondeva la verità sull’esodo degli italiani d’Istria: una verità per troppo tempo censurata. Non si è parlato mai di Pola, come di nessuno dei martiri istriani”. Elpidio Paulini è nato a Gimino d'Istria nel novembre del 1940.
Arrivato a Macerata nel 1961 per il servizio aeronautico, ricorda la strage di Vergarolla, “una strage politica”, così come ricorda “l’esodo che seguì la tensione da guerra civile che il confine orientale italiano vide svolgersi agli sgoccioli della seconda guerra mondiale”. “Pola fu una strage terroristica”, ricorda Elpidio, che nel successivo febbraio partì con suo padre per Cervignano del Friuli, “dove trascorremmo alcuni mesi, ospitati in un granaio”.
"Fino a pochi anni fa non si sapeva nemmeno che Vergarolla fosse esistita”. Dopo l’attentato, “prima di andare via da Pola, gli italiani non mangiarono più pesce. I corpi dei morti per l’esplosione erano finiti nell’acqua, che era diventata rossa”, ricorda.
“Nacqui a Gimino d’Istria e vissi i primi anni a Canfanaro; mi traferii a Pola per le elementari, con mio padre. A Vergarolla, una frazione di Pola, il 18 agosto del ‘46 scoppiarono delle mine che uccisero più di cento persone. Io ero poco più piccolo dei ragazzi che si trovavano quel giorno sulla spiaggia di Vergarolla, lì per una gara natatoria".
Una delle figure relative a quell’evento che oggi viene ricordata è quella di Geppino Micheletti, il medico che vedrà sabato intitolato a Macerata il parco delle Vergini.
“Pur sapendo che nello scoppio erano morti i figli di 6 e 9 anni, continuò a operare e salvare vite – racconta Paulini – sia italiane che slave". Dopo l’attentato, nel febbraio ‘47, Elpidio si sposta con suo padre verso Cervignano del Friuli. Arriverà a Macerata nel ‘61 per svolgere servizio aeronautico.
“Negli anni che seguirono l’esodo, la storia degli istriani venne completamente rimossa, censurata. Oggi ci sono scrittrici come Anna Maria Mori che raccontano quelle vicende”. Fra diversi dolorosi aneddoti sull’infanzia a Canfanaro d’Istria, uno su tutti è quello che riguarda il parroco del paese, don Marco Zelco, "impiccato dai nazisti su denuncia dei partigiani, perché probabilmente si era rifiutato di nascondere armi nella canonica. Il ricordo del suo corpo che dondola nella piazza, nel febbraio ‘44, non mi abbandona nemmeno oggi ad 84 anni. Oggi si può parlare di quelle vicende e questo poter raccontare mi dà pace”.
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