In difesa dell'italianità dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia
venerdì 22 marzo 2024
Censimenti revisionati
giovedì 7 marzo 2024
Saggio di commento ai cognomi istriani di Dott. Giannandrea Gravisi.
Note:[180] «Abitanti, animali e pascoli in Rovigno e suo territorio nel secolo XVI». Atti e Memorie della Soc. istr. ecc. ecc. II, 1° e 2°, Parenzo 1886.p. e. Camillo De Franceschi, La popolazione di Pola nel secolo XV e seguenti. Trieste, Caprin«Biografia degli uomini distinti dell'Istria», Capodistria 1888. Pgg. 456-460.[181] Vedi B. Schiavuzzi, Cenni storici sull'etnografia dell'Istria, Atti e Memorie ecc. XVIII, 1° e 2° pg. 75 e segg. — P. Tomasin, Die Volksstämme im Gebiete von Triest und Istrien, Trieste 1890); in questo lavoro si trovano citate le principali famiglie, istriane provenienti da Venezia, dal Friuli, dal resto d'Italia e quelle d'origine locale; quest'ultime sono di gran lunga le più numerose.Schiavuzzi, op. cit. pgg. 100 e 101.Carlo De Franceschi, L'Istria — Note storiche, Parenzo, 1879, a pg. 366.Carlo De Franceschi, op. cit. pg. 366.[182] La slavizzazione di questo nome friulano è recente; i Marassich, detti Barisoni, conservano come gli altri Valdoltrani, assieme alla lingua, il tipo prettamente, italiano.[Il nome Milòc o Milòcco è comunissimo nelle Basse friulane, a Palmanova e a Udine.Li trascrivo dal lavoro di Gedeone Pusterla (A. Tomasich), «Famiglie capodistriane esistenti nel secolo XVI», Capodistria, 1886, pg. 21 e 22.Carlo De Franceschi, op. cit., pg. 351.[183] Camillo De Franceschi, nel suo ultimo lavoro, citato a pg. 180, ci dà una chiara idea della slavizzazione della Polesana. Ancor alla metà del sec. XV Medolino era quasi esclusivamente abitata da indigeni, cioè da italiani; dei 197 cognomi di persone vissute colà fra il 1441 e il 1527, gli slavi saranno al massimo una decina; vi predominano i seguenti cognomi: Ambroxi, Aneda, Beltrame, Bertoli, Bevilaqua, Del Caro, Corvolini, Draxeli, Della Vecchia, Ferro, Germani, Guarneri, Luciola, del Matana, Paladini, de Vidal. Piccolissima fu l'infiltrazione slava per tutto il sec. XV fra gli abitanti di Momarano, Castagno, Arano, Orzevano e Marana: nessuna o quasi a Gallesano, Lisignano, Fasana, Peroi, Sissano e Pomer. A Peroi l'antica Pedrolo) ripopolata nel 1658 da coloni montenegrini, esistevano nel secolo XV le seguenti famiglie: de Antignana, Balifava, Bertaldon, Bisca, Hiverius, Cosso, Danucoli, de Daria, Della Pergola, Fasculini, Gignata, Gorlato, de Lindàr, Pasquini, Sani, Scincha, Schinella, Severi, Toti, Trulla e Zurloto. Soltanto Lavarigo e Stignano, due villette di pochi fuochi per ciascuna, appaiono ripopolate già al principio del Quattrocento da Schiavoni e Morlacchi di Dalmazia. La terribile pestilenza del 1527, che decimò la popolazione di Pola, fu probabilmente la causa della distruzione di Arano, Orzevano, Castagno e Marana, che più non risorsero dalle rovine. L'ultimo importante trasporto di slavi avvenne nel 1658, come già accennato, a Peroi; cosicchè nel corso di un secolo o poco più si mutò in gran parte il carattere nazionale della polesana: soltanto in tre ville perdurò e perdura ancora l'elemento indigeno italiano, cioè a Fasana, Sissano e Gallesano.[184] L'accentramento di tante autorità militari à causato un po' di confusionismo nei cognomi di questa città.[185] Ecco alcune di queste località a seconda dei rispettivi comuni: Albona: Cargnelli, Cicuti, Cumini, Mattiuzzi, Spagnoli; Antignana: Danieli, Fattori, Grimani, Lizzardi; Barbana: Batelli, Borini, Fumetti, Quaranti; Buje: Contarini, Musolini; Canfanaro: Morosini, Morgani, Dignano: Bonassini, Brusini, Maruzzi, Zucconi; Gimino: Battistini, Carnevali, Festi. Galanti, Luciani, Milanesi; Grisignana: Altini, Armani, Burri, Calcini, Cortinari, Mengotti, Pisoni, Reganzini, Vigini, Visintini; Montona: Caligari, Fedeli, Ferri, Fiorini, Paladini, Ziganti; Orsera: Perini, Pertinazzi; Pinguente: Carli, Gorelli, Lucchini; Pisino: Ballarini, Baroni, Cesari, Deltini, Facchini, Fattori, Fornasari, Franzini, Lanzi, Marcozzi, Marzari, Parisi, Pilati, Segari, Sergi, Ziganti; Portole: Rallini, Beninici, Bonazzi, Boschini, Castellani, Freschici, Foschici, Grimaldi, Iacuzzi, Mocenighi, Passini, Pighini, Visintini, Zubini; Sanvincenti: Marchetti, Tofolini; Umago: Cipriani, Gezzi; Visignano: Farini, Gasparini, Mainenti, Milanesi, Raffaelli.[186] Eccone alcuni: Beroaldo, Berti, Bertoldi, Broccardi, Ellero, Epplrro, Ghisleri, Girardi, Graighero, Gropiero, Longobardi, Martinenghi, Prampero, Rodighiero, Solinibergo, Tibaldi ecc. ecc.p. e.: Antoniucci, Angelucci, Bartoccini, Bartolucci, Cartocci, Cocconcelli, Fantucci, Lancelotti, Marcucci, Santucci ecc. ecc.p. e.: Cappuccilli, Cifariello, Di Cagno, Di Nicolò, La Macchia, Laruffa, Lapiccirella, Loffreddo, Loperfido, Lorecchio, Lorusso, Pasulli, Petrilli ecc. ecc.Significa anche soldati di ventura; vedi in proposito D. Venturini, La guerra di Gradisca, Capodistria, 1905, pg. 53.[188] A. Scarlatti. I cognomi, in «Minerva, Rivista delle riviste» Roma, A. XIII, 1903, N i 37 e 39. Vedi anche G. Flechia, Di alcuni criteri per l'originazione dei cognomi italiani. Roma. Reale Accademia dei Lincei, 1878.A Capodistria in fatto di cognomi si osservano alcuni strani fenomeni: certe famiglie ànno assunto, con l'andar degli anni, un altro cognome che, spesso corrisponde all'antico sopranome; gli Utel {utello, forse da otricello, è parola usata in Toscana ad indicare un piccolo vasetto di terra cotta eràno un tempo Bertuzzi, i Filippi Musella, i Sandrin Garella, i Visentini Pozzo; alcuni nomi di famiglie estinte sorvivono ancora quali sopranomi; p. e.: Bassin, Crota; certi sopranomi, p. e. Cassòn, Burlin sono contemporaneamente anche cognomi.[189] Totto sta per Lotto da Angelotto. Nelle forme bisillabe à luogo non di rado un principio d'assimilazione per cui la consonante iniziale s'assimila alla seguente; p. e. Momo per Giomo da Girolamo, Nanni per Gianni da Giovanni, Nenzo per Renzo da Lorenzo. Vedi Flechia. op. cit., pg. 11.Questo accorciamento per cui il nome parossitono perde per sincope quanto è tra la consonante iniziale e la vocale tonica, è fenomeno abbastanza comune in Italia; p. a. Bace deriva da Buonapace, Gialdo da Giraldo, Dato da Donato, Toso da Tignoso ecc. Vedi Flechia, o. c., pg. 10.[190] «I nobili veneti, e i nobili municipali esposero sulle case il proprio stemma, composto con figure che per lo più ne simboleggiavano il nome. I Brancaleoni avevano assunto nello scudo una branca leonina, i Daino un daino, i Grilli due grilli, i Lepori una lepre, i Polesini due pulcini, gli Orso un orso...» Vedi G. Caprin. Istria nobilissima, I, Trieste 1905, pg. 252.[191] Questo nome, frequente a Rovigno e ad Orserà, deriva, secondo il prof. De Gubernatis, dal numero dei membri di qualche confraternita medievale d'arti e mestieri.Secondo una tradizione i Bruti discenderebbero dai Bruti, romani. Vedi anche D. Venturini, La famiglia albanese dei conti Bruti. Parenzo, 1905, pg. 3.[192] Il canale che la divideva dalla terraferma, ridotto a bassofondo linnsccioso, venne interrato nel 1763. Vedi in proposito B. Benussi, Storia documentata di Rovigno, Trieste 1888, pgg. 6-8.«Abitanti, animali e pascoli ecc.» pgg. 121-123. Nel delle 543 famiglie di Rovigno ne troviamo non meno di 146 che avevano approfittato dell'ospitalità di quella terra. Ecco alcuni nomi: Bri{v)onese, Da Brioni, Carso, Da Dignan, D'Albona, Da Canfanaro, Da Cherso, Da Ossero, Da Pedena, Da Pinguente, Da Pisin, Da Veggia, Da Zumin Gimino, Da Barbana, Da Coslaco, Del Carso, De Gallignana, De San Martin, De Sanvincenti, Rozzo, Gallignana, Lussin, Da Monfalcon, Da Piran. Da Pola, Da Caro d'Istria, Fasana, Fasanin, Medelin, Vallese, Veggian, Vrana; Bergamasco, Buranello, Da Caorle, Da Ferrara, Ferrarese, Furlan, Dalla Motta, Da Venezia; Albanese, Ciprioto, Clissa, Crovata, D'Arbe, Da Curzola, Da Fiume, Da Stagno, Da Zante, Da Zara, Dalla Brazza, Da Sebenico, Grego, Malvasia, Narenta, Perasto, Raguseo, Zaratin, Svizzera.Il loro numero era qui per lo passato molto maggiore; v'esistevano le seguenti famiglie : Albanese, Antivari, Bergamasco, Bergamo, Cargnel, Castelfranco, Crema, Cremona, Iudri, Isola, Lendinara, Lugo, Maniago, Marchesan, Navarrino, Ossana, Pinguente, Pinguentini, Salerno, Salò, Schiavon, Siena, Tedeschini, Todi, Torre, Trevisan, Verona, Veronese.In L. Morteani, «Isola e i suoi statuti» Atti e Memorie ecc. Vol. III, 3° e 4°, 1888, pgg. 172-175 troviamo interessanti notizie sui cognomi isolani.[193] Per i cognomi di questa città «che vanta una serie di famiglie che risalgono ad epoche lontanissime») vedi L. Morteani, Notizie storiche della città di Pirano, Atti e Memorie ecc. Vol. XII, 1885-l886, fasc. 1°-4°. Pola, che presentemente in fatto di cognomi desta poco interesse, constando la quasi totalità della sua popolazione di elementi immigrati da tutta l'Istria, Pola, diciamo, e il suo territorio contavano tino al secolo XVI, cioè prima del loro totale decadimento, gran copia di cognomi derivati da nomi ed aggettivi geografici. Ecco quelli che registra Cam. De Franceschi, op. cit.: Albanesi, de Albona, de Arezio, de Antivari, de Antignana, de Arbe, Arbisan, de Btassano, Battaia, de Bergamo, de Buglia, de Cargna, de Castelmuschio, de Cataro, de Chersio, de Corfù, de Cremona, Della Braza, Della Mirandula, de Fano, Ferrarese, de Flanona, de Fiorentia, de Flumine, de Francia, Furlan, de (Garardo, de Iadra, de Insula, de Iustinopoli, de Laurano, de Lindàr, de Lubiana, de Lussino, Mantoani, de Marzana, de Modruscia, de Montefalcone, de Montona, de Napoli, de Narenta, de Ossero, Paduano, de Parenzo, de Patras, de Paria, de Pesaro, de Pirano, Pisani, Polani, de Portogruario, Posega, de Preluca, de Prussia, de Raguxio, de Rimini, de Ruovigno, de Sagabria, de Sanvicenti, de Sdregna, de Segna, de Sibinico, de Spalato, de Torre, de Tragura, de Treviso, Turco, de Ungaria, de Valle, Veggia, de Venesia, Veneziani, de Verona, de Vicentia, Vicentini, de Zumino, de Bononia, de la Marcha.Non abbiamo inserito nell'elenco alcuni cognomi, sull'origine de' quali avevamo de' dubbi, p. e. Polesini, che potrebbe derivare anche dal Polesine; Farento da Faventia (Faenza), Gravisi da Graviseae, città etrusca o da Grado (Gradesani, Gravisani), Travan da Travo presso Piacenza o da Trava prov. di Udine ecc. ecc.«Ah, ah!» esclamerà qualcheduno «voi stessi confessate che gli Italiani dell'Istria sono venuti dall'Italia!» Adagio Biagio, carissimo amico; noi diciamo solamente che in Istria vennero anche famiglie italiane, le quali poi rimasero tali fino al giorno d'oggi, essendo venute in paese italiano; altrimenti si sarebbero slavizzate. Del resto anche in altre province della cui italianità speriamo voi non vorrete dubitare, si trovano moltissime famiglie, il nome delle quali ci dice esser esse oriunde dall'Italia; nel Friuli orientale, p. e., abbiamo trovato questi cognomi: Arian, Bergamasco, Carnielutti, Carrara, Cremese, D'Este, Gortani, Maniago, Manzano, Maran, Marchesan, Maréga, Marocco, Monferrà, Orzàn, Padovan, Panigai, Parmeggiani, Perusino, Piemontese, Ponton, Romano, Savorgnani, Serravalle, Trevisan, Vinci, Visintin ecc. e nel Trentino; Bergamo, Bresciani, Caprera, Cargnel, Magnago, Mantovani, Moggio, Modena, Ravelli, Romani, Perugini, Toscana, Vanzo ecc. O sostenete che neppur colà gli Italiani sono autoctoni?[194] A Trieste, fra le famiglie oriunde Israelite vi sono molti cognomi derivanti da nomi di città italiane: Ascoli, Castelbolognese, Fano, Macerata, Modugno, Pavia, Reggio, Rimini, Sinigaglia, Terni, Tolentino, Venezian, ecc.Altinum, Altino, era celebre città della Venezia, distrutta nel 452 dagli Unni.Bassano è città di circa 15.000 ab. sul Brenta, in provincia di Vicenza.Battaglia è rinomato luogo di cura presso Abano; Battaja è frazione del comune di Fagagna (Udine).Burano, Bureanum, è cittadetta di 6800 ab. posta su di un'isoletta della laguna veneta.Cella è paesetto della Carnia, in val del Dogado.Motta di Livenza è cittadetta di 6000 ab. in prov. di Treviso.Vanzo è il nome di parecchi villaggi in provincia di Padova.Caneva è borgata nel distretto di Sacile (Udine) e villaggio nella Carnia.Fulin è trazione del comune di Tambre d'Alpago presso Belluno.Questo nome, molto diffuso in Friuli, deriva dal Canal di Gorto, nella Carnia.Lion è frazione di Albignasego (Padova).[195] Lugo è cittadetta in provincia di Vicenza; anche altri luoghi nel regno d'Italia ànno tal nome.Morgàn è nome di un paesello presso Belluno e di un comune presso Treviso.Pinzàno è borgata nel distretto di Spilimbergo (Udine).È frazione del comune di Burano, nell'Estuario veneto. Fu città ragguardevole e sede vescovile.Verla è paesello presso la Val d'Adige nel Trentino; Villa Verla è comune in prov. di Vicenza.Cassane d'Adda è città di 7500 ab. in prov. di Milano; ve ne sono anche d'altri specie in Lombardia.Gavardo è grossa borgata di 2200 ab., in prov. di Brescia.[196] Salò è borgata sul lago di Garda (Brescia).Trani è citta di 27.000 ab. nella Puglia.Alessio è città A d'Albania, che conta 5000 ab.Lemno è isola, nel mar Egeo, appartenente alla Turchia.Melada è isoletta nella Dalmazia sett.Premuda e un'isoletta nella Dalmazia settentrionale.Oltre che la capitale della Carniola, Lubiana è anche frazione di Caprino prov. di Verona. Non sarebbe improbabile che i Lubiana istriani fossero d' origine italiana.
mercoledì 6 marzo 2024
I contrasti nei comandi imperiali ed il fallimento della Strafexpedition (M. Vigna)
La sorte dei militari italiani in mano all'Austria imperiale (M. Vigna)
I prigionieri italiani nella Grande Guerra furono molti: circa 260.000 catturati dall’inizio della guerra sino a Caporetto (per la maggior parte feriti), 280.000 presi nella ritirata dopo Caporetto, altri 50.000 nell’ultimo anno di guerra. Il totale ammonta quindi a circa 600.000, fra cui 19500 ufficiali. I morti in prigionia furono circa 100.000, quindi 1 prigioniero italiano su 6 perì nei campi di prigionia imperiali. La cifra effettiva di coloro che perirono in conseguenza delle condizioni della cattività è però più alta, perché altri 50.000 morirono poco dopo la liberazione dai lager imperiali perché ormai troppo debilitati e malati. Di fatto, su 600.000 prigionieri italiani finiti nei campi di concentramento imperiali, 150.000 morirono: 1 morto ogni 4 prigionieri.
Le condizioni dei prigionieri furono piuttosto differenti, perché circa 1/3 fu rinchiuso in campi della Germania (dove furono trattati molto meglio che nell’impero d’Austria) e vi furono differenze anche nei lager austriaci. Lo status dei militari italiani catturati fu comunque mediamente pessimo.
La razione quotidiana era inferiore alle 1000 calorie, quindi insufficiente per un uomo adulto. Il pasto che l’impero concedeva ai prigionieri fu solitamente così costituita, grossomodo: uno scadente caffè d'orzo come colazione, un minestrone a base di rape come pranzo, una patata, con una aringa ed una fettina di pane per cena. La carne era un lusso raro, che si limitava ad un pezzettino minuscolo due o tre volte la settimana. Ridotti a scheletri, i prigionieri cercavano di lenire la fame con espedienti inutili o dannosi, talora letali: ingollando grandi quantità di acqua, inghiottendo erba, carta, talora persino terra, piccoli pezzi di legno od addirittura sassolini.
La carenza alimentare era aggravata dal lavoro forzato, a cui i prigionieri erano obbligati per 12-14 ore al giorno, con lavori pesanti nell’agricoltura, nell’industria, nelle miniere. La combinazione fra mancanza di calorie e consumo di stesse in lunghi e gravosi impegni condusse inevitabilmente ad una alta mortalità.
La salute dei prigionieri fu menomata anche dal vestiario e dall’alloggiamento. Le autorità imperiali non si curarono di rimpiazzare le uniformi con cui erano stati catturati o di fornire ai prigionieri abbigliamento invernale qualora i prigionieri non lo avessero. Inoltre gli italiani erano rinchiusi di norma in grossi stanzoni privi di riscaldamento ed infestati da pidocchi.
Da ultimo, ma non per ultimo, i carcerieri imperiali fecero ampio ricorso a punizioni corporali durissime, secondo norme e consuetudini radicate nell’impero d’Austria e non solo verso i prigionieri. Il ricorso alla bastonatura, che per inciso era peggio della fustigazione, fu frequente contro i patrioti italiani nel Risorgimento ed ancora dopo il 1866 contro gli irredentisti in senso stretto. Contro i prigionieri italiani si utilizzarono bastonature e la tortura del palo. Essa era così condotta. L’italiano era legato con corde ad un palo alle caviglie ed ai polsi, tendendo le braccia sollevate verso l’alto ed all’indietro, i piedi invece sollevati dal suolo ed incrociati, affinché il corpo dovesse pendere in avanti descrivendo una sorta di semicerchio. Il punito era tenuto in questa faticosissima e dolorosa posizione per molte ore, due, tre, quattro. Se sveniva, ciò che accadeva sovente, il condannato era fatto rinvenire con un secchio d’acqua, oppure momentaneamente slegato e poi rilegato.
Il risultato di questa combinazione di dieta da morte per fame, lavori forzati, freddo e pidocchi, pestaggi e torture, fu un’ecatombe di decessi per polmonite, dissenteria, tubercolosi ed altro. Le testimonianze dei superstiti descrivono i campi di concentramento asburgici come popolati da scheletri ricoperti di stracci, che giacevano nel luridume, così affamati da buttarsi nei canali di scolo per tentare di recuperare scarti di cibo gettati nella spazzatura. I lager del kaiser furono soprannominati nel 1918 “le città dei morenti”.
Può essere utile un confronto fra i lager di Francesco Giuseppe e Carlo I da una parte, i lager del loro connazionale austriaco Adolf Hitler dall’altra. Il tasso di mortalità fra i prigionieri italiani nella Grande Guerra finiti nei campi di concentramento austriaci fu più che doppia di quella dei militari italiani catturati dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Era quindi di gran lunga più pericoloso e peggiore per gli italiani finire in un campo di prigionia di Cecco Beppe e del beato Carlo che in uno di Baffetto.
G. Procacci, "Soldati e prigionieri italiani", Torino 2000
Gian Paolo Bertelli, “Mauthausen 1918. una tragedia dimenticata”, Ferrara 2009
S. Picciaredda, "Diplomazia umanitaria. La Croce Rossa nella Seconda guerra mondiale", Bologna, 2003.
Karagiannis S., Convenzioni internazionali e diritto bellico, in La prima guerra mondiale, a c. di Audoin-Rouzeau S. e Becker J.J., Torino 2007
La Relazione della R. Commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, Roma 1920-1921
Carlo d'Asburgo perse il treno (M. Vigna)
La canzone dei "demoghèla", fra censura della polizia imperiale e mistificazione degli austriacanti
Allo scoppio della prima guerra mondiale il grosso degli uomini validi della Venezia Giulia, chiamata dagli austriaci Küstenland, fu arruolato nell’Infanterieregiment n° 97 e spedito a combattere nei Carpazi a Leopoli, dove finì annientato per il 50% ed oltre già nel mese di settembre del 1914. L’unità si sfasciò e lasciò numerosissimi prigionieri nelle mani delle truppe dello zar. Questo diede al reparto il soprannome di “demoghéla”, ossia “diamogliela a gambe”, “scappiamo”. In verità, i superstiti alla catastrofe dovuta agli errori dello stato maggiore austriaco rivendicarono apertamente il loro rifiuto di combattere per il kaiser con una canzone divenuta famosa appunto come “demoghèla” da una sua strofa: «zigheremo “demoghéla”».
I nostalgici dell’impero hanno cercato in ogni modo di negare la natura apertamente antiaustriaca della canzone dei militari del 97° reggimento ed hanno cavillato in modo arzigogolato nel tentativo di attribuirle valenze e significati diversi da quelli pure apertamente rivendicati.
In verità, non vi è modo di contestare i contenuti politici ostili all’impero della canzone dei “demoghèla”, poiché essa è quasi la copia di un testo anteriore alla guerra. Si tratta di “La poesia del riservista che scalpita a otto mesi dal richiamo”, composta nel 1913 da autore ignoto, diffusa da un foglio volante finito subito sequestrato dalla polizia imperiale per motivi politici. La posteriore canzone del 97° è la sua copia quasi esatta, soltanto con poche variazioni.
Cadono così le ipotesi bizzarre degli austriacanti che vorrebbero attribuire a “demoghèla” il senso d’incitare allo scontro con il nemico (!) o ridurlo ad uno sfogo conseguente alla distruzione di metà del reggimento. La canzone antiaustriaca circolava in realtà sin dal 1913 almeno, da prima della guerra, ed era stata sottoposta alla censura della polizia imperiale per la sua evidente connotazione ostile all’impero.
Documenti sull'oppressione austriaca e slava degli italiani
Documenti sull'oppressione austriaca e slava degli italiani
(Scritto da Felice Ferrero, tratto dalla rivista "Italy Today: A Fortnightly Bulletin", Volume 2, Numero 2, 1919.)
TRIESTE
Statistiche demografiche di Trieste
La prassi abituale in Austria è di considerare una persona come appartenente alla nazionalità di cui parla la lingua. Per Trieste, invece, è stato adottato il principio che la lingua dei suoi genitori dovrebbe essere considerata. Nonostante ciò, i risultati non erano soddisfacenti per le autorità, fu ordinata una revisione del censimento e affidata ad un comitato composto da slavi e tedeschi, senza rappresentanti italiani.
[...]
La Commissione centrale austriaca di statistica di Vienna, in relazione al censimento del 31 dicembre 1910 (vol. II, n. 1) afferma che "l'immigrazione slava negli ultimi due anni tende a diminuire", e "Sembrerebbe che a Trieste i dati numerici sulla lingua in uso non corrispondano ai fatti."
Oppressione poliziesca
(È significativo notare che i seguenti sono episodi tipici del trattamento riservato dagli ufficiali austriaci agli italiani in tempo di pace.)
Nel 1910 sei conferenze di italiani su argomenti scientifici furono vietate dal governo a Trieste entro tre mesi.
Nel novembre 1910, tutte le lezioni domenicali del piano di studio non convenzionale furono proibite. Tra le conferenze proibite c'erano una di D'Annunzio sull'aviazione e due di Orsi su Cavour e Bismarck. Il Capo della Polizia di Trieste, nel caso di Orsi, che era cittadino italiano, insistette affinché andasse in questura e dettasse le sue lezioni a due poliziotti, in modo che l'ufficiale di polizia responsabile della sala potesse controllare esattamente le sue parole. Orsi naturalmente rifiutò di tenere le lezioni.
La polizia [austriaca] di Trieste proibì l'esecuzione dell'Inno di Garibaldi e della Marcia Reale.
Nel dicembre 1911 Antonio Visentini a Monfalcone ricevette l'ordine di distruggere il leone alato di Venezia che aveva messo in casa sua, in quanto "doveva essere considerato come una manifestazione politica.“
Il regolamento di polizia di Bach, datato 20 aprile 1854, ha dato alla polizia il potere quasi assoluto sui destini e il comfort dei cittadini. La polizia può arrestare qualsiasi persona per qualsiasi atto commesso per strada o in luoghi pubblici che la polizia ritiene discutibile. La persona arrestata viene portata alla stazione di polizia, e dagli alti funzionari di polizia possono essere condannati senza alcun procedimento formale, senza diritto di difesa, senza nemmeno una spiegazione della sentenza, a pene detentive sufficienti per escludere tale persona da tutti gli incarichi pubblici per il resto della sua vita. Inoltre, il procuratore di Stato può tenere le persone in stato di arresto per un tempo indefinito in attesa di indagini. La parte più grave è che la polizia di Trieste, come abbiamo visto, è quasi totalmente composta da ufficiali sloveni.
Un giornalaio italiano stava in piedi davanti a un cinema in movimento a San Giacomo, una delle periferie di Trieste, una domenica, quando due sloveni passarono; lo derisero, uno lo colpì, dicendo: "Tu porco italiano", l'altro gli piantò un coltello nel cuore e lo uccise. Quando i due sono stati arrestati, non hanno dato scuse per il loro atto, tranne questo: "era un italiano". L'assassino è stato condannato a quattro mesi di carcere.
Banche
Le banche italiane non sono state autorizzate dal governo austriaco ad aprire filiali a Trieste. Le principali banche rimangono le banche tedesco-austriache, con cui gli italiani trattano tutte le attività. Queste banche tedesche sono gestite in modo abbastanza imparziale come imprese puramente commerciali e dispongono quasi esclusivamente di personale italiano. Le banche slave, tuttavia, sono molto potenti, molto più di quanto richiederebbero le attività commerciali piuttosto indifferenti degli sloveni a Trieste.
Alcuni fatti strani devono essere notati in questo mondo slavo della banca.
La più importante di queste banche è una filiale della Zivnostenska Banka di Praga, cioè la Cecoslovacca, che è la spina dorsale principale di tutte le attività-business slave e non di Trieste.
Tra le banche puramente slovene viene prima la Jadranska Banka, con un capitale di 8.000.000 di corone; la Lubianska Kreditna Banka, che ha un bilancio snello di 28.000 corond; la Trzaska Posojlnica in Hranilnica, che ha un capitale di 133,000 corone e ancora un movimento di undici milioni di corone di affari. Oltre a questo, ci sono due o tre piccole banche con un capitale di 8000 corone che fanno affari per molte centinaia di migliaia all'anno. Non c'è una vera e propria attività per mantenere in vita queste banche e la banca cecoslovacca è chiamata molto spesso a salvarle dai problemi con il denaro, che la banca slovacca attinge da fonti sconosciute.
Le principali attività di queste banche sembrano essere l'acquisto di proprietà italiane e di affari italiani ovunque possano ottenerlo e a qualsiasi prezzo, purché la loro posizione sia tale da permettere un'apertura per l'invasione slava.
Alcuni esempi curiosi delle operazioni commerciali di queste banche sono i seguenti:
Grignano è un piccolo paese non molto lontano da Trieste. La Trzaska Posojlnica a Hranilnica ha acquistato grandi appezzamenti di terreno sulla riva di questa città, costruito alberghi e stabilimenti balneari e creato dal nulla una località estiva per gli slavi, escludendo da essa tutti i commercianti italiani e tutte le insegne italiane. La città aveva un piccolo molo sulla riva alla quale attraccavano i piccoli piroscafi di una compagnia italiana di Trieste. Ora la banca ha escluso dall'uso del bacino pubblico, in una città in cui molti italiani pagano le tasse, i piroscafi di questa compagnia, riservandone l'uso ai piroscafi di una compagnia slovena. Un contadino italiano lì vicino, a cui era stata inviata una chiatta piena di mattoni, non gli fu permesso di utilizzare la banchina per lo scarico e dovette costruire per sé una banchina temporanea e delle palafitte. Il governo austriaco, che detiene il controllo di tutti i diritti sulle coste marittime, non si è mai mosso.
La Jadarska Banka finanziò generosamente una grande azienda italiana di legname; poi con la minaccia di preclusione del mutuo impose il proprio manager sloveno, poi dipendenti sloveni, e infine operai sloveni. Allo stesso modo la banca è riuscita a prendere il controllo di un birrificio italiano; e nel caso di un mercante, un certo Gustavo Marco, gli prestò 240.000 corone per una fabbrica di vetro, gli impose gradualmente dirigenti e operai sloveni, slavi, croati e infine ridusse il proprietario al grado di sovrintendente nominale con uno stipendio di all'inizio cinquanta corone alla settimana, poi ridotte a trenta corone.
Una banca di Gorizia, la Trgovsko-obrtna Zadruga, con un capitale di 5.000 corone, ha 2 milioni e mezzo di depositi, e investe l'intero patrimonio nella costruzione di una casa nazionale a Gorizia e nell'acquisto di un albergo del Sud -Bahn: la prima un'impresa senza ritorno, la seconda un'impresa senza profitti. Il governo, che esercita la vigilanza sulle banche, non è intervenuto.
A Zara una piccola banca croata venne scoperta, nel corso di una causa per fallimento, ad aver prestato soldi senza alcun titolo ipotecario, aveva un consiglio di amministrazione che veniva pagato dieci corone per ogni seduta, e non aveva mai avuto alcun segno di attività. Un ispettore governativo ha fatto un rapporto, ma il governo lo ha ignorato fino all'incidente. Eppure la maggior parte di queste banche riesce a superare quasi tutte le crisi, grazie all’aiuto della banca ceco-slovacca o di altre fonti segrete, che notoriamente erano russe al punto che a Trieste il rublo russo circolava quasi altrettanto liberamente quanto la Corona austriaca.
Invasione slava
Il centro dell'agitazione slava a Trieste è il Narodni Dom, un enorme edificio proprio nel centro di Trieste, che dirige tutte le campagne di attacco contro la popolazione italiana. Le spese per la costruzione sono state sostenute dalla Banca slovena dei depositi e prestiti (Trzaska Posojlnica a Hranilnica). La casa, però, presenta sempre un deficit, che viene pagato da fonti segrete. Collegato alla casa c'è l'Hotel Balkan. Il governo austriaco, in una circolare all'esercito, ha consigliato agli ufficiali di passaggio a Trieste di utilizzare l'Hotel Balkan, “per aumentarne le entrate e fare dispetto ai triestini”.
L'organizzazione centrale degli sloveni è l'Unione Edinost, che è un'associazione politica e ha sede nel Narodni Dom. Si diffonde in tutti i comuni con popolazione mista del Friuli.
Uno degli scopi principali dell'Edinost sembra essere quello di indirizzare a Trieste la più grande emigrazione possibile di operai sloveni, cosa che fa per mezzo di un ufficio di collocamento che fornisce martelli demolitori quando necessario o utile.
L'Edinost ha fondato anche a Trieste due scuole elementari con 1722 alunni nel 1912, e una scuola professionale con 79 alunni nel 1913. Una delle due scuole elementari costava 500.000 corone, di cui non si conosce l'origine. È su suggerimento dell'allora presidente dell'Edinost, dottor Rybar, sloveno, che il governatore di Trieste, principe Hohenlohe, pubblicò nel 1910 quattro decreti che escludevano dal servizio del comune di Trieste tutti gli italiani d'Italia.
L'Edinost
L'Edinost, che è anche il giornale dell'organizzazione, è stato così violento nell'attaccare gli italiani che ha dovuto essere sequestrato e soppresso dalle autorità austriache. Ecco il programma della propaganda nazionale così come appare nelle colonne di quel giornale nel numero del 7 gennaio 1911:
«Domani dovranno parlare gli slavi di Trieste. Siamo qui e resteremo qui e godremo dei nostri diritti. Domani lanceremo il guanto di sfida alla consorteria che domina, e poi inizierà il duello al quale non rinunceremo fino al giorno in cui avremo sotto i nostri piedi, ridotto in polvere, l'italiantà di Trieste. Finora la nostra lotta è stata per l’uguaglianza. Domani diremo agli italiani che la lotta futura sarà per il dominio. Non ci fermeremo finché non comanderemo NOI a Trieste; noi sloveni, slavi! L'italianità triestina, ormai in declino, celebra ora la sua ultima orgia prima della morte. Domani noi sloveni di Trieste inviteremo questi votati a morte a recitare il confesseor.»
Dipendenti
1. Unionbaugesellschaft: impiega tutti gli italiani.
2. 1900-10. La popolazione della Carniola aumenta del 3,3%, gli slavi a Trieste del 130%.
3. La Ferrovia dei Tauri importa 700 famiglie slovene di ferrovieri.
4. Nuovo porto di Sant'Andrea. 2500 operai, tutti sloveni.
5. Nuovo porto di Sant'Andrea. Inizio dei lavori di sbarco delle navi, 64 stivatori sloveni contro 160 richieste triestine.
6. Lloyd austriaco. 1300 sloveni su 3000 operai dei cantieri navali.
7. Opere Tecniche Triestine: Per ordine del Governo vengono dimessi tutti gli italiani e molti triestini, i loro posti vengono occupati da sloveni, croati e tedeschi.
Burocrazia (1910)
4000 posti per dipendenti pubblici subordinati e 3700 assegnati a sloveni.
Ferrovie statali con 828 dipendenti di stazione: 728 sono slavi, 70 italiani, 30 tedeschi.
Ufficio postale: 358 impiegati di cui 245 slavi e 95 italiani.
Doganieri: 500-146 italiani.
Polizia: 661 – 100 italiani.
Südbahn (privata): 1913
Stazione: dipendenti 369 — 260 slavi, 70 italiani, 30 tedeschi.
Operai: 380-354 slavi, 6 italiani, 20 tedeschi. Viaggiatori: 300 — 298 slavi, 2 italiani.
Ispettori: 50 — 47 slavi, 3 italiani.
Ristoranti ferroviari: insegne sloveni e camerieri sloveni.
Un triestino [che parla] italiano, sloveno [e] tedesco fu rifiutato come postino; accettavano gli sloveni che parlavano solo la loro lingua.
Scuole
Trieste aveva un ginnasio italiano risalente al 1619; amplificato da Napoleone; nel 1815 venne soppresso; petizioni per la riapertura della palestra furono presentate al governo nel 1824, 1833, 1840, 1851, 1859, 1861, 1862. Nel 1862 il governo diede il permesso, a condizione che la città pagasse le spese. La città ha immediatamente deciso di farlo, ma il permesso è stato sospeso. Finalmente nel 1863 venne aperto il ginnasio, ma i suoi esami non furono ritenuti validi ai fini statali.
A Pirano non ci sono scuole superiori italiane; Rovigno con 5000 abitanti italiani; Monfalcone con 12.000 italiani.
A Gorizia furono ammesse le lezioni di italiano nel ginnasio tedesco sotto la direzione di uno sloveno, con la limitazione del numero degli alunni a 50.
Le scuole primarie italiane a Trieste, tutte sostenute dalla città, furono fondate nel 1868, con 6819 alunni. Nel 1911 c'erano 21 scuole con 16.470 alunni. L’analfabetismo è sceso dal 43 al 14%.
Episodi eroici nella lotta per le scuole
A San Colombano, in Istria, 89 capifamiglia furono processati e condannati al carcere per aver insistito nel volere una scuola italiana invece di una scuola slovena.
A Servola, frazione di Trieste, nel 1911 veniva ogni mattina una bambina di sei anni, Celestina Rosa, accompagnata da tre fratelli, proveniente da Bagnoli, altro paese, dovendo camminare ogni giorno quattro ore per andare e venire.
A Trieste il governo ha vietato l'insegnamento della storia di Trieste stessa.
Un'ordinanza dell'ultimo Governatore di Trieste, il Principe Hohenlohe, del 24 giugno 1913, vieta al Comune di Trieste di intitolare due scuole a Dante e Petrarca di cui la Città sostiene l'intero costo.
La Chiesa
La Chiesa è uno dei veicoli più potenti dell'agitazione nazionale tra gli slavi, e questo vale sia per la Chiesa cattolica che per quella ortodossa.
Attualmente la diocesi di Trieste conta 290 sacerdoti, di cui 190 sloveni. La Chiesa ha cercato anche di introdurre l'influenza slava nei conventi e nei monasteri. I preti di Daila, in Istria, che erano tutti italiani, adesso sono tutti slavi. il monastero dei Minori Osservanti, a Capodistria, è già in parte occupato da monaci croati. Le suore croate di Agram [Zagabria] hanno aperto una scuola a Pola. Le monache slovene di Cilli tentarono di aprire una scuola a Trieste, ma rimasero gravemente invischiate nelle questioni finanziarie e il governo le salvò dalla bancarotta acquistando il loro edificio per 900.000 corone.
I frati italiani di Pirano, invece, che avevano chiesto di aprire a proprie spese una filiale del loro monastero a Pola, si videro negare il permesso.
Nel 1909 si tenne un Congresso Eucaristico a Ragusa, in Dalmazia. 600 preti croati di Agram [Zagabria] si recarono a Fiume per imbarcarsi su un piroscafo per Ragusa e attraversarono la città marciando in quattro, come soldati, con le bandiere croate e cantando inni di guerra. Quando il piroscafo passò davanti a Zara, rinnovarono le loro manifestazioni, gridando insulti agli italiani di quella città. Seguì un grande tumulto, con colpi di pistola e colpi di pistola. Gli slavi arrestati furono subito rilasciati, mentre gli italiani arrestati dovettero restare in carcere per diversi giorni. E tutto questo era per una cerimonia religiosa.
A Spalato morì un uomo noto per essere di sentimento italiano; il prete croato si rifiutò di assisterlo nei suoi ultimi istanti, si rifiutò di aprire la chiesa per i funerali, si rifiutò di lasciarlo seppellire in un cimitero.
In Istria, a Topolovaz, il prete, un certo Knavs, si rifiutò di seppellire una ragazza italiana, che fu lasciata per due giorni e due notti nella sua casa.
A Sterna il prete Nedeved rifiutò l'estrema unzione a un falegname di Uberton perché italiano.
A Lindaro, presso Pisino, un prete croato si rifiutò di battezzare un bambino perché il padre aveva chiesto che la formula fosse detta in latino anziché in croato.
Il 28 ottobre 1913, il maestro della scuola italiana di Sovignaco, in Istria, fu processato davanti al tribunale di Rovigno per “disturbo delle funzioni della religione cattolica per aver fatto, durante la processione di San Marco, cantare gli scolari italiani le litanie in latino, mentre il prete Klun e gli altri fedeli cantavano in croato”.
Nella diocesi di Trieste il prete italiano di Roviano è stato sospeso a divinis dal vescovo per essersi rifiutato di cantare tantum ergo in slavo, mentre il Vaticano ordina di cantarlo in latino.
Tribunali
Dal 1781 al 1895 i lavori si tennero nella lingua del paese, quindi in italiano. Successivamente venne introdotto lo sloveno.
Nel 1903 tutte le udienze si tennero in sloveno e, nonostante le vigorose proteste, non ci fu risposta da parte del governo e fu imposto lo sloveno.
Elezioni
Recentemente uno scrittore jugo-slavo ha lamentato su un giornale che a Trieste, alle ultime elezioni, 14.000 voti italiani hanno potuto eleggere quattro deputati al Reichsrat, mentre 10.000 voti sloveni ne hanno eletto solo uno, citando questo esempio del favoritismo del governo austriaco verso gli italiani. Chi scrive, in primo luogo, ha dimenticato 9000 voti socialisti, tutti italiani, perché i socialisti slavi votano per il proprio popolo, e in secondo luogo ha dimenticato che, nell'attuale assetto maggioritario, questo fatto non è altro che la prova della minoranza degli slavi e nient'altro.
Nel Connecticut, ad esempio, ci sono cinque membri del Congresso, quattro dei quali sono repubblicani e uno democratico, eppure il partito democratico ha ottenuto circa 75.000 voti contro gli 86.000 repubblicani. Ma gli slavi vorrebbero avere una rappresentanza maggioritaria laddove sono maggioritari, e una rappresentanza proporzionale laddove sono minoritari.
Registro delle indagini catastali
Il registro è compilato con note in sloveno, tedesco e croato. La Dieta ne propose una in italiano con traduzione slovena autentica ma il governo rifiutò.
Zara: Il registro italiano delle indagini catastali (1914) è stato tradotto in croato e i nomi sono stati cambiati.
FIUME
(Da Storia attuale, gennaio 1918)
Fiume era appena fuori dal terreno di evacuazione; tuttavia, ha una popolazione italiana predominante di 45.000 abitanti. Il Sindaco era italiano, così come il Consiglio Comunale. Bande armate di jugoslavi, su ordine del Consiglio jugoslavo di Agram, entrarono in città, costrinsero alle dimissioni il sindaco e il consiglio comunale e ordinarono di ammainare la bandiera italiana e di issare al suo posto la bandiera jugoslava. I raduni di italiani per celebrare la vittoria italiana furono dispersi dal fuoco dei fucili e delle mitragliatrici. I soldati italiani sulle alture sopra la città guardavano e vedevano i loro connazionali così terrorizzati e non potevano aiutarli finché non arrivò l'ordine del generale Diaz di prendere possesso di Fiume e di proteggere lì gli italiani. Nel frattempo simili, anche se non così gravi, manifestazioni jugoslave, il comandante, generale Raineri, avevano preso possesso di Fiume e Pola, dove erano state represse dai rispettivi governatori militari, generale Petitti e ammiraglio Cagni.
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DALMAZIA
Novembre 1910: Cancelliere della Corte convocato davanti alla Commissione disciplinare della Corte d'Appello di Cittavecchia per rispondere alle accuse di:
1. Leader (istruttore) di una banda musicale italiana.
2. Ha fatto battezzare la figlia in italiano.
3. Fece battezzare la figlia a Mafalda.
1914: Libro catasto italiano tradotto in croato e modificati i nomi.
La Oesterreichische Rundschau di Vienna, 1 maggio 1909, scriveva:
“Dobbiamo agire a Trieste come abbiamo fatto in Dalmazia; aiutare la propaganda non italiana per sopprimere decisamente l’elemento italiano.”