mercoledì 6 marzo 2024

I contrasti nei comandi imperiali ed il fallimento della Strafexpedition (M. Vigna)

La battaglia degli altipiani, durata dal 5 maggio al 27 luglio 1916, spesso chiamata Frühjahrsoffensive (offensiva di primavera) nella storiografia austriaca e Strafexpedition (spedizione punitiva) in quella italiana, fu il tentativo dell’esercito imperial-regio asburgico di sfondare il fronte italiano sul saliente trentino-tirolese. L’obiettivo strategico primario era Bassano del Grappa, inteso quale punta d’una freccia che doveva estendersi su di un fronte assai più ampio. Uno sfondamento nella zona degli altipiani, con successivo dilagare a valle tra Bacchiglione e Brenta, avrebbe potuto concludere la guerra dell’Italia, perché quasi tutto l’esercito mobilitato, il cui grosso era concentrato sul fronte dell’Isonzo, sarebbe finito all'interno di una grande sacca senza possibilità alcuna di uscirne. 

La battaglia si risolse, dopo molti momenti critici per il Regio esercito, in una vittoria strategica per l’Italia anche se ottenuta a caro prezzo. Fu la prima offensiva condotta dall’Austria-Ungheria contro l’Italia, che non ne condusse altre da sola prima di quella sul Piave: la vittoria di Caporetto fu infatti resa possibile dal decisivo aiuto tedesco. La battaglia degli altipiani infatti indebolì a tal punto il fronte russo dell’Austria da consentire il massimo successo della Russia nella guerra, l’offensiva Brusilov. Inoltre l’usura delle truppe migliori ed il consumo d’ingente materiale, oltre al contraccolpo sul morale derivante dall’insuccesso, portarono alla vittoria italiana nella battaglia di Gorizia.

Numerosi furono i fattori che concorsero al fallimento dell’ambizioso progetto di Conrad Von Hotzendorf, che aveva concentrato nel Trentino le migliori unità e mezzi disponibili, a costo di sguarnire il fronte russo: la capacità del comando italiano di spostare celermente dall’Isonzo molte unità, che rallentarono ed infine fermarono gli austro-ungarici; la determinazione dei difensori, che si batterono talora sino all’annientamento d’interi reparti di retroguardia; il terreno di montagna costituiva di per sé una barriera naturale. Un altro fattore ancora però fu la cattiva conduzione della battaglia da parte dello stato maggiore austriaco e dei comandi sul campo. Erano stati scelte truppe esperte e bene addestrate, solitamente tenute a riposo per l’offensiva, spostata un’imponente artiglieria fra cui abbondavano anche calibri come obici da 381 e 420. Però gli alti comandi furono in disaccordo fra di loro ed incapaci di gestire un’operazione complessa.

 Il 10 febbraio a Teschen l’erede al trono, l’arciduca Carlo d’Asburgo, aveva chiesto al capo di stato maggiore Von Hoetzendorf di poter avere un comando nel Trentino in vista dell’offensiva, ma il generale aveva rifiutato ritenendo inadeguato totalmente il futuro imperatore. L’arciduca, fortemente contrariato, lasciò l’incontro ed andò a lamentarsi del diniego. Il capo di stato maggiore, sottoposto a pressioni politiche, si risolse ad accontentare Carlo d’Asburgo affidandogli il comando del XX corpo d’armata ed assegnandogli come tutore di fatto Alfred von Waldstätten, colonnello nominato capo di stato maggiore del corpo. Von Hoetzendorf dovette confrontarsi anche con un altro Asburgo, l’arciduca Eugenio comandante del fronte meridionale, che fece avere un suo piano operativo bocciato da Conrad, con sdegno del principe. Curiosamente, Von Hoetzendorf, l’arciduca Carlo e l’arciduca Eugenio erano tutti e tre notori italofobi, specialmente il primo ed il terzo che avevano proposto rispettivamente una guerra preventiva contro l’Italia e la snazionalizzazione sistematica del Trentino. Però fra di loro, in preparazione all’offensiva contro l’odiato nemico, il clima fu di astio, sfiducia ed invidia. I militari di professione reputavano i due arciduchi semplicemente inadeguati ed assurti alle loro cariche unicamente per ragioni di rango. Gli Asburgo invece erano irritati dall’atteggiamento di superiorità dei militari. In più l’arciduca Carlo non sopportava d’essere sottoposto gerarchicamente all’arciduca Eugenio, essendo lui l’erede al trono designato, mentre Eugenio reputava il parente incapace di comandare un corpo d’armata.

 Il clima di litigiosità, sfiducia, risentimento fra gli alti comandi favorì errori tattici e strategici gravi. Poiché Carlo d’Asburgo era l’imperatore in pectore, considerata la tarda età di Francesco Giuseppe che sarebbe morto pochi mesi dopo la battaglia, ottenne per il suo corpo d’armata, dunque per sé, un ruolo importante ed autonomo nell’offensiva, che condusse ad un allargamento eccessivo del fronte d’attacco anziché ad una concentrazione delle forze. Inoltre vi furono disaccordi fra i comandi anche sugli obiettivi intermedi, con disaccordo fra Von Hoetzendorf e l’arciduca Eugenio ognuno dei quali aveva le sue idee.
 È impossibile quantificare la misura in cui tale disorganizzazione dei comandi asburgici abbia influito sull’esito della battaglia, ma è certo che la presenza degli arciduchi Carlo ed Eugenio si rivelò una iattura per quella che, nelle intenzioni dello stato maggiore, doveva essere una battaglia decisiva per la guerra e la stessa sopravvivenza dell’impero.