mercoledì 1 novembre 2023

Lettera a Fiume (1956)

O cara Fiume mia che sei lontana

Ti scrivo questa breve letterina,

e mentre scrivo mi trema un po' la mano,

pensando a te che sola

sperduta in altro cielo

ti trovi ancor perché?

Ho preso dieci al tema stamattìna,

e il tema non parlava che di te...

Leggendolo commossa la maestrina

Piangeva insieme a me...

Tu puoi comprender

Il grande mio dolor...

Io piango nel pensare che tu,

non puoi tornare nel Patrio suol...

Mi devi credere, la notte sogno te...

mi sveglio e un tuo quadretto

rivedo accanto al letto, vicino a me...

Stenda il buon Dio la Sua mano

dal Golfo al Carnaro

e ti protegga ognor...

Voglia che queste parole

le possa esaudire

dal Regno Suo d'amor...

Non so più viver e tu lo sai perché...

È triste attendere...

Ma il mio cuore d'italiana

che vuol tanto bene a te,

sa che un’ora non lontana

sarai nostra, nostra ancor!

Han detto il mio papà e la mammina

Che un giorno torneremo in quella casa

E compreranno per me che son piccina,

fra tante cose belle,

la bambola più bella

col nastro tricolor...

Ma se domani mi daranno a scuola

Un tema sul ritorno alla realtà

Di quel gran giorno ancora

la tua figliola Parlare non potrà...

Tu puoi comprender

Il grande mio dolor...

Io piango nel pensare che tu,

non puoi tornare nel Patrio suol...

Mi devi credere, la notte sogno te...

mi sveglio e un tuo quadretto

rivedo accanto al letto, vicino a me...

Stenda il buon Dio la Sua mano

dal Golfo al Carnaro

e ti protegga ognor...

Voglia che queste parole

le possa esaudire

dal Regno Suo d'amor...

Non so più viver e tu lo sai perché...

È triste attendere...

Ma il mio cuore d'italiana

che vuol tanto bene a te,

sa che un’ora non lontana

sarai nostra, nostra ancor!

O Fiume mia

i tuoi fratelli ancora ti salutano

e pregano il Signore

che vegli sulla tua felicità...

El tormento dell'esule polesan

Lontan mi son de ti, Pola mia cara,

ma te go sempre qua in fondo al cor;

la via dell'esilio la xe amara,

piena de delusion e de dolor.


Mi penso a la tua gente disperada,

dispersa, che se rosiga el servel;

e tuta 'sta disgrassia capitada

che a mi me ga privà del tuo bel cel.


Mi vedo le tue grote, le pinete,

speciarse nel celeste tuo bel mar,

i porti, le campagne, le rivete

che mi no podarò dismentigar.


Mi sento l'aria limpida, salada

coi rèfoli de bora o de garbin:

me vegnaria de farte una cantada,

ma no go più né voia, né morbin.


Mi iero e son de ti inamorado

te go volù, te voio tanto ben;

co penso a quel che a noi ne ga tocado

go un groppo in gola e un sbrusighin nel sen.


Son polesan patoco e me ne vanto;

son greso, s'ceto, fiero, materan;

de ciacole bugiarde no m'incanto

e fin che moro restarò italian.


Sergio Zuccoli

Poesia per Fiume d'Italia scritta dopo la I guerra mondiale da «Turno» e pubblicata su «La Domenica del Corriere» del 4 maggio 1919 sotto forma di lettera aperta al presidente Wilson


Oltre 70 anni sono passati dalla perdita delle nostre terre e diversi Presidenti degli Stati Uniti da allora si sono succeduti alla Casa Bianca, ma la poesia è ancora di attualità perché la altisonante promulgazione del diritto di autodecisione dei popoli si è rivelata sempre una delle più grandi turlupinature di ogni tempo; lo possono ben dire insieme ai fratelli - istriani e dalmati 50.000 profughi fiumani, costretti ad affrontare la dura via dell'esilio per non essere sottoposti ad un'invisa dittatura straniera.


FIUME

Egregio Presidente, Ella si è messo, 

Con grandissimo zelo, a far da Dio, 

E vuol che tutto il mondo, genuflesso, 

Benedica il suo verbo dotto e pio.

E l'uomo torni ancora creta informe 

Per foggiarsi secondo le sue norme.

lo non voglio mancarle di riguardo

Ma pur convien che il mio pensiero esprima: 

Per fare il Dio Ella è nato un po' in ritardo, 

Perché quell'altro Iddio che è nato prima

— Forse aveva di Lei minore ingegno — 

Ma in quel che ha fatto ha impresso un fiero segno.

E quel segno, signor, non si cancella. 

Usi la lima pur, se L'è gradito; 

La sillaba di Dio verace e bella

È incisa nel durissimo granito.

Oh, dove scrisse Italia il Dio di prima 

Resta Italia, e si logora la lima. 

Doveva nascer prima, Le ripeto 

Quando Fiume non era ancora niente: 

Terra sull'acqua verde, nudo greto 

Che le schiume battean selvaggiamente;

Allora Ella potea soffiare un fiato

Nel fango e dire: Nasca qui il croato. 

Quello era il tempo buon. 

Tutto confuso Era. 

La vita si gonfiava in dense

Bolle: Qua un'ala, là una groppa, un muso 

Turgido, e un diguazzar di forme immense; 

Risse, tonfi, barriti. 

La titanica Terra parea una civiltà balcanica.

In quei mattini della vita, rossi, 

Nascevano ittiosauri e megaterii 

Che, come Lei, sono animali grossi 

Che, come Lei, sono animali serii 

Che ormai si vedon solo nei musei 

Dove, ne ho fede, finirà anche Lei.

Radunato un consesso di quei mostri 

Ella, con denti d'oro e cuor tranquillo, 

Potea dare quei lidi ch'or son nostri 

Anche all'urangotango o al coccodrillo. 

Nulla dicea l'Italia. 

In quella scialba Epoca 

Ell'era il biancheggiar d'un'alba.

Ora s'è fatto giorno; ora la riva 

È città bella, è porto, e vi dimora

Una gente latina agile e viva 

Che parla questa mia lingua canora; 

Or dov'erano dune aride e brume 

Sta l'italianità pura di Fiume.

Intende egregio Presidente? Fiume! 

Che parola di musica latina! 

Mi dica Lei, che ha fior di senno e acume, 

Se in lingua jugoslava o porcospina 

C'è una sola parola come questa 

Di suono e senso italico contesta.

Lei si chiama Woodrow; non me ne ho a male. 

A me, magari, piace più Gaetano 

O Battista o Cristoforo o Pasquale; 

Ma a Lei fu dato un nome americano 

Perché l'uomo più chiuso e più bislacco

Non La prenda per turco o per cosacco. 

Il nome, signor mio, conta qualcosa,

È il segno della razza chiaro e piano; 

Come ha un profumo tutto suo la rosa 

Ciò che è italian si chiama in italiano. 

Lei non sa l'italiano? Che disgrazia! 

Lo impari! Ma però non in Croazia.

Vada a Fiume. Vedrà che là si spera 

In italiano e in italian si vuole;

In italiano prega il bambino a sera, 

In italiano risaluta il sole. 

E se c'è chi ai croati tiene mano 

Lo si manda in malora in italiano.

Trentamila italiani e più, signore, 

Trentamila e più « sì » per far le nozze 

Con Roma. E trentamila « no» di orrore 

A chi schiavi li vuol di genti rozze, 

Trentamila e più cuor trafitti a morte 

Da chi si gioca della loro sorte.

Tutti questi italiani Ella vuol privi 

Di patria? Nei suoi calcoli contorti 

Le sembran pochi tutti questi vivi? 

Ci aggiunga allor mezzo milion di morti, 

Ci aggiunga i nostri morti, e poi vedrà 

Che somma immensa d'italianità.

TURNO 

LA POESIA FIUMANA E LA SUA LETTERATURA: LA BREVE RASSEGNA DI ALESSANDRO DAMIANI

Anche la città di Fiume ha avuto una propria letteratura, naturalmente di stampo squisitamente italiano. A parlarcene è Alessandro Damiani, giornalista e scrittore della Comunità nazionale italiana in Croazia morto nel 2015.

Fra i nomi abbiamo innanzitutto Daniele Pillepich, autore di rime amorose contraddistinte da una forma "sorvegliata", e Pietro Pillepich, critico letterario e traduttore dallo spagnolo, oltre che collaboratore di riviste italiane, iberiche e dell'America Latina. 

Seguono Vincenzo Host, la cui poesia richiamerebbe "motivi crepuscolari sullo sfondo di un disagio esistenziale", Silvino Gigante e Gino Sirola, ma anche Gino Antoni, giornalista, animatore della Società Filarmonico-Drammatica, autore di cinque commedie, "buon elzevirista e autore di una raccolta di novelle", per quanto fosse più noto per la poesia dialettale in fiumano.

Quanto alla poesia "vernacola", il Damiani cita Mario Schittar (1861-1890), considerato il primo poeta in veneto fiumano (si faceva chiamare "Zuane de la Marsecia"), Arturo Cafieri (1867-1941, pseudonimo "Rocambole"), Gino Antoni (1877-1948, pseudonimo "Cavaliere di garbo"), caratterizzato dall'uso di un dialetto "emendato". Sono menzionati anche Oscarre Russi (1887-1910, pseudonimo "Russetto"), "capace di una causticità da uomo disincantato", ed Egidio Milinovich (1903-1981, chiamato "Barbacan"), caratterizzato da una canzonatura gustosa mai tendente alla satira.

Damiani considera tuttavia "effimera" la letteratura fiumana, anche perché improntata prevalentemente sul dialetto locale. 

Quanto agli storici, figurano Egidio Rossi, "personalità interessante per gli stimoli che ha dato e che non ha dato e che non ah potuto guidare", autore di brevi saggi pubblicati su riviste del tempo, e Alfredo Fest, ungherese bilingue ricordato come "ricercatore accurato e studioso acuto di documenti che sono fondamentali per la storia di Fiume".

Non mancano Michele Maylender, autore di una Storia delle Accademie d'Italia considerata "utile strumento di lavoro per gli studiosi del costume letterario italiano" e Guido Depoli, etnologo e storico contraddistinto dalla "serena oggettività che forma il metodo del naturalista".

Poesia di Bruno Pecchiari POLA

( 24 - 25 Dicembre 1992 )

 

Soffro per i tuoi tanti mali,

povera, mia piccola Pola...

Oggi, ho portato l'aiuto dei bravi friulani,

a questa nuova gente,

parte integrante della mia Città,

e anch'essa cara al mio cuore.


Un giovane prete della Caritas Croata,

dovendo darmi dei riferimenti per la consegna,

mi ha chiesto:

- Sa dove è la chiesa di Sant'Antonio?-

Mi si è strozzata la voce in gola.

- M'hanno battezzato... là! - ho ansimato.


Nulla poi mi ha più chiesto!

E nulla si son chiesti i suoi padri,

quando, entrati in Città e nel mio Paese,

 ne hanno preso possesso.


Non si sono chiesti il perché di quelle case vuote,

di quei campi, di quei vigneti abbandonati,

di quegli archi e di quelle colonne

di quegli epitaffi su tombe antiche

di quei monumenti…

che i loro avi non avevano eretto...


Non si sono chiesti il perché di quelle strade,

di quelle piazze, vuote e tristi,

senza giochi di bimbi,

senza canti di donne ai balconi...


Hanno marciato, petto in fuori, gioiosi, superbi,

 e tuttavia intimoriti da cotanto nobile,

 nuovo possesso...


Una gloriosa bimillenaria eredità,

che hanno banalizzata, negata,

in parte scalpellata via e gettata in mare.


Ma ciò che resta di quegli archi, di quelle rovine,

e di quelle epigrafi, sono stati la loro trappola!

Siamo Istrocroati! O Istrosloveni!

O ancora... siamo Istriani!

Dice ora, con orgoglio, la nuova progenie dei vincitori.


Noi, vecchi esuli guardiamo ancor diffidenti,

questi rudi e incolpevoli nipoti, che la Storia,

complici uno sciagurato ed un folle, ci ha assegnato.


Sulle loro giovani spalle grava, oggi, il compito

di riparare torti ed errori dei nostri e loro padri.


E quando le ultime candele per noi accese,

si saranno spente sui nostri dispersi sepolcri,

e alcun ginocchio su di essi più si piegherà,

solo in loro potrà ancora rivivere il sogno,

e il nostro amore per l'Istria Eterna.

Poesia "Miramar" di Giosuè Carducci

O Miramare, a le tue bianche torri

attediate per lo ciel piovorno

fosche con volo di sinistri augelli

vengon le nubi. 

Miramare, contro i tuoi graniti

grige dal torvo pelago salendo

con un rimbrotto d'anime crucciose

battono l'onde. 

Meste ne l'ombra de le nubi a' golfi

stanno guardando le città turrite,

Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo,

gemme del mare; 

e tutte il mare spinge le mugghianti

collere a questo bastion di scogli

onde t'affacci a le due viste d'Adria,

rocca d'Absburgo;

e tona il cielo a Nabresina lungo

la ferrugigna costa, e di baleni

Trieste in fondo coronata il capo 

leva tra' nembi. 

Deh come tutto sorridea quel dolce

mattin d'aprile, quando usciva il biondo 

imperatore, con la bella donna,

a navigare! 

A lui dal volto placida raggiava

la maschia possa de l'impero: l'occhio

de la sua donna cerulo e superbo 

iva su 'l mare. 

Addio, castello pe' felici giorni

nido d'amore costruito in vano!

Altra su gli ermi oceani rapisce

aura gli sposi. 

Lascian le sale con accesa speme

istoriate di trionfi e incise

di sapienza. Dante e Goethe al sire

parlano in vano 

da le animose tavole: una sfinge

l'attrae con vista mobile su l'onde:

ei cede, e lascia aperto a mezzo il libro 

del romanziero. 

Oh non d'amore e d'avventura il canto

fia che l'accolga e suono di chitarre

là ne la Spagna de gli Aztechi! Quale

lunga su l'aure

vien da la trista punta di Salvore

nenia tra 'l roco piangere de' flutti ?

Cantano i morti veneti o le vecchie

fate istriane ? 

— Ahi! mal tu sali sopra il mare nostro

figlio d'Absburgo, la fatal Novara.

Teco l'Erinni sale oscura e al vento

apre la vela. 

Vedi la sfinge tramutar sembiante

a te d'avanti perfida arretrando! 

il viso bianco di Giovanna pazza

contro tua moglie. 

È il teschio mozzo contro te ghignante 

d'Antonietta. Con i putridi occhi

in te fermati è l'irta faccia gialla

di Montezuma.

Tra boschi immani d'agavi non mai

mobili ad aura di benigno vento,

sta ne la sua piramide, vampante

livide fiamme 

per la tenebra tropicale, il dio

Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta,

e navigando il pelago co 'l guardo

ulula — Vieni. 

Quant'è che aspetto! La ferocia bianca

strussemi il regno ed i miei templi infranse:

vieni, devota vittima, o nepote

di Carlo quinto.

Non io gl'infami avoli tuoi di tabe

marcenti o arsi di regal furore; 

te io voleva, io colgo te, rinato 

fiore d'Absburgo; 

e a la grand'alma di Guatimozino

regnante sotto il padiglion del sole

ti mando inferia, o puro, o forte, o bello

Massimiliano. —

Epigrafi di Pirano

A Pirano sono sicuramente oltre cento le epigrafi che percorrono la sua storia da Roma al 2004. Sono un po’ ovunque. 

Una pubblicazione, patrocinata dalla CAN, ne raccoglierà oltre 80.

Un esempio? Sul lato destro della facciata del Tribunale una piccola lapide grigio-azzurra ricorda cinque piranesi che “diedero la vita per la nostra redenzione”. La frase è chiaramente antiaustriaca. Messa nel 1919 e ricordava i volontari italiani che persero la vita combattendo contro l’Austria-Ungheria, di cui erano cittadini.

Nel 1919, quando fu collocata era appendice della più grande “targa della Vittoria”, in bronzo, dedicata all’ultima battaglia dell’esercito italiano su quello austroungarico, che sancì la fine della I guerra mondiale. Secondo un giornaletto dell’epoca fu distrutta la notte del 13 luglio 1946 da un gruppo di federativi.


La cartolina che a Pirano fu stampata con i ritratti dei volontari

La lapide oggi, priva di riferimenti è difficile comprenderne il significato.