mercoledì 1 novembre 2023

Poesia per Fiume d'Italia scritta dopo la I guerra mondiale da «Turno» e pubblicata su «La Domenica del Corriere» del 4 maggio 1919 sotto forma di lettera aperta al presidente Wilson


Oltre 70 anni sono passati dalla perdita delle nostre terre e diversi Presidenti degli Stati Uniti da allora si sono succeduti alla Casa Bianca, ma la poesia è ancora di attualità perché la altisonante promulgazione del diritto di autodecisione dei popoli si è rivelata sempre una delle più grandi turlupinature di ogni tempo; lo possono ben dire insieme ai fratelli - istriani e dalmati 50.000 profughi fiumani, costretti ad affrontare la dura via dell'esilio per non essere sottoposti ad un'invisa dittatura straniera.


FIUME

Egregio Presidente, Ella si è messo, 

Con grandissimo zelo, a far da Dio, 

E vuol che tutto il mondo, genuflesso, 

Benedica il suo verbo dotto e pio.

E l'uomo torni ancora creta informe 

Per foggiarsi secondo le sue norme.

lo non voglio mancarle di riguardo

Ma pur convien che il mio pensiero esprima: 

Per fare il Dio Ella è nato un po' in ritardo, 

Perché quell'altro Iddio che è nato prima

— Forse aveva di Lei minore ingegno — 

Ma in quel che ha fatto ha impresso un fiero segno.

E quel segno, signor, non si cancella. 

Usi la lima pur, se L'è gradito; 

La sillaba di Dio verace e bella

È incisa nel durissimo granito.

Oh, dove scrisse Italia il Dio di prima 

Resta Italia, e si logora la lima. 

Doveva nascer prima, Le ripeto 

Quando Fiume non era ancora niente: 

Terra sull'acqua verde, nudo greto 

Che le schiume battean selvaggiamente;

Allora Ella potea soffiare un fiato

Nel fango e dire: Nasca qui il croato. 

Quello era il tempo buon. 

Tutto confuso Era. 

La vita si gonfiava in dense

Bolle: Qua un'ala, là una groppa, un muso 

Turgido, e un diguazzar di forme immense; 

Risse, tonfi, barriti. 

La titanica Terra parea una civiltà balcanica.

In quei mattini della vita, rossi, 

Nascevano ittiosauri e megaterii 

Che, come Lei, sono animali grossi 

Che, come Lei, sono animali serii 

Che ormai si vedon solo nei musei 

Dove, ne ho fede, finirà anche Lei.

Radunato un consesso di quei mostri 

Ella, con denti d'oro e cuor tranquillo, 

Potea dare quei lidi ch'or son nostri 

Anche all'urangotango o al coccodrillo. 

Nulla dicea l'Italia. 

In quella scialba Epoca 

Ell'era il biancheggiar d'un'alba.

Ora s'è fatto giorno; ora la riva 

È città bella, è porto, e vi dimora

Una gente latina agile e viva 

Che parla questa mia lingua canora; 

Or dov'erano dune aride e brume 

Sta l'italianità pura di Fiume.

Intende egregio Presidente? Fiume! 

Che parola di musica latina! 

Mi dica Lei, che ha fior di senno e acume, 

Se in lingua jugoslava o porcospina 

C'è una sola parola come questa 

Di suono e senso italico contesta.

Lei si chiama Woodrow; non me ne ho a male. 

A me, magari, piace più Gaetano 

O Battista o Cristoforo o Pasquale; 

Ma a Lei fu dato un nome americano 

Perché l'uomo più chiuso e più bislacco

Non La prenda per turco o per cosacco. 

Il nome, signor mio, conta qualcosa,

È il segno della razza chiaro e piano; 

Come ha un profumo tutto suo la rosa 

Ciò che è italian si chiama in italiano. 

Lei non sa l'italiano? Che disgrazia! 

Lo impari! Ma però non in Croazia.

Vada a Fiume. Vedrà che là si spera 

In italiano e in italian si vuole;

In italiano prega il bambino a sera, 

In italiano risaluta il sole. 

E se c'è chi ai croati tiene mano 

Lo si manda in malora in italiano.

Trentamila italiani e più, signore, 

Trentamila e più « sì » per far le nozze 

Con Roma. E trentamila « no» di orrore 

A chi schiavi li vuol di genti rozze, 

Trentamila e più cuor trafitti a morte 

Da chi si gioca della loro sorte.

Tutti questi italiani Ella vuol privi 

Di patria? Nei suoi calcoli contorti 

Le sembran pochi tutti questi vivi? 

Ci aggiunga allor mezzo milion di morti, 

Ci aggiunga i nostri morti, e poi vedrà 

Che somma immensa d'italianità.

TURNO 

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