giovedì 4 settembre 2025

I FEDELISSIMI SCHIAVONI - GLI ULTIMI DIFENSORI DI VENEZIA

1796 - La Serenissima, minacciata da Napoleone, chiama a raccolta le milizie Oltramarine. Convengono a Venezia 11.500 Schiavoni, al grido di "Viva San Marco! Viva il nostro Principe!".

6 luglio - Nelle vicinanze di Verona, un drappello di Schiavoni disperde un reparto di soldati napoleonici. Il generale Andrea Massena protesta. II Provveditore Nicolò Filippo Foscarini disarma gli Schiavoni di stanza a Verona. Per protesta, uno Schiavone va in giro con addosso il solo camiciotto. A chi, ironicamente, gli chiede se sentisse caldo, rispondeva: "No! ma finché Principe non darà mia arma, mi no voler so abito!".

Gli Schiavoni presidiano Vicenza, Padova, Poveglia. Al comando del dalmata Antonio de Galateo difendono il forte di Brondolo. Altri 4000 sono schierati fra Fusina, Marghera e Campalto.

1797 - Gli Schiavoni, al comando del tenente Mazarovich, respingono un tentativo dei francesi contro Salò.

17 aprile - "Le Pasque Veronesi". Con i cittadini combatte un reparto di Schiavoni ed i "soldati Oltramarini menano strage degli avversari". In soccorso di Verona giungono il generale Antonio Stratico ed il capitano Antonio Paravia, ambedue nativi di Zara, con altri Schiavoni.

20 aprile - Tre battelli da guerra francesi cercano di forzare il canale del Lido. II Provveditore Domenico Pizzamano ordina al Forte di S.Andrea due salve d'artiglieria "di volata" per fermarli: due invertono la rotta, il terzo "Le Liberateur d'Italie" procede. Da S. Nicolò si stacca allora la galeotta "Annetta Bella" al comando del conte Alvise Viscovich da Perasto. L'equipaggio interamente di perastini - abborda la nave nemica, la lotta è all'arma bianca, 5 i francesi uccisi tra i quali il Comandante Jean Baptiste Laugier, 37 i prigionieri. Pizzamano riceve un encomio dal Senato, ai bocchesi va un premio in denaro.

È l'ultimo scontro armato in difesa della Serenissima. E sono dalmati gli utlimi difensori di Venezia. Tre mesi più tardi nella lontana Perasto un altro Viscovich ribadirà "TI CON NU, NU CON TI".

6 maggio - Nella incertezza che pervade il Maggior Consiglio, Francesco Pesaro, Procuratore di San Marco, grida al Doge Ludovico Manin: "Tolè su el Corno e andé a Zara".

Nelle giornate dal 6 al 12 maggio, gli Schiavoni presidiano Venezia. Sono sui burchi pronti a sbarcare. Lungo la Riva vigilano 150 Bocchesi (cittadini delle Bocche di Cattaro) in armi.

12 maggio - El tremendo zorno del dodexe - Ultima seduta del Maggior Consiglio per deliberare sui 'Da mò di Massima' (decreti). Si procede in una indescrivibile confusione. Manca il numero legale. Una scarica di fucileria, saluto a Venezia di alcuni reparti Schiavoni che si stavano imbarcando, sconvolge i Patrizi. Al grido di "sia mandata la Parte" (votazione) le decisioni sono approvate.

In Piazza San Marco, Bocchesi e Schiavoni innalzano ancora una volta il Gonfalone della Serenissima.

CHI ERANO QUESTI SCHIAVONI?

Gli Schiavoni venivano ingaggiati da ufficiali detti capo-leva. Il contratto di arruolamento aveva la durata di sei anni. La statura minima per l'accettazione era di m. 1.62, e l'età dai 17 ai 40 anni.

Erano suddivisi in 11 reggimenti, contraddistinti dal nome del colonnello, o del centro di reclutamento più importante da cui provenivano gli effettivi.

Ogni reggimento era composto da nove compagnie, salvo quello di Signo. Ne aveva undici, per la maggior importanza del territorio di leva che comprendeva Signo, Spalato, Salona e Clissa.

Ogni reggimento era formato da 485 uomini, per cui ciascuna compagnia risultava di 54 soldati. In tempo di guerra il loro numero era raddoppiato.

Per la formazione degli ufficiali degli Schiavoni era stata istituita a Zara, sin dal 1740, una Accademia Militare.

LA DEPOSIZIONE DELLE INSEGNE DI SAN MARCO IN DALMAZIA

A ZARA

Il 1° luglio 1797, verso le ore 15, alla Cittadella ed in Piazza delle Erbe, vennero ammainate le insegne di San Marco.

I vessilli, raccolti da due capitani, e con la scorta di alcune compagnie in armi, furono portati in Piazza dei Signori, dov'erano schierate le Milizie Veneziane.

Le insegne, affidate al sergente generale Antonio Stratico, furono prese in consegna da due colonnelli, uno dalmata ed uno veneziano.

Da Piazza dei Signori, fra il tuonare delle artiglierie, lungo la Calle Larga, seguite dai reparti in armi e dal popolo tutto, vennero portate nella Cattedrale di Sant'Anastasia, e poste sull'Altar Maggiore.

Narra Lorenzo Licini, testimone oculare, che "nel terminare della funzione ascese sulla detta ara il sergente generale Antonio Stratico, che con lacrime baciò le indicate venete bandiere, il che fu eseguito da tutti gli Offiziali nazionali [dalmati] ed italiani, al numero di 160: ai quali seguì quantità di popolo dell'uno e dell'altro sesso; e talmente delle lacrime rimasero bagnati i vessilli, come se fossero stati immersi nell'acqua, quali si conservano nella sacrestia".

A PERASTO (Bocche di Cattaro)

2 mesi più tardi era il 22 agosto 1797, il conte Giuseppe Viscovich, capitano di Perasto, deponendo nella chiesa le insegne di San Marco, alla presenza di tutte le milizie e di tutto il popolo, pronunciò un discorso, considerato il più sentito addio alla Serenissima pronunciato in tutti i suoi domini:

In sto amaro momento, che lacera el nostr cor, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, al Gonfalon de la Serenissima Republica, ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condotta passata e de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso par nu.

Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l’Europa, che Perasto ha degnamente sostenudo fin a l’ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto.

Sfoghemose, cittadini sfoghemose pur, e in sti nostri ultimi sentimenti coi quali sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto al Serenissimo Veneto Governo, rivolgemose verso sta Insegna che lo rappresenta, e su de ela sfoghemo el nostro dolor.

Par trecentosettantasette anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre par Ti, o San Marco: e fedelissimi sempre se avemo reputà Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo stai illustri e vittoriosi.

Nissun con Ti ne ha visto scampar, nissun con Ti ne ha visto vinti e spaurosi! E se i tempi presenti, infelicissimi per imprevidenza, par dissension, par arbitri illegali, par vizi offendenti la natura e el gius de le genti, non Te avesse tolto da l’Italia, par Ti in perpetuo sarave le nostre sostanze, el nostro sangue, la vita nostra e, piuttosto che vederTe vinto e desonorà dai toi, el coraggio nostro, la nostra fede se avarave sepelio sotto de Ti!

Ma za che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cor sia l’onoratissima to tomba, e el più puro e el più grande to elogio le nostre lagreme!

Il conte Viscovich, deposte le insegne, s'inginocchiò davanti all'Altare, e rivolto al pronipote che gli era accanto, disse: "Inzenocite anca ti; Annibale, basile, e tiénile a mente per tutta la vita".

Così molti anni dopo, nel 1849, un conte Annibale Viscovich di Perasto prende viva parte alla difesa di Venezia contro gli austriaci, presidia il ponte di Terraferma, comanda il brigantino "Bravo" e poi la corvetta "La Veloce". Buon sangue non mente.

FEDELTÀ A VENEZIA - 156 NO ALLA FRANCIA

Elenco "degli Ufficiali esistenti in Zara che non prestarono giuramento di fedeltà alla nazione, essendone stati formalmente ricercati".

Nel 1797, dopo la caduta della Serenissima e l'avvento a Venezia dei francesi, molti Dalmati in armi in un primo momento non risposero all'appello di Napoleone che chiedeva loro l'adesione alla nuova "nazione". La "nazione" era la Francia di Napoleone che, in guerra con l'Austria, aveva occupato Venezia dopo gli sconvolgimenti politici prodotti in Europa dalla rivoluzione francese. In Istria e Dalmazia non solo i militari, ma anche magistrati e nobili si rifiutarono di riconoscere il nuovo governo francese:

Alberti Gio. Stefano 

Aldeman Pietro

Alerich Zorzi Girolamo

Allacevich Pietro

Almerigotti Antonio Maria

Anton (d') Aurelio j.

Balbi Gio.

Barbarich Marco

Barbarich Claudio

Barbarich Girolamo

Barbarich conte Niccolò

Battaglini Luigi

Battaglioni Giovanni

Becich Niccolò

Begna Andrea

Bellafusa Marcantonio

Bellafusa Pietro

Bembo Giorgio

Benvenuti Gio. Antonio

Benvenuti Vincenzo

Berengo Antonio

Bezzi Giacomo

Bezzi Giuseppe

Bianchi Angelo

Bianchi Giuseppe

Boghetich Niccolò

Bolis Girolamo

Bontempo Carlo Giuseppe

Bubich Marc Antonio

Buri Alfonso Pietro

Burovich Alessandro

Caldana Gio. Maria

Calegari Antonio

Califi Angelo Maria

Carrara Alessandro

Carrara Felice

Castelli Tommaso

Cernizza Andrea

Ciprico Alessandro

Coda Giovanni

Coda Vincenzo

Conti Caterin

Contieri Francesco

Contuzzi Gio. Battista

Corner Pietro

Costa Gio. Battista

Costacchi Andrea

Costacchi Pietro

Cottini Francesco

Cristianopolo Paolo Vincenzo

Cuccola Luigi

Dabovich Andrea

Dalzio Girolamo

Dandria Marin

Davila Enrico

Doda Marcancantonio

Facco Francesco

Facco Kadal

Fantina Pasqual

Ferro Antonio

Filaretto Zuanne

Fontana Giustin

Fregonere Vetor

Gera Alvise

Ghisi Vettor

Gialinà Emanuel

Gialinà Pietro

Giuppani Gio. Antonio

Giuppani Giacomo

Gocolin Spiridione

Grilli Michiel

Gregorj Brùnoro

Grubsich Pietro

Gualdo Niccolò

Guidi conte Francesco

Guidi Pietro

Guidi Vincenzo

Legarde (de) Stefano

Leoni Stefano

Locateli Antonio

Locateli Pietro

Lodoli Girolamo

Lugo Giovanni

Lupi Giacomo

Lupi Giorgio

Magnanini Gio. Battista

MainaZuanne

Malfatti Giacomo

Mantovani Giorgio

Marangoni Cesare

Marin Dandria Zuanne

Medin conte Gio. Alvise

Medin Lorenzo

Metrovich (Mestrovich) Mattio

Matutinovich Gio. Battista

Michieli Vitturi Vincenzo

Milloscuich Lorenzo

Mitrovich Antonio

Mitrovich Spiridion

Medi Giacomo 

Medin Francesco 

Medin Luca 

Mitrovich Zorzi 

Molin Pietro (de) 

Moretti Luigi 

Morisini Niccolò 

Nachich Gio. 

Niccolò Nardi 

Vincenzo Orsich 

Angelo Paganelli 

Cicavo don Grazio 

Paravia Zuanne 

Perugini Camillo 

Rinaldi Luigi 

Rivanelli Fabio 

Rizzi Paolo Emilio 

Rodolfi Aurelio 

Roglich Stefano

Petriccuich Zuanne

Pindemonte Alessandro

Porovaz Zorzi

Quareo Mattio

Rachich Michiel

Resich Gio. Battista

Rizzardi Gio Maria

Rosa Giacomo Antonio

Rosani Paolo

Scuttari Marcantonio

Sigiloretti Vincenzo

Solari Michiel

Solima Giuseppe Simon

Soranzo Lazzaro

Soranzo Silvestro

Sorari Giuseppe

Stipanovich Niccolò

Stratico conte Antonio

Taneschi Domenico

Tebaldi Andrea

Tebaldi Gio. Battista

Tironi Paolo

Tonnemir Pompeo

Uganin Luigi

Ulastò Zorzi

Valenti Gaetano

Valerio Iseppo

Vecchietti Giacomo

Vecchietti Pietro

Viscovich Agostin

Vitaleschi Giuseppe

Vucetich Zorzi

Vuchinvich Zuanne

Vucichievich Zuanne

Vuscovich Giacomo

Zanoni Andrea

Zapich Alberto

Zavoreo Francesco

Zavoreo Leoni

Zecch Missovich Francesco

Zola Alvise

Zullati Niccolò

Fonte: dalmatitaliani.org

mercoledì 3 settembre 2025

Minoranze del Friuli-Venezia Giulia

Prima del recente fenomeno dell'immigrazione di massa in Europa occidentale, iniziato nella seconda metà del XX secolo, c'erano pochissimi stranieri in Italia.

Rispetto alla maggior parte degli altri grandi paesi europei, l'Italia è storicamente molto densamente popolata e omogenea nella popolazione, con pochissime minoranze etniche. Solo 25 anni fa non c'erano praticamente stranieri in Italia. In effetti, l'Italia è stata uno degli ultimi paesi dell'Europa occidentale a ricevere un grande afflusso di immigrati nel periodo moderno.

La maggior parte della popolazione straniera italiana è arrivata solo tra il 1990 e il 2016, e soprattutto dal 2001 in poi, dopo l'ingresso nell'Unione Europea e nell'area Schengen.

Questo articolo si concentrerà solo sui gruppi storici minoritari del FVG, cioè quelli che sono stati stabiliti in Italia prima della massiccia ondata di immigrazione degli ultimi decenni e la recente crisi dei rifugiati.

Tradizionalmente in Italia vi sono quattro principali gruppi minoritari europei, ma di origini etniche diverse dagli italiani. Questi quattro gruppi sono:

Tedeschi, Slavi, Greci e Arbereshe. Poi ci sono due gruppi minoritari non europei: ebrei e zingari. Nessuno di questi gruppi è originario dell'Italia, ma piuttosto immigrato in Italia nel corso dei secoli, soprattutto nel periodo tra il IX e il XVIII secolo.

Tutti questi gruppi sono molto piccoli rispetto ai nativi italiani, e complessivamente formano circa 712.000 persone, ovvero circa l'1,1% della popolazione totale italiana, secondo gli ultimi dati disponibili. Oggi queste minoranze etniche sono tutte ufficialmente protette dalla legge in Italia a livello nazionale, con l'eccezione degli zingari che sono per lo più nomadi e non si sono mai organizzati in una comunità unificata.


Carinziani

I carinziani sono tedeschi emigrati dalla Carinzia in Friuli nel XIII o XIV secolo, quando il territorio era governato dal principe-vescovo di Bamberga. Parlano dialetti della Carinzia bavarese meridionale che sono influenzati dall'italiano e dal friulano. Vivono prima di tutto nei villaggi di Sauris e Timau; questi due villaggi costituiscono isole linguistiche in Carnia, poiché sono completamente circondati da città friulane e veneto-ladine. La Carinzia vive anche in alcune parti della Val Canale, una piccola valle situata sul confine italo-austriaco. Quest'ultima zona è stata abitata solo da italiani per molti secoli, ma fin dall'insediamento di famiglie slave qualche tempo dopo il VII secolo e l'arrivo di immigrati carinziani nel XIII-XIV secolo, la Val Canale è stata divisa tra italiani, tedeschi e sloveni - l'unico punto in Europa dove questi tre gruppi si incontrano. Tutti i tedeschi della Carinzia parlano e scrivono in italiano; molti di loro parlano anche il friulano accanto al Carinziano.

A seguito dell'Accordo di opzione dell'Alto Adige, firmato da Mussolini e Hitler nel 1939, circa 5.600 persone di lingua tedesca della Val Canale si trasferirono nella Germania nazista. Dopo la fine della guerra solo il 20% tornò, mentre il resto rimase in Austria. Nel 2000 circa il 20% della Val Canale era di lingua tedesca e slovena (circa 1.400 su un totale di 7.000 abitanti), mentre l'80% era di lingua italiana. Tutti e tre i centri principali della Val Canale (Tarvisio, Pontebba, Malborghetto-Valbruna) sono prevalentemente italiani. Le principali frazioni di lingua carinziana della Val Canale sono invece Fusine in Valromana, Bagni di Lusnizza, Coccau, Rutte Piccolo, Rutte Grande e Santa Caterina. Quest'ultima frazione è abitata da sole 9 persone. I tedeschi carinziani abitano anche il quartiere di Pontafel a Pontebba. A differenza di quelle della Val Canale, le famiglie di lingua tedesca di Sauris e Timau erano completamente disinteressate all'Accordo di Opzione del 1939 e rimasero sempre in Italia. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che la loro storia è strettamente legata al Friuli e alla Repubblica di Venezia, non alla Carinzia o a Bamberga. Hanno quindi sempre avuto un forte legame con l'Italia e sentimenti filoitaliani. Tanto che Maria Plozner Mentil (1884-1916), una donna del luogo che ha assistito l'esercito italiano nella prima guerra mondiale, è ancora oggi celebrata come un'eroina dal popolo di Timau. La popolazione complessiva di Sauris e Timau ammonta a soli 736 abitanti. Tra Sauris, Timau e la Val Canale, la popolazione totale tedesca della Carinzia in Italia oggi non è più di 2.000 persone.

Come i Cimbri, i Carinziani di Sauris e Timau sono geneticamente più vicini agli italiani che ai tedeschi o agli austriaci, indicando che anche loro si sono sposati con la popolazione latina nella misura in cui, nonostante la loro lingua e tradizioni carinziane, oggi hanno pochissima relazione con i tedeschi dal punto di vista genetico. Ciò è testimoniato anche dall'alta presenza di cognomi romanzi in Sauris (es. Petris, Domini, Lucchini, Polentarutti, Sonvilla, Colle) che esistono a fianco solo di una minoranza di quelli germanici (es. Schneider, Plozzer, Minigher, Troiero-Troier). Questi cognomi italici cominciarono ad apparire dal XVI secolo in poi quando numerosi segatori italiani si stabilirono a Sauris, con conseguente parziale sostituzione demografica dei tedeschi più anziani, che probabilmente passò inosservato a causa dei matrimoni misti e della rapida assimilazione linguistica degli italiani.


Sappadini

I Sappadini tedeschi o Sappadini sono una minoranza molto piccola che vive tradizionalmente nel comune di Sappada (situato in Friuli-Venezia Giulia) e parlano un unico dialetto bavaro-tirolese chiamato Sappadino o Plodarisch, simile a quello parlato dai tedeschi in Alto Adige, anche se fortemente influenzata dall'italiano e dal friulano. Non appartengono alla comunità tedesca della Carinzia, ma piuttosto agli immigrati precedenti. Secondo la tradizione, le famiglie tedesche del villaggio di Innervillgraten (oggi in Austria) furono autorizzate a stabilirsi a Sappada dal Patriarca di Aquileia nell'XI secolo. A loro si unirono poi le famiglie di immigrati tedeschi della Val Pusteria, una valle divisa tra Tirolo Orientale e Alto Adige. Per ragioni linguistiche, i Sappadini sono spesso considerati parte del gruppo tedesco altoatesino, piuttosto che del gruppo carinziano del Friuli, nonostante siano geograficamente più vicini ai paesini carinziani. Tuttavia, a volte il loro dialetto è classificato come "Pustero-Carinziano", facendoli raggruppare con i carinziani. Altre volte i Sappadini sono classificati come un sottogruppo linguistico a sé stante, che è anche come vedono se stessi.

Come i Cimbri e i Carinziani, il test del DNA mostra che i Sappadini sono significativamente più vicini agli italiani che ai tedeschi e agli austriaci, indicando che hanno molto più ascendenza italiana che tedesca. La popolazione di Sappada sostenne i soldati italiani durante la prima guerra mondiale contro l'Austria-Ungheria, e molti di loro si unirono all'esercito italiano. Dopo la seconda guerra mondiale molti emigrarono in Germania e Svizzera. Oggi Sappada ha una popolazione di 1.324 persone, e parlano principalmente italiano e sappadino. Un numero considerevole di friulani vive anche nella città, che è evidente nei cognomi comuni (Solero, Fontana, Sartor). I Sappadini generalmente si considerano italiani.



Slavi

Gli slavi in Italia sono divisi in due grandi gruppi e un terzo piccolo: sloveni, i molisani croati e la popolazione della Slavia Italiana (*).

I. Sloveni

La minoranza slovena vive nell'estremo angolo orientale del Friuli-Venezia Giulia in diversi villaggi lungo il confine con la Slovenia. Storicamente sono concentrati in una piccola area chiamata Slavia Italiana, un agglomerato di villaggi di lingua slava che comprende: sette comuni della Val Natisone, due comuni della Val Torre e la Val Resia, tutti situati in provincia di Udine. Costituiscono anche una piccola minoranza in Val Canale e abitano alcuni villaggi e sobborghi al di fuori delle città di Gorizia e Trieste. Oltre all'italiano, parlano almeno 8 diversi dialetti slavi che differiscono da valle a valle e da villaggio a villaggio. Alcuni di questi dialetti sono fortemente influenzati dall'italiano e dal friulano.

Anche se alcuni autori sostengono che gli sloveni sono 100.000 persone, le statistiche ufficiali pubblicate dal Ministero degli Interni italiano nel 1974 hanno mostrato che sono 61.000 (meno del 5% della popolazione totale del Friuli-Venezia Giulia). Negli ultimi decenni le comunità slovene si sono rifiutate di tenere un censimento linguistico, per il timore che il loro numero sia molto più basso di quanto asserito.

Complessivamente, gli sloveni sono concentrati principalmente nei seguenti comuni, villaggi, valli e periferie:

Provincia di Gorizia

  • San Floriano del Collio
  • Savogna d’Isonzo
  • Doberdò del Lago
  • Sobborghi di Gorizia (Oslavia, Piedimonte del Calvario, Piuma, Sant’Andrea)

Provincia di Trieste

  • Duino-Aurisina (Aurisina, Ceroglie, Malchina, Medeazza, Precenico, Prepotto, San Pelagio, Silvia, Ternova)
  • Monrupino
  • San Dorligo della Valle
  • Sgonico
  • Sobborghi di Trieste (Banne, Basovizza, Contovello, Gropada, Longera, Opicina, Padriciano, Prosecco, Santa Croce, Trebiciano)

Provincia di Udine

  • Val Canale (Camporosso, Ugovizza)
  • Val Natisone (Drenchia, Grimacco, Pulfero, San Pietro al Natisone, San Leonardo, Savogna, Stregna) (*)
  • Val Resia (Resia) (*)
  • Val Torre (Lusevera, Taipana) (*)

Sono presenti anche come una piccola minoranza in una manciata di frazioni sparse appartenenti ai comuni friulani vicini. Ad esempio, nel territorio del comune di Cormons ci sono 7 piccoli borghi montani abitati da poche decine di persone di lingua slovena; tuttavia, quasi tutta la popolazione di Cormons è italiana e lo è sempre stata. Allo stesso modo, ci sono 8 isolati (e oggi quasi spopolati, con alcuni che hanno solo 1, 2 o 6 abitanti totali) villaggi di lingua slovena aggregati al comune di Faedis, che è una città di lingua friulana abitata da italiani.

Gli sloveni non formano una comunità etnica singolare, ma piuttosto una comunità altamente localistica e divisa, a causa dei loro diversi dialetti e storie diverse, anche se legalmente - cioè, a livello politico - sono raggruppati e riconosciuti come un unico gruppo minoritario dal governo italiano. (*) Una distinzione dovrebbe essere fatta tra gli slavi più anziani che arrivarono nel Regno d'Italia durante il Medioevo e nella Repubblica di Venezia durante il periodo rinascimentale da un lato (stabilendosi in quella che divenne la Slavia Italiana) e d'altra parte i nuovi sloveni che arrivarono molto più recentemente sotto l'impero austro-ungarico nel XIX secolo (insediandosi vicino a Gorizia e Trieste).

Quelle della Slavia Italiana sono le più antiche del gruppo: la loro presenza in Italia risale al IX o X secolo. Nel Plebiscito del 1866 votarono all'unanimità per entrare in Italia e generalmente si considerano italiani.

(*) In particolare a Resia c'è una forte opposizione all'identità slovena: 1.014 abitanti (su 1.285) hanno firmato nel 2004 una petizione che esprimeva il desiderio di non essere considerati parte della minoranza slovena. Si considerano resiani, ma soprattutto italiani, e rifiutano risolutamente ogni associazione con gli sloveni. Spesso hanno anche cognomi italiani (es. Barbarino, Buttolo, Madotto, Di Lenardo). Parlano un dialetto proto-slavo arcaico chiamato Resian, che è incomprensibile agli sloveni; c'è una controversia se debba essere considerato un dialetto sloveno o una lingua slava separata.

La controversia identitaria si pone a causa del fatto che la loro lingua e le origini, anche se effettivamente slavo, sono antecedenti alla formazione della lingua slovena e identità nazionale da diversi secoli; nel frattempo, la loro storia, lo sviluppo culturale e l'etnogenesi hanno sempre seguito un percorso diverso da quello degli sloveni. Per questo motivo questi gruppi - i resiani e gli altri abitanti della Slavia Italiana - generalmente si considerano distinti dagli sloveni e negano qualsiasi rapporto con il paese sloveno. Tuttavia, il governo italiano - sotto la pressione di altri paesi e organismi internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale, tra cui la Slovenia stessa - prescrive attivamente una identità etnica slovena su queste comunità che, pur essendo slave, non si sono mai identificate come slovene e non hanno mai parlato la lingua slovena.

Allo stesso tempo la legge, che dovrebbe proteggere le lingue minoritarie, in pratica ignora i dialetti slavi locali (i.e. Resian, Natisoniano, Luseverese, ecc.) e impone invece l'insegnamento dello sloveno, una lingua che gli abitanti non parlano né capiscono. La legge impone anche l'uso di toponimi sloveni che gli abitanti stessi non usano. Queste sono le conseguenze controintuitive della loro definizione errata di 'sloveni', e sono proprio alcune delle ragioni per cui gli abitanti contestano così fortemente la nozione che appartengono al gruppo etno-linguistico sloveno. Nonostante le proteste degli abitanti e dei loro rappresentanti, sono ancora ufficialmente considerati 'sloveni' dal governo italiano, così come dal governo sloveno e da varie organizzazioni pro-minoranza.


Un altro caso riguarda interamente la minoranza slava nelle province di Gorizia e Trieste. Molti degli sloveni che vivono vicino a Gorizia e Trieste, nella Venezia Giulia - in particolare nella zona conosciuta come il Carso o Altopiano Carsico - discendono da immigrati più recenti del XIX e all'inizio del XX secolo. Questi tendono quindi ad avere un'identità slovena più forte e ad avere un rapporto molto più antagonistico con gli italiani. Costituiscono anche il più grande sottogruppo della minoranza slovena e quindi hanno la maggiore influenza all'interno della comunità slovena, con la capacità di oscurare tutti gli altri, smorzare i gruppi dissidenti slavi (come quelli di Slavia Italiana) e requisire l'opinione pubblica e la percezione.

I presunti antenati degli sloveni fecero le loro prime incursioni in territorio italiano all'inizio del VII secolo, quando orde di slavi invasero e saccheggiarono l'Istria. Gli Slavi continuarono a fare incursioni e attacchi per tutto il VII secolo, anche saccheggiando Cividale del Friuli con gli Avari nel 610 d.C., ma non fecero alcun insediamento permanente nel territorio dell'odierna Italia fino a molto più tardi nel IX secolo. Tentarono di espandersi nel Ducato del Friuli all'inizio dell'VIII secolo, ma furono cacciati nel 720 dopo essere stati sconfitti nella battaglia di Lauriana (situata da qualche parte vicino all'attuale confine italo-sloveno). Nel 776 il re d'Italia creò la Marca del Friuli, una regione di frontiera difensiva del Regno d'Italia istituita per impedire ulteriori incursioni degli Slavi nel territorio italiano. La Marca d'Istria fu creata nel 799 per lo stesso motivo.

Nel 776-778 circa 200 famiglie di contadini slavi furono autorizzate a stabilirsi nei pressi di Cividale, e nel 799 il marchese Enrico del Friuli permise agli slavi di stabilirsi nella Valle del Natisone. Tecnicamente, questi furono i primi insediamenti permanenti degli slavi in Italia. Tuttavia questi erano insediamenti relativamente piccoli e insignificanti limitati a poche centinaia di persone. Questi, quindi, costituivano poco più che casi isolati e non possono essere considerati una migrazione generale o un insediamento di massa. Fu solo nel corso del IX e X secolo, a seguito delle incursioni magiare, che arrivarono grandi gruppi di slavi e - con il permesso dei patriarchi di Aquileia, che li aveva convertiti al cristianesimo - hanno cominciato a popolare quei villaggi di campagna e valli in Slavia italiana e Friuli orientale che abitano oggi. Gli Slavi non conquistarono questo territorio, né formarono uno stato proprio. Piuttosto, si stabilirono all'interno dei confini del Regno d'Italia, su terre che appartenevano al Friuli (una regione del Regno Italico). Furono così ospiti sul suolo italiano e divennero sudditi del Regno d'Italia e del Patriarca di Aquileia.

Con il permesso dei patriarchi di Aquileia, gli slavi della Carniola iniziarono a stabilirsi nei villaggi intorno a Gorizia nel X e XI secolo a seguito delle suddette incursioni magiare e della pace che seguì la battaglia di Lechfeld (955). L'immigrazione slava verso Trieste fu lenta e graduale; i primi nomi slavi nel Carso Triestino non compaiono fino al 1234, mentre non vi è traccia di slavi nella città di Trieste prima del XIII secolo; dopo il XIII secolo li troviamo in città solo su base individuale raro, mai come una comunità identificabile. Nella città di Trieste non si ha notizia di una popolazione slava significativa fino al XIX secolo; per molti secoli la loro presenza fu limitata a pochi villaggi nell'entroterra: si stabilirono prima nel borgo di Longera nel 1234, poi a Santa Croce nel 1260. Nello stesso secolo si stabilirono a Basovizza e San Giuseppe della Chiusa, e nel XIV secolo a Prosecco. L'immigrazione slava nei villaggi rurali continuò dopo il 1382, quando Trieste divenne un protettorato asburgico, con gli slavi che arrivarono a Contovello nel 1413.

Durante il periodo rinascimentale, i veneziani permisero più volte agli slavi di ripopolare alcuni villaggi nel Friuli orientale, in Istria e in altre aree scarsamente popolate della Repubblica di Venezia ogni volta che le popolazioni locali italiane si riducevano a causa di piaghe. Altri invece arrivarono come rifugiati in fuga dagli ottomani tra il XV e il XVIII secolo, e i veneziani generosamente concesso loro asilo come compagni cristiani. Questo è il modo in cui gli slavi sono venuti ad abitare molti dei villaggi dell'entroterra dell'Istria e della Dalmazia.

Per quanto riguarda la Val Canale, i primi coloni conosciuti in questa valle furono i Romani, che vi abitarono dal I secolo a.C. L'insediamento permanente degli Slavi in Val Canale non può essere datato in modo affidabile se non per dire che è avvenuto per la prima volta tra il VII e il X secolo d.C. Tuttavia, visto che la valle subì un'intensa colonizzazione bavarese e germanizzazione dopo l'XI secolo, la continuità tra gli invasori slavi medievali e l'attuale popolazione di lingua slovena non può essere provata. In effetti la relativa piccola presenza slovena trovata oggi in Val Canale sembra aver avuto origine soprattutto dopo il 1675, quando i possedimenti del principe-vescovo di Bamberga furono trasferiti nella Carinzia asburgica. Ciò provocò un forte declino della popolazione romanza (friulana e veneziana) e un afflusso di coloni sloveni, che insieme ai tedeschi divennero i gruppi etnici dominanti nella valle fino al 1939, quando quasi tutta la popolazione tedesca scelse di emigrare nella Germania nazista, lasciando così gli italiani come etnia predominante dalla seconda guerra mondiale. A partire dal 2000, l'80% della Val Canale è di lingua italiana; tutti e tre i centri principali della Val Canale (Tarvisio, Pontebba, Malborghetto-Valbruna) sono a maggioranza italiana. I parlanti sloveno vivono principalmente nei due località di Camporosso e Ugovizza.

Tradizionalmente, gli sloveni sono stati chiamati 'un popolo senza storia'. Per la maggior parte della storia gli sloveni che vivevano nei territori del Friuli, della Venezia Giulia e dell'Istria erano analfabeti, estremamente insulari, vivevano come contadini in villaggi di campagna remoti, lontano dai centri urbani, e non hanno svolto alcun ruolo attivo nella vita politica o culturale. Non hanno mai avuto uno Stato proprio, né una cultura propria; non hanno avuto costumi borghesi, tradizioni mercantili, classi artigiane, classi organizzate di professionisti, intelletto, né una storia distinta che fosse unicamente loro. Piuttosto, esistevano come una minoranza provinciale poco appariscente e insignificante nei paesi di altri popoli (cioè italiani e tedeschi) il cui destino hanno sempre condiviso. Per secoli italiani e slavi vissero in pace generale, ma separati l'uno dall'altro. Questo iniziò a cambiare nel XIX secolo, durante il periodo dell'impero austro-ungarico. Durante questo periodo il governo austriaco istituì scuole slovene, incoraggiò l'immigrazione nelle città italiane, e tentò di indottrinare i contadini sloveni non istruiti nelle nuove idee di nazionalismo e panslavismo, per incitarli contro la popolazione italiana che all'epoca cercava di liberarsi dal dominio austriaco e unificare l'Italia. Questo portò a tensioni etniche e ai primi grandi conflitti tra le popolazioni italiane e slovene.


Nel 1866, all'indomani della terza guerra d'indipendenza italiana, l'imperatore Francesco Giuseppe pronunciò la sua decisione di germanizzare e slavizzare con la forza le terre della corona italiana dell'Impero austriaco. In tutti i territori di lingua italiana gli austriaci promulgarono una politica di slavizzazione forzata (slovenizzazione o croatizzazione, a seconda della regione): aprirono scuole slave, insediarono slavi nei tribunali e nelle cariche governative e imposero la lingua slava, mentre allo stesso tempo chiudevano le scuole italiane, vietavano un'università italiana a Trieste, scioglievano le associazioni culturali italiane, vietavano i giornali italiani, allontanavano gli italiani dalle cariche politiche, e ad un certo punto vietavano la lingua italiana nella Dieta istriana. Molti casi di violenza slava contro la popolazione italiana furono registrati; i cognomi italiani furono forzatamente slavizzati; le elezioni furono truccate; i registri del battesimo furono falsificati. Anche il clero italiano e la gerarchia ecclesiastica furono sostituiti con sacerdoti e vescovi slavi, che erano spesso anti-italiani, sostenitori del nazionalismo slavo e fedeli alla monarchia asburgica.

Il governo austriaco tentò anche una pulizia etnica attraverso la colonizzazione interna, inviando migliaia di immigrati slavi nei territori di lingua italiana per soppiantare la popolazione nativa italiana. Il governo ha trapiantato decine di migliaia di immigrati sloveni in Istria, Gorizia e Trieste in particolare, nel tentativo di slovenizzare le città italiane. Già nel 1886 il governo locale di Trieste denunciò formalmente i tentativi del governo centrale austriaco di distruggere il carattere italiano della città. Nel 1869 la città di Trieste aveva una popolazione totale di 70.274 abitanti, ed era italiana in lingua, cultura e popolazione. Nel 1910 la popolazione è più che raddoppiata a 160.993 persone e solo il 47,71% erano nativi della città. Secondo il censimento del 1910 gli sloveni crebbero al 12,6% della popolazione della città e al 24,8% della popolazione provinciale a causa dell'ondata di immigrazione di massa, anche se circa la metà di loro emigrò a casa pochi anni dopo. Anche se si tentò di sostituire gli italiani, mai nella storia gli sloveni formarono la maggioranza a Trieste: al loro picco demografico nel 1910 erano solo il 12,6% della popolazione urbana.

Sulla scia di ciò, e incitati dagli austriaci con nazionalismo romantico, i nuovi intellettuali sloveni si convinsero che Istria, Trieste, Friuli e altre terre italiane appartenevano a loro, e cercarono di creare un nuovo paese chiamato Slovenia e di annettere tutti questi territori. Le loro speranze si infransero quando l'Italia sconfisse l'impero austro-ungarico nella prima guerra mondiale e riconquistò i suoi territori perduti (Istria, Friuli orientale, Gorizia, Trieste). In risposta al mezzo secolo di sistematica persecuzione della popolazione italiana sotto gli Asburgo, negli anni '20 del Novecento il governo italiano intraprese una serie di misure per invertire la politica austriaca di slavizzazione forzata: la lingua italiana è stata resa obbligatoria nelle scuole; l'insegnamento dello sloveno nelle scuole è stato vietato; i giornali sloveni sono stati obbligati a pubblicare testi bilingui in italiano e sloveno; e fu fatto un tentativo per ripristinare i cognomi italiani che erano stati falsificati e slavizzati sotto gli austriaci. Va notato che i cognomi slavi non erano forzatamente italianizzati; al contrario, proprio come in Alto Adige, agli abitanti fu concessa l'opzione di ritornare volontariamente ai loro cognomi slavizzati nelle forme originali italiane. Queste misure - volte a invertire la vecchia politica austriaca e a riportare la cultura italiana al suo posto nei territori che storicamente appartenevano all'Italia - erano infatti molto più blande delle politiche aggressive di sostituzione etnica intraprese da slavi e austriaci contro la popolazione italiana nei decenni precedenti.

Nel 1927 un gruppo di slavi formò un gruppo terroristico antifascista e anti-italiano chiamato TIGR. Hanno effettuato diversi attentati e omicidi in Italia con l'obiettivo di annettere Trieste, Istria, Gorizia e Fiume alla Jugoslavia. Questo gruppo era allineato con i comunisti ed era sostenuto dai servizi segreti jugoslavi e britannici. Molti membri del TIGR in seguito si unirono ai partigiani jugoslavi. Durante la seconda guerra mondiale gran parte della minoranza slovena sostenne il comunismo e accolse i comunisti jugoslavi come 'liberatori'. Quando i partigiani di Tito occuparono Trieste e iniziarono a commettere massacri e persecuzioni, molti sloveni che vivevano nei villaggi limitrofi aiutarono gli jugoslavi a dare la caccia agli italiani e agli anticomunisti. Alla fine della guerra, la maggior parte degli sloveni che vivevano in Italia fece una campagna per l'annessione delle province orientali italiane alla dittatura comunista della Jugoslavia.

Dopo la fine della guerra, quando furono tracciati i nuovi confini, tutto questo fu convenientemente dimenticato: gli sloveni rimasti sul lato italiano del confine affermarono di essere vittime innocenti dell'aggressione e della persecuzione fascista, e hanno difeso la loro partecipazione alle attività terroristiche sostenendo che avevano aiutato nella liberazione dell'Italia dal fascismo. Questa visione è ancora oggi condivisa dalla storiografia mainstream, che è desiderosa di rappresentare l'Italia nella peggiore luce possibile a causa della sua associazione tabù con il fascismo, e a causa della logica insane che tutte le minoranze etniche e gruppi antifascisti devono essere difesi a tutti i costi, anche a spese di onestà e fatti storici. La politica di slavizzazione forzata nel 1866-1918 e la persecuzione degli italiani da parte di austriaci, sloveni e croati durante il periodo austro-ungarico, che influenzò notevolmente la politica del governo italiano tra le guerre mondiali, è spesso nascosto o omesso dal discorso popolare. In effetti l'intera storia che precede l'avvento del fascismo è generalmente ignorata perché è in conflitto con la narrazione degli sloveni come vittime dell'oppressione italiana.

Oggi la minoranza slovena in Italia è tutelata dalla legge, e il governo italiano è pienamente impegnato a far rispettare il mito del multiculturalismo, anche se la cultura e la civiltà di questa regione è sempre stata italiana. La popolazione italiana è costretta a tollerare questa politica, e deve soddisfare gli sloveni a causa del loro status di minoranza protetta. Nel frattempo, molti sloveni in Italia - soprattutto quelli della Provincia di Trieste - sono agitatori politici e sono ancora attaccati al loro passato comunista: si riferiscono ai membri del TIGR come "combattenti per la libertà" e continuano a celebrare in onore dei terroristi nazionali; tengono regolarmente celebrazioni per i partigiani jugoslavi; molti sono negazionisti che negano la storicità dei massacri delle Foibe (in cui migliaia di civili italiani sono stati assassinati dagli jugoslavi) o cercano di mitigarli o giustificarli; hanno spesso profanato monumenti italiani con graffiti e simboli comunisti; nel 2009 un gruppo di sloveni ha manifestato a Trieste con bandiere slovene e striscioni comunisti; nel 2013 e 2014 molti sloveni hanno partecipato a manifestazioni a sostegno della MTL, un gruppo secessionista a Trieste guidato da un collaboratore dei servizi segreti sloveni (una parte considerevole dei loro sostenitori sono minoranze slovene che vivono in periferia vicino a Trieste). Il 1º maggio 2016 un gruppo di sloveni ha nuovamente manifestato a Trieste con bandiere slovene e striscioni comunisti jugoslavi. L'indomani vandalizzarono una fontana sulla collina di San Giusto a Trieste. Se ciò non bastasse, un politico sloveno che attualmente ricopre cariche politiche a Trieste è anche segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista. Incidenti come questi sono diventati relativamente comuni.

Secondo il censimento etno-linguistico del 1971, gli sloveni nella città di Trieste contavano 15.564 persone (il 5,7% della popolazione), mentre gli italiani erano 254.257 (il 93%). Oggi la percentuale di sloveni a Trieste è ancora più bassa, anche se non si conosce il numero preciso perché i rappresentanti della minoranza slovena sono strenuamente contrari ad un censimento etnico o linguistico. Lo stesso censimento del 1971 riporta che gli sloveni della Provincia di Gorizia erano 10.533 (7,4%) contro 131.879 italiani (92,6%). In Provincia di Udine si contano 16.935 sloveni (3,3%) contro 499.975 italiani (96,7%). Complessivamente nella regione Friuli-Venezia Giulia gli sloveni sono stati il 52.174 (pari solo al 5,4% della popolazione), mentre gli italiani sono stati il 907.451 (94,5%). Nonostante Gorizia e Trieste non siano mai state città slovene, nonostante nessuna delle terre friulane sia mai appartenuta alla Slovenia, e nonostante gli antenati degli sloveni siano arrivati in Italia prima come invasori e poi come ospiti sul suolo italiano, i nazionalisti sloveni e i comunisti continuano ad affermare che queste terre appartengono a loro. Nonostante abbiano diritti senza precedenti e privilegi speciali concessi loro, e nonostante siano ufficialmente protetti dallo Stato, molti sloveni persistono nell'essere apertamente anti-italiani e agitatori politici. Ciò ha naturalmente portato ad un'accelerazione delle tensioni etniche, che ancora oggi persistono tra italiani e sloveni.


II. Croato molisani

I croati molisani arrivarono in Italia all'inizio del XVI secolo a seguito dell'espansione ottomana nei Balcani. Quando i turchi invasero il territorio slavo, circa 7.000-8.000 slavi fuggirono in Italia, dove gli fu dato rifugio e permesso di stabilirsi nella regione italiana del Molise (allora parte del Regno di Napoli). Tra questi slavi c'erano anche un certo numero di valacchi che in seguito furono assorbiti nella popolazione slava. Non si conoscono le loro origini precise; tutti gli studiosi, tuttavia, concordano sul fatto che i loro antenati provengano da qualche parte della Dalmazia. Originariamente si stabilirono in quindici villaggi del Molise, ma oggi ne rimangono solo tre: Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise. Storicamente parlano un dialetto slavo meridionale noto come croato molisano o slavomolisano, che chiamano na-našo (“la nostra lingua”), ma solo la metà della popolazione lo parla ancora. La maggior parte dei croati molisani lasciarono l'Italia nel XIX e XX secolo ed emigrarono in Australia, Canada e Stati Uniti. I croati molisani oggi sono circa 2.000.

La denominazione "croati del Molise" è un esonimo relativamente recente che risale solo al XIX secolo, e solo nel 1999 i governi italiano e croato decisero congiuntamente di designarli ufficialmente come "minoranza croata". In passato, la popolazione si identificava semplicemente come slavi o schiavoni (Sklavuni, Skiavuni, Scavuni) e non croati. Nonostante questo nuovo etnonimo imposto dal governo, molti di loro si considerano italo-slavi o italiani di lingua slava e fanno una distinzione tra loro e i croati dell'odierna Croazia. Uno studio genetico di Boattini et al. (2011) ha rilevato che i cosiddetti croati del Molise mostrano una significativa commistione sia da parte degli italiani che da parte dei croati, e quindi sembrano essere un miscuglio dei due gruppi.

domenica 31 agosto 2025

Comunità degli Italiani del Montenegro

La Comunità degli Italiani del Montenegro (CI) è stata fondata nel 2004 a Cattaro, come un’organizzazione non governativa, da parte di un gruppo di entusiasti con lo scopo di radunare tutti gli Italiani in Montenegro e salvaguardare l'identità nazionale, culturale e linguistica italiana.


Il logo della comunità 


Un'immagine simbolo della comunità

La comunità è stata costituita, non per caso, proprio a Cattaro. I legami tra Cattaro, le Bocche di Cattaro e l’Italia sono sempre stati molto forti attraverso i secoli. Cattaro e le Bocche di Cattaro facevano parte della provincia romana Dalmatia, poi Cattaro ha condiviso circa 400 anni della storia comune con Venezia, dal 1420 quando i cattarini hanno cercato ed ottenuto la protezione della Repubblica di Venezia, fino al 1797, alla caduta della Serenissima, quando i perastini giurarono fedeltà a Venezia con il motto "Ti con Nu Nu con Ti" e seppellendo l'amatissimo gonfalone per non farlo cadere in mani austriache.

Dopo la caduta della Serenissima, la città italiana di Trieste ha assunto il primato ed è diventata una delle città con la quale i dalmatini e i montenegrini hanno avuto rapporti nel XVIII e nel XIX stabilendo rapporti sia economici che politici.

Nella prima metà del XIX, la città di Trieste rappresentava per il Montenegro il nesso principale con il mondo occidentale, soprattutto con l’avviamento del traffico regolare e con la nave a vapore Trieste - Cattaro nel 1838. Inoltre, l’Italia e il Montenegro sono particolarmente collegati tramite la casa reale montenegrina, la regina Elena di Savoia, figlia del re montenegrino Nicola I, era la moglie di Vittorio Emanuele III e la madre di Umberto II. 

Nonostante la seconda guerra mondiale l’Italia non è stata percepita come paese nemico, soprattutto nelle Bocche di Cattaro.

Oggi il rapporto tra il Montenegro e l’Italia, tra Montenegrini e Italiani è molto positivo. Grazie a questo clima favorevole c’è un flusso intenso di scambio culturale ed economico.

Grazie all’ambiente favorevole, ma anche all’impegno dei propri soci ed alle proprie attività, la CI sta continuando a crescere ed ha raggiunto 630 soci, dei quali 438 di popolazione autoctona con origine italiana, e 192 membri che amano ed apprezzano la lingua e la cultura italiane.

La CI fin dalla sua costituzione collabora con la Regione Veneto, la Regione FVG, l’Università Popolare di Trieste, Ente morale delegato dal Ministero degli Affari Esteri per l’attuazione del sostegno alla CNI da parte dello Stato italiano, l'Ambasciata d'Italia in Montenegro e le autorità locali.

Tra le iniziative formative la più importante anche oggi è l'organizzazione di corsi gratuiti di lingua italiana in Montenegro. L'attività formativa iniziata nel 2004 ed istituita con la nascita della Comunità. Nel corso degli anni sono stati organizzati più di 270 corsi gratuiti di lingua italiana in Montenegro. A questi corsi hanno partecipato in totale circa 6.400 allievi. Un risultato grandissimo se consideriamo che il Montenegro ha circa 670.000 abitanti.

In collaborazione con la RV sono stati organizzati importanti corsi formativi: la lavorazione del merletto veneziano, il corso di lavorazione del merletto veneziano con filati preziosi, il corso di lavorazione degli oggetti in vetro di Murano, il corso di lavorazione delle perle veneziane, il corso di lavorazione dei vecchi costumi veneziani, il corso di lavorazione delle maschere veneziane, la lavorazione e la riparazione di gioelli d’oro, il restauro delle due reliquie appartenenti alla Cattedrale di San Trifone, i corsi di enogastronomia, realizzati più volte in Montenegro e Italia.

In collaborazione con la Regione FVG sono stati organizzati diversi corsi di formazione, fra i quali la lavorazione del merletto di Gorizia, la promozione degli alberghi diffusi, l’addestramento degli operatori marittimi,l'addestramento per le guide turistiche, il progetto realizzato con il Ministero del Turismo di Montenegro, il corso glottodidattica per i professori di lingua italiana, il corso di europrogettazione a Trieste per i membri della Comunità.

Oltre alle attività formative la CI si occupa del recupero e della tutela del patrimonio culturale ed artistico italiano sul territorio montenegrino, sempre in collaborazione con la Regione Veneto. In 5 anni sono stati realizzati i lavori di restauro dei tre di cinque importanti rilievi con la rappresentazione del leone marciano, sul bastione Vellier, sulle mura vicino alla Porta Marina e sulle mura sopra iI fiume Scurda. Inoltre, sono state restaurate tre porte del centro storico, Porta Nord, Porta Sud e la porta principale-Porta Marina.

Con i fondi della Regione FVG la CI ha realizzato il programma della manutenzione delle vecchie tombe delle famiglie italiane nel cimitero di Cattaro.

Nell'ambito dello scambio e la cooperazione culturale fra Italia e Montenegro, in collaborazione con la Regione FVG e UPT, sono stati organizzati eventi straordinari, partendo dalle mostre di Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Ugo Giletta a Cattaro e vari concerti dei gruppi italiani che portavano la musica italiana in Montenegro.

Inoltre, si è fatto un lavoro straordinario umanitario grazie al quale, con sostegno della RFVG e RV, sono state consegnate donazioni (circa 300.000,00 euro) a molte istituzioni montenegrine, soprattutto agli ospedali tra cui I'Ospedale Generale a Cattaro, I'Ospedale psichiatrico a Cattaro, I'Ambulatorio a Teodo e molti altri.

Nell'ambito dell'iniziativa umanitaria, avviata dalla Comunità degli Italiani di Montenegro per dare aiuto alle Regioni colpite dal terremoto in Italia Centrale nel 2016, il Comune di Cattaro, il Comune di Teodo, il Porto di Cattaro, diverse ditte montenegrine ed organizzazioni non governative, come anche membri della Comunità, dai suoi fondi , tramite CI hanno versato la somma pari a 32.388,35 euro sul conto delle Poste Italiane, in collaborazione con Croce Rossa Italiana.


La comunità ha anche stretto rapporti con l'Associazione maggiore degli Esuli Istriani, l'Unione degli Istriani 


MEMBRI

Tutte le persone giuridiche e le persone fisiche possono essere membri dell’Associazione, qualora approvino gli obiettivi e le attività definite dallo Statuto dell’Associazione, e su presentazione di uno dei membri. La Comunità degli Italiani del Montenegro accoglie fra i propri membri la popolazione autoctona con origine italiana o semplicemente legate all'Italia, ma anche tutti coloro che danno il proprio contributo alle attività della Comunità e alla realizzazione delle finalità e dei compiti che si è prefissa ai sensi dello Statuto.


sabato 30 agosto 2025

Cattedrali, Concattedrali ed Ex Cattedrali in Venezia Giulia e Dalmazia

Cattedrali
Cattedrale di Gorizia 

Cattedrale di Trieste 

Cattedrale di Capodistria

Cattedrale di Ragusa di Dalmazia 

Cattedrale di Lesina

Cattedrale di Veglia 

Cattedrale di Fiume

Cattedrale di Sebenico

Cattedrale di Spalato 

Cattedrale di Zara

Cattedrale di Cattaro

Cattedrale di Budua

Cattedrale di Parenzo 

Cattedrale di Antivari 

Concattedrali 

Concattedrale di Segna

Concattedrale di Pola

Concattedrale di Nuova Gorizia - Nova Gorica (1982)

Concattedrale di Spalato (1979)

Concattedrale di Antivari (2006)

Le ultime tre concattedrali non c'entrano assolutamente nulla con la cultura italiana delle terre giuliano-dalmate, le foto sono state aggiunte solo per completare la lista.

Ex cattedrali 

Ex cattedrale di Curzola 

Ex cattedrale di Ossero

Ex cattedrale di Arbe

Ex cattedrale di Pedena

Ex cattedrale di Cittanova d'Istria 

Ex cattedrale di Scardona

Ex cattedrale di Nona

Ex cattedrale di Macarsca

Ex cattedrale di Traù 

Canzoni

Terra Rossa - Ultima Frontiera 




























venerdì 7 febbraio 2025

I conti Borelli


Francesco Borelli Conte di Vrana è stato uno dei personaggi più importanti della Dalmazia, a cavallo della metà del XIX secolo. Nato a Zara nel 1811, apparteneva ad una delle famiglie più nobili della Dalmazia, si stabilirono nell'Adriatico orientale nel XVIII secolo, che con diversi matrimoni era variamente imparentata con diverse altre notabili famiglie locali. 

Il primo Borelli che arrivò in Dalmazia fu un Bartolomeo Borelli, nato a Bologna nel 1674. Comandante della fortezza di Tenin per la Repubblica di Venezia, sposò una certa Maria Vicencidena, dalla quale ebbe cinque figli, morendo in Dalmazia nel 1736. Il figlio Francesco (1704-1762) fu il primo conte di Vrana. 

Francesco Borelli fu il padre di Andrea (1758-1816), che a sua volta fu padre di Francesco Borelli.

Francesco Borelli fu noto anche per un motivo specifico, legato alla storia politica della Dalmazia. Quando attorno alla metà dell'Ottocento nacque fra i croati il movimento che puntava all'unificazione delle terre considerate croate in un'unica entità politica, la Dalmazia e la Croazia appartenevano a due territori distinti, fra quelli soggetti agli Asburgo. Il Regno di Croazia e Slavonia era autonomo e così era autonomo anche il Regno di Dalmazia. 

Questa separazione aumentò a seguito dell'accordo fra Impero d'Austria e Regno di Ungheria (Ausgleich, 12 giugno 1867), in base al quale la Dalmazia apparteneva alla cosiddettta Cisleitania (la parte austriaca dei territori degli Asburgo), mentre la Croazia apparteneva al Regno di Ungheria, e quindi alla cosiddetta Transleitania. I croati però non ci stavano, e iniziarono a fare pressioni sulla Corona per unire la Dalmazia alla Croazia. Convocato alla fine del maggio 1860, il Consiglio dell’Impero operò fino al 28 settembre dello stesso anno. All’interno del Consiglio erano prevalenti i cosiddetti «federalisti», coloro che «desideravano un decentramento del potere statale e il rispetto delle “individualità storicopolitiche dei paesi della monarchia”». Erano d’orientamento federalista i rappresentanti della Boemia, del Tirolo, della Croazia e i conservatori legittimisti ungheresi e polacchi. 

Nell’ambito delle discussioni che si ebbero nel Consiglio, venne posta apertamente da parte dei consiglieri croati la questione dell’unione della Dalmazia, provincia dell’Austria, alla Croazia, parte del Regno d’Ungheria. Il rappresentante della Dalmazia - membro del partito autonomista - era proprio Francesco Borelli, che fra il 1841 e il 1843 era anche stato podestà di Zara. Egli si oppose ad ogni idea di unione dalmato-croata, affermando che non esisteva alcun diritto storico croato a tale riguardo, poiché la Dalmazia si era concessa spontaneamente alla sovranità asburgica al momento della scomparsa della Repubblica di Venezia nel 1797. Borelli chiese che la futura costituzione austriaca prevedesse l’autonomia del Regno della Dalmazia all’interno dell’Impero asburgico. 

Fece scalpore a suo tempo il passaggio del figlio di Francesco - di nome Manfredo, che si faceva anche chiamare Manfred Borelli Vranski (1836-1914) - al partito opposto rispetto a quello di suo padre, cioè al Partito Nazionale croato. 

Stando alla stampa dell'epoca, quando Manfredo Borelli morì, a Zara l'intera classe dirigente locale (compattamente filoitaliana) si rifiutò di partecipare alle esequie, ritenendo Manfredo un traditore. 

Nelle elezioni della Dieta del 1867, Manfredo Borelli era presidente di seggio. Si recò al voto suo padre Francesco. La legge prevedeva che il presidente potesse riconoscere chi si recava a votare, ed in tal modo l'elettore poteva non presentare i propri documenti. Manfredo affermò di non conoscere suo padre. 

Manfredo Borelli e il Partito Nazionale chiusero tutte le scuole pubbliche in lingua italiana, anche dove - come a Spalato gli italiani erano diverse migliaia. Quindi impedirono agli italiani della Dalmazia di ricevere un'educazione scolastica nella propria lingua materna. Tanto che le scuole che aprirono in seguito furono solo quelle private della Lega Nazionale, che peraltro subirono diverse vessazioni (scolari picchiati, vetri e insegne distrutte, minacce alle famiglie che iscrivevano i figli alle scuole italiane, ecc.). L'unica città di tutta la Dalmazia che dopo il 1880 mantenne scuole pubbliche in lingua italiana fu Zara, perché la maggioranza del Consiglio Comunale della città rimase in mano al partito autonomista. L'obiettivo del Partito Nazionale fu quello di eliminare completamente l'italiano in Dalmazia, non riconoscendo l'esistenza di italiani in Dalmazia. Cosa che venne affermata decine di volte, fra il 1870 e il 1915. E che ancora oggi si continua ad affermare ("gli italiani non esistono").

Non è vero che i comuni potessero aprire scuole in una sola lingua. Ci sono state scuole popolari miste con sezioni italiane e sezioni croate sia in Istria che in Dalmazia. Ma quando il Partito Nazionale è arrivato al potere, ha chiuso tutte le scuole italiane. Tutte, nessuna esclusa. In tutta la Dalmazia. Ha impedito la creazione di sezioni in lingua italiana, anche in presenza di raccolte di firme con centinaia di sottoscrizioni dei capifamiglia. II Partito Nazionale ha prima teorizzato e poi perseguito la croatizzazione di tutti i dalmati. E quelli che si dichiaravano italiani erano falsi italiani. L'unico comune che resistette fu Zara. Dove esistevano scuole in lingua italiana e in lingua croata, anche se la maggioranza in consiglio comunale fu sempre italiana, fino al crollo dell'impero.

martedì 10 dicembre 2024

Provenienza degli immigrati prima della guerra

Il maggior contributo di uomini era dato prima della guerra, dal Goriziano, dall'Istria e dalla Carniola. Tutte le località situate entro un raggio di 40 chilometri da Trieste appartenevano ad uno di questi paesi, e da esse proveniva circa la metà degli immigranti di cittadinanza austriaca.

Il tributo di uomini dell'Istria era per qualità e per quantità assai importante. Gli istriani che venivano a Trieste appartenevano in buona parte alla fiera e italianissima gente delle città e dei borghi, che diede in ogni tempo uomini eccellenti nelle arti, nelle scienze, nelle professioni liberali e nei commerci. Essi furono i creatori e gli animatori della marina mercantile di Trieste, e diedero un'impronta decisiva alla vita politica ed economica della città.

Fra le provincie dell'Austria non confinanti col comune primeggia la Carniola, che includeva territori oggi compresi nelle provincie di Trieste, di Gorizia e del Carnaro, nonchè altri appartenenti alla (ex) Jugoslavia. Essa forniva sopratutto braccianti e ferrovieri, e, come risulta dalla forte eccedenza di femmine fra i pertinenti a questo paese, numerose persone di servizio.

Dalla Carinzia provenivano specialmente cameriere, cuoche e governanti; invero, fra i pertinenti alla Carinzia residenti a Trieste vi erano, nel 1900, circa 226 femmine per 100 maschi, eccedenza che non si verifica negli immigrati dalle altre regioni del retroterra.

L'immigrazione dalla penisola italiana era, anche prima della guerra, molto forte, e proveniva specialmente dal Veneto (muratori, artigiani, venditori ambulanti, bambinaie, domestiche) e dalle Puglie (marittimi, venditori ambulanti, vinai ecc.). Negli anni immediatamente successivi all'armistizio, l'immigrazione da queste provincie e dal resto del Regno ricominciò con maggiore intensità, ma con un carattere alquanto diverso (ferrovieri, funzionari statali, insegnanti, avvocati, medici). (Fig 7)



Lingua parlata dagli immigranti. 

Risultati dei censimenti

Che lingua parlava questa gente al momento dell' immigrazione? Mentre è certo che dalla Carniola venivano esclusivamente Sloveni, dalla Carinzia e dalla Stiria Tedeschi e Sloveni, dal Veneto e dal Trentino solo Italiani, non è facile valutare la proporzione di Italiani e di Slavi fra gli immigranti dall'Istria, dalla Dalmazia e dal Goriziano. Come fu accennato, gli istriani che si trovano a Trieste sono in buona parte oriundi dalle città e dalle borgate maggiori, e queste sono ed erano italiane. Il Goriziano comprendeva zone completamente italiane (pianura e collina) e zone slave (zona alpina e carsica).

La Dalmazia mandava specialmente italiani (Zara, Spalato, Ragusa, Sebenico).

Nonostante la forte immigrazione di alloglotti, favorita in ogni modo dall'Austria negli anni che precedettero la guerra, la proporzione di abitanti che dichiararono nei censimenti di parlare italiano non solo non diminuì ma andò sempre aumentando.

Nel censimento comunale del 1875 ed in quello italiano del 1921 si chiese ai censiti la lingua parlata in famiglia; nei censimenti austriaci si chiedeva invece la lingua d'uso (Umgangssprache). I confronti sono resi difficili, più che da questa diversità di criteri, dal fatto che nelle rilevazioni del 1875 e 1921 il quesito riguardante la lingua fu rivolto a tutti i cittadini, ed invece nei censimenti del 1869, 1880, 1890, 1900 e 1910 ai soli cittadini austriaci. Ma poichè l'unica lingua che, dopo l'italiana, abbia una certa diffusione nel Comune è la slovena, (i cittadini esteri di lingua slovena e serbo-croata furono sempre in numero trascurabile), ci siamo limitati a calcolare la percentuale di persone che dichiararono di parlare, in famiglia o usualmente, lo sloveno ed il serbo-croato, sul totale degli abitanti. (Tav. 10)



Successivo assorbimento dei villaggi periferici nel nucleo urbano

Intorno al 1875 gli immigranti affluivano quasi tutti nella città, mentre il territorio (suburbio e altipiano) manteneva il suo carattere rurale. (Tav 11)


In quest'epoca anche le borgate del suburbio (Barcola, Gretta, Roiano, Scorcola, Guardiella ecc.) erano dei villaggi staccati dal nucleo urbano ed abitati da contadini in prevalenza slavi. Coll'espandersi della città queste borgate vennero ad essere congiunte da una zona più o meno fittamente fabbricata, al centro, tanto che con la legge del 1/4/1882 esse vennero aggregate in parte ai distretti urbani, che mantennero i vecchi nomi. In seguito, mentre al centro lo sviluppo demografico si arrestava, l'inurbamento delle campagne confinanti con la città si accentuava con la costruzione di case d'affitto, di strade e linee tramviarie. Così da un lato il più intimo contatto con la città trasformò in breve le famiglie di tipo rurale e di lingua slava in famiglie di tipo quasi cittadino e di lingua italiana; d'altra parte le case d'affitto vennero occupate da gente venuta da altre città o da altri distretti, e specialmente dalle case del centro, ove gli uffici andavano sempre più sostituendosi alle abitazioni, dando luogo alla formazione di un centro d'affari.

Il ciclo di trasformazione dei sobborghi non è ancora compiuto: infatti alla periferia si trova oggi una zona d'aspetto rurale, la cui popolazione non ha un carattere professionale bene definito: sono operai e muratori che possiedono un campo, orticoltori e fioricoltori che all'occasione fanno i braccianti o i carrettieri; agricoltori le cui mogli fanno le lavandaie, e via dicendo. Invece la trasformazione linguistica è praticamente compiuta, perché la grande maggioranza delle famiglie del suburbio parla l'italiano. La città, che durante la dominazione austriaca aveva saputo conservarsi italiana nella lingua e nell'animo nonostante l'ininterrotto afflusso di stranieri, ha facilmente assimilato gli ultimi nuclei slavi, una volta cessate le migrazioni dal Nord.

Fonte: La popolazione di Trieste, P. Luzzatto-Fegiz, Trieste 1929/VIII, Istituto statistico economico