domenica 18 febbraio 2024

VIVEVAMO A FIUME FIERI DELLA NOSTRA ITALIANITÀ, E PER QUESTO GLI SLAVI CI PORTARONO VIA TUTTO"

"Vivevamo in pace fieri di essere italiani, perché tale mi sono sempre considerata anche se il dialetto fiumano, che somiglia tanto al veneto, era di fatto la nostra seconda lingua".


"E abbiamo continuato a vivere in pace anche durante il fascismo fino a quando, durante l'occupazione degli alleati, diventammo terra di nessuno. Ci sentivamo italiani a tutti gli effetti ma non sapevamo nulla sulla nostra sorte".


Poi gli slavi entrarono a Fiume.


"Ci portarono via tutto, casa e beni. Eppoi assistevamo alle ritorsioni da parte di quegli stessi slavi che, fino al giorno prima, attraversavano il confine per venderci i prodotti delle campagne. A pagare il prezzo più alto furono gli ex funzionari dello Stato. Ma il massacro delle foibe messo in atto dai partigiani titini colpiva indistintamente anche solo come rivalsa verso l'italianità". 


"Un nostro cugino, l'ex carabiniere Corrado Smaila, tornato in Istria dalla guerra fu un giorno convocato dalle autorità e sparì. Fu gettato in una foiba".


Poi l'inevitabile esilio, ed il viaggio su uno dei treni che trasportavano migliaia di profughi istriani nel campo di raccolta di Lucca. 


"La cosa più amara fu vedere l'atteggiamento di disprezzo da parte di quei comunisti italiani che consideravano i profughi fascisti per il solo fatto di aver voltato le spalle al paradiso comunista di Tito. Alla stazione di Bologna impedirono che venissero dati acqua e viveri ai nostri bambini".


— Giuseppina (Mary) Nacinovich (Fiume, 17.3.1926 - Verona, 25.11.2021), madre di Umberto Smaila.

venerdì 16 febbraio 2024

La battaglia del Peristilio (Spalato)

Frane Bulic. Nacque a Vragnizza, presso Spalato, il 4 ottobre 1846. Fu avviato agli studi ecclesiastici, compiuti a Spalato e a Zara. Poi studiò a Vienna filologia classica e slavistica, archeologia ed epigrafia. Visse sempre in Dalmazia, dedito all'insegnamemo (dal 1863 al 1895 preside del ginnasio-liceo di Spalato) e alle indagini archeologiche di Salona e del palazzo di Diocleziano. Nominato conservatore dei monumenti archeologici e direttore del museo archeologico, iniziò (1884) la pubblicazione di un Bollettino di archeologia e storia dalmata in lingua italiana, che continua a uscire in veste slavizzata. Scrisse fra l'altro una Cronotassi dei vescovi salonitani con aggiunta una Cronotassi degli arcivescovi spalatini (1913); Diocleziano (1916): Stridone, patria di S. Girolamo (1920), e un volume riassuntivo sul palazzo di Diocleziano a Spalato (1929). Si occupò anche della storia dei re croati medievali e scrisse: Hrvatski spomenici u kninskoj okolici iz doba narodne dinastije (I monumenti croati dei dintorni di Tenin all'epoca della dinastia nazionale, 1885).


Fu eletto, per lunghi anni, consigliere municipale, deputato provinciale e anche deputato alla camera di Vienna (1907). In tali cariche avversò gl'Italiani e l'Italia. Fu mandato a Parigi durante la conferenza della pace per combattere le aspirazioni italiane del Patto di Londra; tutelò invece il patrimonio storico-archeologico, latino e italiano, della Dalmazia.

Come vedremo in seguito, Bulic nonostante fosse avverso agli italiani e all'Italia, stranamente difendeva il patrimonio italiano della Dalmazia. Una grande contraddizione per un croato di quel tempo.

IL PALAZZO DI DIOCLEZIANO DI SPALATO: I PROBLEMI SULL'AMBIENTAMENTO DEI NUOVI MONUMENTI CELEBRATIVI (1929) LA LOTTA PER LA CROATICITÀ AI DANNI DELLA MILLENARIA CULTURA DALMATA

L'importanza attribuita al palazzo di Diocleziano da parte della Cultura internazionale pose l'Amministrazione comunale di Spalato di fronte ad una serie di problemi relativi al posizionamento nel Peristilio della statua di "Gregorio di Nona" gratuitamente realizzata dallo scultore Ivan Meštrović. Sul giornale spalatino Nova Doba la polemica infuriò per settimane nel 1929 da parte di Conservatori (tra i quali Frane Bulic) e Innovatori, aprendo un interessante e paradigmatico dibattito sul rapporto tra Antico e Nuovo negli ambienti storici. La polemica non mancò di ammantarsi anche di motivi nazionalistici, che, rimasti sullo sfondo, finirono per rinfocolare gli animi e portare, infine, a quella collocazione.

I. Una questione 'jugoslava' di rapporto tra Nuovo e Antico: la statua di Gregorio di Nona nel peristilio del Palazzo di Diocleziano

Nel 1929 l'ambiente culturale spalatino venne scosso dalla polemica sul posizionamento nel Peristilio del Palazzo di Diocleziano della statua dedicata al vescovo Gregorio di Nona, realizzata dallo scultore Ivan Meštrović e fortemente voluta dall'Amministrazione comunale di Spalato.

A Spalato quel monumento al vescovo Gregorio di Nona veniva ad avere valenze ben più complesse e di rilevanza internazionale, non solo perché il personaggio storico veniva letto con diverse rilevanze, da parte italiana o jugoslava, ma soprattutto per la delicatezza ambientale del Peristilio dell'antico Palazzo di Diocleziano. E, dunque, anche lo stesso milieu culturale spalatino, oltre che i Conservatori jugoslavi, non potevano che spaccati e dibattere sull'opportunità dell'iniziativa.

Il motivo politico di quel posizionamento era spiccato poiché una precisa campagna giornalistica, da parte dell'Amministrazione cittadina 'jugoslava' e da parte dell'intellighenzia, aveva veicolato l'idea che, nell'Alto Medioevo, il Vescovo fosse stato un campione della Croaticità, poiché aveva diffuso l'uso della lingua serbo-croata a caratteri glagolitici nella liturgia rispetto al Latino, per venire incontro alle esigenze delle classi meno abbienti. Naturalmente Alessandro Dudan non la pensava affatto così e da parte italiana si sottolineava, piuttosto, il valore del Vescovo come colui che aveva acculturato il popolo e lo aveva difeso dai pagani; ma tant'è, il motivo politico della nuova Amministrazione spalatina aveva preso il sopravvento, intendendo porre in un luogo sacro della «Latinità» come il Peristilio, un segno tangibile della 'riscossa jugoslava', dopo che, con l'estensione del diritto di voto ai ceti piccolo borghesi della città e soprattutto del contado urbanizzato, l'alta borghesia e l'aristocrazia 'italofone', che abitavano la città vecchia, erano andate in minoranza e si era registrato un netto cambiamento negli equilibri etnico-amministrativi della città, dopo l'ultima Amministrazione italiana del sindaco Antonio Bajamonti, celebrata da Alessandro Dudan. Il concetto infatti non era quello di una 'Spalato per tutti' e di un'Amministrazione che rispondesse alle richieste della Cittadinanza nella sua interezza, ma si continuava a distinguere tra vecchi abitatori e nuovi arrivati, tra Amministrazione comunale Italiana e Amministrazione comunale jugoslava.

I motivi nazionalistici del dibattito sul posizionamento della nuova statua monumentale di Gregorio di Nona venivano dunque sottintesi sia da parte italiana - dove si gridava allo scandalo per una collocazione così invasiva - sia da parte jugoslava, tentando, in più, di spostare la polemica sul dibattito tra Nuovo e Antico. Così facendo però le posizioni avevano finito per sparigliarsi all'interno del 'fronte jugoslavo' e a Spalato si era aperta una polemica interna del tutto inaspettata che, nata come priva di connotazioni nazionalistiche (nessuno degli intellettuali coinvolti metteva in discussione la ormai avvenuta croatizzazione dell'Amministrazione e della cultura cittadine), si incentrava proprio sulla liceità, o meno, di quell'inserimento dal punto di vista dell'impatto storico. Anche se poi le questioni nazionali finivano, ancora una volta, per riemergere, facendo sottintendere che chi era contrario alla collocazione e chiedeva il parere di intellettuali non spalatini, veniva sospettato di intenti internazionalistici, anti-jugoslavi se non, addirittura, di indebite relazioni con i «nemici» (gli italiani e l'Italia).

Peraltro, non era l'unico caso di 'nazionalizzazione jugoslava' delle piazze spalatine e Dudan lamentava anche l'apposizione ormai avvenuta: « del busto marmoreo del poeta Botich, che deturpa la bella piazza delle procuratie bajamontiane... un poeta croato Botich (ma Botta è nome di famiglia frequente a Spalato), orribile e indegna opera giovanile dello scultore Mestrovich. »

Per quanto riguardava la statua di Gregorio di Nona la questione assumeva, però, ben altro rilievo internazionale, toccando aspetti di natura più propriamente conservativa. E il giornale spalatino «Nova Doba» si rendeva disponibile ad ospitare le principali voci che alimentavano la complessa polemica.

Toccava ad Ivo Tartaglia (di famiglia italiana ma di sentimenti croati), peraltro molto informato sulle questioni amministrative e procedurali, mettere in evidenza le ragioni dell'Amministrazione, motivando posizioni e scelte:

«La decisione di Ivan Meštrović e del Comune di Spalato di collocare il monumento a Gregorio da Nona sul Peristilio, davanti al Protiron, ha diviso la cittadinanza spalatina, o meglio i suoi intellettuali, in due fazioni. Nella prima fazione ci sono quelli convinti che il monumento di Meštrović rafforzerà ulteriormente l'armonia e collegherà l'unicità di opere risalenti a epoche e stili differenti che compongono l'odierno Peristilio di Diocleziano a Spalato, mentre ora, calmi e pazienti, attendono di vedere l'effetto che il monumento produrrà sul Peristilio, per poter quindi prendere la decisione se lasciarvi il monumento, oppure trasferirlo in qualche altra parte più adatta. L'altra fazione è composta da quei battaglieri teorici e intellettuali dogmatici, che per principio sono contrari alla sistemazione del monumento di Meštrović nel Peristilio, perché apparentemente già vedono e sanno che questo susciterà la disarmonia nell'unicità architettonica e artistica dell'odierno complesso. Questa fazione, capeggiata da tutti i conservatori di antichità, dagli architetti agli ingegneri, autentici e sinceri estimatori della grande arte di Meštrović, nonché dai professori amanti delle antichità romane, ha sviluppato una grande azione con lo scopo di impedire perfino il desiderio di Ivan Meštrović di provare almeno l'effetto che il monumento susciterà nel Peristilio
E, per Tartaglia, non poteva non essere sottolineato l'aspetto nazionalistico, divenuto fondamentale in tutta la questione:

« A favore di quest'azione si scrivono articoli, stampano opuscoli, diffondono notizie sui giornali stranieri (ad esempio il «Journal des Debats»); si chiede l'aiuto di tutta la stampa italiana, si ottiene l'alleanza dei più acerrimi nemici della nostra Nazione, come ad esempio di Antonio Cippico (dello zaratino «Archivio storico per la Dalmazia»); si ingiuriano e oltraggiano i cittadini che non sono concordi con quest'azione, si ignorano, si negano e calpestano gli impegni assunti; si distorcono decisioni e fatti; ai profani si dice che il monumento sarà posto al centro del Peristilio; si confronta il "Gregorio" di Meštrović con i 19 metri di altezza della Bavaria del Belvedere di Monaco e con altri voluminosi monumenti bismarckiani scolpiti nella pietra; si cerca per il monumento a Gregorio uno sfondo chiuso, mentre allo stesso tempo si propone di porlo sulla vetta del Marjan, esposta da tutti i lati; si manda il monumento a Gregorio (nei vari luoghi della città): nella Botić Poljana, nella Aleksandrova Poljana, sulle Gripe; in poche parole, senza mezzi termini, si cerca di creare un clima che dovrebbe costringere Meštrović e le autorità comunali a rinunciare alla delibera di porre il monumento a Gregorio da Nona nel Peristilio, davanti al Protiron. »
Ma il problema andava anche riaffrontato alla luce delle problematiche che si erano poste all'interno del milieu culturale spalatino, a partire dalle stesse intenzioni nazionalistiche di Meštrović, quasi che il suo percorso artistico, contro la «Latinità», costituisse una sorta di motivo fondante visto che lo Scultore ormai rappresentava l'arte jugoslava in tutto il Mondo:

«Infatti Ivan Meštrović, che ha donato a Spalato il monumento a Marco Marulo, in base a una sua promessa precedente, voleva offrire a Spalato una propria geniale opera, il monumento al celebre vescovo croato Gregorio da Nona, che mille anni or sono, impavido, proprio a Spalato, insorse contro la latinizzazione del nostro popolo, in difesa della liturgia officiata in lingua slava nella chiesa cattolica, simbolizzando la vittoria della Croaticità e della Nazione su queste coste dell'Adriatico nella millenaria lotta contro la Latinità. Considerate le avversità incontrate nella sistemazione del monumento a Strossmayer a Zagabria e del monumento al Vittorioso a Belgrado, Ivan Meštrović, tra l'altro, il 5 agosto 1923 scrisse al sindaco spalatino:
"Io per il Comune di Spalato farò il monumento a Gregorio da Nona e glielo consegnerò in gesso e lo stesso dicasi del disegno su carta per il piedestallo, nonché, eventualmente, in gesso in scala ridotta. Per questo lavoro non chiederò alcun danaro in premio, poiché faccio questo per sentimenti patriottici, poiché soltanto Spalato è la località alla quale tale statua spetta innanzi tutto. Il Comune deve pagare il materiale, cioè la realizzazione del monumento in pietra o bronzo (questo lo decideremo in seguito), nonché il piedestallo, la lavorazione e la collocazione. La mia richiesta e condizione per realizzare e donare quest'opera è che mi sia lasciata completa libertà concettuale, nonché che sia io a decidere dove sistemare il monumento, con ciò che il luogo dev'essere nelle immediate vicinanze della Cattedrale. Naturalmente, mi consulterò con Lei e con Don Frane, ma sono convinto che va posto vicino alla Cattedrale, perché ciò potenzia il suo significato. Ho a cuore questa cosa e per parte mia impiegherò tutte le mie forze per realizzarla al meglio. Se sarà possibile finire e fissare tutto ciò prima della mia partenza per l'America ne sarò molto lieto. Ritengo che realizzerò il modello della statua l'estate prossima." »
Così, la Giunta Comunale aveva accettato il dono e deliberato quanto richiesto dall'Artista.

A questo punto, però, la polemica era scoppiata all'interno dello stesso ambiente culturale spalatino, mettendo pealtro in campo un vero e proprio conflitto tra Enti (il Consiglio comunale, il Conservatore e la Commissione alle Belle Arti, l'Ufficio Nazionale per la Conservazione dei Monumenti). Tartaglia adduceva un serie di motivazioni per la scelta del Peristilio, peraltro assai articolate. Motivazioni "morali e legali a favore del Peristilio"; "Ragioni nazionali", "Ragioni artistiche e storiche"; "Ragioni dell'urgenza"; "Ragioni dell'autorevolezza dell'artista".

Senza dubbio quelle più importanti, secondo Tartaglia, risultavano le motivazioni "morali e legali a favore del Peristilio"; motivazioni alle quali Frane Bulic si sentiva obbligato a rispondere dalle stesse pagine del quotidiano "Nova Doba". Per Tartaglia, infatti:

« Si doveva innanzitutto realizzare l'impegno preso dal Consiglio comunale nelle sessioni del 23 ottobre 1925 e del 28 ottobre 1927 nei confronti del signor Meštrović. Mediante queste decisioni, il Comune di Spalato aveva riconosciu to al sig. Meštrović il diritto di decidere da solo in quale luogo collocare il monumento vicino alla Cattedrale e si era impegnato a "sistemare il monumento nel luogo scelto dall'artista accanto al Mausoleo di Diocleziano, l'odierna Cattedrale". Queste delibere del Consiglio divennero valide, senza che nessuno avesse esposto alcuna contrarietà. In base a dette delibere, tra il sig. Meštrović e il Comune è stato stipulato un contratto pienamente valido dal quale il Comune non può più recedere unilateralmente. Il signor Meštrović, ritenendo che lo spazio sul Peristilio, davanti al Protiron del palazzo di Diocleziano, fosse il luogo più idoneo per questo monumento, decise di collocarlo in detto posto e richiese al Comune di far fede ai suoi impegni contrattuali, accettando di porlo su un piedestallo provvisorio, come tentativo, e dichiarando che sarà lui stesso a definire il trasferimento dal Protiron ad altro luogo, nel caso in cui si stabilirà che per motivi architettonici, artistici o estetici in generale, lo spazio risulti inadeguato. »
Ma Bulic non era affatto dello stesso avviso e rispondeva punto per punto con una lunga nota, pubblicata pochi giorni dopo:

« Il dott. Ivo Tartaglia ha pubblicato nell'edizione dell'altro ieri di "Novo Doba" un articolo avente lo scopo, in sostanza, di dimostrare che il Comune di Spalato è legalmente obbligato a collocare il monumento a Gregorio da Nona, secondo il desiderio di Meštrović, sul Peristilio. Ritengo che non sia opportuno richiamarsi in primo luogo alla validità legale della delibera, all'assenza di ricorsi e così via per la soluzione di una questione eminentemente culturale... Nella Delibera del 13 novembre 1925, n.ro 9476, alla quale si richiama il dott. Tartaglia, si dice: "il Consiglio Comunale riconosce a Ivan Meštrović il diritto di decidere da solo dove sistemare il monumento a Gregorio da Nona a Spalato, nei pressi della cattedrale", ma espressamente si dice anche "dopo consultazione e dopo necessario Decreto di Legge da parte degli Enti compe tenti".

Proprio quest'ultimo passo d'importanza decisiva viene sottaciuto dal dott. Tartaglia quando spiega i motivi legali a favore del Peristilio: e questi due Enti competenti sono la Commissione alle Belle Arti e l'Ufficio per la Conservazione dei Monumenti. In verità entrambi hanno dato il proprio assenso per la collocazione del monumento a Gregorio da Nona da qualche parte in Piazza Regina Elena (Delibera della Commissione Artistica approvata, con assenso di massima da parte dei conservatori, alla sessione del 17 marzo 1927), ma altresì entrambi questi Enti si sono opposti al cambiamento di desiderio ed alla nuova proposta di Meštrović di collocare il monumento a Gregorio da Nona nel Peristilio (Delibera della Commissione Artistica alla sessione del 15 ottobre 1927, n.ro 12635)... In base a tutto quello che ho riportato dagli atti ufficiali, la delibera dell'Amministrazione della città di Spalato può con ragione essere definita inopportuna. Essa significa il mancato adempimento della promessa che la questione di Gregorio da Nona sarà sottoposta al Consiglio comunale; essa significa bloccare l'operato della Commissione alle Belle Arti, alla quale s'impedisce di esprimere, in base ai tentativi fatti con il modello, il proprio parere d'esperti e di far pervenire all'Amministrazione comunale la propria voce consultiva garantitale per legge; essa ignora l'Ufficio di Conservazione che, ritengo, abbia diritto, più di qualsiasi altra istituzione nella nostra città, alla stima ed alla riconoscenza di Spalato e degli spalatini. »

Tra le motivazioni addotte da Tartaglia, Bulic considerava poi fondamentale discutere su quelle connesse alle decisioni di Meštrović ("le ragioni dell'autorevolezza dell'artista"); ad esse egli ribatteva facendo valere, invece, le ragioni della Conservazione e degli Enti che la amministravano per Legge, rispetto all'Autorialità dello Scultore. Infatti, secondo Tartaglia:

« In merito alla decisione di tentare di sistemare il monumento davanti al Protiron, gioca naturalmente un grande ruolo anche l'autorevolezza di Ivan Meštrović, che oggi non appartiene solo a noi ma a tutta l'umanità culturale. Se Meštrović, nel chiuso del suo atelier, è stato capace di creare il monumento a Gregorio da Nona di tali dimensioni, allora bisogna incondi- zionatamente riconoscergli il senso della misura per le dimensioni e le proporzioni e che, quindi, nessuno più di lui è chiamato a definire le proporzioni necessarie tra il suo monumento ed il Peristilio, al fine di creare l'indispensabile armonia e unicità tra questi monumenti. L'artista che ha saputo creare Gregorio da Nona difficilmente può sbagliare, però anche se sbagliasse difficilmente persevererà nel proprio errore. Nessuno meglio di Ivan Meštrović può prevedere come il monumento a Gregorio da Nona si fonderà con il Peristilio e con l'ambiente nel quale verrà collocato, ma nessuno nemmeno si assume maggiori responsabilità per l'eventuale infrazione dell'armonia e dell'unicità architettonica e artistica del Peristilio. Quindi è sicuro che Ivan Meštrović, nel caso in cui il monumento a Gregorio infrangerà quest'armonia e unicità, sarà il primo ad esigere il trasferimento del monumento dal Peristilio, poiché per lui la reputazione e la fama di cui gode in tutto il mondo della cultura gli sono sicuramente più care e di valore del luogo nel quale a Spalato sarà sistemato il suo monumento a Gregorio da Nona. »
Con una complessa circonvoluzione toccava all'architetto Niko Armanda, pochi giorni dopo l'intervento di Tartaglia, mettere in discussione l'opera di Meštrović, senza sminuire la statura dell'Artista. Dunque, era l'opera che non andava per quel contesto:

« Perché il Gregorio da Nona di Meštrović non può star bene sul Peristilio? Il motivo consiste nel fatto che la colossale statua è troppo forte, troppo pesante, troppo grande e soverchiamente arcigna per l'ambiente architettonico-estetico del Peristilio. Inoltre, per le dimensioni della scultura, non si ottiene quella misura ottica che è indispensabile per un'impressione prospettica favorevole e per una piacevole osservazione estetica di queste due opere d'arte. Infine, la grande massa bronzea di Gregorio da Nona è in grado di turbare le proporzioni architettoniche e di rovinare l'aspetto artistico del Peristilio. »
Confidando nell'Aurevolezza di Meštrović Tartaglia, invece, aveva suggerito di:

« adattarsi al pensiero dell'artista Meštrović e aderire al tentativo di sistemare il monumento, invece che il modello, com'è prassi. Meštrović, dopo aver visto il modello, si è fermamente opposto a questo tipo di tentativi con un modello inadeguato che non avrebbe potuto ottenere nemmeno la millesima parte dell'impressione, che avrebbe potuto suscitare il vero monumento. Queste ragioni sono comprensibili, perché l'artista non può permettere che l'impatto artistico, architettonico ed estetico in genere che può avere sull'ambiente un monumento così maestoso e colossale sia giudicato in base a un modello di tela. Il signor Meštrović, al contrario, ha accettato di fare tutti questi tentativi con lo stesso monumento ed ha accettato di collocarlo sul Peristilio, dapprima su un piedestallo provvisorio di calcestruzzo e in seguito di trasferirlo da qualche altra parte, qualora si stabilisse che il luogo non corrisponde. Una volta fatto questo primo tentativo si potrà, mediante la collaborazione di tutti i fattori, assumere la decisione conclusiva e dire se il monumento ha da rimanere in quel luogo, oppure se bisogna trasferirlo e dove. »
La provvisorietà della collocazione deponeva, secondo Tartaglia, in favore della liceità della scelta di Meštrović, al quale sarebbe dovuto però restare il giudizio definitivo proprio in nome della propria Autorevolezza; un' "Autorevolezza di Ivan Meštrović che vale, senza dubbio, altrettanto quanto quella dei vari "protoperistili", che creano la propria opinione basandosi su presupposti ipotetici e svariate teorie che in alcun modo possono essere applicate al caso del monumento di Meštrović":
« Il monumento viene quindi collocato sul Peristilio soltanto come un primo tentativo in attesa di definire la sistemazione finale. Queste sono le ragioni che hanno portato alla decisione di porre il monumento a Gregorio da Nona, come un tentativo, davanti al Protiron, quindi, riteniamo, siano sufficienti a calmare e convincere gli avversari che sia Meštrović sia i suoi autentici estimatori ed amici desiderano la stessa cosa, poiché sono mossi esclusivamente dall'interesse di Spalato e dall'amore nei confronti della città, che sicuramente non è inferiore alla loro. »
Bulic non era proprio dello stesso avviso e, anzi, sosteneva la priorità del giudizio da parte degli Enti che ormai in tutta Europa si consideravano competenti a deliberare in materia:
« Su proposta del dott. Karaman, la Commissione Artistica ha richiesto all'unanimità, il 15 ottobre 1927, di fare, come in tutti i paesi civili, un plastico, facilmente trasferibile, affinché i tentativi vadano fatti con il modello. L'amministrazione comunale aveva approvato questa proposta e spendendo 28.000 dinari aveva fatto fare il modello. Quando, recentemente, si è venuto a sapere che l'Amministrazione comunale aveva deciso di non collocare il modello, bensì di porre subito "provvisoriamente" il bronzeo monumento sul Peristilio, giacché anche in questa faccenda, come in molte altre su detta questione, il Comune lavora in segretezza tanto che il Conservatore è venuto a conoscenza della menzionata delibera appena leggendo il «Novo Doba» dell'altro ieri la Commissione alle Belle Arti all'unanimità aveva dichiarato, alla riunione del 3 maggio 1929, che "se l'Amministrazione comunale impedisce la collocazione del modello essa, in questo modo, impedisce il parere consultivo della Commissione alle Belle Arti, rendendo illusoria la funzione della Commissione stessa e di conseguenza anche la sua esistenza diventa superflua" (vedi la dichiarazione della Commissione alle Belle Arti nel «Jadranska Pošta» del 4 maggio 1929); mentre l'Ufficio per la Conserva- zione ha presentato ricorso avverso alla suddetta intenzione del Comune presso il Comitato Regionale (conservazione n.ro 53 dell'8 aprile c.a.). »

E, oltretutto, secondo Bulic, gli accordi iniziali non erano stati così ben definiti per quella collocazione perché:

« Meštrović, durante l'estate del 1927, in seguito alla decisione del 17 giugno 1927 di chiudere l'accesso dal Peristilio a "Grote", ha cambiato la propria idea iniziale di porre Gregorio da Nona sul luogo del Vescovado, distrutto dall'incendio, spazio per il quale aveva creato e dimensionato il monumento. Questi sono fatti noti che posso documentare anche con le lettere dello stesso Meštrović, che ancora nell'aprile del 1927 cercava di convincermi del fatto che la sistemazione di Gregorio da Nona non danneggerà le mura del temenos in Piazza Regina Elena. »
Anche le "ragioni artistiche e storiche" potevano essere difficilmente condivisibili per Bulic, nonostante i tentativi di Tartaglia:

« La Giunta comunale non poteva in alcun modo concordare con le obiezioni secondo le quali il monumento a Gregorio, con le sue dimensioni e la grandezza della sua arte, avrebbe attirato l'attenzione prima di tutto su di sé, sminuendo così l'effetto del Peristilio e in un certo qual modo svilendo il Prostiron sul retro del monumento. (Queste sono le obiezioni dell'Ufficio per la Tutela dei Monumenti della Dalmazia, contenute nell'atto del 3 ottobre 1927, n.ro 147), poiché essa parte dal presupposto che il monumento a Gregorio da Nona va collocato nelle immediate vicinanze alla Cattedrale, nel luogo storico dove egli condusse la battaglia per l'uso della nostra lingua in chiesa. La statua di per sé è stata costruita e dimensionata proprio per essere messa in prossimità della chiesa, quindi nessun altro luogo, nemmeno se esistesse, può essere preso in considerazione, poiché disgiungerebbe questo monumento dall'ambiente che gli è stato prestabilito. L'artista stesso, assumendosi piena responsabilità, ha scelto per il monumento lo spazio del Perisitilio, un'area pronta, regolare e ordinata, l'unica esistente nei pressi della chiesa e che probabilmente è il luogo storico esatto dal quale Gregorio lottava per la sua idea. Non c'è dubbio che detto posto per questo monumento sia il migliore e il più adeguato dal punto di vista archiettonico, ma anche il più idoneo dall'aspetto storico e nazionale. Il popolo, i cui avi si stabilirono qui più di mille anni or sono, che ha conservato non solo la propria lingua ed il proprio carattere ma anche le linee classiche del palazzo, all'interno del quale si sono verificati momenti importanti della sua storia, ha diritto di collocare, proprio in questo luogo storico, il proprio eroe, che non è un eroe di muscoli e di azioni ma un eroe dello spirito, un Vescovo con il vangelo in mano. »
Per Tartaglia la questione era "storica e nazionale" e, dunque, l'aspetto di intangibilità del monumento romano risultava assolutamente secondario; ma probabilmente egli ignorava (o fingeva di ignorare) tutta la complessa questione dell'ambientamento", come veniva affrontata dai più avvertiti circoli culturali europei (ai quali partecipava anche Bulic):

« Cercando di collocare il monumento davanti al Protiron non si tocca la memoria né il sentimento di pietà nei confronti del Grande Imperatore, non si distrugge nessuna pietra del suo grande palazzo e del Peristilio, non si rovina niente delle mura esistenti, bensì accanto alle stesse si pone il monumento a un capo ecclesiastico, a un civilizzatore di popoli, per armonizzare con loro. Ogni epoca, ogni cultura, ogni stile colpisce e lascia il proprio timbro dove e come può. Quanto più forte è la cultura seguente tanto più fortemente protegge i resti di quella anteriore, ma vuole allo stesso tempo affermarsi a sua volta e quindi cera di mettere in armonia le proprie opere culturali dello spirito con i resti ed i monumenti di epoche più antiche. Questo ha tentato di fare anche Meštrović con il suo monumento a Gregorio da Nona e con la scelta del luogo. Il monumento è ben dimensionato e realizzato in modo da seguire le linee e le proporzioni architettoniche del colonnato e di tutto l'ambiente, creando un insieme perfettamente armonico. Con le sue dimensioni in nessun modo non infrange la grandezza del Peristilio, a meno che non si pensi alla posizione delle due cappelle che non sono altro che un elemento insignificante dell'insieme architettonico, alle quali soltanto i potenti resti romani danno grandezza e significato. Nel confronto con questa potente architettura romana, il monumento a Gregorio non è né troppo grande né troppo pesante, quindi non s'impone sull'ambiente circostante e nemmeno la sua silhouette architettonica ha alcuna pretesa di apparire come un forte elemento a parte che si stacca dall'insieme architettonico del quale deve entrare a far parte. Esso consiste in una semplice statua che deve essere posta davanti al Protiron, in fondo al Peristilio, su un semplice piedestallo basso, come venivano sistemate anche le antiche statue romane sulle piazze pubbliche, che di solito non erano troppo ampie. Il monumento è fuso in bronzo, si adegua e si pone in posizione subalterna rispetto all'ambiente, mentre trovandosi nella parte meridionale, se osservato dalla parte sud del Peristilio, sembrerà sia messo nel vuoto di una grande volta romana che lo racchiuderà come una nicchia. La figura del monumento, in verità, non è nello stile di qualche imperatore o divinità romana, ma con le dimensioni si appoggia alle antichità romane, come queste idealmente e per il proprio significato spirituale e morale si appoggiano alla cristianità medievale. »
Niko Armanda, però, si sentiva in dovere di ribattere alle convinzioni 'storiche' di Tartaglia, chiedendosi:

« Perché il Gregorio da Nona di Meštrović non può star bene sul Peristilio?

Il primo e il più importante motivo resta l'importanza ed il valore del Peristilio come insieme ambientale e artistico unico.

Il secondo motivo è l'errata imposizione della statua di Gregorio e l'inutile disturbo in Piazza Peristilio. Ciò accade sempre quando si valuta insufficientemente la reciproca azione tra l'architettura e la plasticità e quando si giudica superficialmente il rapporto reciproco tra due monumenti artistici, ovvero la funzione architettonica del monumento nell'ambiente circostante
. »
Veniva cosi ribattuto anche ad un altro argomento di forza artistica avanzato da Tartaglia, quello cioè che risultava della sottolineatura della stratificazione dell'ambiente auspicando che anche una 'Modernità' - per giunta moderata - trovasse posto negli ambienti storici. Per Tartaglia, infatti:
« La statua non ha niente di "moderno" nell'odierna accezione del termine, eccetto il fatto che è stata pensata e realizzato ai giorni nostri, però in modo da non rovinare l'armonia e l'unicità dell'ambiente, composto da elementi di epoche e stili differenti, che nonostante tutto coesiste tra la sfinge egiziana, il campanile cristiano-gotico, le cappelle tardocristiane, la chiesa di San Rocco e le semplici case d'abitazione. Oggi tutti questi prodotti culturali dei periodi più disparati si sono fusi in un insieme che il monumento a Gregorio da Nona potenzierà e legherà con ancora più forza, senza sminuire la bellezza artistica del Peristilio, unendo la tradizione romana con quella cristiana.

Questi sono stati i pensieri e le intenzioni, i desideri e le speranze che hanno ispirato Ivan Meštrović quando ha concepito il suo Gregorio e ha scelto di collocarlo davanti al Protiron e che ha sviluppato poi a più riprese e comunicato ai propri sinceri ammiratori e amici, per dimostrare che la scelta di sistemare il monumento proprio in quel luogo non è un capriccio o un azzardo, ma una profonda e logica convinzione, basata sulle tradizioni antiche. A questa profonda convinzione dell'artista bisognava donare piena fiducia e concordare con lui. Infine, bisogna considerare che con il tentativo di collocare il monumento sul Peristilio non si tocca né si rimuove alcuna pietruzza antica, come invece bisognerebbe fare se lo si ponesse in qualsiasi altro luogo, cosicché, se il risultato di questo tentativo fosse negativo, il monumento si potrebbe spostare, con poca spesa, in altro luogo, ripristinando la situazione preesistente che rimarrà identica a quella attuale, senza alcun danno né per il Peristilio né per l'ambiente circostante
. »
Ma Armanda non si era lasciato convincere e ribadiva che "Il terzo motivo per cui il Gregorio da Nona di Meštrović non può star bene sul Peristilio è l'inopportuna concorrenza estetica tra i tempi moderni e quelli classici, cioè tra le loro opere artistiche".

Bulic, invece, non si faceva trascinare nella polemica Nuovo/Antico, ma ancora una volta adduceva motivi di ordine giuridico e legale, che, nella sua ottica, dovevano comunque costituire il quadro di riferimento per tutti:

« Egualmente non reggono le asserzioni e le conclusioni del dott. Tartaglia riguardo alla seconda Delibera del Consiglio comunale del 28 ottobre 1927, n.ro 11335/2 in base alla quale Gregorio da Nona sarà collocato nel luogo scelto dall'artista, accanto al mausoleo di Diocleziano, l'odierna cattedrale. Questa Delibera, in effetti, parla soltanto di un luogo generico nei pressi del mausoleo e in alcun modo non precisa il Peristilio come tale. Ciò doveva essere così, poiché entrambi gli Enti competenti, la Commissione alle Belle Arti e l'Ufficio per la Conservazione, avevano dato il proprio assenso a collocare Gregorio da Nona nei dintorni del mausoleo, in Piazza Regina Elena, ma allo stesso tempo erano decisamente contrari alla sistemazione del monumento sul Peristilio. Che questo sia vero, cioè che il senso della Delibera sia questo, lo conferma lo stesso dott. Tartaglia che spiegando la suddetta Delibera del Consiglio comunale espressamente afferma che secondo l'opinione di Meštrović "al monumento spetta un posto da qualche parte vicino alla cattedrale" (vedi resoconto su questa sessione nel «Novo Doba» del 29 ottobre 1927, pag. 5, prima colonna) e che sull'obiezione del dott. V. Matošić alla stessa riunione, in difesa della Delibera nella forma proposta, aveva rilevato "la questione della collocazione di Gregorio da Nona non è ancora risolta, questa verrà posta di fronte al Consiglio che esprimerà l'ultima parola" (vedi resoconto sulla sessione nel «Novo Doba» del 29 ottobre 1927, pag. 5 terza colonna). »
E lo stesso sosteneva anche Armanda sottolineando come:

« I motivi conclusivi che sono contrari alla posizione di Gregorio da Nona in Piazza S. Doimo e che parlano a favore della conservazione del Peristilio nelle forme in cui si è mantenuto fino ad oggi, sono gli argomenti della Scienza contemporanea di Conservazione, sia di singoli monumenti storico-architettonici sia d'interi paesaggi storici e degli ambienti artistici di una città. »
Gli Enti preposti, insomma, avevano deliberato che la statua moderna non dovesse stare all'interno del Peristilio e a ciò bisognava attenersi. Il problema che Tartaglia intendeva suscitare, infatti, come ben aveva capito Bulic, si fondava su «Ragioni nazionali, ma su quel tipo di polemica Bulic non si lasciava condurre. Tartaglia infatti, senza mezzi termini finiva per gridare al complotto internazionale:

« Non appena si è venuto a sapere che quest'opera geniale del più grande scultore vivente, che è allo stesso tempo croato e figlio della nostra terra, sarebbe stata collocata sul Peristilio, come testimonianza perenne che proprio lì, mille anni or sono, si sviluppava la lotta per la conservazione del già allora esistente carattere croato e slavo non solo di Spalato ma di tutto il nostro litorale, sulla stampa nemica sorse un'acerrima campagna contraria alla collocazione del monumento sul Peristilio. Questa campagna si basava formalmente sul fatto che il monumento di Meštrović avrebbe, per così dire, guastato l'insieme architettonico del Peristilio e che con le sue dimensioni avrebbe ridotto il suo effetto. In realtà però, questa campagna era suscitata dal timore che una delle più geniali e più grandi opere scultoree degli ultimi tempi, monumento dell'artista jugoslavo Meštrović a Gregorio da Nona, o meglio alla lotta contro la latinizzazione del nostro popolo, potesse giungere sul Peristilio dove, accanto alla grandezza dell'antica Roma, avrebbe documentato anche la grandezza e la genialità della nostra cultura e della nostra razza, come pure il fatto storico che essa vive qui da più di dieci secoli. Queste ragioni, espresse dalla stampa a noi nemica, sono state accettate in buona fede anche da una parte della nostra opinione pubblica che non era cosciente che in questo modo abboccava alla propaganda straniera per la Dalmazia e per Spalato, mentre un'altra parte, per principio, era contraria alla collocazione del monumento sul Peristilio. Il Comune di Spalato non poteva né doveva accettare le richieste di detta propaganda, nonché, partendo dal presupposto che in determinate situazioni occorre soddisfare le esigenze nazionali ancor prima di quelle di natura architettonico sentimentale e non volendo cedere di fronte agli imperativi posti dalla stampa straniera, secondo la quale non andava toccata la latinità di Spalato e della Dalmazia, fece propria la decisione di Ivan Meštrović di cercare, in primo luogo, di sistemare il monumento sul Peristilio, da dove poi sarebbe stato trasferito se il luogo non risultasse idoneo. »
Per Bulic il problema non era invece quello di Latinizzazione o Croatizzazione (visto che la statua si poteva benissimo collocare nei pressi della Cattedrale, ma non nel Peristilio), quanto di recepire i desiderata di un'opinione pubblica che secondo Tartaglia aveva «abboccato alla propaganda italiana».

Per Bulic si trattava invece di indicazioni di 'buon senso' e in tal senso egli sottolineava gli umori dei suoi concittadini:

« Si tratta di una questione eminentemente culturale... ed è inopportuno... giustificare una decisione dell'Amministrazione che è in contrasto con l'intera opinione pubblica di una città di antiche tradizioni culturali. Nel merito della questione, cioè se il Peristilio sia adeguato al Gregorio da Nona di Meštrović, a Spalato non esistono due fazioni, riguardo al modo di agire dell'Amministrazione comunale con riferimento al monumento, poiché il 99%, in lettere novantanove per cento, degli Spalatini si oppone a ciò, al fatto in pratica che la faccenda venga risolta senza ascoltare il Consiglio Comunale, senza la partecipazione della Commissione alle Belle Arti, senza l'accordo con l'Ufficio per la Conservazione dei Monumenti. A Spalato è superfluo parlare di questo... e la decisione risulta una sfida a tutta l'opinione pubblica della città. »
La polemica, protrattasi per mesi, non avrebbe prodotto per i Conservatori jugoslavi i risultati sperati e la statua di Gregorio di Nona avrebbe fatto bella mostra di sé all'interno del Peristilio. Sostanzialmente il Nazionalismo slavo aveva vinto su ogni ragione di opportunità e buon senso, allontanando, così, l'Amministrazione spalatina dalle più avvertite riflessione contemporanee sull'Ambientamento e sulla problematicità del rapporto tra Nuovo e Antico.

Infatti, le questioni che si erano aperte a Spalato, già a partire dagli interventi della «k.k. Zentral-Kommission» di Vienna, e che poi erano venute a circostanziarsi per parte jugoslava nel dibattito sulla liceità o meno della collocazione della statua di Gregorio di Nona nel Peristilio, avevano messo in luce una serie di aspetti generali imprescindibili, che la cultura locale non si era mostrata assolutamente in grado di affrontare. In primo luogo, come aveva già sottolineato Riegl, sarebbe dovuto risultare chiaro il fatto che alcuni monumenti, quali appunto il Palazzo, non costituivano un Bene nazionale, al di là della gestione sovrana che ne aveva uno Stato; ne derivava che decisioni complesse non potevano essere sottratte al dibattito internazionale, facendo valere angusti nazionalismi tra «nemici».

In secondo luogo, era ormai chiaro che la cultura del Moderno e la cultura del Restauro non potevano affrontarsi, pur all'interno del singolo ambiente spalatino, all'insegna di una retorica che facesse valere fini di tipo simbolico o puramente conservativo; le decisioni dovevano essere condivise dall'opinione pubblica, essere avvallate dagli Enti preposti, mediate dalla Politica cittadina, che doveva porsi a garante dell'interesse comune e non di ottuse contrapposizioni etniche.

In terzo luogo, non si poteva neppure immaginare che il dibattito sul rapporto Antico/Moderno che si andava consumando in uno spazio tanto delicato quale era il Peristilio, potesse essere risolto dalla sola Autorialità. di uno scultore moderno quale era Meštrović, eliminando ogni contrappunto dialettico.

Infine, era ormai diventato chiaro come nel palazzo si venissero ad intersecare una serie di questioni amministrative e tecniche oltre che estetiche e politiche - che non permettevano di affrontare la questione dal solo punto di vista del Restauro Monumentale, ma che erano necessari più aggiornati approcci disciplinari che interessassero tutto il centro monumentale della città, con metodi e finalità propri del Restauro Urbano, nell'intersecazione, cioè, tra Restauro ed Urbanistica.

mercoledì 10 gennaio 2024

Quando certi esuli di Zara volevano la Dalmazia indipendente, 1992

I documenti qui riportati dimostrano che, alla disintegrazione della Jugoslavia del 1991, alcuni italiani di Dalmazia profughi in patria aspirassero, nientemeno, che all’indipendenza della loro terra d’origine. Le lettere seguenti furono indirizzate all’avvocato Pietro Serrentino (1921-2010), nato a Zara ed esule a Jesolo Lido (VE); fanno parte della Collezione di Franca Balliana Serrentino. Autore delle missive è il dottor Ameglio Gradi, zaratino riparato a Siena, segretario del Libero Comune di Zara in esilio. Gradi è pure referente, per la provincia di Siena, dell’Associazione Nazionale Reduci e Rimpatriati d’Africa (ANRRA). È poi socio dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (UNUCI), sede di Siena.

Io sono per un governo dalmata in esilio – ha scritto Ameglio Gradi – che chieda all’Unione Europea una Dalmazia stato franco/europeo e perché esista una Bosnia-Erzegovina stato indipendente, perché i suoi territori non vadano a gonfiare la Croazia e la Serbia” (Lettera a Pietro Serrentino, 17 agosto 1992).

A qualcuno potranno sembrare ipotesi ingenue, indifendibili sul piano diplomatico e, soprattutto, su quello militare, eppure ci fu un grande dibattito su tali lettere circolari. Il tema dell’indipendenza dalmata fu noto a vari personaggi del tempo, come Massimo Barich, Silvio Cattalini, Renzo de’ Vidovich, Ottavio Missoni, Miriam Paparella Bracali, Elio Perissi, Antonio Pitamitz, Alfredo Puccinelli, Nerino Rismondo, Maria Vittoria Barone Rolli, Tullio Vallery e Giorgio Varisco. Essi, o i loro familiari, sono menzionati nelle corrispondenze di Ameglio Gradi riguardo al tema, come pure è menzionata la rivista «Zara», diretta da Nerino Rismondo.

Ecco la lettera-manifesto sull’indipendenza dalmata, datata a Siena il giorno 8 agosto 1992. Ameglio Gradi la indirizzò al sindaco ed al Consiglio del Comune di Zara in esilio (Collezione Franca Balliana Serrentino).

Nel Consiglio del Libero Comune di Zara in esilio vi è il Sindaco ragusino, il Vice sindaco zaratino, i Consiglieri, che conosco io, sono zaratini Rismondo e Trigari, mentre Mattarelli [Eugenio?, NdR] è bocchese; insomma vi è rappresentata tutta la Dalmazia.

Che si aspetta a chiamarla Regione Dalmata in esilio, o meglio Stato Dalmata in esilio, con un governo? E a presentarci come tali all’Unione Europea ed alle Nazioni Unite per dare il nostro contributo per la sistemazione della ex Jugoslavia e della Dalmazia?

La Dalmazia in mano ai croati costringe la Bosnia-Erzegovina e la Serbia e gli altri stati all’interno ad essere tutti economicamente vassalli della Croazia per il possesso delle coste e dei porti. La Croazia è entrata in possesso della Dalmazia per le violenze degli Asburgo verso i dalmati, violenze esercitate per mezzo del servilismo dei croati verso l’Impero Austriaco e non per altri meriti. È ora che facciamo sentire la nostra voce, ma non come italiani, l’Italia ci ignora o ci rifiuta, ma come dalmati in esilio (Regno di Dalmazia).

L’esilio dei dalmati iniziò nel 1797 con il trattato di Campoformio. I primi dalmati in esilio si naturalizzarono nei vari stati dell’Italia di allora, compresi quelli che per motivi di lavoro si trovavano già trapiantati nella Penisola, non dimentichiamo che i dalmati erano un popolo marinaro, che i commerci li portavano a stabilirsi in tutti il mondo, ma che continuavano ad essere dalmati delle Repubbliche di San Marco e San Biagio [Ragusa]. Dal 1797 o dal 1814 dovettero scegliersi un’altra Patria, se non dichiararsi sudditi degli Asburgo. 

Approfittiamo del disordine attuale, perché la Dalmazia divenga uno stato franco sotto l’egida dell’Unione Europea, o dell’ONU. Facciamoci avanti proponendo questa soluzione, prima che l’ONU e la Unione Europea riconoscano ai croati i confini amministrativi, come confini dello Stato croato, o che la nostra terra venga divisa tra Montenegro, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Croazia, con il rompicapo dell’appartenenza delle isole.

Finita la guerra per l’indipendenza della Bosnia, la Bosnia, la Serbia, il Montenegro e la Croazia cominceranno la guerra per il possesso di Zara, Sebenico, Spalato, Ragusa e le Bocche [di Cattaro] e guardate che tutti questo porti sono molto più vicini a Sarajevo e a Belgrado piuttosto che a Zagabria ed i croati non vorranno mollarli, perché fonte della loro ricchezza.

Il Sindaco del Comune di Zara in esilio è ragusino ed i ragusini godevano di una grande fama di essere dei fini diplomatici. Coraggio! Ora, o mai più.

Gradi Ameglio”.

Ameglio Gradi, Lettera-manifesto per l’indipendenza della Dalmazia, 1992, particolare. Collez. Franca Balliana Serrentino

In conclusione si riproduce un’altra lettera del medesimo autore diretta a Puccinelli e inviata in copia a molti altri dalmati per ribadire gli stessi argomenti.

“Ti scrivo come segretario del Libero Comune di Zara in esilio e ti rimetto, qui dietro copia della lettera che ho rimesso a Missoni, Luxardo, Rismondo, Serrentino, Trigari e Mattarelli. (…) Vedo che il consigliere Barich e lo zaratino de’ Vidovich hanno un’opinione del problema dalmata come la mia. Costituiamo uno Stato di Dalmazia in esilio e facciamoci avanti al Parlamento europeo, perché la Dalmazia non faccia parte della Croazia, ma sia il primo stato franco dell’Europa unita, con moneta europea, ove la prima lingua sia il croato, la seconda l’italiano e la terza il tedesco. Quali conseguenze ha avuto la mozione approvata dall’assemblea del 29.9.1991, presentata da Renzo de’ Vidovich?” (Lettera di Ameglio Gradi a Alfredo Puccinelli, 14 agosto 1992).

È noto che, dal 1975, fu proprio l’ingegnere Silvio Cattalini, nato a Zara, a proporre il dialogo con gli italiani delle terre abbandonate, i “rimasti”, con uno spirito di pace in dimensione europea, nel rispetto dei singoli stati. Lui tracciò un solco. Quei temi sono ancor più attuali oggi. 

Riunione dalmata poco prima del crollo della Jugoslavia – Tra gli altri: Silvio Cattalini, da sinistra, Pietro Serrentino, Giovanni Puccinelli, Nerino e Maria Rismondo, Ottavio Missoni, Massimo Barich, Benny Pecota e Renzo de’ Vidovich, 1988. Collez. Franca Balliana Serrentino



lunedì 1 gennaio 2024

La vergogna del trattato di Osimo e le responsabilità di parte dell'associazionismo dei profughi corrotti

Ben prima del Parlamento di Roma (dove sedevano, tra gli altri, due illustri istriani ed uno dalmata che ricoprivano posti di rappresentanza in seno alla attuale Associazione delle Comunità istriane e nella Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, tutti eletti nelle file della Democrazia Cristiana: Corrado Belci, nato a Dignano, che fu strenuo difensore del Trattato di Osimo e votò per la cessione della Zona B alla Jugoslavia; Giacomo Bologna, nato ad Isola, il quale nonostante le direttive del partito votò contro la ratifica al Trattato, e per questo venne espulso in 24 ore; Paolo Barbi, nato a Lesina, il quale invece di votare contro la ratifica, si assentò prima dall'aula), che ratificò il Trattato nel 1977, già nell'autunno del 1975, cioè prima della firma, il Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia e quelli della Provincia e del Comune di Trieste furono chiamati ad esprimersi nel merito della firma del Trattato.

E molti furono gli Istriani, in maggioranza iscritti alla ANVGD, che eletti in questi tre consessi votarono a favore della ratifica del Trattato, oppure si astennero dal farlo, per non perdere la poltrona! In internet si trovano con facilità pure i verbali delle rispettive riunioni. 

Alleghiamo il volantino di denuncia che, dopo gli esiti del voto degli enti locali, l'Unione degli Istriani distribuì per le vie di Trieste: in sostanza una sorta di "albo della vergogna", per informare la cittadinanza di come si comportarono i politici di allora.

Si tratta di una brutta pagina di storia, che è bene però ricordare!



domenica 31 dicembre 2023

Gran parte dei letterati dalmati scriveva solo in italiano (da "La Dalmazia e l'arte italiana" di Alessandro Dudan)

Abbiamo già parlato di Simeone Gliubich, il vescovo croato che favorì in tutti i modi l'elemento slavo in Dalmazia. Tuttavia, possiamo dire che costui si contraddisse da solo. Infatti egli esamina nel suo libro ( "Dizionario biografico degli uomini illustri della Dalmazia"), che va fino al 1850, circa 550 dalmati illustri nelle scienze, nelle lettere, nelle arti, nelle armi e nella Chiesa cattolica. Sebbene il libro sia in parecchi riguardi molto arzigogolato, nullameno ne risulta che di 500 scrittori dalmati ben 362 scrissero soltanto in italiano e in latino, che 50 scrissero, oltrechè in italiano e in latino, pure qualche cosuccia insignificante in slavo, e che solo 58 scrissero esclusivamente in slavo.

Inoltre, gli archivi di Venezia conservano i rapporti dei provveditori veneziani al loro governo, dai quali risulta che alla fine del XV sec. la Dalmazia contava appena 60.000 abitanti. Se si considera che le città erano latine e che, per esempio, Spalato sola nel 1244, secondo narra Tomaso Arcid., aveva 500 masiere (casupole nel sobborgo), bruciate dai croati, e, secondo Mica Madio, poteva mandare 1200 suoi cittadini armati contro il conte croato a Clissa, si comprenderà che dei 60.000 dalmati pochi potevano essere gli slavi. Forti colpi alle cittadinanze italiane furono dati dalle pe­stilenze e dai terremoti devastatori (terribile quello di Ragusa nel 1667). 

I vuoti si riempivano di slavi, che s'italianizzavano. Specialmente grandi furono le immigrazioni, favorite da Venezia, di contadini slavi, fug­genti dinanzi ai turchi (soprattutto XVII secolo) e, dopo il "nuovo" e il "novissimo" acquisto a spese dei turchi, la Dalmazia veneziana aveva, si può dire, triplicato la sua popolazione. Durante il dominio au­striaco continuarono le immigrazioni dalle province turche. Soltanto così si arrivò alle odierne (del 1920... sic) proporzioni numeriche dei dalmati parlanti le due lingue.

Slovenia 1941-1948-1952. Anche noi siamo morti per la patria

Una prima edizione di questa poderosa ricerca storica, piena di testimonianze, lettere, fotografie, riproduzioni di documenti, dichiarazioni e articoli di giornale degli anni ‘90 è apparsa a Lubiana nel 1998, opera dei soli primi due autori. Perme, nato a Pecah nel 1926, è un imprenditore pensionato e Zitnik, nato a Grosuplje nel 1940, è stato un dipendente statale.

Dopo il 1998 gli autori hanno cominciato a ricevere scritti e documenti di altre persone coinvolte. Hanno raccolto le deliberazioni di vari consigli comunali sloveni sul tema della segnalazione dei luoghi dei massacri titini, assieme a missive ministeriali, dei tribunali sloveni o di archivi militari di Berlino. Sono arrivate lettere persino dall’Argentina, Australia, Canada da parte di esuli sloveni (p. 14). Un altro emigrato, tale Anton Pavlic, ha scritto dalla Nuova Zelanda riguardo al sepolcro di massa di Brezice, vicino a Dobovo, per oltre 10 mila persone, trasportati coi treni e denudati, tra i quali in maggioranza domobranci sloveni ed anche di belagardisti, eliminati nell’ottobre 1945 (pp. 712-716).
Franc Perme è fondatore, a Lubiana, sin dal 6 febbraio 1991, dell’Associazione per la Sistemazione dei Sepolcri Tenuti Nascosti. Sotto la sua direzione l’associazione ha fatto costruire tre cappelle, ha fatto collocare 18 insegne con croci, crocefissi e 58 insegne commemorative su lastra di marmo nelle parrocchie, sino al 2000. Molti di tali segni della memoria sono stati profanati, asportati o rovinati il giorno dopo dell’inaugurazione, perché c’è ancora tanto odio da parte dei discendenti dei miliziani di Tito, dato per scontato che i protagonisti della guerra partigiana sono ormai scomparsi, oppure sono molto anziani e malati. 
È tutto un piantare croci e posizionare lapidi, volendo ricordare “tutti i combattenti” (p. 19) e ritrovarsele profanate, rubate, asportate, imbrattate. Vedi la Cappella profanata a lanci di vernice di pag. 200 e, per le croci rubate, si vedano le pagine seguenti. Ritengo sia la Cappella di Stari Hrastnik, lungo la strada sul Kal; dietro alla Cappella vi è il cimitero dei domobranci sloveni.
Tra gli altri autori, Franc Nucic, nato a Podgorica nel 1929, è un giudice in pensione, invalido di guerra, autore di libri sugli eccidi comunisti. Janez Crnej, nato a Celje nel 1935, è un veterinario in pensione; nel 1990 è stato eletto alla Camera dei deputati della Repubblica Slovena. Zdenko Zavadlav, nato a Sotanje nel 1924, è pubblicista; da giovane fu capo dell’OZNA a Maribor, ma nel 1948 fu incriminato dalle autorità jugoslave come agente informatore e incarcerato fino al 1954, poi lavorò per l’Agenzia turistica alberghiera fino al 1976, anno della quiescenza. Croci, cappelle e lapidi servono a ricordare l’uccisione perpetrata da parte dei partigiani contro i domobranci sloveni e croati (esercito regolare, alleato dei nazisti) dal 1941 fino agli anni del dopo guerra. Alcune migliaia di domobranci, al termine del conflitto, secondo gli accordi, furono disarmati dagli inglesi e consegnati ai partigiani di Tito, che li passarono per le armi. Gli autori del volume scrivono di 12 mila domobranci sloveni, 18 mila croati, oltre a seimila civili eliminati nelle foibe o in fosse comuni dalla fine di maggio 1945 in poi (p. 159).
Va accennato inoltre che nell’elenco ufficiale delle foibe della Repubblica di Slovenia, consultabile in Internet, si nota, al n. 401, la Foiba di Golobivnica (Grobišče jama Golobivnica), con la puntuale indicazione della nazionalità delle vittime precipitate: slovena ed italiana.
Ci sono molte mappe dei sepolcri (ad esempio a p. 611).
Nel libro ci sono poi numerosi articoli dai giornali sloveni, come ad esempio «Delo» (p. 726), «L’Eco di Grosuplje» (p. 724), «Slovenec» (p. 734). C’è pure la stampa internazionale, come il tedesco «Frankfurter Allgemeine Zeitung», di Francoforte (p. 11-14 e p. 676). In conclusione quanti domobranci ed altri anticomunisti croati, suore e bambini incusi, sono stati uccisi dai titini in Slovenia? La cifra pubblicata nel volume è impressionante. Assomma ad un totale di 222.500 persone. Si pensi che le perdite totali dal punto di vista demografico e di guerra in Jugoslavia sono pari a 2 milioni e 22 mila individui (come si evince dalla tabella 6 di pagina 456). Certo, in questo totale ci sono anche le persone emigrate (o scappate), pari a 625 mila, nel periodo che va dal 1939 al 1948, dei quali 44 mila sono rimasti all’estero. I dati si riferiscono alle province jugoslave, senza i territori annessi.
Qualcuno si chiederà come mai 222,5 mila soldati anticomunisti croati, i loro religiosi e i loro congiunti siano finiti uccisi tutti in Slovenia nelle foibe, nelle cave di sabbia, o nei trinceroni anticarro (costruiti dalla Organizzazione TODT, per frenare l’avanzata dilagante del nemico). Il fatto è che la ritirata dei nazisti e dei loro alleati, come erano appunto i domobranci, comportava anche la risalita verso nord e verso il confine austriaco, che era Terzo Reich.
Alla fine della guerra si ritrovarono tutti imbottigliati nel piccolo territorio della Slovenia. Tito e l’OZNA volevano fare presto ad eliminare tutti gli oppositori e i loro familiari. Non ci sarebbe stato posto per dei campi di concentramento e non sarebbero stati tutti nelle prigioni. Dunque parliamo di vittime, di morti ammazzati. Ecco il risultato, allora, riprodotto nella tabella seguente, intitolata dai cinque autori “Domobranci croati e civili assassinati in Slovenia dal 23 maggio 1945” (p. 457):

Dal crocevia della strada Dravograd fino al confine croato 145.000
A Kočevski rog 41.000
Sul montuoso Zasavski 24.000
Nella campagna Breziski – Mostec 6.000
Nel bosco dei Krakov – 11 sepolcri 5.000
Governativi croati, bambini e monache a Lancovo 1.300
A Crni Grob – ed altri governativi assassinati a Lancovo 200
Totale assassinati in Slovenia 222.500

Quanta Italia c’è nel libro?
Ce n’è abbastanza. Tanto per cominciare ci sono molti militari, dato che l’Italia nel 1941 invade, con la Germania, il Regno di Jugoslavia. La Slovenia scompare essendo suddivisa tra l’annessione italiana della cosiddetta provincia di Lubiana e l’altra parte orientale annessa addirittura al Terzo Reich.
Allora c’è il generale Mario Robotti, comandante delle autorità italiane di Lubiana occupata ed annessa, intenzionato ad aprire “campi di concentramento per l’internamento delle persone sospettate, poiché a Lubiana ve ne erano detenute già 200 e ci si aspettava che il numero avrebbe raggiunto i 1.000” (p. 129).
Poi c’è anche un po’ di Friuli. È fatto cenno al Campo di concentramento di Gonars, in provincia di Udine, per detenere sospetti sloveni e croati (p. 128). Qui finiscono molti ufficiali sloveni, con un “aiutino” dato ai militari italiani da parte della Osvobodilna Fronta (OF), ovvero il Fronte di Liberazione del Popolo Sloveno. Infatti i primi partigiani, sapendo che molti degli ufficiali sloveni erano monarchici e non comunisti, li precettarono ad entrare nell’OF con delle cartoline aperte, cosicché l’esercito italiano venne a sapere i loro indirizzi e li prelevò tutti senza tanti problemi.
Poi sono menzionate le trattative di Tapogliano del 15 giugno 1944. Artefice di tale iniziativa è il prefetto di Gorizia, conte Marino Pace, che prese contatti coi capi partigiani per azioni di non aggressione (pp. 350-353).
Per ringraziare l’OF dei vari favori fatti all’esercito sabaudo imperiale, nel 1943 il generale Guido Cerutti, comandante della divisione “Isonzo” a Novo Mesto “aveva mandato tre vagoni di armamenti, munizioni e divise militari italiane per l’Esercito di Liberazione del Popolo” (p. 144).
C’è anche una specie di eroe nel 1945, quando gli inglesi cedono nelle mani dei titini i domobranci disarmati. È il dottor Valentino Mersola, direttore del Campo di concentramento dei civili. Il 31 maggio 1945 protestò con il maggiore canadese Barr, ufficiale incaricato di consegnare i civili ai titini, perché “gli inglesi mandavano a morte sicura una gran massa di gente” (p. 175). Le proteste di Mersola valsero il rinvio della restituzione dei civili, così egli “salvò da morte sicura seimila sloveni” (p. 177).
Ci sono, infine, gli italiani infoibati a Huda Jama – Lasko, pozzo di Barbana, assieme a sloveni e tedeschi; 2000 uccisi. A Canale d’Isonzo, sotto Hlastec, Dolic Mislinja, assieme a degli ungheresi; 100 ammazzati. Nel fossato anticarro sotto la salita di Mislinja, assieme ad altri ungheresi e ignoti; oltre 500 vittime. Nella foiba del bosco di Tarnova, sul Litorale, tutti italiani; 500 eliminati (p. 784).

Nicolò Raguseo

Nicolò Raguseo (Cattaro ?, 1463 circa – Ragusa, 1517), dalmata di nascita, è stato uno dei più importanti pittori rinascimentali della Repubblica di Ragusa.

Fino agli inizi del XX secolo, pochissimo si sapeva della vita di Nicolò Raguseo: di lui si conosceva unicamente la firma su due quadri, apposta nelle forme Nicolo Raguseo e Nicolaus Rhagusinus. Tramite l'analisi comparata, si era riusciti ad identificare altre opere dovute alla mano dello stesso artista, ma nulla più.

Nel settembre del 1476 il giovane Nicolò risulta apprendista del maestro raguseo Pietro Ognjanovich, che gli promette in cambio vitto, alloggio, ammaestramenti e - alla fine del praticantato - una somma di 1000 iperperi, un mantello e gli strumenti del mestiere.

Qualcosa fece però ritornare i due artisti sui loro passi, tanto che il 6 gennaio 1477 il contratto venne annullato di comune accordo: il giovane Nicolò partì quindi per l'Italia, ritornando a Ragusa solo nel 1491.

Si è ipotizzato che nel suo lungo periodo italiano egli abbia lavorato con i maestri della scuola di Murano, che ebbe nei Vivarini i suoi massimi rappresentanti. Fu influenzato anche dall'opera dei fratelli Carlo e Vittore Crivelli, oltre che dal Carpaccio. Sulla base dell'analisi delle sue successive opere ragusee, si ritiene che molto probabilmente avesse anche studiato gli affreschi del Perugino e del Pinturicchio a Roma.

Dopo il ritorno a Ragusa, Niccolò lavorò sia col padre che separatamente realizzando un discreto numero di opere, delle quali però solo quattro sono pervenute fino a noi.

Nicolò Raguseo morì verso la fine del 1517, mentre stava lavorando ad un polittico per la cattedrale di Ragusa. Dal suo testamento ricaviamo che fosse un uomo di una certa ricchezza, tanto che lasciò 30 ducati d'oro e una grande raccolta di medaglie. Non si sposò mai, forse perché per tutta la vita rimase sempre molto legato al padre, che gli sopravvisse.

Da un singolare evento della sua vita si deduce una personalità gioviale: nel corso delle feste per il carnevale del 1509 passò tre mesi in prigione per aver cantato canzoni sconce, provocando una gazzarra.

Opere:

Trittico per la cappella della famiglia Bonda, nella Chiesa dei Domenicani. È il primo quadro rinascimentale di scuola tipicamente veneziana di cui si ha notizia a Ragusa. Lavorato circa nel 1500, è caratterizzato da una forzata simmetria compositiva: quattro figure - due per parte: san Biagio e sant'Agostino a sinistra, san Paolo e san Tommaso d'Aquino a destra - nei pannelli laterali, fanno da corona alla Vergine in trono col Bambin Gesù al centro, il tutto su fondo oro.

Annunciazione, ex voto dell'armatore e capitano dalmata dell'Isola di Mezzo Marco de Blasio Colendich, nella Chiesa dei Domenicani.

Sacra conversazione per la cappella della famiglia Giorgi, sempre nella chiesa dei Domenicani. Quest'opera e la precedente furono terminate nel 1513, e sono spesso considerate le sue creazioni più felici, pienamente rinascimentali nell'ispirazione.

Madonna e santi, polittico per la chiesa di Santa Maria alle Dance (una località fuori dalle mura cittadine di Ragusa). Di grande impatto visivo, riprende nei comparti laterali la tecnica del fondo oro, che unitamente alla ritualità dei gesti dei personaggi fa notare un ritorno all'iconografia tipica della pittura gotica.

Opere attribuite alla bottega di Nicolò:

Trittico per la chiesa di Santa Maria di Spilica (Isola di Mezzo). L'opera venne commissionata a Nicolò mentre stava lavorando alla Sacra conversazione per la famiglia Giorgi. Dall'analisi tecnico-stilistica non si percepisce la mano del maestro, di conseguenza si ritiene che egli lasciasse il compito agli artisti della sua bottega, tanto che il quadro venne molto criticato.