martedì 25 giugno 2024

La manifestazione allo scoprimento del busto di Antonio Baiamonti

La commemorazione del primo centenario del podestà mirabile di Spalato, organizzata dalla locale Società Dalmatica, che volle offrire a Trieste in questo incontro un busto del grande patriotta, busto scoperto nel giardino del Museo del Risorgimento, riuscì imponente.

Tutti i partiti e tutte le associazioni nazionali triestine, con a capo il sindaco e la maggioranza del Consiglio comunale, vollero partecipare alla festa dei dalmati per rinnovare — con l'onore reso ad Antonio Baiamonti — il patto di solidarietà con i fratelli, che ingiustizia di trattati e difficoltà diplomatiche non possono spezzare, ma anzi sempre più rinsaldano nella fede. È questa solidarietà con gli irredenti è tanto più appassionata, quanto più i jugoslavi mostrano di volerli cancellati nella loro terra, che ha i segni millenari della romanità e una tradizione di resistenza italiana che nessuna forza varrà a sradicare. Questo intesero dire gli italiani di Trieste partecipando in folla imponente con moltissime bandiere e con moltissimi gagliardetti, alla celebrazione di Antonio Baiamonti.

Il corteo

L'adunata era stabilita per le 9, ma a quell'ora pochissime società erano al punto di convegno, ai piedi del monumento Rossetti. Pure man mano la piazza si va riempiendo di bandiere e di rappresentanze e il corteo lentamente si forma e, alle 9.45, si incammina. Apre la marcia una compagnia di volontari dalmati con i gagliardetti: seguivano i sempre pronti con i gagliardetti e le fiamme di combattimento; i volontari della "Sursum Corda"; una numerosa rappresentanza, con la bandiera della Giovane Italia; la banda e una rappresentanza del Ricreatorio della Lega Nazionale; la bandiera dei mutilati e invalidi di guerra; l'Associazione ex combattenti; i volontari giuliani; l'Associazione bersaglieri in congedo, Enrico Toti; l'Associazione reduci di guerra; la Società Dante Alighieri" una rappresentanza del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane; numerosissime rappresentanze con le bandiere abbrunate della Società Dalmatica di Trieste; di Gorizia e di Pola; la Società "Dalmazia irredenta"; la Società Ginnastica; la Società Operaia; la Lega Navale; la Lega Nazionale; i direttori e alcuni studenti del Ginnasio-Liceo Petrarca, del Ginnasio-Liceo Alighieri, dell'Istituto nautico, del Liceo femminile R. Pitteri e del Liceo Carducci; l'Associazione studenti cattolici e una rappresentanza del partito popolare. Nel corteo notammo, tra le moltissime personalità, gli on. Dudan e Giunta, vari rappresentanti delle società dalmate, il sig. D'Osmo in rappresentanza di G. D'Annunzio, che inviò anche un messaggio alla Società Dalmatica, il consigliere Smerchinich e una lunga colonna di dalmati residenti a Trieste.

Nei pressi dei portici di Chiozza attendevano il corteo numerose squadre fasciste con i gagliardetti e con la musica. Scambiati i saluti tra le squadre, i fascisti si incolonnano con i gagliardetti: erano le squadre di S. Giacomo, di Roiano, della Nazario Sauro", "Giovinezza", "Carnaro", "Quis contra nos" e varie altre. Precede le squadre una decina di giovani ciclisti e le segue una squadra dell' "Avanguardia giovanile". Attraversata via Carducci, il corteo, con la banda del Fascio in testa, passa per il Ponte della Fabra, Piazza Goldoni, Corso V. E. III, Piazza Unità, via Sanità, via F. Venezian, via S. Michele, via Navali e via Pasquale Besenghi dove ha sede il Museo del Risorgimento.

Durante il percorso le musiche suonavano la Canzone del Piave e Giovinezza. Numerosi cittadini assistevano al passaggio del corteo, specialmente nelle vie centrali. Da molte finestre sventolano tricolori e bandiere dalmate abbrunate.

Lo scoprimento del busto

Al giardino del Museo del Risorgimento affiluiscono alla spicciolata i primi visitatori fin dalle 9 E s'intrattengono a parlottare intorno al busto di Baiamonti, ricoperto ancora da una tela cerata e del quale non si vede che il piedestallo in pietra carsica, con questa semplice epigrafe: 

"Al Podestà mirabile 
Antonio Baiamonti 
i dalmati irredenti 
MCMXXII". 

Nulla altro. Null'altro, ma tutto.


Sul balcone prospiciente garriscono libere, al vento, una rossa bandiera con l'alabarda triestina ed una nazionale. Sotto, dal poggiuoio fin quasi a terra, un immenso drappo azzurro tenuto a tutte le estremità, stride anch'esso ai rabbuffi del vento.

Giunge, fra i primi, l'on, Pitacco, ossequiato dai presenti con i quali si intrattenne con quella gioviale famigliarità che è sua caratteristica particolare; vediamo poi il sen. Valerio e, con le prime note dell'inno fascista, suonato dalla fanfara del Ricreatorio della Lega Nazionale, tutta una marea di bandiere e di pubblico che non è possibile elencare.

Tutti i gagliardetti si dispongono ai lati del busto di Baiamonti e, dietro essi, le squadre relative ed il pubblico. Il piccolo giardino è stipato. Gli oratori non hanno che pochi metri quadrati di spazio disponibile ed un nereggiare umano attorno a sé.

Alle 10 il giardino detta Villa Basevi, dove ha sede il Museo del Risorgimento, era già gremito di ospiti. I dalmati erano al completo con la presidenza della Società Dalmatica, alla quale dobbiamo l'offerta del busto al Comune. Erane rappresentati vari partiti politici cittadini: il democratico, il nazionalista, il fascista, il popolare. Le associazioni cittadine erano tutte intervenute; molte di esse con i gagliardetti. Della Società Dalmatica erano rappresentanti ufficiali il consigliere di Direzione Nicolo Radman e il segretario Remo Pappucia; altre notabilità dalmate, il patriota Achille De Micheli con la signora, il cons, avv. Stefano Smerchinich, il cons. avv. Edmondo de Hoeberth, incaricato di rappresentare il Comune di Zara, il prof. Dino de Rossignoli, il signor Burich, nipote del Baiamonti, la vedova Rismondo. V'era il senatore Alfonso Valerio; v'erano larghe rappresentanze delle Associazioni dalmatiche di Gorizia e di Pola coi loro vessilli. I vigili urbani facevano il servizio d'onore al comando del capitano Rossetti.

Il Direttore della Società Dalmatica cav. Radman sale sul podio e pronuncia queste brevi ma vibranti parole:

"Onorevole Signor Sindaco, Signori!

Mi sento altamente onorato dall'ufficio datomi di inaugurare in questa nobilissima città l'immagine eterna del Grande Baiamonti della cui magnifica figura oggi nella mia mente si rinnovano tutte le più grate rimembranze. A me, Suo concittadino, ch'ebbi la fortuna di udire tante volte la sua parola profetica; a me che accolsi con suprema devozione i suoi estremi sospiri, sia concesso di glorificare il Suo nome immortale augurando ch'Egli venga conservato ed adorato da quanti in questa terra italiana, italianamente pensano, operano e sperano.

Svelatelo dunque e lasciate che Antonio Baiamonti rifulga di tutto il Suo splendore come la luce dell'avvenire d' Italia, come l'aurora del Destino dalmatico".

Vivissimi applausi accolgono il discorso del sig. Radman e si procede allo scoprimento del busto fra un religioso silenzio, che si tramuta poi, quando la figura dolce ed austera dello spalatino parla al pubblico dal bronzo vivificato, in un triplice, possente inno alla Dalmazia, all'Italia, a Savoia. Le musiche intuonano tutti gli inni patriottici, mentre fasci di fiori ed una grande corona d'alloro dalle bacche dorate s'accumulano in breve ai piedi del monumento.

La voce dei dalmati

Tornato il silenzio, Remo Pappucia, segretario della Società Dalmatica, pronunciò il seguente discorso:

"Onorevole Signor Sindaco, Signori, fratelli nostri!

Il fremito della commozione toglie alla mia parola la forza atta a manifestare l'intima voce dei nostri cuori che in questo solenne istante racchiudono la somma effervescenza dell'amore, della devozione e della gratitudine.

Noi oggi a Trieste viviamo una di quelle giornate che sembrano mandate da una volontà divina perché noi ne tramandiamo il ricordo da generazione in generazione e ne facciamo testimonianza perenne attraverso i secoli.

Tale a noi appare questo magnifico evento per cui a Trieste vediamo sorgere il simbolo di quella sublime virtù ch'è ingenita in tutte le coscienze umane, d'una virtù che sopravvive al mutar dei tempi e dei programmi, che sopravvive ben anche nei cuori di chi
a dispetto vorrebbe negarla: l'Amor Patrio. E chi più di noi, esuli d'una patria tradita, aveva maggior bisogno d'un simbolo che ritempri gli animi nostri delusi e scuota le altrui coscienze?

Noi Dalmati che nel passato vedemmo sopprimere ogui nostro diritto nazionale; che fummo offesi in affetti sacri e minacciati nella cosa più cara: la lingua e il pensiero; noi che mai cedemmo al sopruso dello straniero e con la più illibata fedeltà aspettammo che spunti l'aurora di Vittorio Veneto; noi dapprima redenti e poi abbandonati alle vendette nemiche, mal conosciuti e negletti dai connazionali, scherniti dai più e commiserati dai meno, affranti dal veder ammainare il tricolore in terre ove esso attestava un diritto e il ritorno della civiltà; straziati dalla vista orrenda dello sgombero dei nostri territori avvenuto a squillo di tromba; angosciati dal pianto delle nostre genti che nella fuga vollero salvare dall'onta straniera persino i leoni freddi di S. Marco; noi che all'indomani devremo udir scoccare l'ora dellestrema condanna di Zara, qual meraviglia, se noi pochi, se noi miseri profughi provammo spasimo, angoscia e scoramento?

Ma la virtù che vuole vinse l'ambascia; la coscienza del nostro diritto e le sante memorie et confortarono a operare anche fuori della terra nostra. Ed allora sentimmo il bisogno di dichiarar forte agli amici e nemici la nostra inesorabile fede con un atto nobile e solenne, come il soldato inesausto e prode che in faccia al nemico leva alto il vessilio della Patria e l'amata vista ravviva il coraggio.

Cercammo adunque il simbolo della nostra fede, cercammo l'emblema della nostra dottrina, staccamumo lo sguardo dall'infausto presente e voltolo alle future fortune della Gran Madre, ecco a Trieste Antonio Batamonti! O fratelli, questa mole di bronzo e di pietra carsica che il soffio dell'arte di Seratino Santero cosi fortemente ravviva, fu composta dal sacrificio di pochi fedeli, fra cui pochissimi i ricchi e molti i poveri che maggiormente sentirono il dovere di eternare a Trieste la memoria del Grande Spalatino.

Tale fu inteso e veduto qui Antonio Baiamonti! Egli è a Trieste redenta un'affermazione solenne dell'italianità dalmatica e del sacrificio da cui essa trae i migliori auspici per l'avvenire. Dalla ardimentosa figura di Antonio Baiamonti traspare il dolore e le gioie, gli spasimi e le speranze, le prodezze e il futuro destino dei Dalmati ch'Egli attraverso le più aspre lotte e i più dolorosi cimenti limpido discerneva nella visione del Suo Apostolato che cimentava la passione del nostro popolo ch'è nato italiano in terra Italiana e questo fatto gli dà diritti che forza di trattati o viltà diplomatiche non possono cancellare.

O fratelli, questo è il frutto della nostra ferrea costanza; ma quanto dolore desta in noi la realtà per cui oggi viene scoperta l'immagine di Antonio Baiamonti a Trieste, mentre essa in virtù dei sudori e dei patimenti, delle sofferenze e delle pene, del sangue e della morte dei migliori combattenti d'Italia, doveva sorgere più grande e più maestosa a Spalato nostra! Ma intanto Baiamonti aspetterà fidente a Trieste.

Piacciano le anime forti a Lui fortissimo. Bene ricominciamo e non volgiamoci indietro. Nessuna ricchezza pareggia per noi l'amore per la Madre Patria. La serberemo illibata e forte.

L'Italia dei falsari arriverà forse ad eseguire l'iniquo trattato della più crudele condanna nazionale dei Dalmati cui oggi nulla rimane se non il ricordo del breve periodo di Redenzione che si frappose illusoria alla vecchia e nuova schiavitù; ma non ancor esausti dalla lunga ed aspra lotta combatteranno ad oltranza; e questa battaglia che gli irredenti adriatici si accingono a combattere per salvaguardare il diritto delle loro terre, è lotta per la libertà di genti civili, è la difesa della dignità nazionale d'Italia, è la conquista di quella unità nazionale della Gran Patria che non è concepibile senza Fiume e la Dalmazia tutta.

Non vi sarà pace nell' Adriatico finché la tracotanza vendicativa degli invasori non soggiacerà per lo meno alla influenza morale e spirituale della civiltà latina; non vi sarà concordia fra i due popoli finché l'uno indigeno e civile dovrà assoggettarsi all'altro immigrato e barbaro.

Questo è il linguaggio del buon diritto umano che sopravvive ad ogni ingiustizia.

Il nostro amore non è la passione volgare che esclude l'affetto per gli altri popoli vicini. Tutti gli uomini sono fratelli, tutti devono cooperare al bene dell'umanità, ma questo bene è conseguibile soltanto col rispetto reciproco del proprio diritto nazionale. 

Tale era il pensiero di Antonio Baiamonti.

L'Italia non è ancora integrata nella sua unità geografica, ma sulla fronte bella le irradia con vivissimo raggio l'auspicio di un migliore e glorioso avvenire. Intanto il primo germe nacque, si comprende bene, dall'opera di tanti eroi, dal sangue di tanti martiri.

Questa cerimonia che oggi si compie a Trieste nobilissima non è soltanto l'esaltazione di quanto di più forte, di più grande e di più italianamente bello possa oggi significare la figura bronzea di Antonio Batamonti; non è solamente la sublimazione d'un culto sacro ai fedeli di nulla bramosi se non del trionfo del proprio diritto; ma essa è sopratutto l'affermazione inviolabile di quei principi di cui l'Italia ne fu sempre legittima sostenitrice e che segnano la via verso i suoi migliori destini.

"Patria ai Veneti tutto l'Adriatico" è il linguaggio del Poeta Soldato, è la profezia del Sommo Italiano fra gii italiani, è l'avvenire infallibile d' Italia, che, ricostituita in Patria forte e unita, non siederà più compianta ma ammirata fra le nazioni e le sarà assegnato l'onore di una grande missione da compiere nella storia della civiltà moderna; grande missione di rapida espansione di uomini e di idee, di predominio intellettuale e morale di sostenitrice e di centro di coordinamento in Europa e della giustizia mondiale. O Illustre Capo dell'Eroica città di Trieste, Voi che della passione adriatica eravate una volta il simbolo ed oggi siete il premio; Voi che nell'autunno di nove anni or sono portaste a Zara lo spirito ardente del Vostro irredentismo, Voi che sulla nostra sponda baciaste i fiori della nostra devozione per i fratelli giuliani, accogliete questo nuovo pegno della volontà dalmatica, ch' o suprema volontà d'Italia!"

La parola del Sindaco di Trieste

Applausi calorosissimi coronano il discorso detto con passione vivissima. Gli inni alla Dalmazia riempiono la breve parentesi, dopo di che il sindaco on. Pitacco, in un silenzio religioso, pronuncia il seguente discorso:

Antonio Baiamonti, il podestà mirabile, che per quasi un quarto di secolo dedicò le sue eminenti doti amministrative al Comune della sua Spalato natia, che alla Dieta di Zara ed al parlamento di Vienna difese con l'ardore più vigoroso dei suoi giovani anni la causa della giustizia e della civiltà di Dalmazia, che fu tra i primi ad opporsi con tine intuito politico ad ogni unione della sua terra che contrastasse col diritto e con la storia, che per questa sua indomita attività feconda soffrì le più tristi persecuzioni, si da averne logorata anzitempo la fibra robusta ed amareggiato l'animo fiducioso, Antonio Baiamonti che tutto incarna nella sua alta e pura figura di patriotta il lungo martirio della Dalmazia italiana, è dopo un secolo dalla nascita, più che mai vivo nella gratitudine Vostra, più che mai il simbolo delle speranze comuni.

Il grido di dolore che egli urlò in pieno parlamento contro ai tanti nemici: A noi italiani di Dalmazia non rimane che un solo diritto, il diritto di soffrire, divenne purtroppo per molti di voi amara profezia, per voi che intranto il sogno della redenzione siete tuttora profughi in patria.

All'uomo che nella stima degli onesti trovò il più grande conforto della travagliata esistenza, voi tributate oggi con immutabile animo il meritato onore ed inaugurate in commozione concorde di cuori questo artistico busto che ne ricorda l'immagine buona, e ne rispecchia la veneta fedeltà. Il vostro affetto lo affida al Comune di Trieste che per il sentimento di amore sempre nutrito verso i fratelli di Dalmazia è degno di custodirlo qui presso al Museo del Risorgimento che aduna tanti ignorati e preziosi cimeli delle lotte sostenute in comune per la liberazione comune..

Ch'esso sarà conservato con ogni cura gelosa, mi rendo mallevadore io stesso che divido la vostra passione che già mi portò ramingo con Ercolano Salvi, con Luigi Ziliotto e con Roberto Ghiglianovich, al quale vada anche in quest'ora il mio fervido augurio, a mendicare presso le varie consulte politiche l'osservanza dei patti che per quanto solennemente firmati non conseguirono la contrastata sanzione.

La forza degli avvenimenti soverchia troppo spesso la volontà degli uomini.

L'uomo che oggi si onora fu grande per forza di volontà e fervore di fede che mai disperò e che anche nei più difficili eventi della Patria, così incuorava i timidi e i dubbiosi: A quanti ripetono tutto è finito, rispondete col tono più alto della vostra voce: No.

Sia questo No così vibrante di sentimento il palpito più espressivo della cerimonia odierna".

Parla I'on. Dudan

Dopo il discorso del sindaco di Trieste si rinnova più vivo l'applauso, finché ristabilitosi il silenzio ha la parola l'on. Dudan.

L'oratore esordisce dicendo:

È un rito, quello che si compie oggi nel nome di Baiamonti, un rito di gentilezza e di amore quale la latinità, la romanità dalmata sanno compiere. Ed è la continuazione dello stesso rito religioso che si compieva, quando io ero bambino, quotidianamente, per le vie di Spalato nostra italianissima allora, come ora, come sempre dove ogni vetrina, ogni finestra, ogni angolo di via — quasi — aveva esposta l'immagine di Baiamonti posta fra due ceri. Cuito che ha il suo riscontro sol nelle celebrazioni della cristianità primitiva quando si compieva il rito nascosti agli occhi del mondo, quando la persecuzione stessa alimentava continuamente la inesausta fede delle folle. Ed ancor oggi i religiosi dell'italianità della Dalmazia erigono i monumenti agli assertori sommi della sua fede non entro le mura delle sue città, non nelle sue terre, ma nelle più ospitali città sorelle, in quelle che seppero anch'esse il dolore del servaggio, in quelle che più sanno comprendere ed apprezzare il dolore e la fede degli italianissimi sacrificati.

A questo punto l'oratore tratta a grandi tocchi e precisi, quelle che sono le linee fondamentali, le caratteristiche principali dell'attività di Antonio Baiamonii; amministratore studioso, storico insigne, ma sopratutto e sempre italianissimo, di una italianità sgorgante come una polla inesauribile dell'animo suo, istintivamente quasi, e permeante di sè ogni pensiero, ogni azione, ogni opera stesso si fosse accinto. E rammenta, l'oratore, tutta l'opera del Baiamonti per il miglioramento e lo sviluppo di Spalato, che fino al 1850 poteva essere considerata una piccola rocca feudale e che solo attraverso l'amministrazione tenuta dal Baiamonti s'ebbe quell' impulso, quella trasformazione profonda che fanno di essa, ancora, una delle più interessanti città della Dalmazia.

Ma così sagace opera di sviluppo e di italianità non poteva sfuggire agli Absburgo, ed abbiamo così, l'inizio di quelle lotte feroci per la conquista del comune fatte qualche volta con le torpediniere austriache nella rada di Spalato con i cannoni volti verso la città italiana, e che costarono la vita a non pochi elettissimi, il martirio di nobilissimi altri, l'ansia, la trepidazione ed il dolore a tutti al dominio dell'amministrazione locale fu perduto — dice l'oratore — ma l'italianità si rafforzò nell'animo di tutti, si temprò, divenne disperazione alla vista quotidiana dello scempio che il dominatore fece o volle fare di quanto il Baiamonti aveva creato.

Un giorno, un triste giorno, tutti gli abitanti di Spalato sono raccolti silenziosi intorno a quella che fu la casa del Baiamonti: hanno saputo di una sua grave malattia e son lì in attesa trepida di notizie. È un mareggiare umano grave e solenne. È tutta l'italianità che si raccoglie intorno al suo simbolo più fulgido e quando la triste notizia fu data, quando fu annunciato da uno degli intimissimi che il grande patriotta era morto e ch'era morto infinitamente povero, tutta quella folla s'inginocchiò, si scoprì silenziosa, racchiuse il dolore grande nel cuore per scaldare con esso l'italianità dei suoi figli, per farne arma contro l'oppressore. E l'italianità rifulse più tèrsa pur dopo tanta sventura.

E proseguendo, l'oratore rammenta del teatro che il Baiamonti volle creare a Spalato, perché le muse italiane in esso potessero avere ricetto; di tutte le altre opere monumentali per le quali chiamò, sempre l'arte ed il genio italiani; della fontana meravigliosa che il popolo volle subito chiamare: "Fontana Baiamonti".

Ora — conclude l'oratore — i servi del nemico s'illudono che tutto ciò non sia più; pensano che tutto ciò non è più che un ricordo perché alla fontana Baiamonti essi imposero il nome di "fontana Francesco Giuseppe". L'illusione è assoluta ed è destinata a crollare in pieno come un castello di carta. Nella nuova Italia c'è un fremito di rivendicazione e di dignità che rincuora; dal Brennero all'Etna è un nereggiare di gagliardetti, un ansimare di giovinezza fremente, che non lascia dubbi al riguardo. Per poco ancora e i destini d'Italia saranno in mano della nuova coscienza e della nuova volontà foggiatasi nel turbine della guerra ed allora il destino della Patria sarà compiuto inesorabilmente; tanto più che a ciò non necessiterà che la coscienza della propria dignità e del proprio diritto, che l'abiura di ogni politica di dedizione vergognosa: l'assorbimento, il ricongiungimento dell'estremo e più italiano lembo della Patria avverrà senza bisogno di azioni violente di sorta. Per questa nuova Italia del prossimo domani, per questa rivendicazione della Dalmazia italiana, io vi invito, o cittadini, o fratelli tutti, ad emettere un triplice alalà".

L'orazione, ascoltata religiosamente, è alla fine coronata da un uragano di applausi che il vento trascina lontani, unitamente agli inni della Patria. Gli evviva alla Dalmazia si fondono con gli evviva all'Italia.

Dopo la cerimonia il corteo si ricompone con le squadre fasciste in testa, e passando per via Paolo Veronese, via S. Giacomo in Monte, piazza G. B. Vico, via Galleria, piazza Goldoni e il Corso, giunge in piazza Unità dove si scioglie.

Le diverse squadre si radunano quindi in via Gabriele D'Annunzio, dove si svolge la cerimonia del saluto delle bandiere.

Il passaggio delle bandiere dalmate, viene salutato da un triplice alalà da tutti gli squadristi, mentre la musica suona l'inno degli arditi. Alle 12 la cerimonia è finita.

I telegrammi di plauso

Dal Municipio di Cittanova, Istria:

Impedito intervenire inaugurazione busto podestà ammirabile Antonio Balamonti municipio Cittanova invia fervente saluto associandosi manifestazione grande patriotta — Gianelli.

Dal comandante Roncagli, Roma.

Dolente non poter intervenire patriottica cerimonia onore Antonio Baiamonti offro mio fervente omaggio in memoria grande dalmata cui esempio deve Ispirarsi opera nostra per improrogabile rivendicazione diritto italiano. — Roncagli.

Dalla prof. Maria Elena Casella, Roma:

Associomi concorde tributo onore podestà mirabile auspicando prossima redenzione completa terra diletta. — Maria Elena Casella

Dal generale Valsecchi, Roma

Assente nostro delegato on. Dodan preghiamo rappresentarci onoranze podesta mirabile nel cui nome rinnovasi perennemente fede per redenzione italianissima Dalmazia. — Per l'Associazione nazionale Dalmazia generale Valsecchi, presidente.

Dai profughi dalmati residenti a Idria:

Dalmati residenti Idria si associano festa commemorativa podestà mirabile campione immacolata stirpe nostra che, con con la mente eletia con le opere imperiture ha elevato la cara dalmata terra oggi vinta ma non doma.

Dai profughi dalmati residenti a Lussino:

Profughi dalmati residenti Lussinpiccolo plaudendo patriottica commemorazione Baiamonti traggono lieti auspici redenzione Dalmazia tutta. — Matcovich.

Dol dott. Bucevich, Roma:

Ringrazio invito, e, come dalmata e combattente, mi associo riverente onoranze che per felice iniziativa vostra son tributate oggi in Trieste italiana alla memoria di Antonio Baiamonti, mirabile esempio patriottismo italiano nostra terra. — Bucevich.

Dalla Società Ginnastica, Zara:

Società Ginnastica associasi odierna glorificazione magnifico podestà di Spalato cui culto nostro rimarrà Imperituro. Alala. Valery.

Dalla signora Ofelia Colautti, Roma:

Inchinomi riverente innanzi mirabile Podestà, cui fraterne amorevoli cure salvarono la vita al poeta Colautti aggredito dalla sbirraglia croata, gloria a onore sempiterni ai gloriosi dalmati. — Ofelia Colautti 

Dal cav. Vittorio Verban, Zara:

Odierna cerimonia raccoglie ancora sempre dalmati tutti nel nome Baiamonti per la redenzione di terra nostra. Egli ci spronava alla creazione del fascio per la lotta e per la grandezza d'Italia. Uniamoci. Evviva. — Cav. Verban.

Dal partito repubblicano sezione di Zara:

Spiacenti non poter inviare propria rappresentanza, ci uniamo in ispirito solenni onoranze grande italiano Spalato. — Sezione repubblicana, Zara.

Dall'Associazione nazionalista di Zara:

Molteplici circostanze c'impediscono partecipare solenne cerimonia celebrazione podestà magnanimo. Nostro pensiero fidente vi accompagna al grido di Evviva Spalato italiana. — Per Associazione nazionalista: cap. dott. Mandel.

Dall'Associazione combattenti di Zara:

Combattenti Zara pregano collega on. Dudan rappresentarli onoranze podestà Baiamonti. — Il Cosiglio direttivo.

Dalla Federazione Legionari fiumani, Legione dalmata:

Ordine superiore non permetteci ailontanarci Zara. Spiritualmente presenti celebrazione podestà mirabile compagni Vucassovich rinnovano giuramento fedeltà causa Adriatica e promettono rimanere sentinelle incorrutibili (illegibile) patria sacrificata nel nome mallevadore di Gabriele D'Annunzio. — Legione Dalmatica.

Una lettera di plauso del Prof. Comm. Arturo Linacher di Firenze

Spettabile Direttorio,

Fino all'ultimo momento ho sperato di poter recarmi a Trieste per la solenne inaugurazione del busto al podestà mirabile Antonio Baiamonti, ma non mi è stato possibile.

Ero col pensiero in mezzo a voi mesto pensiero nel presente così triste per la sacrificata Dalmazia. È destino che l'unità l'Italia si debba compiere attraverso grandi sacrifici e a tappe successive; ma si compirà, deve compiersi nonostante gli sforzi dei nemici interni più temibili agli esterni. Diciamo col poeta:

"converrà vincere la prova". La generazione che verrà, avrà la soddisfazione di vedere quello che noi forse non vedremo. Dico forse! Pensiamo che dopo Mentana venne il XX settembre. Trieste, Trento erano fantasie da menti esaltate e abbiamo avuto Vittorio Veneto!

Noi della Dante pochi e compatiti vedemmo assotigliate le nostre file quando nel '15 vedemmo la guerra.

Non abbandoniamo la Dalmazia: parliamone, parliamone; manteniamo li con ogni sacrificio l'Italianità: pensiamo a Zara che non sia completamente sacrificata, e stiano uniti quei pochi che hanno fede che l'unità della patria non è ancora compiuta, ma che deve compiersi.

Abbiatemi vostro

Arturo Linacher.

Verbale della consegna del busto di Antonio Baiamonti al Municipio di Trieste

Nella città di Trieste all'esterno del Museo del Risorgimento il giorno XV del mese di Ottobre MCMXXII La Società Dalmatica di Trieste a nome di tutti i Dalmati italiani per sangue, per linguaggio, per tradizione e per inesorabile volontà, sentì per forza della propria fede nei destini infallibili della Madrepatria il bisogno di affermare l'italianità dalla terra irredenta con un segno aperto e solenne Ond'e che in virtù dell'idea proposta nel Congresso Generale Ordinario della Società Dalmatica del II febbraio MCMXXI ed accolta con plauso da tutta l'Assemblea, la Direzione della detta Società determinava di oftrire in omaggio al Municipio di Trieste un busto bronzro di ANTONIO BAIAMONTI per onorare il primo centenario della nascita di questo Mirabile Podestà di Spalato che  tutta l'Italia riconosce e venera come Apostolo della nuova fede adriatica.

I migliori figli di Dalmazia residenti in questa città parteciparono con entusiasmo ineffabile alla nobile iniziativa. L'opera d'arte fu eseguita dalla scultore siciliano SERAFINO SANTERO che in brevissimo tempo condusse a termine l'ottimo lavoro.

Il busto di bronzo di cannone austriaco è sorretto da un nobile piedestallo di pietra carsica sulla cui facciata spicca in lettere di bronzo l'epigrafe: 

AL

PODESTÀ MIRABILE

ANTONIO BAIAMONTI

I

DALMATI IRREDENTI

Il busto è stato solennemente scoperto oggi alle ore 10.30 presenti il Signor Dott. Giorgio Pitacco, Sindaco di Trieste, il Direttorio della Società Dalmatica, il Consiglio Municipale di Trieste, la Direzione del Museo del Risorgimento, l'Artista Serafino Santero e molte altre personalità invitate. Assistevano quasi tutte le Associazione patriottiche, i partiti nazionali ed infinito popole plaudente.

Il Direttore della Società Dalmatica, signor Nicolò Radman, inaugurò con calda parola in cerimonia. Scoperto il busto, il Segretario della Società Dalmatica, signor Remo Pappucia, rivolgeva al Signor Sindaco la preghiera che Egli si compiacesse di riceverlo in consegna quale pegno della volontà dalmatica.

Il Signor Sindaco rinnovava in nome della Città di Trieste la solenne promessa di conservare con devozione il busto e di ciò si rendeva Egli stesso mallevadore.

Si estenie quest'atto di consegna che viene toscritto dal Signor Sindaco e dai membri del Consiglio Direttivo della Società Dalmatica.

Di questo documento si fanno tre originali conformi, ciascuno dei quali viene firmato di proprio pugno dalle persone summentovate.

Il primo verrà consegnato al Sindaco di Trieste, il secondo al Direttorio della Societa Dalmatica, il terzo verrà deposto negli Archivi del Museo di Storia Patria di Trieste. 

Firmati:

Il Sindaco: Dott. Giorgio Pitacco

il Direttorio della Società Dalmatica

Il Cons-Segretario Reme Pappucia. I Consiglieri: Nicolò Radman, Ello Benevenia, Luigi Paladino. Luchino Verban, Matteo Pavazza, Melchiorre Rubcich, prof. Alessandro Coschina, Mario Sisgoreo.

I contributori 

La Società Dalmatica: Francesco Boghich-Perasti, Elio Benevenia, Nicolò Radman, Remo Pappucia, Pietro Savo, Matteo Pavazza, Melchiorre Bubcich, Mario Sisgoreo, Luigi Paladino, Marino Marini, Giorgio Giovanizio, Bartolomeo Granich, Maria e Achille Demicheli, cav. Pietro Gelineo Bervaldi, avv. Ljubimiro e Fedele Savo, de Zamagna Conte Savino, Brainovich Stefano, Simeone Brasevich, Spiridione Benevoli, Camillo Mistura, Ruggero Pappucia, Mattarelli Eugenio, prof. Giovanni Botteri, avv. dott. Giorgio Gefter-Wondrich, Pietro Slade, Luigi Slade, Leandro Nachich, Eugenio Celeghin, Giovanni Sasso, Marino Delich, Stipinovich Giovanni, Tverde Lorenzo, Dallavia Antonio, Pavazza Pietro fu Crancesco, Sala Umberto, Pontizza Simeone, Nicolich Alfredo, Doimo Caliterna, Tolentino Davide, Devich Cirillo, prof. de Beden, prof. Dino de Rossignoli, Prof. Ubaldo Salvi, Addobbati Marino, Erzeg Simeone, Eugenio Pieno, Simeone Pavazza. Carlo Bertuzzi, Francesco Covacich, Covacevich Martino, dott. Ernesto Illiich, Giuseppe Bercovich, Shlehan Gustavo, Francesco Foretich, Jaman Giovanni, Bonacich Giovanni fu Nicolò, Cescovich Antonio, Scotton Giovanni, Traini Dante, Siavina Andrea, Camillo Fosco, Stenta Maria, Lorenzo Polli, Buttara Rodolfo, Verdolja Maria, Jesurum Mario, Goidanich Giovanni, Vragnizan Francesco, Giacomo Loss, Ing. Stock, Wrubl Enrico, Brainovich Pietro, Rosa Ved. Wolyanzsky, Tolpei Camillo, Gino Brunelli, (Firma illeggibile). Luigi Tomicich, ing. Andrea Rados, Vincenza ved. Bosich, L. Bakos, Dott. Gioacchino Boghlich, Adolfo Namer. Lydia Pagan, Ruggero Nicolich, Enrico Braievich, Nilo Jancovich, comm. Diodato Tripcovich, dott. M. Tripcovich, avv. dott. Edm. de Hoeberth, dott. Rod. Radl, dott. prof. Ant. de Micheli, Tina di Verbano, Giovanni Zovetti, dott. Emilio Orlandini, dott. Nicolò Fertilio, dif. penale Ferdinando Barich, Francesco Todeschini, Marin Antonio, Gherle Deimo, ing. Antonio Matulovich, Fratelli Delich, Oreste Inchiostri, Crassich Vincenzo, Crassich Cesare, Guido Fosco, Pant Matteo, Pietro Sponza, Pasquale Bilussich, dott. Ippolito Nicolich, dott. Bruno Bonetti, Fausto Marincovich, Agostino Benzoni, prof. Luigi Miller, Fantoni Antonio, Filippo Nutrizio, Avv. Vincenzo Botteri, dott. Ugo Storich, Ester Zohar, Anna Brechler, V. Stermicevich, Dott. Giuseppe Müller, Ivanissevich Doimo, dott. Francesco Gutty, Ermenegildo Alborghetti, Rodolfo Nicolich, Vladimiro Raicevich, Jenny Jurcev, dott. Rodolfo Modrich, prof. Spiridione Nachich, Maupas Doimo, dott. Nilo Bittanga, Paolina Simeone, Pavazza Carlo fu Giovanni, Jacasa Antonio, Desiderio Dott. Barich, Spiridione Bellotti. dott. prof. Antonio Cippico, Valentino Wohlmuth, Giuseppe Kesckemety, Dionisio Paladino, Persola Giovanni, Alesani Gerolamo. Ivancich Francesco, dott. Messa, Jellicich-Martinis Ruggero

Dai profughi dalmati Pola: Perat Matteo, Uroda Pietro, Pojani dott. Umberto, Colombo Tomaso, Gelinich Gino, Botteri Pietro, Montanari Carlo, dott. Defranceschi Carlo, Boman Nicolò, A. Traine, dott. De Portada, Alacevich, Pezzi Giacomo, Alborghetti Venturino, Lusich Giorgio, Bogdanovich Girolamo. Descovich Doimo, Ponisch Vincenzo, Foretich Marino, Giuseppe Cappelletti, Descovich ing. Giuseppe, Nicolò Gligo fu Giorgio, ing. Piero Cusmanich, conte Silvio de Vitturi, Antonio Gelich, cap. Stefano Novak, Antonovich, ing. Gustavo Comici, Nicolò Patrich-Lode. dott Snich Antonio, (Firma illegibile), Nicolò Marchi di Simeone, Giorgio Vucetich, G. Benedettich, Radovani Stanislao, Cherstulovich Gianni, Nella Facci, Nicolò Ticina, cav. Antonio Sangoletti, dott. Angiolina Prezzi, Bernich Riccardo. Bernich A., Tomaso Micovilovich, cap. Pasquale Capurso.

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