I PRIMI DUE ESODI DEGLI ITALIANI DALLA DALMAZIA, IN ΕΡΟCA PREFASCISTA, VOLUTI DALL'AUSTRIA E DAL REGNO DI JUGOSLAVIA, IL TERZO ESODO PROVOCATO DAI COMUNISTI DI ΤΙΤΟ
Le manifestazioni ufficiali del 10 febbraio sono state aperte a Trieste da una conferenza tenutasi nella sala maggiore della Lega Nazionale con un titolo che non lascia dubbi coloro che ogni anno vengono a raсcontarci la storiella dell'esodo provocato dalla spontanea reazione popolare contro gli italiani, a causa della guerra fascista, debbono sapere che i due maggiori esodi dalla Dalmazia hanno avuto luogo ben prima che naseesse il fascismo e senza che vi fossero provo cazioni di alcun genere. Il tema del Convegno pubblicato con grande evidenza da Il Piccolo (e inviato per conoscenza a tutti i giornali, Tv, Mass media italiani e, soprat- tutto, alle autorità preposte alle commemorazioni del Giorno del Ricordo) sembra aver ottenuto l'effetto deside rato. Non abbiamo notizia, se non di gruppuscoli marginali, che abbiano sostenuto le vecchie tesi di Tito Finalmente, si è capito che il precedente, storicamente provato inerente la pesante snazionalizzazione della Dalmazia e, in minor misura, le angherie attuate in Istria, a Fiume, a Trieste, Gorizia, nel Trentino ed in altri territori abitati dagli italiani nell'Impero Austro-Ungarico, erano avvenuti senza che si potesse incolpare il fascismo che non era ancora nato. La snazionalizzazione attuata dal 1920 al 1940 dal Regno di Jugoslavia riguardò — come è noto — solo la Dalmazia perché gli altri territori erano stati liberati e facevano parte del Regno d'Italia.
Lavy Mario Sardos Albertini ha aperto la riunione con una documentata relazione sulle angherie attuate dall'Austria e dal Regno di Jugoslavia che costrinsero anche suo nonno, sua madre ed il resto della famiglia Marin a lasciare l'isola di Clarino-Zlarino insieme a molte altre famiglie italiane, per cui sono documentati ben due esodi prefascisti Infine, quello attuato dalla Federativa comunista jugoslava di Tito fu dunque per i Dalmati il terzo esodo, sicuramente il più cruento e più drammatico che riguardo principalmente Zara, Lagosta, Arbe, Veglia, Cherso e Lussino, ma numericamente fu il meno significativo, perché l'Austria-Ungheria ed il Regno della Jugoslavia avevano già compiuto un lavoro di pulizia etnica molto accurato e ben rifinito.
Ha preso, quindi, la parola l'on. Renzo de' Vidovich che ha rilevato con amarezza come l'azione dell'Austria-Ungheria, volta a snazionalizzare la Dalmazia ed a sradicare la sua classe dirigente di cultura veneta, sia stata attuata attraverso un ben congeniato strumento politico basato su un fatto molto poco noto: la maggior parte delle spese per il mantenimento delle scuole dell'Impero era a carico dei Comuni, per cui bastava che un'amministrazione comunale passasse dal Partito autonomista dalmata, (che accomunava insieme italiani, croati, serbi, montenegrini, morlacchi, albanesi, ecc.) al Partito popolare croato, (formalmente appoggiato da un basso clero succube a Vienna, nonostante la dirigenza croata fosse composta da elementi violentemente nazionalisti), per chiudere le scuole italiane, eliminare dalle amministrazioni pubbliche la lingua italiana e costringere all'esilio il ceto impiegatizio veneto. Tutto ciò metteva in grave crisi le comunità italiane del luogo.
L'azione di snazionalizzazione ebbe luogo già prima del 1861, quando nacque a Firenze il Regno d'Italia e Casa Savoia dichiarò esplicitamente di volere l'Unità d'Italia. Solo da quella data risulta che i Dalmati italiani abbiano cominciato a guardare verso l'Italia e non più verso un Impero, sempre più nazionalista e filo tedesco.
Nel giro di poco più di vent'anni, con le angherie che ha ben descritto Mario Sardos Albertini e subite anche dalla sua famiglia, ma soprattutto chiudendo le scuole ed estirpando dagli enti pubblici la lingua italiana, si costrinsero le famiglie italiane più agiate, che potevano mandare a studiare i figli in quelle città dell'Impero che avevano conservato le amministrazioni comunali italiane (ad esempio, Enzo Bettiza appartenente ad una delle famiglie più ricche di Spalato studiò a Zara), o di trasferirsi a Zara, Lussino e soprattutto a Trieste Questo spiega perché molti triestini abbiano almeno un nonno dalmata! Formalmente l'Impero asburgico poteva essere accusato solo delle angherie nei confronti degli italiani, attuate attraverso la gendar meria austro-ungarica, come testimoniato dai libri di Virginio Gayda L'Italia d'oltre confine: Le Province italiane d'Austria, 1914 e La Dalmazia, pubblicato nel 1915.
In realtà, l'amministrazione austriaca è stata spesso determinante nel far vincere le elezioni comunali al Partito popolare croato o, peggio ancora, al Partito del diritto croato. Una volta espugnati i comuni, le nuove amministrazioni comunali provvedevano immediatamente a chiudere le scuole italiane, anche quelle più antiche e famose, senza che l'amministrazione centrale di Vienna potesse essere accusata di niente, Sono, quindi, incomprensibili per coloro che ignorino questa tecnica, le ragioni di un esodo degli italiani della Dalmazia verso altre città appartenenti all Impero, ma dotate di amministrazioni comunali italiane ed anche verso le Americhe, già nell'800 (Primo esodo). Nel libro Dalmazia, Regione d'Europa dove ho pubblicato anche una lettera inviata all'allora Presidente della Repubblica Cossiga del 21 agosto 1991, ho documentato che, dopo aver colpito gli italiani, gran parte delle isole della Dalmazia pur abitate da secoli furono del tutto abbandonate dalle popolazioni. Anche da quelle slave, perché, una volta allontanati i professionisti italiani (medici, ingegneri, geometri, capomastri, costruttori di barche e di navi) e gli imprenditori (costruttori di case, commercianti che importavano derrate alimentari, abbigliamento e tutti gli altri generi di prima necessità ed esportavano le produzioni locali) le isole erano diventate invivibili e sono state percià abbandonate anche dalle popolazioni croate che cercarono fortuna nelle lontane Americhe, nella Nuova Zelanda e nell'Australia Questa è la tragedia della Dalmazia, sciaguratamente guidata da una classe dirigente austriaca miope che credeva di poter attuare la politica del divide et impera per sopravvivere per chissà quanti anni, senza rendersi conto che tagliava il ramo sul quale era seduta. Era destinata a precipi-tare come poi inevitabilmente avvenne De Vidovich ha, infine, ricordato che la persecuzione continuò durante il Regno di Jugoslavia, ideata e diretta da Vasa Čubrilović, un esponente della parte più conservatrice e reazionaria del Regno di Jugoslavia che, perseverò nella propria attività anche durante il periodo della Repubblica Socialista Federativa di Tito che lo tenne in grande con siderazione fino al punto di nominarlo Ministro federale!
Insomma, il più cieco nazionalismo, (che la maggioranza degli studiosi ritiene più vicina al filone del razzismo biologico che non a quello del nazionalismo, pur estremista ma costruito su basi culturali), è legato da un filo rosso che attraverso i periodi in cui la Dalmazia fu governata dall'Austria-Ungheria, dal Regno di Jugoslavia e dalla Federativa comunista di Tito almeno per quanto concerne la politica di snazionalizzazione ai danni degli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia.
CHIUSERO A SPALATO PERFINO LA SCUOLA DOVE STUDIARONO FOSCOLO E TOMMASEO
Dopo che il Partito croato strappò a Rajamonti, con il pesante appoggio della gendarmeria e della Marina di guerra imperiale l'amministrazione comunale di Spalato fu tolto l'insegnamento della lingua italiana perfino nella scuola che è stata frequentata dal poeta Ugo Foscolo, di antica famiglia dalmata veneziana, e dal grande sehenicense Niccolò Tommaseo.
VASA ČUBRILOVIĆ IDEÒ LA PULIZIA ETNICA DEGLI ALBANESI E DEGLI ITALIANI NEL REGNO DI JUGOSLAVIA E NELLA FEDERATIVA SOCIALISTA DI TITO, DI CUI FU MINISTRO!
Vasa Čubrilović, già fra gli attentatori di Francesco Ferdinando, sale alle cronache del Regno di Jugoslavia del 1937 quando pubblica il suo Memorandum sulla espulsione degli albanesi. Non una parola sugli italiani di Dalmazia perché, al tempo, il Regno di Jugoslavia aveva firmato accordi con l'Italia fascista (Ciano- Stojadinović) e l'Italia non avrebbe tollerato dichiarazioni contro gli italiani allora rimasti solo in Dalmazia perché l'Istria, Fiume, Zara, Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa facevano parte del Regno d'Italia. Ma, sorprendendo tutti, il sostenitore della razza slava, diventa il beniamino di Tito che non si farà scrupolo di utilizzare le sue teorie non solo contro gli albanesi, ma anche e soprattutto contro gli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia e contro tedeschi, rumeni e ungheresi.
Già il 3 novembre 1944 scrive Il problema delle minoranze nella nuova Jugoslavia, nel quale propone al Governo provvisorio "la deportazione forzata di tutte le minoranze non slave" (dell'ordine di alcuni milioni di jugoslavi di razza "...impura..."). Afferma, senza infingimenti "che la Jugoslavia potrà godere di pace e prosperità solo se etnicamente pura, eliminando le ragioni di controversie tra la Jugoslavia ed i paesi confinanti". Nel 1945 è Ministro federale e diventa membro del Partito comunista jugoslavo. È nominato Decano della Facoltà di Lettere e Filosofia di Belgrado, di cui è anche commissario politico del partito di Tito. È Ministro di Tito dal 1946 al 1950. II KPJ lo nomina professore ordinario per rivedere in senso marxista la storia della Jugoslavia e riceve un gran numero di premi e riconoscimenti dal regime titoista.
Esalta l'utilità di queste guerre che consentono rapidamente di eliminare le popolazioni non slave "in maniera pianificata e senza pietà, per essere ripopolata con elementi nazionali". Ha ricoperto l'incarico di Supervisore delle Parti settentrionali della Jugoslavia, dove le popolazioni germaniche della Vojvodina e delle altre regioni vicine sono state totalmente eliminate. Ancora nel 1987 riceve l'onorificenza massima jugoslava della Stella rossa con fascia. Stranamente, gli studiosi italiani di storia non hanno mai parlato di questo personaggio. Solo quando l'on. Marucci Vascon ha pubblicato il Libro bianco sul problema dei profughi italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia ne hanno fatto cenno in striminzite note a piè di pagina. A quanto ci risulta, anche i tedeschi, albanesi, rumeni e ungheresi non hanno denunciato l'ideologo della pulizia etnica jugoslava.
La rivoluzione comunista rese più tragico l'ultimo esodo del '45
II Presidente della Lega, Paolo Sardos Albertini, ha sottolineato le specificità del terzo esodo dei Dalmati italiani e cioè quello verificatosi a seguito del secondo conflitto mondiale ad opera del Maresciallo Tito.
Rispetto alle vicende precedenti va evidenziato che diverse sono state le vittime e cioè oltre agli Italiani di Dalmazia anche quelli dell'Istria e di Fiume. E inoltre vi è stato un largo coinvolgimento anche di Slavi (di Dalmazia e non solo).
Un'altra specificità va individuata nei metodi seguiti: l'eliminazione fisica e l'esproprio dei beni.
Tutto ciò evidenzia la natura intrinsecamente diversa dell'Esodo a causa Tito da quelli precedenti.
Natura diversa perché la logica che lo guidava non era quella del conflitto tra etnie, bensì quella della rivoluzione comunista che Josip Broz stava realizzando ed in nome della quale il percorso obbligato era appunto quello del terrore.
I Dalmati, come gli Istriani e i Fiumani, gli Italiani come i Croati, gli Sloveni e i Serbi tutti dovevano venire assoggettati al regime del terrore strumento indispensabile per costruire il nuovo stato comunista.
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