(Scritto dal colonnello V. di Bernezzo, tratto da The Independent, volume 102, 22 maggio 1920)
Ora che il conflitto mondiale si è chiuso con la vittoria di quei popoli che hanno combattuto per il trionfo della libertà e della giustizia, spesso notiamo, nel turbinio di domande e discussioni che la guerra ha portato con sé, visioni e opinioni contrastanti con i fatti.
È doloroso per noi constatare che non sempre il grande contributo dell'Italia e dei suoi eserciti è stato giustamente apprezzato. Troviamo che a fattori politici vengono attribuiti risultati che furono il frutto di lunghi e duri anni di tenace impegno militare da parte dell'esercito italiano, e furono la diretta conseguenza di una grande vittoria conquistata in campo aperto.
Poco tempo fa un Bollettino degli Stati Uniti, in un articolo sulla questione adriatica, conteneva le seguenti affermazioni:
"... La verità è che il presidente crede che gli jugoslavi abbiano avuto un ruolo importante nella vittoria della guerra... Fu l'ascesa degli jugoslavi e di altri in Austria, e dei socialisti in Germania, che ha creato rivoluzioni interne agli Imperi Centrali che hanno davvero posto fine alla guerra... Lui (il Presidente) ritiene che il debito più grande di tutti sia dovuto a quelle piccole, nuove nazioni che hanno messo l'Austria, e più tardi la Germania, fuori gioco."
Non voglio discutere ciò che si dice riguardo all'influenza che i socialisti tedeschi possono aver esercitato negli sconvolgimenti interni del paese e sulla forza combattiva dell'esercito tedesco. Non discuterò nemmeno quale influenza abbiano potuto esercitare sulla monarchia austro-ungarica i sollevamenti dei popoli di varie nazionalità. Il punto che occorre sottolineare è che, per quanto riguarda l'influenza che questi sollevamenti poterono o meno avere avuto sull'esercito austro-ungarico combattente sul fronte italiano, nulla è più inesatto di quanto sopra affermato.
È accertato che, dall'inizio dell'ultima offensiva, il 24 ottobre 1918, e fino alla fine della grande battaglia che distrusse sia l'esercito austro-ungarico che il suo impero, tutti i prigionieri catturati, anche quelli di alto rango, non sapevano nulla degli sconvolgimenti interni che, in seguito alla nostra vigorosa offensiva, sconvolgevano i popoli e il governo della monarchia. Fino agli ultimi giorni della guerra l’Austria era riuscita a porre una barriera insormontabile tra l’esercito e l’interno. Si può quindi affermare nel modo più positivo che la dissoluzione interna non ebbe e non avrebbe potuto avere alcuna influenza sullo spirito combattivo dell'esercito austriaco. L'esame dei bollettini austriaci dal 24 ottobre in poi mostrerà la caparbietà e la ferocia della lotta. Anche nel bollettino del 29 ottobre il Comando Supremo Austro-Ungarico pone grande accento sulla forte e caparbia resistenza che le sue truppe hanno opposto ai nostri furiosi attacchi.
Per evitare la sconfitta, per salvare la nazione, per sostenere e spezzare il nostro irresistibile slancio, i capi e i soldati austro-ungarici hanno dato, fino all’ultimo minuto, le loro anime, le loro menti e i loro cuori, tutte le loro energie. Durante la battaglia le riserve furono generosamente impiegate per ritardare, per quanto possibile, la nostra avanzata. Ma il nemico venne sconfitto anche sul piano tattico. Prematuramente preoccupati della nostra avanzata verso Sacile e sull'Altopiano di Asiago, non poterono resistere agli attacchi nei settori principali: Vittorio Veneto, Val Sugana, Val Lagarine.
Senza dubbio la nostra superiorità morale, accresciutasi dopo la magnifica resistenza sul Piave nel mese di giugno, influì sulla coesione delle truppe nemiche. Ma la disperata difesa delle prime linee e la caparbia resistenza incontrata durante tutta la battaglia hanno dimostrato che il nemico è stato sconfitto solo dal generoso slancio e dal sacrificio dei nostri soldati, e che la rovina del suo esercito è stata determinata dall'irresistibile avanzata che ha distrutto tutti i suoi piani.
Un'altra opinione che bisogna confutare, perché assolutamente contraria alla verità, è che le nazionalità sottomesse dell'Austria, desiderose di liberarsi dal giogo degli Asburgo, o abbandonarono l'esercito austriaco, oppure rifiutarono di combattere. Ciò è vero per quanto riguarda i soldati di alcune nazionalità, come quelli appartenenti alle terre italiane irredenti, i cecoslovacchi, i rumeni e i polacchi. Con tutti i mezzi a loro disposizione cercarono di liberarsi dalla necessità di combattere per l'Austria. Verso la fine della guerra questi uomini, riunendo prigionieri e disertori, formarono gruppi speciali, come la divisione cecoslovacca, e combatterono valorosamente contro gli austriaci. Ma lo stesso non si può dire a favore degli appartenenti ad altre nazionalità che, dopo il crollo dell'Austria causato dalle armi italiane, hanno potuto ottenere la libertà e, o costituirsi in Stati indipendenti, o associarsi con gruppi etnici affini gruppi in nazioni.
È noto che le nazionalità che l'Austria si considerava fedele sono sempre state quella ungherese, quella tedesca, quella croato-slovena e quella boemo-tedesca. I soldati dell'esercito austriaco appartenenti a queste nazionalità furono sul fronte italiano e, fino agli ultimi giorni di guerra, combatterono con tutta la tenacia e la caparbietà di cui erano capaci. Da queste nazionalità l'Austria radunò le sue truppe d'assalto, che rappresentavano il fiore all'occhiello del suo esercito. Alcune di queste nazionalità, soprattutto quella croato-slovena, erano state utilizzate in passato anche dall'Austria per tenere sottomesse le province italiane occupate.
I ricordi delle popolazioni del Lombardo-Veneto danno un quadro vivido di come furono le guarnigioni croate nelle città italiane e del modo in cui adempirono il compito che l'Austria aveva loro affidato. L'Italia li ha sempre trovati in prima linea contro se stessa; sono stati anche campioni dell'Austria nell'aspra lotta per l'italianità che hanno dovuto sostenere le infelici popolazioni dell'Istria e della Dalmazia. In seguito a questa lotta le città della Dalmazia e dell'Istria riuscirono a conservare la propria nazionalità, mentre la popolazione italiana dell'interno, meno numerosa e più dispersa, non ci riuscì e scomparve.
Le truppe croato-slovene e serbe furono tra coloro che adempirono il loro dovere di devoti soldati della monarchia austro-ungarica e furono giustamente considerati i migliori soldati dell'esercito nemico. Questa non è una semplice affermazione: è un fatto documentato nei bollettini di guerra del Comando Supremo Austro-Ungarico.
Nei bollettini riferiti ai famosi giorni della battaglia di Vittorio Veneto appare in modo indiscutibile la gravità dello scontro, poiché vi ricorrono spesso espressioni come "lotte ostinate", "contrattacchi furiosi", "terra combattuta per un centimetro da pollice", gli attacchi italiani che "si infrangerono ovunque con gravi perdite", e l'"eroismo e la fedeltà senza eguali dei soldati" durante il combattimento. Inoltre, riguardo ai reggimenti che particolarmente si distinsero, leggiamo, Bollettino del 26 ottobre, "...Così nella regione dell'Asolone soprattutto il 27° reggimento croato Landsturm si distinse per la sua spontanea collaborazione ai combattimenti..."; e ancora, Bollettini del 29 ottobre, del 7° Reggimento Fanteria, sloveno; il 42° Battaglione Croato; e il reggimento croato, 28° Landwehr, sono particolarmente apprezzati.
Ho citato documenti che appartengono ormai alla storia, ma non perché abbia voluto svalutare il lavoro delle popolazioni con cui l'Italia vuole vivere in cordiale amicizia. Essendo un soldato, nessuno ammira più di me il nemico che compie il suo dovere fino all'ultimo. Ma credo che sia necessario distruggere tutte le leggende che tendono a formarsi in questo dopoguerra, e mettere tutti i fatti nella loro giusta e vera luce.
La maggior parte delle persone ora riconosce che la vittoria militare dell’Italia, con la conseguente distruzione dell’impero austro-ungarico, è stato uno dei fattori più potenti verso la costituzione in nazioni indipendenti di quelle nazionalità che hanno sempre combattuto contro di noi. Proprio di recente uno dei più importanti giornali di Washington, in un editoriale, ha confermato la mia affermazione: "Gli jugoslavi sono debitori all'Italia più che a qualsiasi altra potenza per la loro libertà".
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.