mercoledì 28 febbraio 2024

Le aspirazioni nazionali dell'Italia

(Scritto da Guglielmo Ferrero, tratto da The Living Age, volume 301, 26 aprile 1919.)

Le aspirazioni nazionali dell'Italia sono davanti alla Conferenza di Pace. Divulgare queste aspirazioni, così come le vede l’intera nazione, e rivelare i principi chiari e semplici che ne sono alla base, non dovrebbe essere una questione priva di interesse.

Una nazione è un’unità morale che cerca di realizzare, per quanto possibile, la sua unità materiale: geografica, economica e politica. Se la teoria delle frontiere naturali si è spinta troppo oltre, è tuttavia vero che soltanto il possesso delle frontiere naturali può rendere perfetta, sicura e definitiva la formazione storica di una nazionalità. Quali guerre hanno desolato la terra semplicemente perché le grandi pianure non offrono, per dividere popoli e stati, che le linee ideali tracciate dalla forza degli uomini! Ora, se c'è un paese in Europa di cui la natura ha creato una perfetta unità geografica, quello è l'Italia. In tutte le epoche i geografi hanno visto nelle Alpi i confini naturali di quella penisola destinata ad essere il primo focolare di civiltà in Europa.

Si può facilmente comprendere, quindi, come l'Italia sia arrivata a includere tra le sue ambizioni belliche, l'obiettivo di riunire a sé le creste settentrionali ed orientali delle Alpi, vale a dire le frontiere che Augusto aveva assegnato all'Italia, ma che erano tenute nel 1914, dall'Impero austro-ungarico. Avanzando su quella linea, e annettendo il Trentino e l'Istria, l'Italia realizzerebbe, ad un tempo, la sua unità geografica e nazionale. Sarebbe, in Europa, il modello quasi perfetto della nazione che, qualora il desiderio di guerra la prendesse, dovrebbe affrontare le maggiori difficoltà nell'attaccare gli altri, possedendo, nel contempo, le migliori strutture di difesa nel caso fosse attaccata da altri.

È vero che l'unità nazionale non corrisponde sempre e dovunque all'unità geografica, soprattutto in Istria piccoli gruppi slavi sono radicati entro le frontiere che l'Italia considera suoi confini naturali. Le popolazioni di questa regione sono così mescolate che sarebbe impossibile tracciare una frontiera che rispetti tutte le razze e tutte le lingue senza mandare in frantumi in modo assurdo ogni unità politica e amministrativa. La questione da decidere è dunque questa: da quale delle due razze e lingue prenderà il carattere nazionale il potere che governa l'Istria? Si possono avere dubbi su questo punto? Gli slavi che popolano l'Istria si trovano più o meno nella stessa situazione di certi gruppi europei che abitano tante regioni e città dell'America; cioè questi slavi sono una minoranza immigrata che ha valicato poco a poco le Alpi e si è stabilita nelle campagne e nelle città come pastori, agricoltori e operai; sono venuti per colmare le lacune lasciate tra le fila dei nativi da guerre o epidemie. L'antica stirpe che per prima popolò questa regione, costruì le città e organizzò lo Stato era di ceppo italiano. Si può negare ad un primo abitante il diritto di conservare al suo paese il carattere nazionale che gli ha dato, e la sua unità geografica e morale?

Queste piccole minoranze slave, però, non sono gli unici gruppi alieni presenti entro i confini del Regno d'Italia. Nelle Alpi occidentali si trovano popolazioni francesi e nelle Alpi centrali gruppi tedeschi. L'uno e l'altro sono i relitti di vecchie immigrazioni o invasioni. Da più di cinquant'anni queste popolazioni vivono sotto la legge italiana e non si lamentano. Hanno le loro scuole e non sono mai state oggetto di una campagna di denazionalizzazione forzata. Ogni famiglia è lasciata libera di mantenere la propria lingua madre o di scegliere la lingua italiana, o anche di mescolarsi liberamente con entrambe le nazionalità come desidera. La fortuna dei piccoli gruppi slavi dell'Istria non sarà dissimile.

Un po' fuori dalla questione dei confini geografici della penisola, troviamo la questione di Fiume, che in questo momento appassiona al massimo grado l'opinione italiana. Questa questione si pose all'improvviso sull'Europa e l'armistizio fu appena firmato. Per comprendere questa vicenda bisogna avere ben chiara la situazione in cui Fiume si era trovata con la caduta dell'Impero austro-ungarico. Fiume è un'antica città italiana circondata da zone rurali slave, una città che ha conservato il suo carattere italiano nonostante la presenza di elementi ungheresi, croati e tedeschi, più o meno allo stesso modo di New York, nonostante i suoi milioni di abitanti. degli europei, conserva il suo carattere americano. Questa città, mentre era sotto il dominio degli Asburgo, era stata incorporata all'Ungheria, di cui divenne il porto sull'Adriatico. La città fu, quindi, sottoposta alla dominazione straniera. La sua situazione, tuttavia, aveva alcune compensazioni che la rendevano tollerabile. Fiume non era solo una città autonoma che godeva di certi privilegi; era anche il secondo porto di una delle grandi potenze d'Europa e faceva parte di un impero di alto rango culturale. Per una città italiana, fondata e abitata da un popolo in grado di rivendicare il diritto di primogenitura tra i popoli civili d'Europa, questo risarcimento aveva un'importanza capitale. Si può così immaginare che Fiume restasse parte dell'Impero austro-ungarico, mentre Trieste passava nelle mani dell'Italia; cioè se nel 1918 come nel 1859 e nel 1866, l'Impero Asburgico fosse riuscito a salvarsi cedendo parte del suo territorio. Ciò spiega perché il Trattato di Londra non si occupò del caso di Fiume.

Ma l'impero austro-ungarico è scomparso, e dalla sua scomparsa nasce la questione di Fiume. Se Fiume avesse potuto restare nell'Impero austro-ungarico, non avrebbe mai potuto essere incorporata, senza violenze ed ingiustizie, a quel nuovo Stato slavo che sta sorgendo sulle rovine dell'Austria. L'antica città italiana perderebbe il suo rango e i suoi privilegi di autogoverno; passerebbe da uno dei grandi imperi e delle alte culture d'Europa a uno Stato secondario, che senza dubbio farà una brillante campagna nel campo della cultura superiore, ma deve ancora conquistarsi l'ingresso in quel dominio; il paese, non potendo ricongiungersi con quelli della propria nazionalità, subirà nuovamente una dominazione straniera. Soltanto per Fiume la guerra mondiale, che porta a tanti popoli la libertà e la soddisfazione delle aspirazioni nazionali, apparirebbe come una calamità e un disastro. Ma Fiume non può accettare questo destino senza diventare un pericoloso focolaio di malcontento e una causa permanente di discordia tra gli stati vicini.

Resta inoltre la questione della sicurezza militare dell'Adriatico e delle città e dei centri di vita italiana che fioriscono sulla costa orientale, ultime vestigia della colonizzazione veneziana, Zara, Spalato, Sebenico, ecc. Eviterò qui di entrare in quelle vivaci discussioni che sono scoppiate in Italia intorno alla soluzione più saggia di queste due questioni. Mi accontenterò di dire che qualunque sarà la soluzione adottata, essa sarà accolta favorevolmente dal popolo italiano se gli darà soddisfazione riguardo ai due punti a lui più cari. L'Italia desidera che la costa orientale dell'Adriatico, così ricca di porti e di isole (famoso nido di pirati fin dall'epoca classica), non possa minacciare la costa occidentale, quasi indifesa. Desidera anche che i gruppi italiani della costa orientale possano vivere in pace e svolgere liberamente la loro vita nazionale. L’Italia non può tollerare a lungo che queste città e gruppi siano oggetto di persecuzione o di una campagna di denazionalizzazione violenta, anche se questi attacchi sono mascherati.

Queste sono le pietre miliari delle aspirazioni nazionali dell'Italia. Per essere riconosciuto, il popolo italiano guarda soprattutto all'alto spirito di giustizia del presidente Wilson e alla calorosa amicizia della Francia.

Con la sua imparzialità disinteressata, il presidente Wilson ha saputo dominare, nel ruolo di giudice e arbitro, questa terribile tragedia dell’Europa. Ci auguriamo, pertanto, che egli riconosca che in tutte le questioni l'Italia guarda meno alla questione dell'annessione territoriale quanto a quella di sostenere e portare a conclusione trionfante alcuni principi cari. Rispetto ai terribili sacrifici che abbiamo fatto, 500.000 morti, 80.000.000.000 spesi, la nostra esistenza disordinata per mezzo secolo, il territorio che l'Italia rivendica non è che piccolo. Fiume, la cui sorte è oggetto della viva ansia dell'intera nazione, non è che una graziosa cittadina di 45.000 abitanti. Non è possibile alcun paragone tra le conquiste territoriali che otterrà l’Italia e quelle che otterrà la Serbia. Ma questi territori, per quanto piccoli in estensione, sono per noi simboli di alcuni principi vitali per il mondo intero: la completa emancipazione delle popolazioni italiane da ogni dominio straniero, il raggiungimento dell'unità morale e geografica della nazione, la sicurezza delle frontiere e dei mari, la possibilità di partecipare al sistema politico che assicurerà all’Europa la pace e la libertà di tutti i popoli, grandi e piccoli. Abbiamo sopportato volentieri tutti i sacrifici necessari per portare alla vittoria in guerra proprio questi principi; speriamo di gioire del loro trionfo nella misura in cui la giustizia e la sicurezza della civiltà occidentale lo richiedono.

Per quanto riguarda la Francia, speriamo che sosterrà le nostre giuste rivendicazioni, per una ragione basata su principi di portata più generale dei nostri interessi particolari. Il mondo slavo è entrato, presto entrerà il mondo teutonico, nell’era della rivoluzione. È facile prevedere che la lotta sarà lunga, seria, complicata e che le sue conseguenze saranno infinite. Bisogna dunque opporre alle convulsioni e alla follia che sconvolgeranno i popoli slavi e germanici la fermezza politica e morale degli Stati, nei quali prevarranno ancora la ragione e la giustizia. Nell’Europa continentale solo la Francia e l’Italia possono compiere questa missione, dalla quale dipende, forse, la salvezza dell’Europa. Si ribalta così la situazione di un secolo fa. Ma per raggiungere questo scopo Italia e Francia devono essere unite, e per essere unite devono fare la pace come hanno fatto la guerra, in pieno accordo quanto alle loro aspirazioni e ai loro principi.

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