venerdì 8 dicembre 2023

«Un'istoria di quasi quattro secoli». La fedeltà di Perasto

TaImente lontana da essere ritenuta dai provveditori veneziani uno degli avamposti de "l'ultimo angolo della Dalmatia", e ciò nonostante tra le prime a dedicarsi alla città dogale, nel 1420, dopo che più di sessant'anni prima i suoi abitanti si erano spontaneamente offerti di appoggiare Vittor Pisani nella presa di Cattaro. È Perasto, l'ultimo orgoglio della Repubblica, la "fedelissima gonfaloniera", poiché guadagnò il perpetuo privilegio di fornire in tempo di guerra alla galera capitana la guardia del gonfalone, composta da dodici giovani delle dodici casate aristocratiche locali. I suoi ambasciatori, nel rivolgersi ai serenissimi magistrati, si presentavano in nome della «fedelissima e nobilissima comunità di Perasto, situata al confine dello stato ottomano, che stata in antico tempo libera, gode da secoli il preggio di essersi fatta suddita volontaria e di essere la primogenita tra le suddite popolazioni di quella provincia». Una storia di fedeltà di confine, della cui utilità era conscia la stessa città lagunare, poiché la geografia rendeva necessari i rapporti con quella comunità a cavallo fra Dalmazia e Albania, sia per controllare il basso Adriatico che per le comunicazioni con l'Oriente. Di ciò i perastini erano consapevoli e la comunità mantenne un grado di libertà molto più ampio delle altre città dello Stato da mar. Una fedeltà che Perasto ha confermato nell'appoggio alle continue guerre contro i Turchi e che Venezia ha ricambiato con gratitudine, estendendole privilegi non comuni, come l'esenzione dai dazi delle merci che partivano e giungevano via mare, ribaditi con cerimonia pubblica dal 1540 ogni quindici anni fino all'anno precedente la caduta della Repubblica.

Nelle richieste di riconferma dei secolari privilegi che i capitani perastini inviavano a Venezia si evincono continuamente la fierezza e il vanto con cui la comunità ricorda il legame con la città dogale, nonostante il dominio diretto di questa in Dalmazia fosse, a differenza dell'Istria, geograficamente più complesso. In uno di questi documenti, datato 1765, si riscontrano gli stessi temi e le stesse intonazioni di un discorso ben più noto: non a caso uno degli autori è proprio il conte Giuseppe Viscovich. Il conte ricorda non solo il «sacrifizio continuato di vite, di sangue e di sostanze, servendo comandata e volontaria, per il corso di tre secoli intieri in tutte le guerre di Vostra Serenità sostenute», ma anche la reciprocità di comportamento, quando il Senato veneziano «volle in vari tempi accordare a quella fedelissima communità e università alcuni privileggi. E come essa non fu mai dissimile nell'innata sua fede e nel suo valor singolare, cosi eguale fu sempre a sé medesima anche la reggia costanza di Vostra Serenità in confermarglirli ogni quindeci anni».

Nel discorso del conte Viscovich, che la tradizione ha esaltato in toni elegiaci, alla fedeltà e alla dedizione di Perasto per Venezia si concedono parole non solo di commiato ma anche di orgoglio. Il conte invita i suoi concittadini a esalare «il nostro dolore col nostro pianto» e allo stesso tempo a ricordare la «gloriosa carriera da noi percorsa sotto il Serenissimo Veneto Governo». Il discorso sembra esaltare ciò che emerge gradualmente in tutta la storia dei rapporti fra Venezia e la piccola cittadina ai confini dell'Adriatico, una sorta di autocelebrazione della continuità e della fedeltà del servizio ai dogi tanto da avere meritato una fiducia costantemente confermata. La ratifica dei privilegi simboleggia un punto d'onore comunitario che i perastini sono consapevoli di avere guadagnato nei secoli, ma è anche un ulteriore ossequio a una città come Venezia, la cui attenzione merita un impegno cosi durevole da essere tenacemente riaffermato anche a ridosso della caduta: sul primo decreto successivo a essa si leggono tra i firmatari proprio i nomi di tre perastini. La tradizione letteraria ha avuto certamente molti spunti da cui trarre, ma alla radice di questi temi vi è anche la volontà di presentarsi alla nuova compagine asburgica come un'entità da salvare congiuntamente ai suoi privilegi faticosamente guadagnati. E con le stesse modalità che vengono salutate le insegne uscenti veneziane e subentranti asburgiche, e a queste ultime viene poi tributato «oremus pro Imperatore». Nella cerimonia vi è dunque una forte componente di orgoglio comunitario da preservare, di cui le casate locali si fanno carico anche al cambio di dominio. Quello veneziano non era stato impositivo e, come spiega Jean Claude Hocquet: "Quaderni storici, Questioni di confine (gennaio / aprile 1979)" - «le aristocrazie locali sanno che Venezia è il loro ultimo difensore e il miglior garante della struttura oligarchica della città», una struttura che quelle sperano dunque di conservare in questo passaggio a fronte della reciprocità di interessi che aveva caratterizzato in passato dominati e dominanti.

Non si può comunque ridurre un omaggio così sentito, dopo quattro secoli di legame, al tentativo di conservare un sistema oligarchico in questa transizione di potere. Scrive Francesco Viscovich, discendente del conte Giuseppe, «Si, i Perastini amarono sinceramente la Veneta repubblica e il suo governo», ma, continua, «il sentimento nazionale non perdettero mai. Un sentimento gradualmente consolidato dall'orgoglio per la costante fedeltà riposta, che non si sarebbe potuto consolidare senza qualcosa di meritevole a cui essere cosi fedele. Chiosa così: «Ed è più unico che raro l'esempio d'un popolo che tributa l'omaggio ad un governo caduto, e dal quale non spera più nè onori, né premi, né ricompense». Cosi come Venezia non fu solo serena, Perasto non fu solo fedele. Fu fedelissima.

Storia di Perasto: raccolta di notizie e documenti dalla caduta della Repubblica veneta al ritorno degli austriaci. Francesco Viscovich, 1898.
(Il libro in foto si trova al Museo di Perasto)
PDF: https://www.openstarts.units.it/entities/publication/0e4153ff-62a4-4fc9-909a-7a58d18f77f6/details

Lo stemma della città 

Museo di Perasto - Gonfalone veneto

Museo di Perasto - Stemma marciano

Museo di Perasto - Uno dei pochi pezzi originali veneziani rimasti. Ci spiegano che si tratta di un falconetto, presumibilmente donato da Venezia alla Scuola navale di Perasto verso la fine del ‘600 con il placet del Consiglio dei X. Sulla canna infatti sono presenti il Leone marciano, una “X” che rimanderebbe al Consiglio dei X e una “F” che servirebbe ad individuare il fonditore, forse un Alberghetti, Fabio.

Museo di Perasto - Quadro di Giuseppe Lallich dedicato alla cerimonia dell’ultimo ammaina bandiera, tenutosi il 23 agosto 1797.


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