lunedì 4 dicembre 2023

Un contributo di analisi alla valutazione della relazione "Sui rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956" (Giorgio Rustia)



Dopo quasi dieci anni di studi, una Commissione storica mista, nominata dai governi delle Repubbliche italiana e slovena, nel luglio del 2000 ha presentato al nostro Ministero degli Affari Esteri, una relazione congiunta "su i rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956".

Gli uffici della Farnesina non hanno ritenuto opportuno pubblicare questo lavoro (negandogli così i crismi del riconoscimento ufficiale), cosicché dopo complesse vicende giornalistiche, esso è stato pubblicato, in forma semiclandestina, il 4/4/2001, dai quotidiani triestini "II Piccolo" e "Primorski Dnevnik".

Il documento è stato oggetto di diverse vantazioni tra le quali hanno prevalso quelle negative, e tra esse la più dura è stata quella del professor Antonio Sema, apparsa nel supplemento al n°9 del periodico semestrale "Tempi e Cultura" edito dall'Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata.

Il professore ha concluso il suo intervento lamentando che, contrariamente ai suoi auspici, i membri italiani della Commissione, "sfortunatamente, non hanno operato nè da storici italiani nè da storici competenti."

Dopo un periodo d'oblio in cui il lavoro pareva definitivamente sepolto nel dimenticatoio delle cose mal riuscite, ultimamente si sono avute, tra alcune Associazioni storico-culturali triestine, delle riunioni informali e riservate, nelle quali è stata esaminata, peraltro senza successo, la possibilità di coagulare un consenso, evidentemente più politico che scientifico, sulla ricostruzione storica proposta dal documento.

Il 12 aprile di quest'anno, l'Istituto per gli incontri mitteleuropei di Gorizia, ha organizzato a Gradisca "un convegno a carattere seminariale" allo scopo di dibattere il citato documento, nato dai lavori della Commissione mista. In pieno contrasto con i principi del metodo della ricerca scientifica, principi dai quali la ricerca storica non può di certo prescindere, gli invitati al dibattito sono stati oculatamente scelti in modo da evitare la presenza di studiosi che avessero già affrontato il tema o, peggio, avessero dato sulla relazione della Commissione mista, un giudizio non positivo. Infatti gli organizzatori si sono ben guardati dall'invitare il professor Antonio Sema.

Infine, nel mese di maggio di quest'anno, è uscita nelle librerie l'opera dell'Assessore alla Cultura della Provincia di Torino, Gianni Oliva, intitolata "Foibe. Le stragi negate degli Italiani" che tratta proprio degli avvenimenti della Venezia Giulia nel XX secolo. In questo libro, a parte una serie di incredibili affermazioni tragicamente esilaranti come Pola, Parenzo e Capodistria che fino al 1925 si sarebbero chiamate Pula, Porek(!) e Koper, detta relazione, benché non riconosciuta dal Ministero degli Esteri italiano e fieramente contestata da più parti, viene citata ripetutamente, come se i suoi contenuti avessero ormai assunto la dignità di dogmi.

Evidentemente è in atto un ambiguo tentativo di dare surrettiziamente dignità scientifica ad un lavoro nato, cresciuto e concluso allo scopo di piegare la verità storica ad esigenze politiche.

Pertanto questa nota intende proporre una serie di elaborazioni demografiche e di informazioni ricavate dalla storiografia accademica, le quali dimostrano come non poche affermazioni sottoscritte dai membri italiani della Commissione, prof. Giorgio Conetti, giurista; prof.ssa Maria Paola Pagnini, geografa: sen. Lucio Toth, magistrato: prof. Fulvio Salimbeni, prof. Giorgio Ara, prof. Raoul Pupo e prof. Marina Cattaruzza, storici, siano palesemente infondate.

Le affermazioni che saranno esaminate e confutate sono:

1) La "espansione demografica", asserita ma in realtà inesistente, che nel periodo 1880 -1910 si sarebbe verificata tra la popolazione slovena della Venezia Giulia;

2) La conquista, asserita ma del tutto immaginaria, da parte degli sloveni della maggioranza della popolazione, nella città di Gorizia (definita imminente) ed in quella di Trieste (definita inevitabile, seppur in tempi più lunghi) ove non ci fosse stata la Grande Guerra;

3) L'esistenza, asserita ma del tutto smentita dai dati demografici, nella città di Trieste, di una popolazione slovena numericamente superiore a quella di Lubiana ed il "ruolo centrale" che, in conseguenza di tale dato immaginario il capoluogo giuliano avrebbe avuto per lo sviluppo dei programmi economici degli sloveni.

4) La "pulizia etnica", asserita ma in realtà mai avvenuta, che sarebbe stata operata dall' Italia ai danni degli slavi negli anni 1919-21, il cui collegamento con le persecuzioni politiche del fascismo sarebbe "bene evidente".

5) La definizione, assolutamente errata, dell'incendio dell'Hotel Balkan di Trieste come "primo atto di una lunga sequenza di violenze" interetniche nella regione.

6) Le richieste di "autonomia culturale" avanzate dagli sloveni allo Stato italiano prima di porsi, verso la metà degli anni Trenta, l'obiettivo del distacco da esso dei territori considerati etnicamente slavi.

7) La riduttiva quantificazione della violenza dell'occupazione iugoslava della Venezia Giulia, che avrebbe trovato "espressione in centinaia di esecuzioni sommarie immediate le cui vittime vennero in genere gettate nelle foibe".

8) Le generiche ed ovattate motivazioni dell'Esodo istriano ed i "numerosi episodi di violenza", le "intimidazioni e gli arresti" che sarebbero stati operati dalla Repubblica italiana a Gorizia e nella Slavia veneta, contro "gli sloveni le persone favorevoli alla Jugoslavia" e le "difficoltà" che il clero sloveno avrebbe incontrato nei rapporti con le autorità civili e religiose italiane.

Come correttezza vuole, molte di queste osservazioni sono state inoltrate circa un anno fa, ai due più autorevoli membri italiani della Commissione. Non si e avuto alcun cenno di risposta.

La risposta, invece, è giunta da un illustre cattedratico al quale dette osservazioni erano state inviate anche per ottenere una critica sulle metodologie statistico-demografiche usate nell'analisi dell'evoluzione della popolazione slovena della Venezia Giulia nel periodo 1880-1910.

Detta risposta non solo ha confermato la sostanziale correttezza delle elaborazioni statistico-demografiche presentate in questa nota, ma anche la piena condivisione del giudizio negativo sulla relazione presentata dalla Commissione mista italo-slovena.



L'ESPANSIONE DEMOGRAFICA DELLA POPOLAZIONE SLOVENA DELLA VENEZIA GIULIA NEL TRENTENNIO 1880-1910
 

Nella prima parte della relazione intitolata "Periodo 1880-1918", in merito alla composizione etnica della regione e dei suoi centri, si sostiene che:

"..etnicamente mista era solo la città di Gorizia, dove il numero degli sloveni era però crescente, tanto da far ritenere ad autori politici sloveni alla vigilia del 1915 che il raggiungimento di una maggioranza slovena nella città isontina fosse ormai imminente.

Trieste era maggioranza italiana, ma il suo circondario era sloveno.

Anche in questo caso la popolazione slovena appariva in ascesa."
 

I dati numerici dei censimenti austro-ungarici, ricavati dalle opere di Sator ("Le popolazioni della Venezia Giulia", editore Darsena, Roma, 1946) e di Guerrino Perselli ("I censimenti della popolazione dell'Istria, con Fiume e Trieste e di alcune città della Dalmazia tra il 1880 e il 1936", editori, il Centro di Ricerche Storiche di Rovigno e l'Università Popolare di Trieste, 1993), ci consentono di ricostruire con precisione la composizione etnica della regione e la sua evoluzione nel tempo.

La tabella N° 1 ed il relativo diagramma, illustrano, ripartita nei diversi distretti componenti la regione, come la popolazione slovena sia variata quantitativamente e percentualmente, rispetto al decennio precedente, nel trentennio in esame.

Dai dati esposti emerge:

- nel periodo 1880-1890, una "espansione demografica" pari al 3,4 ;

- nel periodo 1890-1900, una "espansione demografica" pari al 2,7 ;

- nel periodo 1900-1910, una "espansione demografica" pari al 20,8.

Si osserva inoltre, per tutto il periodo, ma nel decennio 1900-1910 in particolare, che questa "espansione demografica" si verifica solamente in alcuni distretti, mentre in altri essa proprio non si manifesta o addirittura, come nel caso del distretto di Tarvisio, si ha una diminuzione significativa (-29 rispetto al 1900 e - 37 rispetto al 1880).

I distretti in cui questa "espansione demografica" si manifesta maggiormente nel trentennio 1880-1910, sono:

- Trieste "espansione demografica" di 30.653 unità (+ 116,7 )

- Gorizia "espansione demografica" di 22.352 unità (+ 36,3 )

- Volosca/Abbazia "espansione demografica" di 6.922 unità (+ 67,9)

- Capodistria "espansione demografica" di 3.544 unità (+ 12,5)

- Pola "espansione demografica" di 2.392 unità (+ 178,9)


In questi cinque distretti si manifesta il 91,6% ( 65.863 su 71.924) di tutta la "espansione demografica" riscontrata nel trentennio 1880 - 1910 . Per chiarire la natura di questa "espansione demografica", è stato applicato il metodo che consente di ripartire l'aumento totale della popolazione nella quota dovuta al saldo attivo tra natalità e mortalità ed in quella dovuta all'immigrazione. Si è operato come segue; nella tabella N°2.:

Il numero totale di sloveni censiti in regione nel 1880 (254.870 unità), è stato moltipllcato per il coefficiente di variazione demografica naturale del decennio 1880-1890 (Saldo tra natalità e mortalità, pari ali' 1,350%) e si è ottenuto così il totale teorico della popolazione slovena derivante dal solo incremento naturale, pari a 258.311 unità, corrispondente ad un aumento di 3.411 unità.

Poiché la popolazione slovena effettivamente censita nel 1890 risulta essere di 263.463 unità, appare evidente come l'incremento reale registrato di 8.539 unita sia dovuto alle già indicate 3.411 unità conseguenti al saldo attivo tra natalità e mortalità ed a 5.152 unità immigrate dalle altre regioni dell'Impero.

Considerando il decennio 1890 - 1900 ed applicandovi lo stesso calcolo si ottiene:

' - la popolazione slovena teorica, per effetto della sola differenza tra natalità e mortalità, avrebbe dovuto attestarsi su un totale di 261.728 unità mentre la popolazione slovena realmente censita raggiunge le 270.557 unità con un'aumento di 7.094 persone.

- questo aumento risulta dovuto per 3.417 unità all'effetto della differenza tra natalità e mortalità, mentre per 3.677 unità è ancora dovuto all'immigrazione dalle altre regioni slave dell'Impero.

Infine considerando il decennio 1900 - 1910 ed applicandovi lo stesso metodo di calcolo, si ottiene:

- la popolazione slovena teorica, per effetto della sola differenza tra natalità e mortalità, avrebbe dovuto attestarsi su un totale di 266.445 unità mentre la popolazione slovena realmente censita raggiunge le 326.794 unità con un aumento di 56.247 persone.

-questo aumento risulta dovuto per 4.717 unità all'effetto della differenza tra natalità e mortalità, mentre per le restanti 51.530 unità è ancora dovuto all'immigrazione dalle altre regioni slave dell'Impero.

Considerando tutto il trentennio 1880 - 1910, ne! quale appunto si sarebbe verificata la cosidetta "espansione demografica" degli sloveni, si ottiene che:

-la popolazione slovena della Venezia Giulia, per effetto della sola differenza tra natalità e mortalità, è aumentata di 11.575 unità;

-la stessa popolazione, per effetto dell'immigrazione dalle altre regioni slovene dello Impero, e aumentata di 60.359 unità;

-l'incremento della popolazione slovena per effetto dell'immigrazione rappresenta l'84% dell'incremento totale.

' Questi dati dimostrano, senza ombra di dubbio che. nel trentennio in esame non si venficò alcuna "espansione demografica" della popolazione slovena ma che la Venezia Giulia fu sottoposta ad una vera e propria invasione pianificata e realizzata dail'imperial-regio governo al fine di sovvertire la sua composizione etnica, aumentando le popolazioni slave,

PERCIO’ LA DEFINIZIONE DI "ESPANSIONE DEMOGRAFICA" DATA A QUESTA OPERAZIONE DI IMPORTAZIONE DI SLOVENI NELLA VENEZIA GIULIA E' INDISCUTIBILMENTE ERRATA E FUORVIANTE, PERCHE' TENDE A CREARE UN INESISTENTE "DIRITTO NATURALE" DI ESSI SULLA REGIONE L’ACCETTAZIONE Dl TALE DEFINIZIONE DA PARTE DEGLI STORICI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA, CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF SEMA ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI. NE' DA STORICI COMPETENTI.



LA CONQUISTA DELLA MAGGIORANZA DELLA POPOLAZIONE, DA PARTE

                DEGLI SLOVENI, NELLE CITTA' DI GORIZIA E DI TRIESTE.

Continuando nella sua esposizione, la relazione, ad un certo punto afferma:

"La loro espansione demografica (cioè degli sloveni nds) li portava a ritenere imminente il momento della conquista della maggioranza della popolazione a Gorizia e, inevitabile, sia pure in tempi più lunghi, un risultato analogo a Trieste."

Per valutare con serietà la fondatezza di queste affermazioni sulla conquista, da parte degli sloveni,della maggioranza della popolazione a Gorizia ed a Trieste, è necessario ricorrere nuovamente ai metodi di studio scientifici, ancorandoci a dati quantitativi e rifuggendo dalle suggestioni letterarie.

Nella città di Gorizia, nel 1880, gli sloveni erano 3.420 su una popolazione totale di 20.920 abitanti. Costituivano il 16,3% degli abitanti.

Dopo trent'anni, nel 1910, essi erano diventati 10.868 con un non disprezzabile aumento del 218% e costituivano il 35,1% della popolazione totale che intanto era salita a 30.995 unità.

Come risulta dall'analisi dell'effetto immigrazione sulla popolazione slovena di Gorizia, illustrato nella tabella-diagramma n.3, nel trentennio 1880 -1910, gli sloveni di questa città aumentarono, per effetto del saldo attivo tra natalità e mortalità, di 46 unità nel decennio 1880-1890, di altre 46 unità nel decennio 1890-1900 e di 63 unità nel decennio 1900-1910.

Per effetto dell'immigrazione da altre regioni slave dell'Impero, essi aumentarono di 101 unità tra il 1880 ed il 1890, di 1.218 unità tra il 1890 ed il 1900, ed infine di ben 5.974 unità tra il 1900 ed il 1910.

Complessivamente, nel trentennio, essi aumentarono quindi di 155 unità per effetto del saldo attivo tra natalità e mortalità, mentre altri 7.293 di essi (pari al 98% dell'aumento totale della popolazione slovena) immigrarono in Gorizia dalle altre regioni slave dell'Impero e costituirorono il dato numerico rilevante della asserita "espansione demografica" degli sloveni.

Chiarito quindi che a Gorizia tale "espansione demografica" altro non fu che un'immigrazione tendendo a snazionalizzare la città, appare evidente che a causa del solo effetto del saldo attivo tra natalità e mortalità, valutabile sulle 200 unità al decennio (10.868 abitanti X 1,802) gli sloveni avrebbero dovuto attendere più di 210 anni per conquistare la maggioranza della popolazione a Gorizia, sempre nell'ipotesi di crescita naturale nulla della popolazione italiana.

Appare ancora evidente che questa conquista della maggioranza della popolazione di Gorizia, ritenuta imminente dagli sloveni, avrebbe potuto realizzarsi solamente continuando ad importare sloveni dalla Carniola ad un ritmo ancora più elevato di quello del decennio 1900-1910.

Infatti, ove nel decennio 1910-1920, ovviamente in assenza del primo conflitto mondiale, fosse continuata l'importazione di sloveni dalle altre regioni dell'Impero al ritmo di 6,000 unità in dieci anni, la popolazione totale di Gorizia avrebbe raggiunto quota 40.000 mentre gli sloveni non avrebbero superato quota 17.000, rimanendo ancora al di sotto del 50% della popolazione totale. Sorge il sospetto che, per raggiungere il loro obiettivo, gli sloveni avessero in mente di ricorrere ad altri mezzi. Mezzi, tanto per intenderci, del tipo di quelli usati nei confronti delle popolazioni italiane di Capodistria, Isola e Pirano che come vedremo, furono letteralmente cancellate da queste città dopo la seconda guerra mondiale.



Il sospetto che l'uso di tali mezzi nei confronti degli italiani, mezzi peraltro già efficacemente usati dai croati contro la nostra gente della Dalmazia fino dalla conclusione della terza guerra per l'indipendenza del 1866, si consolida passando ad analizzare la situazione di Trieste, esposta nella tabella n.4..

In questa città, nel 1880, gli sloveni erano 2.817 su una popolazione totale di 74.544 abitanti. Costituivano il 3,8% degli abitanti totali.

Dopo trent'anni, nel 1910, essi erano diventati 20.358 (+17 541 persone) con un non disprezzabile aumento del 623% e costituivano il 12,6% della popolazione totale che intanto era salita a 160.933 unità.

Come risulta dall'analisi dell'effetto immigrazione sulla popolazione slovena di Trieste, nel trentennio dal 1880 al 1910, questo gruppo etnico era aumentato per Io incremento demografico naturale, cioè per il saldo attivo tra la natalità e la mortalità, di sole 206 unità, mentre per effetto dell'immigrazione in città di sloveni provenienti dalle altre regioni slave dell'Impero, era aumentato di ben 17.335 unita.

Insomma, anche a Trieste, era stata applicata la solita ed ormai collaudata politica del governo imperial regio di spostare i sudditi delle etnie fedeli all'Augusto Sovrano, in questo caso gli sloveni, nelle terre abitate da etnie riottose ed insofferenti al fine di ridurle alla ragione snazionalizzandole.

Chiarito quindi che anche a Trieste la asserita "espansione demografica" degli sloveni altro non era che una immigrazione tendente a snazionalizzare la città ai danni dei suoi abitanti italiani, l'affermazione secondo cui, da parte degli sloveni, sarebbe stata "inevitabile, seppure in tempi più lunghi" la conquista della maggioranza della popolazione, appare in tutta la sua demenzialità.

Per effetto del solo saldo attivo tra natalità e mortalità, gli sloveni di Trieste sarebbero aumentati di circa 370 unità ogni decennio (20 358 x 1 802/100) per cui, in assenza di ogni altra perturbazione e nell'ipotesi di crescita zero per la popolazione italiana, detti sloveni avrebbero raggiunto la maggioranza della popolazione di Trieste non prima dell'anno 3.900 !!!!

Continuando, invece, ad importare sloveni al ritmo di 15.000 al decennio ci sarebbero voluti ben 70 ANNI per raggiungere e superare la soglia delle 118.000 unità su cui erano attestati gli italiani, sudditi A.U. e "regnicoli" di Trieste nel 1910.

Pertanto, come è stato dimostrato, le affermazioni sulla conquista da parte degli sloveni, della maggioranza della popolazione nelle città di Gorizia e di Trieste, "imminente" la prima ed " inevitabile, seppur in tempi più lunghi" la seconda, sono completamente errate, gravemente fuorvianti e danno solo la prova delle mai riposte mire imperialistiche ed espansionistiche degli sloveni verso i territori italiani.

LA LORO ACCETTAZIONE DA PARTE DE! MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF. SEMA. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.


TRIESTE E GLI SLOVENI. CONFRONTO QUANTITATIVO TRA LA MINORANZA SLOVENA DELLA CITTA' E GLI ABITANTI DI LUBIANA. RUOLO CENTRALE DI TRIESTE NEI PROGRAMMI ECONOMICI DELLA MINORANZA SLOVENA

Continuando nella sua esposizione, la relazione afferma:

"Gli sloveni perseguono l'idea di una Trieste capace di alimentare l'attuazione dei loro programmi economici e sottolineano il ruolo centrale per il loro sviluppo di questa città, la cui popolazione slovena sebbene minoritaria era superiore a quella della stessa Lubiana, in ragione della diversa consistenza demografica delle due città."

L'affermazione secondo cui la popolazione slovena di Trieste sarebbe stata superiore a quella della stessa Lubiana, pur basandosi su un presupposto esatto (cioè la diversa consistenza demografica delle due citta) è completamente sbagliata.

Essa dimostra come sia facile, quando non si lavori su dati quantitativi ma ci si abbandoni a deduzioni ed induzioni letterario-filosofiche, incappare in clamorosi errori, assolutamente ingiustificati ed ingiustificabili.

Nelle tabella n.5, è esposto il confronto tra la popolazione slovena di Trieste e quella di Lubiana (questa ultima ricavata dal libro "Razvoj prebivalstva na obmocju Ljubljane", di Igor Vrizer, edito dal Knjiznica Kronike nel 1956 e donato alla Biblioteca Civica di Trieste dal Mestni Arhiv di Lubiana nel 1957).

Osservando i dati di confronto tra i due centri si vede che, nel 1880 gli abitanti di Lubiana (22.105) superavano gli sloveni di Trieste (2.817) di 19.288 unità.

Nel 1890, c'era ancora una differenza di 16.333 (24.897 contro 8.568) unità a favore degli abitanti di Lubiana, che nel 1900. diventava di 19 779 (25 942 contro 6.163) unità.

Nel 1910, dopo l'immigrazione nel centro urbano di Trieste di ben 14.195 sloveni a partire dal 1900, la differenza tra gli abitanti di Lubiana e gli sloveni della nostra città, pur riducendosi sensibilmente, rimaneva ancora di 14.141 unità.

L'opera del Vrizer non indica la quota di cittadini non sloveni sicuramente esistente tra i suoi abitanti e ciò, apparentemente, costituisce un limite all'attendibilita del confronto esposto.

Il limite, invece, è solo apparente perché, ove si voglia accettare per vero il dogma della popolazione slovena di Trieste superiore alla popolazione slovena di Lubiana, bisogna riconoscere che gli sloveni di Lubiana non potevano superare, nel 1880, le 2.816 unità; nel 1890, le 8.563 unità; nel 1900, le 6 163 unità ed infine, nel 1910, le 20.357 unità.

Ciò però significa ammettere che, rispetto alla popolazione totale della loro attuale capitale, gli sloveni di Lubiana rappresentavano, nel 1880 una quota inferiore al 13%; nel 1890, una quota inferiore al 35% ; nel 1900 una quota inferiore al 24% e nel 1910 una quota inferiore al 60%.

Ciò significherebbe avallare l'immagine del popolo sloveno come quella di un popolo di villici, pastori e bifolchi, senza storia e senza città. In ogni caso una presenza slovena così minoritaria in Lubiana toglierebbe evidentemente ogni valore alle rivendicazioni degli sloveni su Trieste.


Smentita inoppugnabilmente l'affermazione secondo cui gli sloveni abitanti nella nostra città sarebbero stati superiori come numero a quelli residenti a Lubiana, ci sono da fare delle altre considerazioni quantitative per confutare la tesi del "ruolo centrale" che Trieste avrebbe esercitato per il loro sviluppo economico, in ragione dell'elevato numero di sloveni che la abitavano.

Abbiamo visto come il decennio in cui si manifestò l'invasione immigratoria slava nella Venezia Giulia fu quello compreso tra il 1900 ed il 1910.

Orbene, considerando i dati del censimento austro-ungarico del 1900 esposti nella tabella n.6, emerge chiaramente che i centri della nostra regione con maggior numero di abitanti sloveni erano:

-Idria con 8.515 abitanti sloveni pari al 98,7 della popolazione totale;

-Trieste con 6.163 abitanti sloveni pari al 4, 6 della popolazione totale;

-Chirchina con 5.808 abitanti sloveni pari al 99,9 della popolazione totale;

-Gorizia con 4.754 abitanti sloveni pari al 18,7 della popolazione totale,

-S. Martino Q. con 4.351 abitanti sloveni pari al 99,7 della popolazione totale;

-Tolmino con 4.265 abitanti sloveni pari al 98,9 della popolazione totale.

Quindi Trieste, oltre a non avere più abitanti sloveni di Lubiana, non era nemmeno la località della Venezia Giulia in cui abitava il maggior numero di sloveni.

Quindi, se, come sostiene la relazione, fosse stato l'elevato numero di abitanti sloveni a svolgere il ruolo centrale per l'attuazione dei loro programmi economici, nel 1900, Idria sarebbe stata ben più idonea, a questo scopo, di Trieste, così come Chirchina lo sarebbe stata maggiormente di Gorizia e S. Martino di Quisca e Tolmino avrebbero dovuto esercitare un richiamo pari a quello del capoluogo isontino.

Invece, dai dati dei censimenti si rileva che, al termine del decennio, nel 1910, la fiumana dell'immigrazione di oltre 20.000 sloveni non si era diretta verso Idria, Chirchina, San Martino di Quisca e Tolmino, ma si era riversata verso le grandi città italiane della regione.

Infatti:

-Idria aumentò di 520 unità raggiungendo i 9.035 abitanti sloveni;

-Chirchina aumentò di 228 unità raggiungendo i 6.036 abitanti sloveni

-S. Martino Q aumentò di 247 unità raggiungendo i 4.598 abitanti sloveni

-Tolmino aumentò di 321 unità raggiungendo i 4.586 abitanti sloveni

-Trieste aumentò di 14.195 emigrati sloveni, portando il loro totale a 20.358

-Gorizia aumentò di 6.036 emigrati sloveni; portando il loro totale a 10.790


In realtà gli interessi convergenti degli Asburgo (contrastare l'irredentismo italiano nella Venezia Giulia) e degli sloveni (scendere dalle montagne inospitali e spingersi verso le pianure fertili ed il mare) si fusero e diedero origine alla calata del popolo senza storia e senza città, verso Trieste e Gorizia.

Quindi l'affermazione, secondo cui Trieste aveva una popolazione slovena superiore a quella della stessa Lubiana, è palesemente contraria al vero ed errata. Altrettanto contraria al vero ed errata è la tesi, sostenuta dalla relazione, secondo cui Trieste avrebbe esercitato un ruolo centrale per lo sviluppo economico degli sloveni in funzione della loro asserita, ma non vera, elevata presenza tra la sua popolazione

L'ACCETTAZIONE DI TALI TESI DA PARTE DEI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF. SEMA. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI NE' DA STORICI COMPETENTI.



             L'INIZIO DELLA VIOLENZE INTERETNICHE NELLA VENEZIA GIULIA.

Trattando le vicende che vanno del 1918 al 1941, la relazione sostiene che:.

"Nel luglio del 1920, l'incendio del Narodni Dom, la sede delle organizzazioni slovene di Trieste - che trasse pretesto dagli incidenti di Spalato e che provocarono vittime sia italiane sia Jugoslave - non fu così che il primo, clamoroso atto di una lunga sequela di violenze."

Se i membri italiani della Commissione mista fossero stati dei lettori del quotidiano triestino "II Piccolo", dalla copia del 24 maggio 1995 (cinquantesimo anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia contro ('Impero Asburgico) avrebbero appreso che in tale occasione scoppiarono "moti popolari" contro l'ex alleato triplicista, in quanto la dichiarazione di guerra scatenò i "gruppi anti italiani" i quali incendiarono la sede de II Piccolo, devastarono i focali della Società Ginnastica Triestina, della Lega Nazionale e saccheggiarono caffè e negozi gestiti da italiani.

Ciò forse avrebbe riportato alla loro memoria che le violenza contro i giornali contro le associazioni sportive e culturali italiane e contro gli esercizi commerciali dei nostri connazionali, nel periodo intercorso tra la terza guerra dell'indipendenza e la prima guerra mondiale, furono una costante che si verificò ripetutamente

Quando l'anarchico italiano Lucheni assassinò vilmente la consorte dell'imperatore Francesco Giuseppe, benché i circoli liberal-nazionali italiani fossero assolutamente agli antipodi dei principii anarchici, i cosidetti "gruppi anti italiani" di Trieste non badarono a queste differenze e si scatenarono contro di essi in quanto espressione dell'anima italiana della città.

Comunque fu nel mese di luglio 1868, cioè quasi 52 anni prima dell'incendio delIo Hotel Balkan, che, come scrive la studiosa Tullia Catalan dell'istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia nell'opera collettanea "Storia del 900": "iniziarono i primi scontri tra italiani e sloveni."

E non furono incidenti di poco conto, anche se la studiosa dell'Istituto storico resistenziale di Trieste afferma che "l'esito tragico dello scontro tra i liberali ed i territoriali sloveni fu la morte accidentale di Rodolfo Parisi figlio di Giuseppe Parisi, proprietario di una rinomata casa di spedizioni cittadina."

Non furono scontri di poco conto perché in essi non morì solamente Rodolfo Parisi (e la sua morte non fu accidentale come sostiene la Catalan perché l'autopsia rilevò sul suo cadavere ben 26 colpi di baionetta!!!), ma altri due italiani Francesco Sussa ed Emifio Bernardini, perirono nei giorni seguenti a causa delle ferite ricevute.

Inoltre furono feriti, più o meno gravemente, Ignazio Puppi, Giobatta Lucchini Giovanni Krammer, Pietro Bellafronte, Antonio Rustia. Emiiio Rupnik, Edoardo Offacio, Giulio Cazzatura, Giacomo Katteri, Giuseppe Santinelli, Pietro Mosettig. Giovanni Stancich, Giuseppe Benporath della Comunità Ebraica cittadina, Teodoro Damillo. Nicolo Modretzky, Gaspare Hans cittadino svizzero Giovanni Schmutz, Edgardo Rascovich, Angelo Crosato, Luigi Grusovin ed Ernesto Ehrenfreund,

QUINDI L'AFFERMAZIONE CHE L'INCENDIO DELL'HOTEL BALKAN FU IL PRIMO ATTO DI UNA LUNGA SEQUELA DI VIOLENZE INTERETNICHE NELLA VENEZIA GIULIA E' PALESEMENTE CONTRARIA AL VERO. IL FATTO CHE I MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE L'ABBIANO ACCETTATA COME VERA CONFERMA IL GIUDIZIO EMESSO DAL PROF. SEMA. SOTTOSCRIVENDOLA ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.



IL PRESUNTO ESODO DEGLI SLOVENI E DEI CROATI DALLA VENEZIA GIULIA

                     ALLA FINE DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE.

Continuando nell'esposizione dei fatti, ad un certo punto la relazione afferma:

"Secondo stime Jugoslave emigrarono complessivamente 105.000 sloveni e croati; e se nei casi di emigrazione transoceanica è più difficile tracciare un confine fra motivazioni economiche e politiche, nel caso di espatrii in Jugoslavia, che coinvolsero soprattutto giovani e intellettuali, il collegamento diretto con le persecuzioni del fascismo è ben evidente."

Ancora una volta è necessario verificare la fondatezza di queste enunciazioni, ed ancora una volta, per chiarire la loro attendibilità, ci vengono in aiuto i dati quantitativi dei censimenti che sono esposti nella tabella N° 7 che confronta le variazioni della popolazione slovena della Venezia Giulia, suddivisa nei relativi distretti di appartenenza, nei periodi che vanno dal 1880 al 1910 e dal 1910 al 1921,

Per tutta la durata del primo periodo, la regione fu soggetta all'amministrazione austroungarica, mentre al termine del secondo periodo, ad essa era subentrata, da tre anni, l'amministrazione italiana, cosicché, dalla differenza tra la popolazione slovena censita nel 1910 e quella censita nel 1921, si può ricavare un'indicazione quantitativa dell'asserito esodo cui sarebbero stati obbligati gli sloveni, nei tre anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra mondiale.

Si vede dai dati esposti come la popolazione slovena della Venezia Giulia, che nel 1910 era composta da 326.794 unità, nel 1921 fosse passata a 258.927,con una diminuzione di 67.867 unità pari al 26,6% del totale originario del 1910.

Non si può però trascurare il fatto che tra il 1880 ed il 1910, detta popolazione avesse registrato un incremento di 71,924 unità, pari al 28,2 del totale originario del 1880, per cui, considerando il saldo tra gli sloveni presenti in regione al 31/12/1880 e quelli presenti al 31/12/1921, si deve prendere atto che il loro totale, in questo periodo, era comunque aumentato di 4.057 unità.

A livello dei singoli distretti si nota che, come nel trentennio 1880 -1910, ben l' 81% dell'immigrazione slovena nella Venezia Giulia si era verificata nel distretti di Trieste, di Gorizia e di Pola, così, nel 1921, da questi stessi distretti, partì il 79% del totale dell'emigrazione slovena dalla regione.

E' già stato dimostrato come l'incremento del trentennio 1880-1910 (surrettiziamente definito "espansione demografica" dalla relazione), altro non sia stato che un'importazione selvaggia di sloveni nella nostra regione, per cui dall'analisi attenta dei dati quantitativi forniti dai censimenti, si ricava che questo asserito esodo degli sloveni fu solo il rimpatrio di tutta la moltitudine di funzionari, impiegati e manovalanza sloveni che il governo imperial-regio aveva fatto calare nella nostra regione.

Ma non basta.


Gli studiosi della Commissione storica mista italo slovena, che automaticamente hanno trasformato la differenza totale tra gli sloveni censiti nella Venezia Giulia nel 1910 e quelli censiti nel 1921, nell'ammontare delle vittime dell'asserita violenza dello stato italiano nei confronti della popolazione slovena, evidentemente non hanno tenuto conto del fatto che, tra le due date di confronto, ci fu la Prima Guerra Mondiale con i suoi 8,5 milioni di soldati caduti, tra i quali ben 1,2 milioni dell'Esercito Austro-ungarico, cui si aggiunsero, nel 1919, gli effetti devastanti della "febbre spagnola", che costò alla sola popolazione italiana, ben 300,000 morti in un anno.

In ogni caso, anche non volendo considerare questi due eventi, il richiamo al presunto "esodo" degli sloveni alla fine della Prima Guerra Mondiale per con controbilanciare la reale pulizia etnica subita dagli italiani dell'Istria, come vedremo nella tabella N° 7 è vergognosamente insultante e derisorio.

I diagrammi ed i dati di questa tabella non hanno bisogno di alcun commento in quanto danno chiaramente ed inequivocabilmente la rappresentazione di come non ci sia stato alcun esodo da parte degli sloveni alla fine della Prima Guerra Mondiale (la loro percentuale sul totale della popolazione della Venezia giulia si ridusse di 6,5 punti percentuali) e di quale invece sia stata l’ampiezza della brutale pulizia etnica esercitata dagli sloveni sulla popolazione italiana delle cittadine rivierasche dell’lstria occidentale (la percentuale degli abitanti italiani sul totale della popolazione si ridusse di 80 punti percentuali).

Vale ancora la pena di ricordare che il Partito Nazionale Fascista ottenne la guida di un governo di coalizione solo dopo la cosidetta "marcia su Roma" (28 ottobre 1922) che si avviò a diventare una dittatura dopo la promulgazione della legge elettorale maggioritaria del 23/12/1923 e lo divenne dopo il discorso pronunciato da Mussulini alla Camera il 3 gennaio 1925.

Non si comprende come un partito che alle elezioni del mese di novembre del 1919 non riuscì ad ottenere nemmeno un seggio per insediare il suo "Duce" al Parlamento, e che in quelle del giugno 1921, ne ottenne appena 35. abbia potuto realizzare, senza aver alcun potere, al di fuori di quello delle manifestazioni di piazza, una politica di persecuzione etnica verso gli slavi, tale da farne fuggire ben 105.000 dalla Venezia Giulia.

Parlare quindi di esodo degli slavi in genere e degli sloveni in particolare per effetto delle persecuzioni del regime avrebbe significato solo se esistessero dei dati dai quali risulti che dopo il rimpatrio dei 105.000 slavi registrato col censimento del 31/12/1921, altri 105.000 slavi abbiano lasciato la nostra regione.

In realtà i dati non esistono ed alcuni Autori accennano ad un censimento riservato del 1939 (condotto dai segretari e dagli impiegati comunali sulla base della diretta conoscenza delle famiglie delle città e delle zone rurali) che avrebbe rivelato una presenza proporzionale di sloveni e croati ancora molto alta rispetto al totale della popolazione italiana. "Da questo punto di vista (cioè della snazionalizzazione nds), conclude un'Autrice gravitante nell'orbita deqli istituti storici resistenziali, dunque si registra un fallimento."

Non è quindi affatto evidente quale sìa il collegamento diretto tra il rimpatrio dei 105.000 sloveni e croati, avvenuto tra il 1919 ed il 1921, e le persecuzioni del fascismo, proprio perché il regime si instaurò ben 4 anni dopo il 31/12/ 1921, data entro la quale il rimpatrio di sloveni e croati era già avvenuto.

FUORVIANTE ED ERRATA QUINDI L'ATTRIBUZIONE DELLE CAUSE DEL RIMPATRIO DEGLI SLAVI DOPO LAPRIMA GUERRA MONDALE, ALLE VIOENZE DELLO STATO ITALIANO. L' ACCETTAZIONE SUPINA DI QUESTA TESI, DA PARTE DEI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA, CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF.SEMA. FIRMANDOLA, ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE’ DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.



L'AUTONOMIA CULTURALE RIVENDICATA DAGLI SLOVENI.

Proseguendo nella lettura della relazione si apprende che:

"Di fronte alla durezza della repressione fascista, le organizzazioni clandestine slovene, assieme a quella dei fuoriusciti in Jugoslavia, decisero, verso la metà degli anni Trenta, di abbandonare le rivendicazioni di autonomia culturale nell’ ambito dello stato italiano per porsi invece come obiettivo il distacco dall'Italia dei territori considerati etnicamente sloveni e croati."

Come risposta a tale attività di resistenza, il Tribunale speciale per la difesa dello stato comminò molte condanne a pene detentive e 14 condanne capitali, 10 delle quali eseguite."

Tali affermazioni sono assolutamente contrarie al vero.

Infatti le mire imperialistiche slave sulla Venezia Giulia, manifestate attraverso la formulazione del confine etnico all'Isonzo e perfino al Tagliamento, risalgono al 1843, quando da Zagabria vennero diffuse in tutta l'Europa le carte etnografiche di F. Drog-Seijan. 

Erano passati appena 35 anni da quando il Kopitar aveva scritto la prima grammatica della lingua slovena e poco meno da quando Ljudevit Gaj aveva fissato i fondamenti della lingua letteraria croata e gli intellettuali di questi due popoli slavi avevano già avanzato le loro rivendicazioni espansionistiche verso terre dove essi, particolarmente sulla costa, erano un'infima minoranza.

Infatti, mentre Matija Ban, sul giornale croato di Ragusa "L'Avvenire" scriveva che l'Adriatico era per eccellenza un mare slavo dall'Isonzo all'Albania, la situazione demografica dei centri costieri, da Trieste a Pirano, tanto per riferirsi alte sole pretese slovene, era quella esposta nella tabella N° 8.

Da essa, appare di un'evidenza solare che nei centri urbani bagnati da quello che Matija Ban, definisce un "mare slavo", gli slavi tutti, cioè sloveni, serbi e croati, rappresentavano solo il 3,5 della popolazione totale!

Considerando non solo i centri urbani rivieraschi, ma anche i loro circondari, evidentemente abitati da contadini e non certo da pescatori e marinai la situazione, sempre nel 1880, è quella esposta nella tabella N° 9.

Gli sloveni non rappresentano più numericamente la terza minoranza come nei centri urbani (cioè dopo gli italiani sudditi del Regno e dopo i tedeschi), e passano ad essere numericamente la prima minoranza che supera appena il 18% della popolazione. I serbo-croati, invece, rimangono sempre la quarta minoranza attestata sullo 0,4% della popolazione.

Ciò però, non impedì al croato Eugen Kvaternik di scrivere sul suo diario, nel 1859, questa frase che è illuminante sulle pretese imperialistiche ed espansionistiche degli slavi:

"I porci italiani sono bramosi di possedere l'Istria litoranea. Per Dio, non avverrà almeno finché ha vita un solo croato!"




Un altro esempio delle cosidette "rivendicazioni di autonomia culturale" degli sloveni, è fornito dal loro quotidiano "Edinost" di Trieste, che, nel gennaio 1911, scrisse:

"la nostra lotta è per il dominio...Non la abbandoneremo mai fino a quando non avremo sotto i piedi, ridotta in polvere, l'italianità di Trieste...che si trova agli sgoccioli e festeggia la sua ultima orgia prima della morte. Noi sloveni inviteremo, domani, questi votati alla morte a recitare il confiteor."

Come si vede nella tabella N° 10, dopo la rilevante importazione di sloveni avvenuta nel trentennio 1880-1910, essi avevano raggiunto il 12,6% nel centro urbano (dove nel 1880 erano il 3,8%), il 31,5% nei sobborghi (dove nel 1880 erano il 21,9%) ed il 91,4% sull'altopiano (dove nel 1880 erano l'89,9%).

Nel totale del comune di Trieste (dove nel 1880 erano il 18,1%) essi avevano raggiunto il 24,8% contro il 68,6% degli italiani, rimanendo comunque largamente minoritari.

Ciononostante gli intellettuali slavi avevano stabilito, e proclamavano apertamente, il loro programma per la "soluzione finale" del problema italiano.

I VOTATI ALLA MORTE (cioè gli italiani della Venezia Giulia) SAREBBERO STATI INVITATI A RECITARE IL CONFITEOR !

E si badi bene che l'enunciazione del genocidio degli italiani, realizzato in seguito ma già pianificato allora, avvenne quando la Venezia Giulia era sotto la amministrazione austro-ungarica, Benito Mussolini era un capo socialista e non aveva ancora fondato il Fascismo, alle cui persecuzioni gli slavi, mentendo, attribuiscono la responsabilità dei conflitti interetnici nella nostra regione.

Interessante anche l'intervento del dottor Giuseppe Wilfan, tenuto il 31 maggio 1918 all'Hotel Balkan di Trieste. Su di esso così scrisse, una settimana dopo, il "Lavoratore", organo dei socialisti triestini:

"L'avvocato Wilfan è stato di una limpidità sorprendente: Trieste e tutto il litorale appartengono alla madre jugoslava, ed in ciò NON CONOSCIAMO COMPROMESSO DI SORTA CON ALCUNO .'...se vogliamo incorporare Trieste nella futura Jugoslavia non lo facciamo per sradicare gli italiani da queste terre,ma perché consideriamo questi paesi come terra jugoslava...Dalle foci dell’Isonzo sino all'ultima cittadella dalmata E' SLAVO IL MARE CHE VI SI ESTENDE !"

Dimostrato quindi che gli slavi, da sempre considerarono e pretesero come loro anche delle terre in cui erano un'infima minoranza, resta da vedere quali furono le modalità con cui richiesero la loro "autonomia" all'interno dello Stato italiano.

Tralasciando gli assassini del maresciallo della Guardia di Finanza, Postiglione, della guardia regia Giuffrida, del finanziere Plutino, del carabiniere Cecchin, della guardia regia Poldu, del tenente Spanò e del sergente Sessa, avvenuti a Trieste; quello del finanziere Stanganelli avvenuto a Postumia, del brigadiere dei Carabinieri Ferrara avvenuto a Pola e quello del soldato Palmerindo avvenuto a Carnizza, che, per la loro collocazione negli anni 1920-1922 possono essere attribuibili sia ad una matrice di scontro politico che interetnico, non si può ignorare ciò che avvenne nella Venezia Giulia, a partire dall'estate del '24, quando, risolto il contenzioso con il governo di Belgrado, si passò alla delimitazione del confine da parte di una delegazione italo-jugoslava,

Nelle notti tra il 25 ed il 26 maggio e tra il 22 ed il 23 giugno furono attaccati, fortunatamente senza vittime, i posti della Guardia di Finanza di Coterdasnizza e di Molini.

La notte succcessiva all'assalto del posto di guardia di Molini, una banda di una ventina di armati, provenienti da oltre confine, attaccarono il corpo di guardia del valico confinario di Unez, uccidendone il comandante, il sottobrigadiere Lorenzo Greco.




Nell'aprile del 1926 fu attaccata a scopo di rapina la stazione ferroviaria di Prestrane. Nel vero e proprio combattimento sviluppatesi, furono uccisi il ferroviere Ugo Dal Fiume e la guardia di finanza Domenico Tempesta.

Nel mese di luglio 1926 fu appiccato il fuoco al bosco del Littorio a Trieste, mentre in novembre ci fu un attentato dinamitardo alla caserma di San Pietro del Carso, nel quale, orrendamente dilaniato, trovò la morte Antonio Chersevan, e rimasero gravemente feriti Francesco Caucich ed Emilio Crali.

Nella notte del 10 febbraio 1927, presso il castello di Raunach ci fu un'imboscata ad una pattuglia di militi e nella sparatoria rimasero feriti Andrea Sluga e Francesco Rovina.

Nel maggio 1927 fu tesa, sulla strada tra Postumia e San Pietro del Carso, un'altra imboscata ad una di queste pattuglie, ed in essa rimase ferito il milite Cicimbri e, il 29 dicembre di quell'anno fu incendiato il Ricreatorio di Prosecco.

Nell'aprile del 1928, ancora a Prosecco, fu incendiata la scuola elementare, nel maggio dello stesso anno fu incendiata quella di Cattinara e fu tentato l'incendio dell'asilo infantile dell'Opera Nazionale Italia Redenta di Tolmino.

Il 3 agosto 1928, fu assassinata a tradimento la guardia municipale di San Canziano, Giuseppe Cerquenik.

Alla fine dello stesso mese fu incendiato il ricreatorio della Lega Nazionale di Prosecco, e, dopo pochi giorni, ai primi di settembre, fu incendiata la scuola di Storie.

Infine, il 22 settembre, a Gorizia, furono uccisi lo studente Coghelli (che aveva abbandonato le organizzazioni irredentistiche slovene) ed il milite Ventin che aveva cercato di fermare l'assassino del Coghelli.

Nel 1929, le violenze slave si manifestarono, in gennaio, con la devastazione dell'asilo infantile di Fontana del Conte, mentre nel marzo ci fu l'assassinio, a Vermo, di Francesco Tuchtan. Il responsabile dell'omicidio, tale Vladimiro Gortan, reo confesso, fu processato e giustiziato, come sarebbe avvenuto in qualsiasi altro stato del mondo, a chi si fosse macchiato di un omicidio.

Nel giugno 1929, si ebbe l'incendio della scuola di Smogliani, nel luglio l'attentato alla polveriera di Prosecco, in novembre la rapina all'ufficio postale di Ranziano ed in dicembre, i tentati omicidi dell'agente Curet a S. Dorligo della Valle e della guardia Francesco Fonda.

L'inizio del 1930 non si rivelò meno tragico: in gennaio ci fu l'attentato al Faro della Vittoria a Trieste, in febbraio fu incendiato l'asilo infantile di Corgnale e fu assassinato a Cruscevie il messo comunale Goffredo Blasina.

Il 10 febbraio ci fu l'attentato dinamitardo al Popolo di Trieste, in cui perse la vita lo stenografo Guido Neri e furono feriti gravemente i correttori di bozze Dante Apollonio, Giuseppe Missori ed il fattorino Marcelle Bolle. I quattro responsabili dell'attentato, rei confessi, furono processati e giustiziati, come sarebbe avvenuto, in quell'epoca, in qualsiasi altro Stato del mondo.

Nel maggio del 1930, vennero uccisi a San Dorligo della Valle i coniugi Marangoni ed infine, nei primi giorni di settembre, in uno scontro a fuoco con dei terroristi sloveni che cercavano d'introdursi in regione, fu uccisa la guardia alla frontiera Romano Moise e il suo commilitone, Giuseppe Caminada, rimase gravemente ferito.

Questo lungo elenco di attentati e di assassini, in parte realizzati ed in parte tentati, è stato ricostruito dalla stampa dell'epoca ed è certamente incompleto.

Tuttavia esso dimostra inequivocabilmente come una parte degli sloveni della regione non avesse alcuna rivendicazione di "autonomia culturale" da presentare al Regno d'Italia, ma perseguisse, con l'arma del terrorismo indiscriminato, già dal 1924, una prospettiva di guerra civile nella regione al fine di sottrarla alla sovranità italiana, col pretesto di considerare "etnicamente sloveni e croati" dei territori nei quali, in realtà, sloveni e croati erano larghissimamente minoritari. Alla luce di tutto ciò si confermano assolutamente contrarie al vero, sia l'affermazione secondo cui:

- "le organizzazioni clandestine slovene decisero, verso la metà degli anni Trenta, di abbandonare le rivendicazioni di autonomia culturale per porsi invece come obiettivo il distacco dall'Italia dei territori considerati etnicamente sloveni e croati."

sia quella secondo cui:

-"II Tribunale speciale per la difesa dello stato comminò...,14 condanne capitali, 10 delle quali eseguite.

Le condanne capitali pronunciate contro gli appartenenti alle organizzazioni terroristiche nazionaliste iugoslave, TIGR e Borba, furono cinque (Vladimiro Gortan, Luigi Valencic, Francesco Marusic, Zvonimiro Milos e Ferdinando Bidovec) e furono tutte eseguite entro il settembre 1930.

Altre nove condanne alla pena capitale, furono pronunciate nel dicembre 1941, e cinque furono eseguite, in un contesto completamente diverso. Era già iniziata la seconda guerra mondiale, la Jugoslavia era smembrata e gli imputati facevano parte, non di organizzazioni nazionaliste slave ma di organizzazioni comuniste slave.

Particolare forse secondario, ma certamente curioso, è che uno dei quattro condannati cui il Tribunale speciale fascista concesse la grazia nel dicembre 1941, l'agronomo Antonio Schuka, nel maggio 1945 fu prelevato dagli stessi titini, e, dopo un breve soggiorno nel campo di concentramento di Prestranek, fu fatto sparire per sempre in qualche foiba sconosciuta.

QUINDI, L'ACCETTAZIONE DI QUESTE AFFERMAZIONI, DA PARTE DEI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA, CONFERMA PIENAMENTE IL GIUDIZIO DEL PROF. SEMA. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.



L'OCCUPAZIONE JUGOSLAVA (1945) DI TRIESTE DI GORIZIA E DELL'ISTRIA

Come conclusione della parte intitolata "Periodo 1941-1945, la relazione dice;

"I giuliani favorevoli all'Italia considerarono l'occupazione jugoslava come il momento più buio della loro storia, anche perché essa si accompagnò nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano ad un'ondata di violenza che trovò espressione nell'arresto di migliala di persone, parte delle quali venne in più riprese rilasciata -in larga maggioranza italiani, ma anche sloveni contrari al progetto politico comunista jugoslavo- in centinaia di esecuzioni sommarie immediate -le cui vittime vennero in genere gettate nelle foibe- e nella deportazione di un gran numero di militari e civili, parte dei quali perì di stenti o venne liquidata nel corso dei trasferimenti nelle carceri o nei campi di concentramento creati in diverse zone della Jugoslavia."

L'affermazione secondo cui l'ondata di violenza abbattutasi alla fine della guerra sulla Venezia Giulia in seguito all'occupazione jugoslava avrebbe trovato espressione in centinaia di esecuzioni sommarie, le cui vittime sarebbero state gettate nelle foibe, ci dà la conferma che i membri italiani della Commissione mista, sull'argomento "foibe", ignorano perfino le notizie giornalistiche degli ultimi anni. Essi, ad esempio, sono all'oscuro del recupero di 400 chili di ossa umane, effettuato da speleologi capodistriani da alcune grotte dei dintorni di quella città, annunciato il 22 luglio 1992 dal quotidiano locale nella pagina "Istria, Litorale e Quarnero".

L'11 settembre dello stesso anno, in occasione del rinvenimento di una quindicina di corpi umani in una grotta a San Daniele del Carso, lo stesso quotidiano confermò la notizia dei ritrovamenti di Capodistria, scrivendo:"C'è il sospetto che la Slovenia pulluli di grotte che nascondono resti d'infoibati. In luglio una commissione di speleologi sloveni ha concluso un'operazione di recupero dei resti umani nel Capodistriano portando alla luce oltre quattro quintali di ossa."

L'argomento ritornò alla ribalta della cronaca nella primavera del 2000, quando la stampa locale riprese l'accorato appello lanciato al Convegno regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, dal capo degli speleologi sloveni che avevano effettuato i recuperi. Tra l'altro, nella sua relazione, l'uomo dichiarò pure che i 400 chili di ossa recuperati erano solo la "punta dell'iceberg" di quelli ancora giacenti.

La semplice lettura dei quotidiani avrebbe dovuto far dubitare i membri italiani della Commissione sulla esiguità della quantificazione delle vittime degli infoibamenti espressa in "centinaia" di persone.

Tuttavia, anche in assenza di tale informazione, non si comprende come mai nemmeno uno dei componenti italiani della Commissione sia stato a conoscenza di quanto scritto sull'argomento, non da un giornalista qualsiasi, ma da uno studioso delle vicende giuliane quale il professor Diego de Castro, allora professore ordinario nell'Università di Torino, nonché consigliere politico del governo italiano a Trieste.

Già nel settembre 1945, egli aveva steso una serie di rapporti sull'argomento intitolati "Italian prisoners in Yugoslav camps", "Yugoslav atrocities and abuses in Venezia Giulia, Fiume and Zara" e "The ravines of death". Proprio in questo ultimo rapporto vi è la denuncia, chiara ed incontestabile, degli infoibamenti al Pozzo della Miniera di Basovizza e dei recuperi di grandi quantità di resti umani effettuati da tale tragico sito, dagli Alleati sino dall'estate 1945.

Il professore, in ogni sua opera, ha sempre ribadito questa denuncia, talché essa appare sia in "Il problema di Trieste", Cappelli, Bologna, 1952, sia in "Trieste. Cenni riassuntivi sul problema giuliano nell'ultimo decennio", Cappelli, Bologna, 1953.

In particolare, nel volume "II problema di Trieste", con pazienza certosina, il professore espone nella nota N.1 delle pagine N.171 e 172 del quinto capitolo intitolato "L'occupazione iugoslava nella Venezia Giulia", una lunga serie di riesumazioni desunte dalle cronache giornalistiche dell'epoca.

Egli inizia dicendo: "Nella Zona A della Venezia Giulia, nel novembre 1945, cominciarono, da parte di squadre di giovani, le esplorazioni delle foibe. L'elenco che segue non è completo. Altre foibe furono trovate ed altre vittime riesumate. Quella di Basovizza era stata, già in precedenza, esplorata dagli Alleati che nel luglio ed agosto 1945, avevano tratto fuori, mediante una benna, 450 metri cubi di resti umani."

E l'anno successivo, lo stesso professore, nel suo "Trieste. Cenni riassuntivi sul problema giuliano nello ultimo decennio", ribadisce sia i recuperi di 450 metri cubi di resti umani dalla foiba di Basovizza, sia gli altri recuperi, dicendo:

"Altre foibe, innumerevoli, furono trovate col loro raccapricciante contenuto di resti umani tormentati o semplicemente uccisi; un elenco spaventosamente lungo e abbastanza preciso, se non completo, si trova nel mio volume "II problema di Trieste" da cui sono tratte queste note."

Anche ammettendo che tutti i membri italiani che hanno firmato il documento della Commissione fossero all'oscuro di quanto scritto dal professor Diego de Castro, è necessario far notare un'altra circostanza che rende veramente inesplicabile la quantificazione delle vittime degli infoibamenti in "centinaia".

Ai lavori della Commissione, infatti, ha partecipato per un non breve periodo di tempo, il professor Elio Apih, docente di Storia all'Università di Trieste, al quale va il merito di aver reperito per primo, al Public Record Office di Londra, una serie di documenti di fonte anglo-americana e di averne pubblicato il più significativo, anche se dopo avervi apportato alcune censure, a pagina 163 del suo "Trieste. La storia economica e sociale" edito nel 1988 da Laterza.

Il documento in questione (PRO, FO 371/48953,r. 1085) che fa parte degli atti di un'inchiesta disposta dal Quartier Generale delle forze alleate in Italia, riferisce che:

- "E' stato stabilito, al di la di ogni dubbio, che durante l'occupazione jugoslava di Trieste e del territorio, molte migliala di persone sono state gettate nelle foibe locali. A Trieste tutti i mèmbri della Questura, della Pubblica Sicurezza, della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, della Guardia Civica e combattenti e patrioti del CLN che sono stati presi dagli Iugoslavi, sono stati arrestati e gettati nelle foibe (...) Basovizza. E' stato riferito che vi sono state gettate circa 800 persone." - "II 2 maggio egli (il testimone, un sacerdote sloveno nds) andò a Basovizza (...) vide in un campo vicino circa 150 civili (......). Tutti i 150 vennero fucilati in massa (...) e, in seguito, in quanto non c'erano bare, vennero gettati nella foiba." -"Il 3 maggio (...) vide nello stesso posto circa 250-300 persone. La maggior parte erano civili. C'erano soltanto circa 40 soldati tedeschi (...) Queste persone vennero uccise dopo un processo sommario. Nella maggior parte erano civili arrestati a Trieste."

Poiché appare estrememente improbabile che nemmeno uno dei componenti italiani della Commissione abbia letto le opere dei professori de Castro ed Apih, e comunque, anche se ciò fosse avvenuto, è assolutamente da escludersi che quest'ultimo, nel corso dei lavori, abbia taciuto i risultati delle sue riceche, non si comprende come essi abbiano potuto accettare una quantificazione delle vittime così riduttiva.

Com'è errato e fuorviante quantificare le vittime delle foibe in centinaia, altrettanto errato e fuorviante è l'inciso riguardante gli sloveni, contrari al regime comunista, che avrebbero trovato la morte assieme agli italiani. Nella zona di Gorizia e di Trieste, tra migliaia e migliaia di scomparsi, le vittime slovene delle foibe non superano, quantitativamente qualche decina di persone. Tra esse, oltre al già citato Antonio Schuka, vanno ricordati Stana Bardule e Mario Cech-Cecchi di Basovizza, Mario Baus, Danilo Mackiewycz di Trieste, Dora Ciok di Longera, Francesco Jazbar di Idria, Stanislava Kravos di Gorizia ed Errich Sprinar di Montespino.

In realtà, gli sloveni ed anche i croati contrari al regime comunista assassinati alla fine della seconda guerra mondiale furono centinaia di migliaia, ma la loro tragedia si compì in zone ben lontane dalla Venezia Giulia. Come testimoniato dagli articoli della "Voce del Popolo" di Fiume sulla messa funebre celebrata l' 8 luglio 1990 dall'arcivescovo di Lubiana, Alojz Sustar alla presenza dell'attuale presidente della Repubblica di Slovenia, negli abissi della foresta di Kocevje furono infoibati sicuramente 11.000 militari sloveni, 2.400 serbi, 4.500 russi e 18.000 croati, tutti anticomunisti.

Essi si erano arresi agli inglesi in Carinzia e furono da questi consegnati ai titini, come quasi tutti coloro che fuggivano dalla Jugoslavia per sottrarsi al terrore comunista. Come testimoniato dall'articolo "Foibe, rivelazioni dei responsabili", apparso sul Piccolo del 30 novembre 1994, l'abisso di Podutik, nei dintorni di Lubiana, fu la tomba per un migliaio di esseri umani. La decomposizione dei corpi, però, portò all'inquinamento delle fonti d'acqua e costrinse gli stessi assassini, dopo qualche settimana, a recuperare le salme e sotterrarle nella vallata vicina.

Nell' estate del 1999, dopo che nell'inverno precedente la televisione italiana aveva mostrato le immagini del fondo della foiba di Montenero d'Idria ricoperto da cumuli di ossa umane, e sul "Piccolo" erano apparse delle fotografie dalle quali anche il fondo della foiba di Casali Nemci, presso Tarnova, appariva in tali condizioni, la "Voce del Popolo" di Fiume diede la notizia che, nei lavori di costruzione della tangenziale di Maribor, erano stati ritrovati dei resti umani.

Per la precisione, in settanta metri di scavi eseguiti dove durante la guerra c'era una fossa anticarro lunga dai 2,5 ai 3 chilometri, erano riemersi ben 700 scheletri. Avevano così drammatica ed incontestabile conferma, le denunce, rilasciate sin dall'immediato dopoguerra, dalla stampa dei fuoriusciti jugoslavi in cui, oltre al massacro di decine di migliaia di prigionieri a Rajenburg, Kamnik e nei pozzi abbandonati delia miniera di Brastnik, si citava esplicitamente che ben "40.000 cadaveri giacciono nelle fosse comuni intorno a Maribor."

L'AVER ACCETTATO LA TESI SECONDO CUI LE VITTIME ITALIANE DEI MASSACRI AVVENUTI A FINE GUERRA, SOMMARIAMENTE PRECIPITATE NELLE FOIBE, SAREBBERO QUANTIFICABILI IN CENTINAIA, E L'AVER TACIUTO IL DRAMMATICO AMMONTARE DELLE VITTIME NON ITALIANE CHE SUBIRONO LA STESSA TREMENDA, INUMANA SORTE, CONFERMA PIENAMENTE IL GIUDIZIO DEL PROFESSOR SEMA SUI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA ITALO-SLOVENA. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.


CAUSE DELL'ESODO ISTRIANO E PERSECUZIONI ITALIANE SUGLI SLOVENI DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE

In conclusione, la relazione non può esimersi dall'accennare all'esodo degli istriani schiacciati sotto le efferate violenze del regime comunista tifino. In merito a ciò, essa afferma: "Complessivamente nel corso del dopoguerra l'esodo dai territori istriani oggi soggetti alla sovranità slovena coinvolse più di 27.000 persone vale a dire la quasi totalità della popolazione italiana ivi residente..."

Esponendo le ragioni di questo esodo la relazione usa delle espressioni molto ovattate quali: "l'impedimento della libera espressione dell'identità nazionale", "il rigetto dei mutamenti nell'egemonia nazionale e sociale nell'area","la ripulsa nei confronti delle radicali trasformazioni introdotte nell'economia", non mancando di accennare, di sfuggita "all'azione propagandistica di agenzie locali filoitaliane, anche in assenza di sollecitazioni del governo italiano..."

Parlando invece, del ritorno dell'Italia a Gorizia, la relazione denuncia che il reinserimento della città nello stato italiano "fu accompagnato da numerosi episodi di violenza contro gli sloveni e contro le persone favorevoli alla Jugoslavia."

Riferendosi poi alla posizione degli sloveni abitanti nelle valli del Natisone e del Resiano e dalla Val Canale, la relazione dice che gli assertori degli orientamenti politici filo-jugoslavi "furono fatti oggetto di intimidazioni ed arresti, e in alcuni casi di atti di violenza da parte di gruppi estremisti e formazioni paramilitari."

Ed essa aggiunge ancora: "Anche il clero sloveno incontrò difficoltà sia con le autorità civili sia con quelle religiose diocesane nel riaffermare il proprio ruolo di riferimento per l'identità degli sloveni."

Non si capisce come la relazione abbia ritenuto doveroso sottolineare queste asserite "violenze" ai danni degli sloveni ed abbia sottaciuto invece l'azione terroristica svolta dalle cosidette "autorità popolari" (che si giovarono persino di italiani ideologicamente loro affini) e che portò alla eliminazione fisica di centinaia e centinaia di italiani di Capodistria, Isola e Pirano nel maggio-giugno 1945,

Eppure, è certo che:

- nei primi giorni dell' ottobre 1945 a Berlocchi, una banda di sloveni titini massacrò quattro persone della famiglia Pizziga:

- il 30 ottobre 1945, ci fu a Capodistria uno sciopero contro il furto legalizzato costituito dall'introduzione della jugolira, e che detto sciopero fu selvaggiamente represso dagli sloveni con la devastazione dei negozi italiani del centro della cittadina e con il bestiale linciaggio pubblico di Angelo Zardi e Francesco Reichstein.

Altrettanto certi sono i rapimenti con relativa scomparsa che dura a tutt'oggi, operati dagli sloveni, ai danni dei seguenti italiani della Venezia Giulia:

- Mario Marcosig, nato a Mossa di Capriva nel 1922. di professione muratore, rapimento avvenuto a Gorizia il 18 agosto 1945:

- Andrea Margarita, nato a Piedimonte del Calvario nel 1899. possidente, prelevato in via Diaz a Gorizia il 20 settembre 1945:

- Luigi Tracanelli, nato a Codroipo nel 1926, studente, prelevamento avvenuto nel febbraio 1946 a Osppo:

- Giovanni Carta, nato a Fiume nel 1925, agente della Polizia Civile, rapimento avvenuto al posto di blocco di Albaro Vescovà il 24 marzo 1946;

- Domenico Passalacqua, nato a Partinico (PA) nel 1901, medico condotto di San Dorligo della Valle, rapito dall'O.Z.N.A. il 4 giugno 1946;

- Luigi Maffezzoni; nato a Piubega (MN) nel 1895, impiegato del comune di San

Dorligo della Valle, rapito il 13 luglio 1946;

- Edoardo Devetach, già internato in Germania, impiegato presso l'amministrazione alleata a Comeno, rapimento ivi avvenuto il 25 agosto 1946;

- Vincenzo Meo, nato in provincia di Chieti nel 1898, prelevato a Gorizia il 3 settembre 1946.

Non meno tragica sorte toccò, nell'Istria amministrata dagli sloveni, a:

- Mario Musizza, da Isola d'Istria, arrestatodalla polizia segreta UDBA e "trovato" impiccato nella sua cella delle carceri di Capodistria il 29 marzo 1948;

- Piero Minca, nato a Capodistria nel 1898, di professione tipografo, arrestato il 5 marzo 1951 per aver avuto un diverbio con un "druze" della Difesa Popolare, consegnato cadavere ai suoi famigliari, tre giorni dopo, perché pure lui "si era impiccato".

Passando alle valli del Natisone, dove, secondo la relazione si era instaurato un clima di intimidazione e di violenze ai danni degli sloveni, la Commissione ha taciuto nel settembre del 1945, furono assassinati il dr. Giuseppe Penasa, medico condotto e sindaco di S. Leonardo del Natisone e sua moglie Giuseppina, nata Cepparo. L'uomo aveva ripetutamente denunciato i delitti commessi dagli "assertori degli orientamenti politici filo iugoslavi", cioè di quella banda di criminali slavocomunisti, denominata Beneska Ceta, comandata dal ben noto Mario Sdraulig, che aveva terrorizzato la zona con omicidi e rapine durante e dopo la guerra.

Sempre restando nella cosiddetta Benecia dove secondo la relazione, la minoranza slovena veniva brutalmente vessata dalla Repubblica Italiana,

- la bambina decenne Ludmilla Mauri, il 4 dicembre del 1947, fu uccisa a raffiche di mitra da un soldato sloveno, sulla sponda dello Judrio, "perché tentava di espatriare";

- Silvio Buttolo nato ad Uccesa di Resia (Gorizia) nel 1925, l'11 settembre 1950 fu ucciso a fucilate dai gendarmi sloveni mentre, munito di regolare permesso, stava raccogliendo legna in un bosco nei pressi del confine.

Sul Carso triestino, a Draga Sant' Elia, due gitanti triestini, Pierina Panicari e Vittorio Di Pompeo, che la domenica 3 settembre 1951 avevano inavvertitamente sconfinato di pochi metri nel territorio della Zona B, furono uccisi entrambi a raffiche di mitra dai gendarmi sloveni.

La relazione, come abbiamo visto, asserisce ancora che il clero sloveno avrebbe incontrato delle difficoltà nei rapporti con le autorità civili italiane.

Benché dette "difficoltà" non siano state chiaramente esplicitate, difficilmente esse furono superiori o paragonabili a quelle incontrate dal parroco di San Daniele del Carso, don Antonio Satej, assassinato dai partigiani sloveni il 26 settembre 1943; dal parroco di Poggio S. Valentino (Gorizia), don Luigi Obid, prelevato dai partigiani sloveni il 2 gennaio 1944: dal diacono della diocesi di Gorizia. Rodolfo Trcek, assassinato a Montenero d'Idria il primo settembre 1944: dai sacerdoti di Chirchina, don Ladislao Piscanc e don Lodovico Sluga, assassinati a Chirchina il 5 febbraio 1945; dal parroco di Brja (Gorizia), don Ernesto Bandelj assassinato il 18 aprile 1945: dal parroco di San Giovanni di Sterna, don Casimiro Paich, assassinato a S. Croce di Gorizia il 29 aprile 1945 o dal parroco di Goregna di Salona (Gorizia), don Isidoro Zavadiav, assassinato dai partigiani sloveni il 17 settembre 1946,

Quelli furono tempi molto duri per il clero slavo, ma solo per la parte di esso che rimase soggetta alla sovranità degli sloveni e dei croati, federati nella Repubblica comunista di Jugoslavia.

Infatti da mano titino-croata, furono assassinati, solo nel dopoguerra, il parroco di Elsane, don Vittorio Perkan, (ucciso il 9 maggio 1945 mentre si trovava al cimitero ad officiare un servizio funebre); il curato di Villa Gardossi, don Francesco Bonifacio, prelevato e fatto sparire 1'11 settembre 1946 ed il parroco di Mompaderno, don Miroslavo Bulesic, che fu assassinato a Lanischie il 24 agosto 1947. Nella stessa occasione, Monsignor Ukmar, si salvò solo perché ritenuto già morto.

Ad ogni buon conto, anche Mons. Ukmar fu successivamente processato e condannato ad un mese di prigione per gli incidenti avvenuti quando i titini gli impedirono di cresimare i giovani di Lanischie.

E' incredibile che, da un lato la Commissione mista parli di generiche "difficoltà" incontrate dal clero sloveno nei rapporti con le autorità della Repubblica italiana, e dall'altro nessuno dei suoi membri italiani, a proposito di rapporti tra clero italiano ed autorità slovene, si sia ricordato di ciò che avvenne a Capodistria, il 19 giugno 1947.

Per ricordarlo a questi immemori, citiamo ciò che ne scrive il professor Diego de Castro nel suo "La questione di Trieste" a pagina 592:

"Un terzo episodio, che ebbe grandissima risonanza, per la personalità che ne fu coinvolta, è costituito dall'aggressione al Vescovo di Trieste e di Capodistria, Mons. Antonio Santin, che si era recato nella sua diocesi, cioè a Capodistria per la festa patrono, San Nazario. il 19 giugno 1947, dopo aver chiesto ufficialmente il permesso alle autorità Jugoslave.

Riporto dal libro del Vescovo: Mi trovarono, mi insultarono, gridando che dovevo andarmene. E mi trascinarono violentemente giù per le scale percotendomi con pugni, calci e con legni sulla testa. Arrivai in cortile perdendo mozzetta, rocchetto, croce e scarpe. Ero tutto insanguinato. Mi spinsero e trascinarono, mentre sui muri esterni del cortile gente arrampicata urlava improperii...

Il Vescovo si salvò perché i capodistriani corsero a chiamare la polizia, che intervenne tardi ad arginare la folla, proprio quando un energumeno entrato in cucina aveva preso dal tavolo un gran coltello con cui le suore tagliavano la carne.

E si salvò anche perché una donna del popolo lo avvertì che gli avrebbero offerto di riportarlo in barca a Trieste, allo scopo di gettarlo in mare in mezzo al golfo con una pietra al collo. E la barca gli fu effettivamente offerta. Il Vescovo era stato informato dell'aggressione prima di partire da Trieste: tuttavia era andato a Capodistria da solo per non mettere in pericolo la vita di altre persone che l'accompagnassero."

AVER SOTTACIUTO TUTTE LE PERSECUZIONI. LE VIOLENZE, LE RAPINE E GLI OMICIDI CHE GLI SLOVENI INFLISSERO AGLI ITALIANI DELL'ISTRIA, CAMUFFANDOLE COME L'IMPEDIMENTO ALLA LIBERA MANIFESTAZIONE DELL'IDENTITÀ' NAZIONALE, E NEL CONTEMPO L' AVER ACCREDITATO PER VERA UNA PRESUNTA, MA MAI AVVENUTA PERSECUZIONE DEGLI SLOVENI IN ITALIA NEL SECONDO DOPOGUERRA, SOSTENENDO PERFINO DELLE MAI AVVENUTE PERSECUZIONI RELIGIOSE E DIMENTICANDO LA BRUTALE AGGRESSIONE SLOVENA AL VESCOVO DI TRIESTE E CAPODISTRIA, SONO CONFERME DIRETTE ED INCONTESTABILI AL GIUDIZIO DATO DAL PROF. SEMA SUI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.


CONCLUSIONI E PROPOSTE

E' stato dimostrato che la relazione della Commissione mista è inficiata da una serie di errori clamorosi. Ciò è particolarmente grave in un lavoro che, secondo la coopresidente slovena Milica Kazin Wohinz, dovrebbe rappresentare "il punto di partenza per il dialogo e la riconciliazione" tra i due popoli vicini.

La relazione, invece,contrariamente alle dichiarate buone intenzioni della Kazin, raggiunge lo scopo diametralmente opposto. Essa pare scritta apposta per alimentare il risentimento e l'odio reciproco tra gli sloveni e gli italiani.

Ad esempio, essa, sostenendo contro ogni evidenza storico-demografica,che Gorizia e Trieste, senza la Grande Guerra, sarebbero diventate "naturalmente" due città slovene, alimenta il risentimento e l'odio degli sloveni verso gli italiani "usurpatori" di due loro città. Analogamente, tutte le affermazioni della relazione demolite con il presente studio, convincono il lettore sloveno che il suo popolo è stato una vittima degli italiani e lo inducono ad odiarli almeno fino a quando essi non avranno pagato il loro debito morale.

E' vero che un lettore italiano, ignorante delle vicende della Venezia Giulia e credulone come i componenti italiani della Commissione, potrebbe, leggendola, convincersi dell'esistenza di un "debito morale" dell'Italia verso gli slavi. Ciò potrebbe anche indurlo a riconoscere le "giuste rivendicazioni" slovene su Trieste e Gorizia, ed a giustificare la feroce pulizia etnica fatta Pirano, Capodistria ed Isola d'Istria e via discorrendo.

Ma non tutti gli italiani sono dei perfetti ignoranti sulle nostre vicende e non tutti sono dei creduloni come i già citati mèmbri italiani di questa Commissione. A parte i dati dei censimenti austroungarici, a smentire le affermazioni della relazione, c'è un'ampia letteratura scritta da storiografi quali Tamborra, Valiani, de Castro, Salvemini, Valussi, che sono studiosi ben più autorevoli ed importanti dei quattro docenti di storia, del giurista, del senatore e della geografa che, con scelta veramente infelice, i passati Governi italiani, hanno incaricato di confrontarsi con i membri sloveni.

Così, il lettore italiano del documento della Commissione mista che andasse a verificare sui testi dei citati studiosi quale fu il vero svolgersi e concatenarsi degli avvenimenti, troverebbe confermato che gli sloveni, oggi come cento e più anni fa, non hanno riposto le loro mire espansionistiche sui territori italiani e che per loro, l'assassinio terroristico e l'attentato dinamitardo rivolti contro gli italiani, altro non sono che delle legittime manifestazioni di autonomia culturale.

Insomma, questo documento "storico", anziché indurre nei lettori quel processo psicologico, così mirabilmente descritto dal Manzoni nei personaggi della "festa del perdono", altro non fa che aizzare all'odio entrambe le parti.

Perciò esso non deve rimanere "congelato" alla Farnesina com'é adesso, ma deve venire pubblicamente sconfessato dal Governo italiano.

Allo scopo di raggiungere questo obiettivo, cui dovrebbe far seguito una onesta ricostruzione delle vicende della nostra terra (ricostruzione basta sui fatti e non su interpretazioni letterario-filosofiche o peggio, sui desideri personali nati da inclinazioni politiche), il gruppo di studio sottopone i risultati di questa ricerca al giudizio di Enti pubblici, di associazioni socioculturali, di studiosi e di tutti coloro cui sta a cuore la pace e la pacifica convivenza tra i popoli, pronto ad accettare ogni critica fondata ed a discutere ogni punto esposto.

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