“La foiba di Terli si apre sul margine della stradicciuola che porta da Schitazza a Vareschi”.
Così il “Corriere Istriano” di Pola, raccontava nel novembre 1943 dell’esumazione degli infoibati di Dignano, Carnizza, Marzana, Medolino, Lavarigo ed altri paesini nei dintorni di Pola: “il 5 ottobre ventisei prigionieri, tra cui quattro donne, vennero trasportati ad Oricchi dove rimasero una notte. Sappiamo ora quale sorte attendeva questo gruppo di deportati”.
Certo, nei paesi le voci giravano e di loro si diceva fossero finiti tutti in foiba. Li avevano visti per l’ultima volta prigionieri, alla berlina dei partigiani. Alcuni di essi, quelli di Marzana, erano stati costretti a sfilare in paese prima di essere portati sulla piazza.
Qui, Ivan Kolić, detto “el Gobo” (il Gobbo), sadico capo dei partigiani titini di Barbana, li aveva costretti, di fronte ai parenti trascinati in strada per vedere lo spettacolo, a bere in un bicchiere della nafta. A coloro che sputavano o reagivano, la gettò sui vestiti e poi vi dette fuoco.
E rideva, rideva, rideva…
Anche a Terli fu la squadra del maresciallo Arzarich di Pola a calarsi nella foiba. “Dopo una giornata di intenso e pericoloso lavoro – annotò nella sua relazione del 4 novembre del ’43 − vengono riportate in superficie ventisei salme tra le quali quelle di quattro donne. (…) La roccia che delimita la bocca dell’abisso reca incisioni bianche, segno evidente che spararono dietro alle proprie vittime mentre queste stavano già precipitando”.
Tra quelle donne tre erano sorelle.
Le riconobbe il padre, come raccontò allora il Corriere Istriano. “Benché induriti dallo spettacolo atroce, i testimoni notando dai vestiti a colori vivaci, dalle capigliature, dalle fattezze che le vesti scomposte lasciano intravvedere, che si tratta di donne, hanno un brivido di raccapriccio. Un uomo piccolino ed attempato che è vicino a noi, non appena scorge il primo cadavere esclama impallidendo: ‘xe mia fia…’ ".
Quel corpo, seminudo, era di Albina Radecchi, sua figlia, di ventidue anni. Portava un bambino in grembo che sarebbe nato qualche mese dopo. Ma ciò non bastò a risparmiarle la vita e l’oltraggio della violenza, che subirono anche le sue sorelle, riesumate subito dopo, tutte senza gli indumenti intimi.
Ancora la testimonianza del tempo: Albina “presenta una ferita mortale da arma da fuoco alla regione sottoclavicolare destra; Caterina Radecchi diciannovenne, e Fosca Radecchi diciassettenne, non presentano alcuna ferita d’arma da fuoco: hanno il cranio fracassato, probabilmente nella caduta, le sottovesti strappate”.
Le gettarono vive, dunque.
La loro colpa? Le tre sorelle lavoravano in una fabbrica di Pola e, al ritorno, si soffermavano a chiacchierare con i militari della Regia Aeronautica di stanza al distaccamento di Fortuna, nei pressi di Altura.
I partigiani le prelevarono una notte di settembre dalla loro abitazione a Lavarigo e le portarono a Barbana a fare le sguattere. In quei giorni furono più volte violentate.
Poi la fine in quell’abisso, a Terli, la notte tra il 9 e il 10 ottobre 1943.
Foto: i corpi delle tre sorelle riesumate il 4 novembre 1943 dalla Foiba di Terli.
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