mercoledì 27 dicembre 2023

La miseria dei contadini e la fame nella Jugoslavia di tito

Alla conferenza dell'UNRRA a Ginevra nell'estate 1946, il direttore generale Fiorello La Guardia annunciava fra l'altro che le condizioni alimentari in Jugoslavia dopo la guerra erano assai peggiorate, mentre il contrario avveniva in quasi tutti gli altri stati, assistiti dalla sua organizzazione. Nella primavera 1947 il Governo jugoslavo chiedeva aiuti urgentissimi, perché in vaste regioni jugoslave, particolarmente in Bosnia, regnava un'autentica fame.

Davvero? Ma come può essere che in un Paese agricolo, dove l'80% della popolazione è costituita da agricoltori, dove il territorio non è troppo popolato, si muoia di fame?

La guerra è finita, la terra è già stata "liberata" dagli occupatori, il popolo è - ce lo dice la stampa titina - contento e felice, sta alacremente lavorando come non mai prima, estendendo la coltivazione fino all'ultimo angolo di terreno. L'annata è buona e promettente. Come quindi giustificare le nere profezie della fame?

Eppure La Guardia ha ragione. Le condizioni agricole in Jugoslavia sono notevolmente peggiorate. Le ragioni sono diverse:

  • 1. Tito tiene sotto le armi 600.000-700.000 uomini, particolarmente nelle zone confinanti con l'Italia e la Grecia. La nuova Jugoslavia, che si atteggia a pacifista, è una grande caserma;
  • 2. la scarsezza della manodopera non è però determinata soltanto dall'elevato numero dei mobilitati, ma pure dalle stragi compiute in massa, anche dopo la fine della guerra, specialmente nel maggio e giugno 1945, quando decine e centinaia di migliaia di soldati croati, cetnici serbi e domobrani sloveni venivano crudelmente massacrati. In un paese agricolo per l'80%, l'esercito ha la stessa percentuale degli agricoltori; le perdite dell'esercito, quindi, sono perdite anche dell'agricoltura;
  • 3. nel paese si è verificato un movimento di masse, che non trova riscontro fin dai tempi degli Unni e dei Turchi. La fuga di centinaia di migliaia di persone davanti al terrore comunista, l'espulsione di un mezzo milione di tedeschi - stabilitisi in Jugoslavia come agricoltori da due secoli - ed infine l'inizio delle deportazioni in Russia: viaggiatori ed ex partigiani profughi raccontano che passando per il Sirmio, la Backa ed il Banato - che sono tra le più fertili regioni d'Europa - si vedevano non pochi villaggi abbandonati e larghissimi tratti di terreno incoltivato;
  • 4. la colonizzazione interna, intrapresa dal nuovo regime, è fallita. Urgeva fare occupare i terreni forzatamente evacuati. Occorreva, li per lì, trovare un mezzo milione di uomini. I primi ad avere le terre sono stati i "vecchi combattenti" di Tito che mai avevano lavorato e anche questa volta non hanno voluto lavorare. E così su poderi una volta razionalmente coltivati, vennero dei primitivi dal Montenegro, dalla Bosnia e dalla Serbia, che non sanno e, in gran parte, non vogliono lavorare la terra. Ammazzato il bestiame dei ricchi tedeschi, consumata la farina, dato fondo al vino - tracannato alla salute del compagno Tito - decisero di tornare ai loro boschi e alle loro montagne [...];
  • 5. la ragione forse più importante è che i contadini non se la sentono più di coltivare le terre. Bisogna cioè rilevare che il contadino croato e quello serbo è già da parecchie generazioni padrone unico della sua piccola o media proprietà terriera, mentre i latifondi costituiscono una percentuale minima.

Oggi l'agricoltore in Jugoslavia sa di non essere più libero. Requisizioni di bestiame e di viveri, lavoro obbligatorio senza pagamento, multe e arresti sono all'ordine del giorno. I contadini vengono portati come pecore ad assistere a frequenti comizi e "meetings" dove propagandisti da strapazzo cercano di inculcare le nuove idee; i deputati comunali e i rappresentanti popolari vengono imposti dall'ultimo ubriacone del paese, qualche calzolaio comunista o una guardia campestre. Chi non è comunista viene mille e mille volte proclamato nei comizi come "nemico del popolo" e "bandito fascista". Basta avere tre vacche nella stalla e un bel mucchio di frumento nel granaio per essere un "bandito autentico"; con una vacca e con meno grano, si è meno "bandito" e perciò in minor pericolo rispetto alle angherie dell'OZNA.

È dunque spiegabile la disperazione che regna fra le masse rurali. Alla gente viene a mancare lo stimolo al lavoro e alla stessa vita. Perciò contadini con 15 o 20 ettari ne coltivano appena tre o quattro, quanto strettamente basta per tirare avanti colla famiglia e molti preferiscono distruggere i propri carri e servirsene come combustibile, piuttosto che pagare 1.000 dinari di tassa.

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