mercoledì 27 dicembre 2023

La maggioranza irredentista nella Venezia Giulia (e nel Trentino)

È del tutto incontestabile che la stragrande maggioranza degli italiani ancora sudditi dell’impero dopo il 1866 nella Venezia Giulia e nel Trentino fosse costituita da irredentisti. La quantità di prove a sostegno di questa affermazione è tale da rendere difficile non il suo reperimento ma semplicemente la sua sintesi.

È chiaro che coloro che potevano osare definirsi irredentisti ovvero favorevoli all’unione con l’Italia erano pochissimi, ma argomentare da ciò che fossero un’esigua minoranza è sbagliato quanto lo sarebbe inferire dallo scarso numero di “dissidenti” dichiarati del regime sovietico che nell’Urss vi fosse un ampio consenso popolare al comunismo.

Come sempre in storia, la realtà è un insieme altamente complesso e talora contraddittorio, per cui un esame necessita di una valutazione della totalità dei suoi aspetti.

Evitando quindi di scendere nei dettagli, i quali non inficiano affatto la visione d’insieme, si delinea un quadro d’insieme del tutto coerente.

Le scelte politiche degli abitanti della Venezia Giulia durante la dominazione austriaca indicano in maniera inequivocabile una certa lontananza dall’impero asburgico.

  • 1) il partito più importante della regione era quello nazional-liberale italiano, che era espressione dell’elemento italiano (maggioritario numericamente, ed egemone economicamente e culturalmente) e di tendenze irredentiste.
  • 2) esisteva poi il movimento politico Edinost, espressione dei nazionalisti slavi, e quindi non definibile quale filo-asburgico
  • 3) il partito socialista era naturalmente internazionale, nonché repubblicano e laico, pertanto non si riconosceva né nell’impero austro-ungarico, né in qualsiasi altro stato esistente all’epoca, tantomeno in uno monarchico e clericale come quello asburgico.
  • 4) gli unici movimenti politici filo-asburgici erano quelli cattolici, i quali avevano però notevole diffusione soltanto nella bassa friulana in territorio austro-ungarico, e per ragioni sociali e religiose più che lealismo verso Vienna

In breve, se si guarda il panorama politico della Venezia Giulia anteriore al 1914 si rileva che il maggiore partito era l’irredentista nazionale-liberale italiano, mentre notevole diffusione avevano l’Edinost dei nazionalisti slavi e l’internazionale, repubblicano e laico partito socialista. Fra i quattro principali partiti uno solo, quello cattolico, era realmente filo-asburgico, ma era maggioritario solo nelle zone rurali della bassa friulana.

All’interno di questo quadro complessivo si possono certo scorgere moltissimi sfumature e differenziazioni. Ad esempio, il partito socialista esistente nella Venezia Giulia prima della Grande Guerra era una ramificazione del partito socialista austriaco ed era accusato dagli irredentisti di essere troppo filo-governativo, tuttavia la lingua prevalente nelle sue attività era quella italiana e l’apporto politico ed ideologico del PSI e più in generale della cultura italiana era decisamente più importante di quello dello stesso socialismo austriaco. Inoltre, esso preferiva l’alleanza coi liberali, nazionalisti italiani, anziché coi clericali, filo-asburgici, ed aveva numerosi membri d’idee irredentistiche, soprattutto nell’area istriana, in cui il socialismo era più nazionale ed italiano che realmente internazionale.

Similmente, i movimenti cattolico-sociali, aiutati in ogni modo dal governo centrale asburgico per il loro lealismo, erano ben diversi a seconda delle aree locali. Nelle regioni rurali friulane della Venezia Giulia, le uniche in cui i cattolici avessero realmente il predominio, tali movimenti erano marcatamente filo-asburgici, mentre in Istria per ottenere qualche moderato successo dovevano invece presentarsi come “italiani” e fare rimarcare la propria connotazione nazionale.

In ogni caso, il principale partito giulio-veneto ad inizio Novecento è quello nazional-liberale italiano, che è la fucina dell’irredentismo locale. In secondo luogo, fra i quattro maggiori partiti, soltanto uno è realmente “dinastico” e “filo-austriaco”, mentre gli altri tre sono uno di tendenze nazionali italiane, un altro di tendenze nazionali slave, il terzo dichiaratamente internazionale (nonché repubblicano e laico) ed estraneo anch’esso ad una propria identificazione con l’impero austro-ungarico (oltretutto, monarchico e clericale), o con qualsiasi altro stato allora esistente.

Ciò dimostra in modo inconfutabile come i veri e propri lealisti asburgici, definiti spregiativamente quali “fedeloni” dal resto della cittadinanza, fossero in realtà una minoranza, mentre la regione vedeva il prevalere del partito nazionale italiano. Si tenga conto di come i dati suddetti siano applicabili anche alla situazione politica posteriore al 1907, anno in cui fu accordato il suffragio universale, per cui le suddette scelte politiche erano espressione della totalità della popolazione. 

Basti un dato su tutti: alle ultime amministrative svoltesi in Venezia Giulia prima della Grande Guerra (con suffragio universale), su 51 sindaci della regione, 39 erano italiani, quasi tutti del partito nazionale liberale, cioè irredentista. 

Insomma, la maggioranza assoluta degli eletti era italiana ed irredentista, il che dimostra quali fossero le propensioni politiche della maggioranza degli elettori.

Il partito liberale, che riuniva gli italiani su base nazionale ed aveva idee irredentiste (anche se non poteva certo dichiararlo apertamente!), ebbe sempre l’amministrazione di Trieste da metà Ottocento sino alle ultime elezioni amministrative prima della guerra. 

Ancora, la Pro Patria (sciolta dalle autorità della Duplice Monarchia …) e la Lega nazionale ebbero un numero altissimo di soci e di sostenitori. I soli iscritti raggiungevano nel 1910 il 10% della popolazione italiana presente in Venezia Giulia, mentre i sostenitori e simpatizzanti, computabili sulla base delle offerte, della partecipazione a manifestazioni ecc. arrivavano tranquillamente alla metà. Attorno alle Lega nazionale poi ruotavano moltissime altre associazioni, culturali, sociali, sportive ecc., a decine e decine. La maggioranza della popolazione italiana era quindi certamente irredentista. 

Non basta ancora: queste idee e sentimenti erano particolarmente forti nella borghesia medio-alta, negli intellettuali e nel ceto colto, quindi nelle classi dominanti economicamente e culturalmente.

Non a caso il generale Karl Moering, Luogotenente del “Litorale” (ossia della Venezia Giulia) inviava nel 5 agosto 1869 una relazione al ministro Giskra, in cui scriveva che a Trieste la vita politica e sociale era interamente dominata da un blocco che riuniva quasi tutti gli Italiani e che era antigovernativo. Secondo il Moering la popolazione triestina aveva idee che egli definiva repubblicane e persino garibaldine, in ogni caso estranee ed ostili alla Duplice Monarchia.


Il Trentino asburgico vedeva tre partiti: il liberale; il cattolico; il socialista. 

Il primo partito, quello liberale, era ritenuto a ragione il più favorevole all’Italia ed era, nei limiti del possibile (per evitare le persecuzioni ed il carcere) irredentista in modo radicale. Si tratta d’una scelta politica tanto nota da parte del liberalismo trentino (come anche quello triestino) che non è il neppure il caso d’approfondire la questione.

Basti dire che le richieste trentine miravano ad una autonomia decisionale rispetto alla dieta tirolese, dove dominava l'elemento tedesco, anche se l'intransigenza asburgica contribuì a far nascere una volontà separatista, soprattutto dopo la vittoria di Giuseppe Garibaldi a Bezzecca.[ Alceo Riosa, Adriatico irredento. Italiani e slavi sotto la lente francese (1793-1918), Guida Editore, 2009, pagina 82] La borghesia trentina aveva seguito con passione anche l'unione di Roma all'Italia nel 1870, festeggiata a Trento anche con l'esposizione di bandiere italiane. Tutto questo fu addotto come argomento dalle autorità asburgische contro le richieste di autonomia.[ Claus Gatterer, “Italiani maledetti, maledetti Austriaci. L'inimicizia ereditaria”, Bolzano 1986, p. 60]

Il secondo partito, quello cattolico, ebbe naturalmente come suo massimo rappresentante De Gasperi. Questi si considerava italiano ed era fortemente critico nei confronti della politica austriaca, che egli definiva quale persecutrice agli Italiani del Trentino. 

Gli studenti dell’Unione accademica cattolica italiana, di cui De Gasperi faceva parte, avevano scritto, nel dicembre 1903, a Romolo Murri, lamentando «un governo soffocatore d’ogni idealità italiana». Il fatto nuovo però «era questo parlare di lotta per la difesa dell’italianità del Trentino». De Gasperi parlò più volte a favore dell’istituzione dell’università italiana, protestò contro l’attività del Tiroler Volksbund ed i suoi tentativi di germanizzazione, lamentò il disinteresse del governo austriaco per i problemi economici del Trentino e la mancata concessione dell’autonomia. L’8 ottobre 1912, parlando alle Delegazioni, dopo aver enumerato una serie di azioni inutilmente vessatorie verso i trentini messe in atto da Vienna e da Innsbruck con il pretesto dell’irredentismo, De Gasperi concludeva: «Invece di angariare i trentini con tali misure il Governo farebbe bene a soddisfare i loro bisogni economici, nazionali e culturali»

Ad esempio, egli scriveva sul giornale “Trentino” che «l’Austria è composta di vari popoli: polacchi, ruteni, sloveni, croati, tedeschi, czechi,rumeni, italiani ecc. Tutte queste nazioni sono in base alla Costituzione eguali di fronte allo Stato. In realtà i tedeschi, benché siano maggioranza, vogliono spadroneggiare. Così nel nostro Trentino tentano di invadere il nostro territorio, intedeschizzandoci; e vogliono amministrarci, come non fossimo capaci di fare da soli. Perciò noi diciamo: noi vogliamo l’integrità nazionale del Trentino. Attenderemo alla difesa dei confini linguistici e ci opporremo con tutte le forze a qualunque tentativo di diminuire il nostro possesso nazionale, da qualunque parte esso venga. Noi vogliamo l’elevazione nazionale del popolo nostro e cercheremo un graduale sviluppo ed aumento dei nostri beni nazionali. In questo lavoro noi ci ispireremo ai principi della giustizia, consapevoli dei nostri diritti, e degli altrui». Una questione molto sentita dagli Italiani sudditi dell’impero era la concessione d’una università in lingua italiana, che fu sempre negata. Quando fu fatta concessione davvero minima e parziale in proposito, con l’apertura d’un corso giuridico in lingua italiana ad Innsbruck, gli studenti ed i docenti furono assaliti in massa dagli abitanti locali, praticamente assediati ed infine arrestati in blocco (malgrado fossero stati assaliti e non assalitori) dalla polizia asburgica. Questo avvenne il giorno stesso dell’inaugurazione del corso, il 3 novembre 1904: le autorità asburgiche soppressero subito questo corso in lingua italiana e mai nessuna concessione venne fatta alla minoranza italiana al riguardo, nonostante il suo alto livello culturale. De Gasperi, come Battisti, era presente ad Innsbruck, fu arrestato (ingiustamente) dalla polizia e si fece quasi un mese d carcere. Questo uomo politico denunciò diverse volte apertamente e si batté contro i tentativi di germanizzare il Trentino ed affermò a chiare lettere che il governo austriaco si disinteressava dei problemi di questa regione e metteva in atto una politica persecutoria nei confronti dei suoi abitanti. Iniziata la guerra con l’aggressione dell’Austria alla Serbia, durante il periodo della neutralità italiana e nel corso delle trattative fra stato austriaco ed italiano per la cessione del Trentino, De Gasperi si recò tre volte a Roma ed ebbe colloqui con l’ambasciatore austriaco, Karl Macchio, con il pontefice Benedetto XV e con il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino il 16 marzo 1915. Egli durante tali colloqui si mostrò favorevole al passaggio di Trento all’Italia. Durante il conflitto De Gasperi denunciò la politica di deportazioni forzate d’abitanti del Trentino in lager, doveva vivevano in condizioni inumane: egli parlava ancora di “germanizzazione” e di “sradicamento italiano”, il che si tradurrebbe nel linguaggio contemporaneo con l’espressione di pulizia etnica. Al Parlamento di Vienna, l’11 ottobre 1918, De Gasperi dichiarò esplicitamente che la popolazione del Trentino si aspettava dal trattato di pace il riconoscimento del principio nazionale e la sua effettiva applicazione agli italiani che vivevano sotto il dominio dell’impero: in altri termini, egli chiedeva per il Trentino il passaggio all’Italia. Quando si valutano queste posizioni di De Gasperi si ricordi sempre che il partito cattolico, dei tre esistenti nel Trentino sotto il dominio asburgico, era ritenuto quello più moderato riguardo alla questione nazionale!

Il terzo partito, quello socialista, ebbe naturalmente come suo massimo rappresentante Cesare Battisti. Non è il caso di spiegare quale fosse la posizione di Battisti, ossia del socialismo trentino, riguardo alla presenza austriaca: l’impiccagione di Battisti per mano del boia venuto da Vienna, il pubblico dileggio prima dell’esecuzione capitale, l’esposizione del corpo al ludibrio con il carnefice sorridente dietro al corpo appeso dell’irredentista sono sufficienti a ricordarlo. Può essere invece utile citare una lettera di Cesare Battisti indirizzata a Benito Mussolini (allora socialista e direttore dell’”Avanti!”, che contribuì a far cambiare opinione quest’ultimo sull’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale e sulla questione della volontà del Trentino di staccarsi dall’Austria.

«Caro Mussolini, Vedo in una corrispondenza romana del tuo giornale messa in burletta una eventuale guerra italo-austriaca, per liberare… coloro che non hanno assolutamente alcun desiderio di staccarsi dall’Austria. Io non ho, né mi arrogo, caro Mussolini, il diritto di parlare in nome di tutti gli irredenti, per quanto mi giungano da Trieste e dall’Istria voci di consentimento; ma sento di potere, di dovere anzi dire una franca parola in nome del Trentino. Il Trentino ci tiene a staccarsi dall’Austria. Se tu fossi stato lassù nei giorni angosciosi della mobilitazione te ne saresti convinto. Avresti assistito alla partenza coatta di oltre trentamila uomini, montanari, contadini, gente abituata da preti e da poliziotti alla rassegnazione. Eppur tutti fremevano d’odio, tutti partivano lanciando all’Austria la maledizione.

L’idea nazionale – non nel senso nazionalista, ma nel senso sano ed equilibrato di difesa di un proprio patrimonio di coltura – e per reazione al Governo austriaco fattosi sempre più feroce e per l’attrazione ed il fascino esercitato dall’incontestato progresso economico d’Italia – ha pervaso tutto e tutti. Certo nel Trentino non v’è un irredentismo che negli ultimi anni abbia pensato a congiure, forme ormai superate. Non c’era, né potea esserci finché si vedeva l’Italia legata alla Triplice, un irredentismo d’azione. Ma oggi dai campi insanguinati della Galizia e della Bosnia come dalle città e dalle valli e da ogni luogo ove siano trentini si guarda fremendo all’Italia. Un cuore italiano che vive nella fortezza di Franzensfeste, coperto della divisa austriaca, mi scrive oggi eludendo la rigida sorveglianza: ‘Il mezzogiorno non si muove? Venite!’ Ora è il momento in cui l’irredentismo prende forma concreta ed ha ragione di essere. Ora c’è e mette in fuga tutte le paure, le prudenze, gli interessi dei tempi andati. E c’è non in questo o in quel partito. C’è nel cuore di tutto il popolo.

Se così non fosse le stesse carceri austriache non ospiterebbero oggi, per la stessa colpa di amor patrio, e il redattore del giornale socialista Martino Zeni e il prete Mario Covi e l’organizzatore dei contadini Vero Sartorelli e non pochi liberali e nazionalisti. Se così non fosse, le città d’Italia, Milano prima fra tutto non ospiterebbero tanti profughi trentini, qui venuti sfidando infiniti pericoli. Vivono essi in trepida attesa ed in fervida fraternità; e son uomini delle più disparate classi sociali, avvocati, professori, contadini, operai, vecchi e giovani, ricchi e poveri, qui venuti nella speranza di tornare presto lassù con le armi in pugno. Per un tacito patto essi sono fino ad oggi vissuti oscuri, modesti, senza far parlare di sé.

Io rompo oggi la consegna per gridar con loro la mia protesta, per dire ai fratelli d’Italia: ‘Se l’Italia non può ricordarsi di noi, irredenti, sia. Se l’operare per la nostra redenzione dovesse recarle rovina, noi subiremo ancora il servaggio. Sia tutto questo! Dimenticateci, se volete, ma non dite che noi non vogliamo staccarci dall’Austria. È un’offesa. È una bestemmia».

Cesare Battisti pertanto non solo era irredentista acceso, ma sosteneva che la maggioranza della popolazione trentina lo fosse.

In conclusione, è incontestabile che tutte e tre le forze politiche del Trentino asburgico, i partiti liberale, cattolico, socialista, fossero, nonostante le grandi differenze ideologiche che li separavano, concordi nel denunciare la politica oppressiva e persecutoria dell’Austria verso gli Italiani ed a sostenere posizioni irredentistiche. È pertanto impossibile negare che la maggioranza fossero favorevole all’unione con l’Italia.

Le stesse autorità asburgiche sapevano bene sin dalla Restaurazione che gli italiani soggetti al dominio dell’Austria ne erano irriducibilmente ostili.

-Il generale Clam Martinitz, il principale collaboratore del principe von Metternich, fu incaricato di valutare la situazione in Italia nel 1830 e di fare rapporto. La relazione evidenziò la debolezza e l’impopolarità del dominio austriaco in Italia. Il Clam Martinitz sosteneva che gli Italiani odiavano il regime asburgico e che l’unico modo che aveva l’Austria per conservare i suoi possedimenti in Italia era l’uso della forza, ovvero la presenza costante d’un massiccio esercito.

-L’ammiraglio Zichy, comandante in capo della flotta asburgica nel 1848, parlava ben prima della generale sollevazione del Lombardo-Veneto come di una “terra radicalmente ostile” al dominio asburgico e sosteneva che bisognava attendersi “un completo ammutinamento della marina […] alla prima occasione”, ciò che poi effettivamente avvenne.

-Il generale von Schönhals ricorda che nelle sue memorie che gli occupanti Austriaci erano odiati dagli Italiani, di tutte le classi sociali. Era particolarmente ostile era la classe dirigente italiana, ma anche quella media e popolare erano contrari alla presenza austriaca. Von Schönhals scriveva che erano pressoché assenti i legami fra i dominatori Austriaci e gli Italiani, fra i quali cresceva il risentimento verso i primi.

-Il feldmaresciallo Radetzky, per lungo tempo comandante in capo delle forze asburgiche in Italia e poi anche governatore del Lombardo-Veneto, dichiarava che era inutile tentare di riguadagnare la fedeltà degli Italiani e che esisteva una sola maniera di conservare i domini in Italia, ossia reggerli “con la spada in pugno”. Egli aggiungeva che in tutta Italia, dalle Alpi sino alla Sicilia, gli austriaci erano mortalmente odiati.

-L’arciduca Massimiliano d’Asburgo, fratello dell’imperatore, ammiraglio della flotta imperiale e poi vicerè del Lombardo-Veneto, scriveva che era necessaria una forte presenza militare in Italia, poiché nessun amministratore asburgico si sentiva in grado d’esercitare la propria attività senza essere assicurato e protetto dai militari.

-Il generale Karl Moering, Luogotenente del “Litorale” (ossia della Venezia Giulia) inviava nel 5 agosto 1869 una relazione al ministro Giskra. Egli scriveva che a Trieste la vita politica e sociale era interamente dominata da un blocco che riuniva quasi tutti gli Italiani e che era antigovernativo.

-Markus von Spiegelfeld, Luogotenente del Tirolo dal 1906 (quindi governatore anche del Trentino), aveva inviato nel 1912 un memorandum all'erede al trono Francesco Ferdinando d'Asburgo dichiarando che la popolazione del Trentino era interamente d'idee e sentimenti italiani: “Nazionale, anzi marcatamente nazionale, è tutta la popolazione laggiù”. [P. Pombeni, "Il primo De Gasperi. La formazione di un leader politico", il Mulino, Bologna 2007, pp. 183 sgg.]

-Scriveva il generale Theodor Edler von Lerch in un suo memorandum: "Coloro che ancora risiedono in Sudtirolo [qui nel senso storico di Trentino] sanno dissimulare le loro convinzioni: anche in questo caso non ci si può illudere e considerare fedeli all'Imperatore quanti sono rimasti. Nessun italiano sudtirolese deve essere considerato assolutamente affidabile.” [Piccoli Paolo; Vadagnini Armando - De Gasperi. Un trentino nella storia d'Europa, Rubbettino, 2004, pag. 103]

È poi noto che arrivarono 2000-3000 volontari dalle terre irredente, nonostante la maggior parte degli abili alle armi fossero stati coscritti dall’impero nel 1914 e malgrado le enormi e spesso insuperabili difficoltà di raggiungere l’Italia. I volontari della Legione Trentina, quasi tutti provenienti dalle terre irredente, erano da soli ben 902, di cui questo studi recenti forniscono nome e cognome. Altri che si erano offerti volontari non erano stati accettati perché non idonei fisicamente. Certamente il numero sarebbe stato anche più alto se allo scoppio del conflitto circa 1.700 sudditi trentini sospetti di italianità non fossero stati internati a Katzenau ed almeno 114.000 (su una popolazione di 386.000) non fossero stati trasferiti in maniera coatta in Boemia e Moravia. La disaffezione degli Italiani irredenti verso il governo imperial-regio appare comunque dimostrata dal fatto che fra i soli prigionieri Italiani (sudditi asburgici) dei Russi una missione militare del Regio Esercito, costituita di 20 ufficiali agli ordini del tenente colonnello Achille Bassignano, con tre ufficiali dei Carabinieri (il maggiore Giovanni Squillero, il capitano Cosma Manera, il capitano Nemore Moda) riuscì a costituire un reparto di 2000 volontari, la cosiddetta “Legione russa” redenta. Alla fine, pochissimi furono coloro che poterono effettivamente battersi, per la difficoltà di spostarli dalla Russia al fronte italiano. Resta il fatto però che, già solo fra i prigionieri Trentini dei Russi, una piccola commissione militare italiana poté ottenere circa 2000 volontari disposti a battersi contro gli Austriaci. Complessivamente, fra i soli i prigionieri Trentini in Russia che chiesero d’arruolarsi nel Regio Esercito i volontari furono oltre 6000.

Tutti questi dati potrebbero essere facilmente arricchiti da altri ancora, come l’accoglienza delle truppe italiane nel Trentino e nella Venezia Giulia alla fine del conflitto, la distruzione dei manifesti di lutto per la morte di Francesco Giuseppe nelle città istriane, la quantità di italiani deportati dall’impero in lager perché ritenuti irredentisti ecc. ecc. ecc. Un paio di modestissimi aneddoti possono evidenziare la grande diffusione dell’ideale irredentista nella Venezia Giulia al tramonto dell’impero d’Austria. L’uomo che tradì con una sua delazione Guglielmo Oberdan divenne oggetto del disprezzo generale e dovette andarsene da Trieste: se questa città fosse stata davvero favorevole a Francesco Giuseppe, lo avrebbe celebrato come eroe anziché esecrarlo come spia!

Quando morì la madre di Oberdan, donna di modestissima condizione, i suoi funerali videro un’imponente partecipazione popolare da parte della comunità italiana, che così volle testimoniare il suo attaccamento alla figura di Guglielmo Oberdan. La notizia ebbe all’epoca ampio risalto nella stampa estera, specialmente francese e tedesca (di Germania), suscitando l’imbarazzo e la collera delle autorità governative imperiali.

Il quadro così riassunto è però certo nelle sue linee generali ed in più coerente. Pare quindi ragionevolmente impossibile negare che la maggioranza degli italiani del Trentino e della Venezia Giulia fossero irredentisti.

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