Chi si avvicini anche oggi al profilo di Ttaù, basso sul blu dell'Adriatico, non può non notare l'alto e candido campanile del duomo, animato su tre ordini da bifore gotiche, incastonate come un contrappunto alla struttura preminentemente romanica. L'iscrizione al primo livello, del 27 aprile 1422, fece pensare che si trattasse di un'addizione tarda dei «m(a- gistri) M|ate|v.z [Matteo] <et> S|tc|-f|a<nu>s [Stefano]», ma un esame più approfondito dei documenti ha ridimensionato la portata dell'intervento: dopo la conquista veneziana del 22 luglio 1420, infatti, il capitolo conferì l'incarico di risanare i blocchi e le decorazioni danneggiati dalle bombarde al mastro tagliapietre Matei Goicovich, che operò vincolato dal rispetto del disegno primigenio. La torre, inizialmente ideata in pendant a una corrispettiva mai realizzata, sormonta il portico di facciata, preludio scultoreo di raro pregio alla basilica, scandita in tre navate da pilastri a T e coperta con volte a crociera. La sostituzione del primitivo soffitto ligneo della nave centrale rese necessaria l'aggiunta di più robusti contrafforti, celati tramite il rialzo, presso le navate minori, delle falde del tetto a una quota più alta rispetto all'originaria archettatura pensile. La triplice testata absidale, adorna di archetti pensili e sottili semicolonne, svela una reminiscenza delle chiese lombarde dei secoli XI e XII, mentre i motivi delle cornici saranno, a loro volta, rievocati nel campanile di Spalato. Tra le forme dell'abside si legge inoltre l'influenza dei rapporti politici con l'Ungheria, esemplati dalle strette analogie con la testata della coeva chiesa di Ják. L'elemento che tuttavia meglio di ogni altro dischiude con le sue pietre uno sguardo sulle complesse relazioni e gli scambi
in area mediterranea all'indomani della Quarta Crociata è il corpo di accesso, ai piedi del rosone occidentale: qui, tra gli zoccoli e il fregio del nartece, risuona l'eco degli ornamenti in voga a Grado e a Venezia nel IX e X secolo, mentre il sontuoso portale, «gloria culminante dell'architettura dalmata» capace di «sfidare il confronto con qualsiasi opera di architettura romanica o gotica», è una sinfonia di suggestioni attente a cogliere o meglio raccogliere ora lo spirito eclettico del protiro del duomo di Ferrara, ora il repertorio di racemi e animali del portale maggiore di S. Marco a Venezia, ora l'innovativa poetica di Benedetto Antelami e le raffinatezze del Gotico francese. Lo scultore Radovan - "Raduanus", secondo l'iscrizione che ne commemora il capolavoro datandolo al 1240 - riversa i vertici dell'immaginazione delle due sponde adriatiche in un cesello di sculture e rilievi che ricoprono, con "horror vacui", le superfici di pilastri e ghiere concentriche. Il portale, inquadrato da due leoni stilofori su cui si ergono, pudichi, i Progenitori - una Eva-cariatide a sinistra e un Adamo-telamone a destra, medita, entro un ricco programma iconografico popolato da profeti, mesi e scene di caccia, il mistero della Natività, abilmente descritto nell'esiguo spazio della lunetta accanto al Bagno del Bambino, l'Annuncio ai pastori e l'Arrivo dei Magi.
Non sapremo mai, probabilmente, se l'autore della «più bella opera del morente Romanico in Dalmazia» abbia partecipato ai lavori della basilica marciana, se abbia agito da solo o affiancato da altre mani, come lui addestrate alla medesima ampiezza di vedute. Ciò che risulta certo, ancora una volta, è che il patrimonio storico e architettonico delle coste orientali dell'Adriatico sa raccontare un'incantevole storia di contatti e feconde "maree culturali" grazie alle quali, per dirla con lo storico dell'arte Adolfo Venturi, «tant'arte fluita in Dalmazia rifluì in Italia» nei tempi e nei modi che ancor oggi contempliamo ammirati.
Duomo di S. Lorenzo (1213-1698) |
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.