Il secolo successivo fu il turno di Candia, ovvero Creta, da secoli dominio della Serenissima e da sempre nelle mire della Sublime Porta per la sua posizione strategica. E fu l'occasione per vedere in azione Biagio Zulian, che rinfrescò il mito di Bellisandra divenendone – suo malgrado – l'alter ego maschile. E se a Nicosia il castello di San Teodoro fu l'ultimo a essere attaccato, a Candia un forte che portava lo stesso nome ebbe il dubbio privilegio di aprire le danze.
Tutto ebbe inizio nel luglio del 1645, dopo che alcune navi maltesi avevano depredato i galeoni dell'Agà eunuco Zambul, mentre questi era diretto alla Mecca. Dichiarata guerra a Malta, l'impero ottomano fece uscire dal Bosforo settantacinque galee, più altre centinaia tra fuste, saiche, galeotte e altre imbarcazioni. Una flotta sterminata che il 24 luglio diresse senza esitazioni verso Candia, prendendo a pretesto il fatto che la Serenissima aveva lasciato aperto un varco alle navi maltesi nel corso della loro fuga.
I veneziani non erano così sprovveduti da non attendersi una qualche ritorsione da parte del Turco, e avevano già rinforzato le difese; ma quando all'orizzonte si profilarono le trecentosettanta vele poste sotto il comando di Mussà Bassà, fu chiaro che non sarebbe stato possibile impedire lo sbarco e si preferì risparmiare armi e uomini preparandosi a un assedio (destinato a protrarsi per oltre due decenni). L'armata ottomana sbarcò quasi totalmente indisturbata a circa due miglia dal fortilizio, e la sera stessa Bassà decise di levarsi il pensiero del forte di San Teodoro.
Così, mentre la maggior parte dei suoi quarantamila uomini si accampava, diresse una parte dell'esercito e alcune decine di grossi cannoni verso lo scoglio di Agios Theodoroi, che aveva una rocca priva di difese sulla sommità – la Turlulù – utilizzata per l'avvistamento delle navi, e un forte – San Teodoro appunto – che guardava verso terra e serviva anche da lazzaretto per la città fortificata di Canea. In quel momento a presidiare il forte vi erano settantacinque soldati della Serenissima, capitanati da Biagio Zulian (trascritto anche come Zuliani, o Giuliani), nativo di Capodistria. Tra le mura, un solo cannone.
Sembrava una preda facile, ma i primi due assalti andarono a vuoto, con perdite significative fra gli assalitori; nondimeno, la situazione era tutt'altro che rosea: quasi metà della guarnigione era morta o ferita, le munizioni iniziavano a scarseggiare ed era chiaro che nessun aiuto sarebbe potuto giungere dalla Canea, posta tra il forte e lo sterminato accampamento turco. Anche le mura di San Teodoro, colpite a ripetizione dai cannoni ottomani, avrebbero ceduto di lì a poco.
Consapevoli che nessuno di loro sarebbe sopravvissuto, e che forse era anzi preferibile morire che vivere come schiavi per il resto della vita, gli uomini iniziarono a scavare febbrilmente una grande fossa al centro del cortile, che fu riempita di tutta la polvere da sparo rimasta e di ogni oggetto metallico che si potesse trasportare. Quindi, in questa trincea improvvisata, i quaranta uomini superstiti attesero il terzo assalto. Accanto a Zulian, che teneva una torcia accesa per dare fuoco alle polveri, anche la moglie e i figli, che vivevano col capitano all'interno del forte.
I turchi fecero breccia e avanzarono di corsa a centinaia, verso il drappello dei veneziani. Una corsa verso la morte, visto che nell'esplosione ne morirono cinquecento, lasciandone molti altri feriti. Fu un atto eroico e simbolico, che diede formalmente inizio alla guerra di Candia, destinata a durare venticinque anni.
Per onorarne le gesta è nato un progetto, “Le popolazioni della Serenissima alle guerre veneto turche. La storia del capodistriano Biagio Giuliani eroe a Creta", approvato dalla Regione Veneto, nell’ambito della Legge per gli interventi di recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale risalente alla Repubblica Serenissima di Venezia nell’Istria e nella Dalmazia.
Alla presentazione hanno preso parte Alberto Montagner, presidente dell’Associazione culturale Veneto Nostro, capofila del progetto; Valentina Petaros Jeromela, responsabile del progetto; Piero Sardos Albertini, presidente dell’Associazione Fameia Capodistriana, che nel 1963 donò al Comune di Venezia una lapide commemorativa di Zulian; Pietrangelo Petenò, referente di Marco Polo Project Venezia.
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