domenica 12 novembre 2023

Irredentisti fiumani del Risorgimento (Luigi Peteani)

Fiume, fin da quando dalle rovine della romana Tarsatica ri- sorse a nuova vita nell'alto Medio Evo, rappresentò il punto terminale del Sacro Romano Impero: al di là dell'Eneo, il piccolo corso d'acqua che lambisce ad oriente la città, cominciava la Croazia, sicchè ben si può dire che quel fiume venne a segnare il confine geografico, politico e culturale tra il mondo occidentale e quello slavo. Non si esagera affermando che Fiume fu una vera e propria vedetta d'italianità nel corso dei secoli. Se anche essa venne ad avere un destino storicamente molto diverso da quello dell'Istria, che in gran parte fu sottomessa a Venezia, non per questo ne scapitò le sua fisionomia nazionale: perché, grazie alla posizione isolata e lontana dai grandi centri, essa ebbe a risentire assai poco della soggezione feudale alla Casa dei Duino e dei Walsee prima e, dal 1465 in poi, alla Casa d'Austria; e così, costituitasi a libero Comune e garantita dalla sua autonomia, potè conservare intatto il suo carattere italiano: carattere che andò sempre più sviluppando soprattutto attraverso gli attivi traffici con le città italiane delle Marche e delle Puglie e con quelle in genere dello Stato Pontificio. D'altra parte le relazioni col retroterra slavo erano molto scarse, data la povertà delle sue risorse e la mancanza di adatte vie di comunicazione.

L'italianità di Fiume è, quindi, un fatto assolutamente originario ed autoctono, e non dovuto come pure generalmente si crede - all'influsso di Venezia, con la quale Fiume anzi si trovò spesso in lotta e non ebbe dei rapporti molto frequenti, poichè la Serenissima escludeva dal commercio con i propri territori i mercanti stranieri.

Fiume restò sotto l'Austria fino al 1776, anno in cui l'Imperatrice Maria Teresa, onde assicurare all'Ungheria un emporio marittimo diretto, la staccò dal nesso dei Paesi Ereditari di Casa d'Austria e la annettè alla finitima Croazia, che faceva appunto parte del Regno d'Ungheria. Se Fiume fosse stata una città prevalentemente croata, avrebbe dovuto esserne contenta. Invece, pur nella poca profondità del sentimento nazionale del Settecento, il Consiglio cittadino non mancò di fare energiche rimostranze, protestando contro l'incorporazione alla Croazia e reclamando che la città fosse direttamente annessa all'Ungheria col riconoscimento della sua avita au- tonomia. E Maria Teresa, in accoglimento dei voti dei fiumani, con di- ploma del 23 aprile 1779, revocò il precedente decreto e costitui Fiume quale "Corpus Separatum" dalla Croazia, direttamente annessa alla Corona d'Ungheria.

Questo diploma rappresentò il fondamento della nuova posizione di diritto pubblico della città, la base granitica della sua autonomia, che essa difenderà contro ogni tentativo sia di oppressione croata che di sopraffazione ungherese, fino all'annessione all'Italia.

Il nesso con l'Ungheria venne rotto ai tempi di Napoleone; svolta importante questa anche per Fiume, perché sono di allora le prime rivendicazioni di Fiume all'Italia in sede politica, e ciò in relazione al dibattuto problema dell'annessione della Venezia Giulia al Regno Italico, nelle trattative di pace con l'Austria dopo la vittoria di Austerlitz. Nel 1806 il governo del Regno scriveva infatti a Napoleone: "Se una linca bene ordinata di confine è egualmente utile ai due Stati potrà desiderarsi che S. M. fissi la sua attenzione sopra
la disconvenienza che il territorio di Trieste e Fiume, anzi l'intero tratto dell'Istria austriaca, separi il Regno dai suoi possessi d'Istria e Dalmazia veneta ". Il progettato confine all'Isonzo era allora molto discusso perché ben ci si avvedeva quanto quella fosse una linea artificiale e poco difendibile: si voleva avere Trieste e Fiume e portare il confine all'antica linea delle Alpi. 
Il console francese a Trieste scriveva che "Tôt ou tard Trieste et Fiume doivent être jointes à l'Italie." Invero con la pace di Presburgo, il confine del Regno Italico fu fissato all'Isonzo, sebbene per Napoleone fosse chiaro come lui stesso ribadisce nel memoriale di S. Elena che la divisione naturale delle montagne passava fra Lubiana e l'Isonzo, comprendeva una parte della Carniola e dell'Istria e raggiungeva l'Adriatico a Fiume. Fu in base a queste considerazioni che, con la successiva pace di Vienna (1809), Napoleone costitui le Provincie Illiriche, destinate ad essere una marca militare a difesa del Regno Italico, e di esse venne a far parte anche Fiume.

Sotto il dominio napoleonico l'italianità della città si ravvivo acquistando un più deciso colore politico e sociale in opposizione alla Casa d'Austria, che rappresentava nell'uno e nell'altro campo l' "ancien régime". Tra coloro che erano in più stretti rapporti col go- verno napoleonico citeremo l'insigne e ricco patrizio, Andrea Lodovico Adamich (1767-1828), il quale fu tra i primi ad inalberare sui suoi bastimenti la bandiera del Regno Italico con tre palle rosse in
campo bianco. Ma nel 1813 Fiume ricadde sotto l'Austria, che solo nel 1822 la restituì all'Ungheria. Scoppiata la rivoluzione del 1848, Fiume vide i suoi giorni più tristi, poichè venne occupata il 31 agosto dalle truppe croate al comando del Bunjevac, commissario delegato del Bano Jelacic, il quale era rimasto fedele all'imperatore e si era schierato contro l'Ungheria insorta. Quel giorno doveva segnare l'inizio di un lungo periodo di oppressione sotto i croati, che durò fino al 1867. II governatore ungherese se ne era andato alla chetichella, non riuscendo ad aver l'appoggio della guarnigione; sicchè la difesa dei diritti cittadini venne assunta dal vice-capitano Agostino Tosoni. Egli si batte energicamente per il mantenimento dell'autonomia di Fiume non meno che della universalmente usitata lingua italiana. Le promesse in un primo tempo non mancarono, ma poi non vennero mantenute; i creati instaurarono un regime di violenze e di soprusi, che Niccolò Tommaseo bollò a sangue. Ma la resistenza della città fu tenace e indomabile. Il fatto che le autorità croate erano satelliti dell'Austria accomunò in un solo odio Croazia ed Austria, cementando vieppiù il vincolo di solidarietà verso gli altri italiani, che subivano la stessa oppressione. È significativo il fatto che, tenendosi una rappresentazione a celebrazione dell'ingresso di Radetzky a Milano (26 settembre 1848), questa venne accolta dal pubblico con aperti mormorii e zittii, tanto che il Bunjevac ne fece una rimostranza alle autorità municipali, con la minaccia di tenerle personalmente responsabili qualora tali manifestazioni avessero a ripetersi.

D'altra parte Fiume era presente anche alla menti di quei primi illuminati assertori dell'unità ed indipendenza nazionale, i quali avevano ben chiara la visione di un'Italia che, conformemente alla realtà geografica e alla tradizione storica, arrivasse fino a Fiume, meta segnata alla Patria attraverso i secoli già dal verbo del Sommo Poeta. Cosi essa, alla pari di Trieste, è compresa nel territorio della " Repubblica Ausonia" vagheggiata dai Carbonari; Mazzini, durante la guerra del 1848, ebbe a scrivere: "La guerra italiana non deve, non può cessare finchè una sola insegna straniera sventoli al di qua del cerchio superiore delle Alpi, dalla foce del Varo a Fiume".

Terenzio Mamiani del pari sosteneva la necessità che l'Italia nella lotta contro l'Austria raggiungesse "le sue naturali frontiere dal Varo al Quarnaro".

Del resto lo stato maggiore di Carlo Alberto, già in una sua opera del 1845, aveva fissato i confini naturali dell'Italia, oltre Fiume, al monte Bitorai. La commissione senatoriale per l'annessione della Lombardia e del Veneto al Piemonte affermò che l'Italia doveva arrivare fino alle Alpi Giulie. Il generale Guglielmo Pepe, in un suo piano del 1849, che sottopose a Carlo Alberto, intendeva occupare Trieste, Pola e Fiume, sperando da Fiume in particolare di "iniziare corrispondente con l'Ungheria per aiutarla nella sollevazione contro l'Austria". Purtroppo queste aspirazioni e progetti non poterono allora essere attuati, e Fiume restò a languire sotto il giogo croato. Ma esso non poteva impedire che la sua anima vibrasse appassionatamente alle sorti della Patria. Abbiamo notizia certa che Vincenzo Solitro, redattore dell'Eco del Litorale ungarico, e Carlo Marussig si batterono alla difesa di Venezia, dove anzi quest'ultimo venne ferito a morte. Cosi sappiamo che un catechista, Don Bernardino Malle, fur esonerato dall'insegnamento nel 1848 e successivamente anche nel 1861 perché faceva propaganda per l'Italia.

Concorse a tenere viva la fiamma dell'italianità e il sentimento di fratellanza nazionale, con un'efficacia che oggi difficilmente si può concepire, il teatro tanto lirico che drammatico. Il Teatro Civico e il circolo dei patrizi detto "Casino Patriottico" erano i centri della vita e delle manifestazioni politiche. Al circolo si potevano leggere i giornali della Penisola, tra cui il battagliero "Crepuscolo" del Tenca. 
Nell'agosto 1849, la cantante Maria Zagnoli, che aveva avuto due fratelli morti durante le Cinque Giornate di Milano, fu invitata a dare un concerto al teatro a beneficio delle vedove dei militari caduti per la libertà d'Italia, ed essa comparve in scena vestita a lutto con un nastro tricolore che le fasciava i capelli. Il comando militare la diffidò a lasciare la città, ma essa restò ancora per qualche tempo, ospite delle migliori famiglie... Grandi feste furono fatte anche alla celebre Adelaide Ristori; in occasione della sua serata d'onore (1 dicembre 1846) le fu presentata una dedica fervida d'amor patrio, redatta in questi termini da Gustavo Adolfo Lavoratori, nipote dell'Adamich: "Salve o donzella rapimento dei cuori a l'Italia nelle basse fortune dell'arte sei speranza e conforto dimostri che se prepotenza d'eventi fa balda la straniera iattanza invidia non basta a soffocare il genio."

Le opere di Verdi destavano un grande entusiasmo patriottico a Fiume, come nel resto d'Italia, e venivano rappresentate presto e spesso: così l' "Ernani" fu rappresentato nel 1846, 1851, 1854, 1858 e il suo coro patriottico "Siamo tutti una sola famiglia" trascinava al delirio il pubblico, come continuò a trascinario fino alla redenzione. Venne anzi allora di moda, per qualche tempo, di portare i cappelli "alla Ernani" in segno dimostrativo come emblema rivoluzionario, e ciò dava forte ombra alle autorità croate. 
"I Lombardi" furono rappresentati nel 1847, e nel 1862; il "Nabucco nel 1845 e 1852, "Attila" nel 1849 e ognuno ravvisava in Attila Francesco Giuseppe in Ezio i condottieri della prima grande guerra d'indipendenza. Ricorderemo anche un episodio di tempi posteriori: nel 1868, dovendosi recitare un dramma patriottico "Coscienze elastiche" da parte della compagnia Peracchi, la polizia aveva vietato che si portasse in scena il tricolore italiano, come era richiesto dell'azione. Ma il pubblico protesto e alcuni giovani animosi corsero al porto a farsi dare un tricolore da un bastimento italiano e lo portarono a teatro, accolti da entusiastiche acclamazioni.

Noi sappiamo i nomi dei patrioti più ragguardevoli e ne possiamo conoscere l'attività non solo in base alle testimonianze orali che ci sono state tramandate, ma anche da un registro della polizia delle persone compromesse politicamente. L'Austria, infatti, per un senso di comprensibile diffidenza, nel ventennio dal 1848 al 1867, pur lasciando sussistere la polizia comunale, tenne a Fiume un commissario superiore di polizia quale osservatore, facendo pagare al Comune 32.000 forini annui per il suo stipendio. E questi appunto compiló un "Verzeich- nis der politisch-Kompromittierten", che si trova nell'Archivio di Stato di Fiume (1° -280), dal quale desumiamo la maggior parte di queste notizie. E così è documentata l'esistenza nella piccola Fiume, che contava poco più di 10.000 abitanti, di un forte gruppo di irredentisti. Osserviamo a questo punto che nel movimento nazionalista di Fiume bisogna distinguere un gruppo apertamente irredentista e un altro gruppo che, pur essendo fermo nel propugnare e difendere la cultura e le tradizioni italiane della città, puntava, sul terreno concreto dell'azione politica, ad ottenere la riannessione all'Ungheria. Ma ciò è anche comprensibile quando si pensi che l'Italia era allora appena in via di costituzione e l'unione ad essa poteva apparire alle menti più illuminate non più che come un sogno lontano, mentre l'immediata salvezza dell'autonomia e dell'italianità della città poteva essere rappresentata solo dall'Ungheria, con la quale, del resto, nella sua lotta contro l'Austria, avevano contatti anche i nostri maggiori uomini politici. Questo secondo gruppo costituiva il cosidetto partito italo-ungherese, del quale i più attivi esponenti nominati nell'elenco erano: 

Francesco Bartoli, Giovanni Carina, Eugenio, Giovanni e Giuseppe Cosulich, Giovanni Ciotta, di famiglia oriunda di Livorno, che fu Podestà di Fiume dal 1872 al 1897, Giovanni Cattalinich, Francesco Dobrovich, Nicolò Dergnievich, Luigi Deschmann, Antonio Gabre, Paolo Gaslovich, Edoardo Hauslik, Carlo Huber, Antonio Lassovich, Paolo Lenussi, Marziale e Norberto Malle, Gior- gio Milledragovich, Valentino Marussich, Vincenzo Millich, Olivo Rumich, Giuseppe Scalamera, Pietro Sicherle e Benvenuto Torri. A questi bisogna aggiungere il Dott. Antonio Felice Giacich, il quale scrisse anche un opuscolo: "Reminiscenze storiche del Municipio di Fiume dal giorno dell'occupazione dei croati", Gaspare Matcovich, che nel 1848 cooperò col conte Domini all'armamento del brick "Implacabile" per farne una nave da guerra ungherese, che avrebbe dovuto soccorrere Venezia, e poi subì la prigione per la sua fiera attività di agitatore contro i croati, Giuseppe Sgardelli, Giuseppe Wallaschnig. Luigi Francovich, che era in intima amicizia con l'ungherese Klapka, emissario di Kossuth in Italia. Questi fiumani ebbero una parte di primo piano nella lotta per la liberazione della città dal giogo croato e la sua riannessione all'Ungheria.

E ricordiamo qui anche i nomi dei quattro deputati che Fiume si decise a mandare alla dieta di Zagabria del 1867: Casimiro Cosulich, Giovanni Martini, Antonio Randich, Ernesto De Verneda "ma solo per protestare contro ogni unione della città alla Croazia". La protesta venne fatta dal Verneda in italiano, sollevando alla Dieta un vero putiferio, in seguito al quale i Deputati abbandonarono la seduta. Il gruppo veramente irredentista faceva capo ad Ercole Rezza, genovese. Questi, trasferitosi a Fiume, aveva iniziato la pubblicazione, nel 1857, dell' 'Eco di Fiume" che venne soppresso dalla polizia nel 1860 e sostituito quindi dallo stesso Rezza con "La Gazzetta di Fiume". A questa egli diede un indirizzo apertamente irredentista, tanto che nel 1862 egli ebbe a subire un processo per lesa maestà. Il Rezza era strettamente collegato con il movimento irredentista veneto e con molti patrioti del Risorgimento. È lui che stampa nel 1857, 1858 e 1859 la "Porta orientale" diretta dall'istriano Carlo Combi; è lui che organizza la diffusione dei libri rivoluzionari proibiti dall'Austria. Egli infatti era in attive relazioni col libraio Giovanni Grondona di Genova, fervente cospiratore mazziniano, il quale riceveva le stampe rivoluzionarie dalla Svizzera e le diffondeva in tutta Italia fino a Fiume per mezzo di velieri liguri che facevano il commercio di cabo- taggio lungo le coste del Tirreno e dell'Adriatico. Così si spiega come libri italiani proibiti dall'Austria furono trovati nelle biblioteche di patrioti fiumani quali il Peretti, il Politei, autore dell' "Almanacco Fiumano ", e il Ciotta.

Attiva figura di primo piano e fiumano anche di nascita è Luigi de Peretti (1819-1892). Nel 1848 egli teneva l'ufficio di segretario comunale e si trovò a fronteggiare, insieme al cognato, Agostino Tosoni, vice-capitano della città, l'invasione croata e a sostenere la difesa dei diritti autonomi della città. Nel 1854 venne destituito dalla carica; nel 1861 però fu eletto giudice rettore, e cioè direttore della polizia municipale. Il commissario austriaco lo accusa che in tale sua qualità, anziché impedire le dimostrazioni, le promuoveva. Era, oltre tutto, uomo di spirito e faceva circolare tra la popolazione i suoi scritti satirici. Fra questi sono rimasti famosi un "Credo" e un "Padre Nostro". II" Credo" è redatto in questi termini: "Credo in Napoleone Bonaparte, creatore dell'Impero Francese e del Regno d'Italia, così in Luigi Napoleone Bonaparte suo nipote, amico e salvatore nostro, il quale fu concepito per opera della Divina Provvidenza e nac que per la nostra liberazione. Credo nel Regno, costituito da Vittorio Emanuele, la santa unione lombardo-veneta-piemontese, la vita di fratellanza eterna". II "Padre Nostro" suona così: "Padre Nostro che siete a Vienna, sia dimenticato il nome vostro, il vostro regno sia ristretto al di là delle Alpi, non sia fatta la volontà vostra, nè in cielo nè in terra, dateci il pane che ci avete rubato, rimetteteci quell'oro e quell'argento siccome noi vi rimettiamo la carta moneta, non indu- ceteci alla disperazione, ma liberateci dalla vorace aquila vostra adesso. e per sempre. Così sia". Nel 1872 egli fu nominato dirigente magistratuale, cioè segretario generale del Comune e fu anche candidato al Parlamento ungherese. Egli assurse a vero e proprio simbolo della difesa dell'italianità del Comune.

Al gruppo nettamente irredentista dobbiamo inoltre ascrivere i seguenti indiziati: 

Giuseppe Accurti, Giovanni Agapito, Federico Böhm, Alessandro Bosichi, Conte Vincenzo Domini, Serafino Fulvi, Cario Lu- carelli, don Bernardino Malle, Roberto Marocchino, Giacomo Ricotti, Andrea Rossi, Giovanni Samsa, Antonio Walluschnig e Faustino Zanon. Giuseppe Accurti era un ufficiale di marina. Prima aveva prestato servizio in quella austriaca, ma nel 1848 era passato a militare con la Repubblica di Venezia; e nel 1859 si era arruolato nella Marina sarda quale Tenente di vascello. Carlo Lucarelli era cittadino pontificio e faceva il sarto. E indiziato di agire contro il suo legittimo governo e di aderire al partito rivoluzionario italiano. Federico Böhm era un tedesco venuto a Fiume dalla Dalmazia e, benchè tale, fervente apostolo della causa italiana. Il conte Vincenzo Domini era nativo di Casarsa del Veneto e mori a Fiume nel 1902. Ex-ufficiale della Marina austriaca, dalla quale aveva dato le dimissioni, nel 1848, per incarico di Luigi Kossuth, aveva condotto in Inghilterra il brick "Implacabile" che avrebbe dovuto portare soccorsi a Venezia, come detto più sopra. Però il brick venne sequestrato dal Governo inglese e consegnato a quello austriaco. Rientrato in Austria, il Domini subi il carcere per oltre un anno. Poi fu graziato, e venne a Fiume, dove apri una scuola per capitani marittimi mercantili, che acquistò grande fama, tanto che nel 1872 venne nominato quale direttore dell'Accademia Nautica, istituita dal Governo ungherese. È accusato di essere ardente fautore del partito italiano e di essere imparentato col conte Ercole Rudio, noto mazziniano. Alessandro Bosichi era figlio del console generale di Russia a Fiume; nel 1859 si era arruolato nelle file garibaldine ed era tornato a Fiume nel 1863. Altri fiumani che parteciparono alla guerra per l'indipendenza furono: 

Roberto Marocchino, i fratelli Antonio e Luigi De Emili, Giuseppe Bradicich, i due fratelli Kinsele, il Feni, Zanetto Rossini, Carlo Poglayen, Giovanni Samsa, Antonio Walluschnig, Santo Baccarchich.

Questo è il contributo che la piccola Fiume, quando l'Italia non era ancora formata, portò, con l'opera animosa dei suoi migliori cittadini, all'indipendenza e all'unità della Patria; e per coronarle con la propria redenzione, essa le offrì nella prima guerra mondiale la vita di sette suoi figli e centodieci volontari di guerra, senza contare quelli che per la loro fede italiana subirono l'internamento e disertarono dalle file dell'esercito austro-ungarico. Ed è da questo sangue offerto alla Patria attraverso le vicende di un secolo, dal 1848 al 1945, che Fiume trae la certezza nell'avvenire della sua ineluttabile unione all'Italia.

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