Nella prima metà del secolo ci fu da parte del Governo austriaco un tentativo di germanizzazione del Litorale con l’imposizione della lingua tedesca nelle scuole Medie e Superiori e nelle pratiche di governo, anche se in Istria l’italiano rimase la lingua usata nell’amministrazione locale, nonché nei tribunali (la Patente Sovrana del 1815 recitava “Le Parti, non meno che i loro Patrocinatori dovranno nei loro atti servirsi dell’idioma italiano”).
Certo è che l’Istria, dopo il distacco dal Veneto soffrì di trovarsi isolata dalla sua tradizionale area di appartenenza e aggregata ad una realtà etnica e culturale ad essa estranea, di carattere continentale, di tradizione agricolo-feudale e clerico-dinastica.
Era naturale perciò che i ceti più colti dell’Istria, che si formavano all’Università di Padova o in altre istituzioni della nostra penisola, assorbissero le idee progressiste del liberalismo italiano nelle sue diverse forme.
Il fenomeno dell’irredentismo adriatico ebbe modo di manifestarsi già nel ’48, all’indomani delle insurrezioni scoppiate a Vienna e successivamente a Venezia (in cui fu proclamata la Repubblica). A Milano, i cittadini insorti costrinsero le truppe austriache del maresciallo Radetsky ad evacuare la città e con l’intervento militare del Regno Sabaudo in Lombardia iniziò la prima guerra di indipendenza.
Tali avvenimenti suscitarono nelle cittadine istriane entusiasmi e speranze. Fu istituita la Guardia nazionale di napoleonica memoria e la popolazione si abbandonò a baldorie per le strade, salutando con euforia la emanazione della Costituzione di Vienna, esibendo coccarde bianche, rosse e verdi, in segno di appartenenza nazionale italiana e inneggiando a Papa Pio IX.
Il timore di una insurrezione creò allarme nella autorità austriache come si desume, ad esempio, dalle lettere fra l’I.R. Luogotenente del Litorale e il commissario del distretto di Pirano. Quest’ultimo, l’11 aprile rispondeva al suo superiore che sarebbe stato opportuno rinforzare la guarnigione di Pirano, portandola ad almeno 600 uomini per le sempre più manifeste simpatie della popolazione per l’Italia. Temeva che potesse essere issata la bandiera repubblicana, dato che la gioventù del luogo, in specie la Guardia nazionale con a capo l’avv. Venier, portava sul petto una croce come simbolo di una crociata italiana che si stava organizzando.
Lo stesso generale Nugent, presente in Istria, propose di armare le popolazioni slave dell’Istria interna e montana per servirsene, al bisogno, contro gli italiani animati di sentimenti ostili all’Austria. Per fortuna la proposta fu saggiamente bocciata dal capitano del Circolo di Pisino, barone Grimschitz, timoroso di alimentare una guerra civile, perché gli slavi dell’Istria ex austriaca, avrebbero potuto sfogare il proprio odio con rapine ed atti di violenza, indiscriminatamente, nell’Istria ex veneta.
La flotta sardo-veneziana intanto incrociava al largo della costa istriana alimentando l’entusiasmo e la volontà di molti giovani, decisi a combattere a fianco dei piemontesi nella prima guerra di indipendenza e in difesa della Repubblica Veneta proclamata da Daniele Manin. Gli istriani domiciliati a Venezia sottoscrissero la propria adesione alla Repubblica e il nobile Nicolò de Vergottini di Parenzo fu nominato prefetto dell’ordine pubblico (e a lui si deve se l’ordine della città assediata non fu mai seriamente turbato).
A Venezia venne anche istituita una Commissione per la costituzione di una Legione dalmato-istriana per coloro che già militavano nei vari corpi dell’esercito veneto.
Al fine di domare quelli che vennero definiti i “repubblicani” dell’Istria, si dichiarò pronto ad accorrere con duemila Cicci il Capitano distrettuale di Pinguente (nell’Istria interna), mentre altrettanti Castuani sarebbero arrivati da oltre il Monte Maggiore.
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