giovedì 9 novembre 2023

Il boia di Pisino e il tradimento del colonnello Scrufari (U. degli Istriani)

L’Istria è piena di storie antiche, di gioielli artistici, di meraviglie naturali. Pisino, al centro della penisola istriana, ne è uno scrigno. Per chi conserva la memoria patria, richiama subito alla mente la figura nobilissima di Fabio Filzi che ivi nacque, eroe irredento, sottotenente degli Alpini, impiccato il 12 luglio 1916 con Cesare Battisti al Castello del Buon Consiglio di Trento; monumento artistico della cittadina è il castello dei Montecuccoli, conti di Modena, maniero medievale che sorge sull’orlo della grande foiba sul cui fondo scorre un torrente, chiamato anch’esso Foiba. Fu proprio quest’antro, con la sua immensità, ad ispirare Jules Verne nel suo libro Viaggio al centro della terra, come anche il meno conosciuto Mattia Sandorf.


La caduta infernale ed il fragore delle acque sul fondo ispirarono per secoli leggende e storie di morti e di fantasmi. Furono presaghe di quel che accadde poi, davvero.


All’indomani dell’8 settembre 1943 i partigiani slavi puntarono subito su Pisino (simbolica anche perché ex centro amministrativo dell’Istria sotto l’Austria-Ungheria) e di fronte allo squagliamento dell’esercito italiano, ne presero possesso in qualche giorno. 


Nerina Feresini, un’insegnante di Pisino, divenutane memoria storica con i suoi scritti, raccontò così quei momenti: “La parola armistizio circolò immediatamente in tutte le case e qualcuno esclamò ‘Ora comincia la carneficina!’ (…) Nelle casermette la confusione era indescrivibile. I militari scaraventavano dalle finestre i materassi e tutto quello che capitava loro sottomano. La cittadinanza comprese che non sarebbe stata tutelata…”


Ivan Motika, sanguinario luogotenente di Tito, accampato con trecento uomini alle porte di Pisino, lanciò l’ordine dell’insurrezione. La sera del 10 settembre erano già in mano ai partigiani croati Pinguente, Rozzo e Castel Lupogliano.


Quella stessa sera un gruppo di pisinoti, con a capo Lino Gherbetti, si recò dal colonnello Angelo Scrufari, comandante del presidio, che aveva ai suoi ordini 800 soldati di fanteria e 60 carabinieri, per chiedere di difendere la città in armi. 


L’ufficiale, che era già in trattative coi partigiani li respinse, consegnò i militari in caserma e ordinò il coprifuoco. L’indomani, 11 settembre, dopo che i partigiani e i contadini del circondario, armati di fucili, bastoni e arnesi vari, avevano iniziato la loro marcia verso il centro di Pisino, Scrufari trattò la resa consegnando anche ai titini, come da loro richiesta, “tre fascisti”: Lino Gherbetti, Riccardo Zappetti e Dario Leona, di diciott’anni. Ma la lista dei nomi pretesi era ben più lunga… 


Nel pomeriggio il colonnello Scrufari, in cambio del salvacondotto, consegnò a Ivan Motika la pistola, la città e il Castello: si arresero i 60 carabinieri, convinti di essere ormai rimasti soli, mentre i soldati del presidio fuggivano nascondendosi nelle case, buttando le divise e chiedendo abiti civili.


Anche Scrufari fuggì ma per poco. Venne ucciso nei pressi di Pinguente. 


La sera, raccontò la Feresini, “i partigiani imbaldanziti occuparono la caserma, poi si sparsero per le strade. In segno di giubilo sparavano in aria e contro le finestre delle case, lanciando bombe e accompagnando il fragore con urla selvagge, canti e giri di ‘kolo’ negli spiazzi. Si accesero fuochi sulle colline e la folle sparatoria durò tutta la notte”.


Motika dichiarò Pisino capitale dell’Istria annessa alla Yugoslavia di Tito. Il suo primo atto fu la disposizione di arrestare tutti gli ex fascisti e quelli che comunque erano noti per “accesi sentimenti italiani”, accompagnando agli arresti la requisizione di ogni tipo di beni degli stessi. Elesse il castello a suo regno, vi insediò il suo “tribunale del popolo” ordinando a centinaia sentenze di morte.


Si faceva chiamare “Drugi Tito”, cioè “secondo Tito”, ma ben presto il suo nome divenne quello di “boia di Pisino”. Per tre settimane in quel settembre del 43, Pisino fu di fatto la capitale degli orrori dei partigiani di Tito. Le prigioni furono riempite di italiani e, non bastando lo spazio, si occuparono pure gli androni del castello dei Montecuccoli. I prigionieri erano buttati ovunque, sul pavimento e sulle pietre, ed il loro numero aumentava. 


Così i titini decisero di fare spazio a modo loro. La notte del 19 settembre partì da Pisino, con una trentina di prigionieri incolpevoli, la prima “corriera della morte”, un vecchio autobus blu con i vetri imbiancati di calce affinché non si potessero riconoscere i trasportati.


Gli abitanti delle case attorno al castello furono svegliati dal rumore di un motore e dalle urla dei carcerieri ma soprattutto da quelle dei condannati che gridavano il loro nome per far conoscere la loro sorte. 


Una voce gridò: “Sono Lino, Lino Gherbetti”! Era il nome di uno degli uomini venduti dall’ufficiale italiano in cambio del suo salvacondotto. Con lui c’erano anche i fratelli Riccardo e Rodolfo Zappetti ed il giovane ragazzo coraggioso, Dario Leona. Partirono in trenta in quella notte nella corriera blu. Bastonati e scherniti, furono trasportati sul luogo della loro esecuzione, su un altopiano 

presso Villa Bassotti di Lindaro, dove c’era una cava di bauxite. Furono fatti scendere e avviati scalzi verso la cava. Giunti sull’orlo della stessa furono ammazzati a mitragliate: così potevano cadervi dentro senza che gli assassini dovessero far la fatica di doverne raccogliere i corpi e gettarli in fondo alla fossa. 


La “corriera della morte” rimarrà nei ricordi degli istriani come uno degli incubi più mostruosi. Partiva di notte, tra gemiti e lamenti, piena di uomini. Tornava vuota ma con i loro vestiti.


Prima del capolinea, la foiba, anche di quelli depredavano i prigionieri… 

(Dal libro di R. Menia "10 Febbraio. Dalle Foibe all'Esodo)

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