giovedì 2 novembre 2023

Famiglie: Luxardo

DEMETRIO LUXARDO

Figlio di Nicolò 1°, nasce a Zara nel 1852. Sposa Elena Nani. Non avranno figli. È il primo vero tecnico in famiglia e perfezionerà vari aspetti della distillazione del maraschino. Viaggerà per la ditta, specialmente in Nord Europa. Filantropo, nel suo esemplare testamento nomina erede universale il fratello Michelangelo, ma dispone per un’ampia serie di lasciti: fra essi spicca quello di 10 fiorini ad ogni dipendente dell’azienda come pure uno per gli abitanti del villaggio di Calle sulla dirimpettaia isola di Ugliano, per cui aveva una particolare simpatia. Muore a Zara nel 1906. Il giorno del suo funerale la città si ferma, e gli edifici del Comune, del giornale “Il Dalmata” e della Società operaia espongono drappi neri.


GIORGIO LUXARDO (1°)

Figlio di Michelangelo e Giuseppina Illich, nasce il 1 settembre 1897 a Zara. Sposa la zaratina Ada Talpo (1931) e hanno due figli, Franco e Paolo. Quando l’Austria entra in guerra (1914) frequenta l’ultimo anno del locale Ginnasio italiano, ma nel marzo 1915 a 17 anni viene richiamato con tutti i compagni: entrerà nei “reitende dalmatiner Schuetzen” (Cacciatori dalmati a cavallo), con sede a Banja Luka in Bosnia e l’Albania come teatro di operazioni. Rientrerà a Zara solo a fine 1918 col grado di tenente, una medaglia di bronzo al valore militare e la malaria contratta nelle paludi albanesi. Nel 1919 partecipa alla missione di studenti zaratini che gira la penisola per far conoscere la richiesta della città di essere definitivamente annessa al regno d’Italia. A 21 anni viene mandato dal padre a fare pratica bancaria a Ginevra (1919-20) ed a Parigi (1920-21), ove presta servizio presso la Banque italo-française pour l’Amérique du Sud. Vi imparerà perfettamente il francese, che abbinerà al tedesco ed al serbo-croato appresi a scuola. L’improvviso richiamo a Zara (1921) per una malattia del padre vede interrotta la sua carriera bancaria e l’inizio - assieme ai fratelli - del lavoro in azienda. Nel 1922 ne diviene socio e gli viene demandato il settore commerciale. Da allora viaggia senza sosta in Italia e in Europa, intessendo rapporti con clienti e fornitori. Ha poi l’intuizione di introdurre le “visite guidate in azienda”. L’iniziativa, del tutto nuova per l’epoca, ebbe molto successo ed attivò anche una corrente di turismo verso Zara, utile per lo sviluppo economico dell’isolata città. Grazie all’oculata gestione dei quattro fratelli fra il 1922 e il 1940 il volume d’affari della ditta non fece che crescere: nel 1936 il 66% delle esportazioni zaratine di liquori era curato dalla Luxardo ed alla vigilia della Seconda Guerra mondiale l’azienda copriva un’area di 12.000 mq. ed occupava 250 dipendenti. Scoppiata la guerra, nel 1942 a 45 anni viene richiamato alle armi nell’”Alessandria Cavalleria” e l’anno dopo - grazie alla sua ottima conoscenza delle lingue - assegnato all’Ufficio Censura della posta estera a Bologna. Non rientrerà più a Zara. Raggiunta dopo l’8 settembre ‘43 la famiglia sfollata a Fiumicello (Udine), partecipa al dramma dei fratelli e della città natale attraverso le moltissime lettere scambiate con il fratello Pietro, un vero e proprio diario dell’”Annus horribilis” 1943-’44. Nel frattempo cerca di salvare i pochi beni aziendali in penisola e di progettare il futuro. Per lui azienda e famiglia sono inscindibili, ed ora deve pensare - oltre alla sua - alle famiglie dei fratelli Pietro e mitre, appena sfuggite in barca da Zara distrutta assieme alla sorella Delfina. A guerra finita si ritrovano tutti esuli a Venezia e comincia a collaborare con lui Nicolò, figlio 18enne di Pietro, mentre gli altri sono ancora adolescenti o bambini. È Giorgio il motore della rinascita: in un’Italia distrutta cerca anzitutto dove riaprire la fabbrica. Utili per le marasche gli si offrono aree in Val d’Illasi (Verona) e in provincia di Udine, ma sceglie alla fine i Colli Euganei presso Padova con la collaborazione del prof. Morettini dell’Università di Firenze, che aveva condotto anteguerra studi approfonditi sulle marasche dalmate e neaveva trapiantanti alcuni esemplari nei vivai dell’Università. Per recuperare i capitali per la nuova fabbrica da un lato si batte a Roma per ottenere una preziosa licenza per l’alcool, contingentato nel dopoguerra, che poi cederà alla ditta Pezziol di Padova in cambio di un terreno di 3 h. a Torreglia (1946), dall’altro accende un mutuo con la Banca Commerciale Italiana per l'acquisto delle attrezzature. Così il 10 febbraio 1947 viene fondata la nuova Luxardo e inaugurato lo stabilimento di Torreglia. La data è scelta con cura: lo stesso giorno a Parigi l’Italia firma il Trattato di Pace con il quale è obbligata a rinunciare a Zara, all’Istria e a Fiume. Giorgio invece rilancia. È una sfida al destino, ma anche a se stesso: ha oramai 50 anni, è passato attraverso due guerre mondiali, è stato colpito da lutti e vicende strazianti, ma ora si rialza e riparte. Un uomo tranquillo con grandi motivazioni, che pensa soprattutto alle future generazioni Luxardo. In quegli anni deve guardarsi anche alle spalle. A Zara una sentenza del Tribunale Popolare del 22.11.1945 aveva condannato lui a 10 anni di lavori forzati e il fratello Nicolò a morte, quali “nemici del popolo”; il solo scopo era la confisca dei beni. La nuova ditta jugoslava utilizza così i marchi Luxardo e cerca di acquisire clienti italiani e stranieri ancora ignari della sorte dei titolari. Inizia allora una lunga serie di azioni legali per contraffazione di marchi e concorrenza sleale, in difesa del nome e del patrimonio morale della famiglia e dell’azienda: si svolgeranno in Italia, in Svizzera, in Germania e egli Stati Uniti, concludendosi solo nel 1980 (!). 

I Luxardo risulteranno sempre vincenti. Per tutti gli anni ‘50 del Novecento Giorgio è al timone della Luxardo quale Amministratore Unico, mantiene i rapporti con il Governo italiano per il riconoscimento dei danni di guerra, è membro influente dell’ Associazione degli Industriali Giuliano-dalmati e della Federvini, si impegna perfino nella realtà locale quale presidente della Pro Loco di Torreglia (1947-1953). 

A livello familiare è il pater familias a cui tutti ricorrono quando c’ è bisogno di un consiglio o di un aiuto, morale o materiale. Indirizza verso il lavoro in azienda prima il nipote Michele (1957) poi il figlio Franco (1960), che si uniscono così al cugino Nicolò per costituire la quinta generazione Luxardo in ditta. Muore improvvisamente il 30 giugno 1963. È considerato il “secondo fondatore della Luxardo”.  


GIROLAMO LUXARDO

È il fondatore della ditta che porta ancora oggi il suo nome. Nasce a Santa Margherita Ligure nel 1784. Sposa in prime nozze Maria Canevari di Genova e - rimasto vedovo - Luigia Amadio di Venezia. Ebbe 20 figli, di cui il solo terzogenito Nicolò continuerà l’attività aziendale. Nella natia Liguria esercita il commercio del corallo e dei cordami, viaggiando a lungo sin da giovane. Durante uno dei soggiorni a Trieste conosce per la prima volta il mondo dei rosoli: Giacomo Balletti lo spinge ad introdurre i propri prodotti a Genova ma l’iniziativa non ha successo. Nel 1818 si sposta tra Livorno, Pisa, Firenze, Roma, Napoli, Torre del Greco, Messina, Corfù, Ancona e Venezia: proprio ad Ancona sente parlare per la prima volta della Dalmazia, di Slarino dove si pesca il corallo e di Sebenico dove si distilla l’amarasco, utilizzato per la preparazione di un “rosolio uso Zara”. Si imbarca allora per la capitale della Dalmazia e vi soggiorna 5 mesi per seguire la pesca del corallo; rientra poi a S. Margherita. Ma nel 1821 si stabilisce definitivamente a Zara con la moglie Maria e 4 figli. Pone subito in attività le proprie capacità imprenditoriali: da una lato apre un negozio in cui si vendono merletti liguri, dall’altro concentra il proprio interesse sulla produzione del rosolio, ricavato dal frutto della marasca (Prunus cerasus), una ciliegia acida che cresce spontanea sulle coste dalmate a sud di Zara. Nota prontamente che della quindicina di produttori locali di rosoli, uno solo - il Salghetti Drioli - aveva raggiunto una rinomanza internazionale; gli altri superavano appena le mura cittadine. C’è quindi spazio adeguato per sviluppare la sua attività ed è in breve in grado di produrre un nuovo maraschino di tipo amabile, che più tardi lo storico Giuseppe Praga illustrerà così in un’epoca siffatta (dopo il Congresso di Vienna l’Europa è stanca di guerre) i liquori militareschi dovevano lasciare il posto d’onore a dei tipi rispondenti alla delicatezza Dei gusti che ora era prevalsa. non certamente i rosoli tutti zucchero e profumi del settecento, ma nemmeno le bibite d’urto delle soldatesche napoleoniche e delle ciurme inglesi. Tra i suoi corrispondenti c’è anche Vittorio D’Annunzio, un agiato commerciante abruzzese, nonno del poeta Gabriele che 100 anni più tardi definirà “Sangue morlacco” il liquore di ciliegie dei Luxardo, un nome tuttora in auge. Nel 1829 Girolamo - fatti analizzare dal Governo a Vienna i campioni ed il processo di fabbricazione dei propri liquori - ottiene l’ambito Privilegio nella fabbricazione e distillazione dei rosoli Maraschino e cannellino, in virtù delle quali si ottiene un miglioramento del 15% e più nei confronti dei procedimenti sinora osservati, espletandovi la preparazione parte a fuoco e parte senza, ciò che ha come risultato che la qualità di questi tipi di rosolio supera in qualità e consistenza tutte le qualità sinora esistenti. In pratica si tratta dei migliori liquori allora prodotti in tutto l’Impero. Con questa patente Girolamo apre un deposito a Trieste allo scopo di facilitare la sua distribuzione (all’epoca c’era solo un collegamento marittimo ogni 45 gg. con l’eccentrica Zara) ed entra rapidamente nel commercio internazionale. Così i liquori Luxardo - oltre a coprire le piazze austriache del Lombardo-Veneto, della Boemia e dell’Austria - si espandono verso Odessa e Lisbona, Londra e Parigi, Costantinopoli e perfino Rio De Janeiro. Attorno ai 50 anni Girolamo si fa ritrarre. Il quadro, scomparso alla fine della seconda guerra mondiale nel sacco di casa Luxardo, è riapparso negli anni ‘70 del Novecento nei depositi del museo Civico. Restaurato, vi è ora esposto. Il dipinto è da alcuni attribuito al pordenonese Michele Grigoletti, da altri al goriziano Giuseppe Tominz. L’azienda continua a prosperare ed un autore inglese, H.H. Paton, lo registra visitando Zara nella sua opera Highlands and islands of the Adriatic (1849) “Luxardo produce un buon maraschino ed ha una larga vendita”. Con l’avanzare degli anni Girolamo - anche per degli screzi col primogenito Bartolomeo trasferito definitivamente a Trieste e con l’altro figlio Emanuele - affida sempre di più la ditta al terzo maschio Nicolò e nel 1863 gli trasferirà definitivamente la proprietà della fabbrica di Calle del Sale, con il preciso impegno di mantenere il suo nome all’azienda. Morirà ottantacinquenne due anni più tardi, nel 1865, a Zara.


MICHELANGELO LUXARDO

Figlio di Nicolò 1°, nasce a Zara nel 1857. Sposa Giuseppina dell’antica famiglia Illich di Spalato, che gli darà 6 figli: Nicolò, Demetrio, Delfina, Pietro, Alberto e Giorgio. Entra giovanissimo in azienda nel 1871. È socio fondatore (1876) dell’Associazione Ginnastica Zaratina, in assoluto la prima società sportiva nata in Dalmazia, divenuta nel 1881 la società Zaratina di Ginnastica e scherma, di cui per cinque anni sarà il presidente. Molto sensibile alle istanze politiche e sociali del tempo, è tra i rappresentanti più in vista del partito autonomista e presidente della Società Politica dalmata, venendo anche eletto in Consiglio Comunale. Industriale stimato a livello nazionale, ricopre importanti cariche a Vienna: membro del Consiglio doganale Superiore e dell’analogo Consiglio Ferroviario, del Consiglio Industriale dell’Impero e del consiglio d’amministrazione della Sudbahn, la ferrovia che univa Vienna a Trieste. Si prodiga - invano - perché Zara sia collegata con ferrovia al resto dell’Impero. Contribuisce finanziariamente alla costruzione della prima centrale elettrica della sua città. Allo scopo di liberare le piccole attività commerciali dalla piaga dell’usura fonda con un gruppo di amici la Banca Popolare zaratina, poi Banca dalmata di Sconto. E’ presidente del monte di Pietà fino al 1931 e per tutta la vita dedica tempo e grandi attenzioni alla Scuola Industriale “Pasquale Bakmaz”, l’istituto tecnico più importante della provincia sia nel periodo austriaco che in quello italiano, fornendo macchinari alle officine e libri e materiale didattico agli alunni. Come già il padre è presidente della Camera di Commercio (1910-1916). Per 40 anni conduce l’azienda con mano ferma ed ha la preveggenza di uscire dal ristretto circuito delle mura cittadine verso un arioso sobborgo al di là del porto: da Calle del Sale a Barcagno. Così fra il 1907 e il 1915 vi costruisce la nuova fabbrica che sarà la più grande e moderna dell’Impero, su progetto iniziale dell’ing. Pividori, zaratino, rielaborato ed ampliato dall’arch. viennese Friedler. Affronta con coraggio la prima guerra mondiale con i figli sparsi su vari fronti e la fabbrica chiusa per anni. Nel 1918 si rende conto che la crisi, aggravata dalla spagnola e dalla svalutazione, sarebbe stata lunga e dura, soprattutto per gli ex-territori austro-ungarici spezzettati tra numerosi stati: così crea delle filiali produttive, una sul confine austro-ceco con il fedele agente viennese Kattus, l’altra a S. Filippo e Giacomo, paese a sud di Zara per servire il nuovo regno dei Serbi, Croati e Sloveni (poi Jugoslavia). Con lungimiranza “europea” manda i figli ad acquisire esperienza: Demetrio a Bordeaux, Giorgio a Ginevra e Parigi, mentre Pietro è incaricato di gestire la filiale cecoslovacca e il primogenito Nicolò lo affianca nel difficile rilancio dell’azienda dopo la rivoluzione politica ed economica avvenuta in Europa. Nel 1922 cede la proprietà dell’azienda ai 4 figli maschi e fino alla morte rappresenta un punto di riferimento per tutti loro, per le nuore, per i nipoti e per la sua amata Pina, che gli sopravvive per otto anni. I ritratti che si erano fatti fare da fidanzati dal noto pittore dalmata Biagio Faggioni si trovano ora a Zara e a Padova. Muore a Zara nel 1934.


NICOLO' LUXARDO

Figlio di Michelangelo, nasce a Zara nel 1886 e sposa Bianca Ronzoni, milanese. Si diploma all’Istituto Commerciale di Torino e affianca presto il padre nella gestione dell’azienda. Nel 1912 compie un viaggio d’affari di sette mesi negli Stati Uniti, toccando Washington, New York e Chicago e nello stesso anno entra nell’Aulico Consiglio Industriale di Vienna in rappresentanza della Camera di Commercio di Zara. Nel gennaio 1915, quando ha sentore che sta per scoppiare la guerra tra l’Austria-Ungheria e l’Italia, abbandona Zara per non combattere nell’esercito austriaco. Il 2 giugno si arruola quale volontario irredento nel Regio Esercito italiano, viene assegnato al 20° Cavalleggeri Roma e, grazie alla sua perfetta conoscenza del tedesco e del serbo-croato, entra a far parte del Servizio Informazioni della 3° Armata del duca d’Aosta. Sarà ferito due volte e riceverà due medaglie d’Argento al V.m. ed una Croce di Guerra. Nel novembre 1918 viene assegnato quale ufficiale di collegamento all’amm. Notarbartolo, incaricato dell’occupazione militare della parte di Dalmazia assegnata all’Italia dal Patto di Londra. Così, dopo quattro anni di assenza, rivede a Zara la famiglia e l’indomani sbarca a Sebenico. Verrà congedato il 28 dicembre 1918. Rientrato in azienda, si attiva subito per rilanciare il lavoro: il grande mercato unico rappresentato dall’Impero austro-ungarico era scomparso e i nuovi stati imponevano pesanti dazi all’importazione, altrettanto era successo all’Impero russo dove i Luxardo, allo scoppio della guerra, avevano perso crediti per 110.000 fiorini d’oro, mentre la Germania era in preda a convulsioni politiche e ad una folle svalutazione che la escludevano dai mercati. Nicolò si rende presto conto che la nuova provincia di Zara è troppo piccola per sopravvivere senza un retroterra e già nel 1923 insiste in un memorandum al ministero degli Esteri di Roma per l’apertura dei confini con il nuovo regno dei Serbi, Croati e Sloveni e per un trattato commerciale fra i due stati. Anche in seguito ai suoi sforzi ed ai contatti mantenuti con i compagni d’arme ai ministeri, a Zara verrà concesso il porto franco. Per gli anni ‘20 e ‘30 del Novecento la sua presenza a Roma sarà sempre più frequente, fino ad essere nominato (1 marzo 1939) al Parlamento nazionale nella XXX legislatura, quale rappresentante della Corporazione dei Combustibili e degli Alcoli. È pure assessore comunale e presidente della Camera di Commercio dal 1931 al 1943. Senza figli, dirige i propri affetti alla moglie Bianca ed ai numerosi nipoti come un pater familias d’antico stampo (quando nel 1940 morirà il fratello Demetrio per setticemia ,sarà lui a divenire il tutore dei tre figli minorenni). Mantiene pure i rapporti con i parenti dalmati, in particolare con la famiglia Illich di Spalato da cui proviene la madre, recandosi quasi ogni anno nella capitale della Dalmazia jugoslava. In quegli anni la sua conoscenza della lingua serbo-croata e di personalità sia cattoliche che ortodosse oltre confine gli permette di valutare con maggiore profondità delle autorità politiche romane la complicata situazione politica nella Jugoslavia di re Alessandro, dove gli scontri nazionali e religiosi fra le varie etnie hanno portato dal caos degli anni ‘20 ad un regime semi-dittatoriale negli anni ‘30. Dopo l’8 settembre 1943 è fra i pochi (con il prefetto degli Alberti e il commissario prefettizio al Comune De Hoeberth) a intervenire presso l’occupante tedesco per evitare che zara venga incorporata nello stato indipendente di Croazia. In seguito ai primi pesanti bombardamenti di Zara, si rifugia nel villaggio di Peterzane, da cui, vessato dai partigiani nel gennaio 1944 partirà in barca con tutta la famiglia verso Nord. Si fermerà sull’isola di Selve presso l’amico Suppini per l’insistenza della moglie, mentre gli altri proseguiranno per l’Istria e Trieste. Nico e Bianca vi resteranno fino alla morte. Nel giugno del 1944 marito e moglie verranno portati a Sale sull’Isola Lunga, sottoposti a processo dai partigiani di Tito (giudice Crnosija), assolti e rilasciati. L’ultima sua lettera al fratello Giorgio è del 27 settembre. Nel dopoguerra verrà dichiarata la sua morte presunta il 30 settembre 1944, ma di recente il dr. Giovanni Minak ha scritto di averlo incontrato a Selve nella prima decade di novembre: “qualche giorno dopo ritornarono i partigiani e lo prelevarono, la moglie non volle abbandonarlo e scese in barca con lui. Nei pressi di Sale si concluse il loro destino: vennero annegati”. Oltre un anno dopo, il 22 novembre 1945, si svolse presso il Tribunale Popo-lare di Zara un processo “farsa” contro Nico Luxardo: venne dichiarato contumace (!) e condannato a morte per impiccagione. L’unico scopo era evidentemente di legittimare la confisca dei beni e soprattutto della fabbrica di liquori Luxardo, che il nuovo regime comunista a Zara intendeva nazionalizzare e riaprire con nuovo nome.


BIANCA LUXARDO RONZONI

Nasce nel 1889 a Milano, sposa Nicolò Luxardo con il quale condivide la tragica sorte nell’autunno - inverno 1944, quando viene uccisa per annegamento ad opera dei partigiani di Tito nelle acque dell’isola dalmata di Selve.

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