(Dalla Treccani del 1931: "Dalmati italiani")
Dalmati italiani
Tra il 1409 e il 1420 Venezia rioccupò la regione dalmata, tranne Veglia e Ragusa, di cui Ladislao non aveva potuto disporre, non essendone mai venuto in possesso. Inizio' in questa maniera il Periodo veneziano dei Dalmati italiani (che duro' dal 1420 al 1797).
Contro la vendita fatta da Ladislao insorse Sigismondo d'Ungheria, ma, dopo una vana guerra, finì anch'egli col cedere per 10.000 ducati i suoi diritti sulla Dalmazia (pace di Praga, 29 luglio 1437). Ai territorî ceduti da Ladislao si aggiunsero nel 1444 Poglizza e Almissa, nel 1452 il litorale di Macarsca e nel 1480 l'isola di Veglia. Nel Quattrocento, si opera la riorganizzazione amministrativa della regione.
Il comune non esiste più. Esistono invece delle città, con i rispettivi distretti, governate ciascuna da un nobile veneziano, inviato al governo per 24 o 36 mesi col titolo di conte e capitano. Gli statuti municipali non sono abrogati, ma diventano lettera morta che le fresche leggi veneziane mettono sempre più da parte. Il consiglio maggiore continua a raccogliersi, ma da assemblea legislativa si fa semplice rappresentante degl'interessi, per lo più economici, del corpo nobile. Forte è invece l'ascesa dell'artigianato e dei ceti popolari. Stretti dapprima in scuole e confraternite, si organizzano nel Quattrocento in università di popolo e cittadini e si contrappongono audacemente e vittoriosamente, talvolta in lotte sanguinose, alle comunità da nobili. Anche la vita economica si fa diversa: cessano navigazione e commerci, quasi tutti accentrati a Venezia, ma prende maggiore sviluppo l'agricoltura, favorita dagl'incrementi territoriali e dalla tranquillità dell'agro (i Veneziani favoriscono l'immigrazione degli Slavi cristiani dai dominî turchi), cresce con la sicurezza del mare il reddito della pastorizia, si sviluppano floridissime le arti e le industrie. La vivissima partecipazione della Dalmazia, con caratteri regionali proprî, al Rinascimento italiano è anche indice di forte benessere economico.
Il benessere e la fioritura quattrocentesca sono però interrotti e funestati dalle sette orribili guerre che Venezia, oltre che in Levante, combatté contro i Turchi in Dalmazia (1468-1479; 1499-1502; 1538-1540; 1571-1573; 1644-1669; 1684-1699; 1714-1718). I Turchi non riescono mai a penetrare nelle città costiere da Venezia magnificamente munite; ma i territorî di terraferma, nerbo delle economie cittadine, sono regolarmente devastati. In queste guerre i Turchi hanno dapprima la prevalenza e occupano qualche tratto della regione. Ma dal sec. XVII le vittorie dalmato-veneziane si susseguono e con esse si susseguono gli acquisti. Nel 1671, dopo la pace di Candia, la linea Nani delimita il cosiddetto acquisto vecchio; nel 1700, dopo la pace di Carlowitz (v.), la linea Grimani aggiungendo i distretti di Tenin, Signo e Dernis, delimita l'acquisto nuovo; nel 1720, dopo la pace di Passarowitz (v.), la linea Mocenigo, aggiungendo il territorio d'Imoschi, delimita l'acquisto nuovissimo. Così, tranne Ragusa (v.), si raggiungono i tradizionali confini amministrativi e si fissa l'attuale concetto geografico di Dalmazia. Del resto, l'unità provinciale e regionale fu sentita e prese corso sin dalla fine del sec. XVI, quando Venezia cominciò stabilmente ad inviare a Zara un "provveditore generale in Dalmazia e Albania", dal quale dipendevano, non solo i conti e capitani delle singole città, ma anche il "provveditore estraordinario dell'Albania veneta". Le guerre turche, oltre che turbare profondamente la vita economica, portano nella regione forti sconvolgimenti etnici: l'elemento latino, ormai venetizzatosi completamente, si assottiglia, ma forti ne persistono le facoltà assimilatrici: nelle città sono accolti gli Slavi del retroterra, che spesso vi s'insediano, determinando qua e là condizioni di bilinguismo; nell'agro, mille volte abbandonato e ripreso, v'è un continuo flusso e riflusso di profughi croati, serbi e specialmente morlacchi, che cancellano ogni traccia dei ceppi slavi medievali. Assai tristi, nel Settecento, le condizioni economiche e demografiche del nuovo e nuovissimo acquisto. Venezia e i Dalmati fanno di tutto per migliorarle: è emanata la legge agraria Grimani (1755), si fanno bonifiche (Nadin, Ostrovizza, Signo, Tenin), si progettano regolazioni di fiumi (Cherca, Butisnizza), si tentano nuove colture (tabacco), si fanno dal governo e nelle accademie economico-agrarie delle città studî ed esperienze. Nel pieno del fervore di questa attività, sopraggiunge la bufera napoleonica. Venezia è minacciata. Dodicimila Dalmati passano l'Adriatico per difenderla. Ma non hanno modo di battersi; ché il Maggior Consiglio, il 12 maggio 1797, abdica al potere.
Prima dominazione austriaca e periodo francese (1797-1813)
Caduta la Repubblica, ha luogo in Dalmazia un breve periodo di anarchia. Nella generale costernazione, gli odî delle masse si appuntano contro i "giacobini" miscredenti e abbattitori di Venezia. Disordini e assalti alle persone sospette di liberalismo avvengono quasi dappertutto. L'intervento pacificatore dell'Austria è desiderato. Vienna, che già a Leoben (7 aprile) aveva ottenuto da Napoleone la cessione delle terre venete, apprestato a Trieste e a Segna un corpo di spedizione al comando del generale Rukavina, occupa nel luglio il tratto da Veglia a Ragusa, e dal 20 agosto al 5 ottobre, non senza contrasto del vladika di Montenegro, le Bocche di Cattaro. Questa prima occupazione austriaca non porta nessun mutamento nell'assetto della regione. Con la pace di Presburgo (26 dicembre 1805) la Dalmazia passa ai Francesi che ne occupano la parte settentrionale nel febbraio 1806, pongono fine alla repubblica di Ragusa violandone il territorio (26 maggio 1806) e sciogliendone il Consiglio (31 gennaio 1808), e occupano infine, strappandole ai Russi, le Bocche di Cattaro.
Dal 1806 al 1809, la Dalmazia, con Ragusa, fa parte del Regno d'Italia ed è governata nel civile dal provveditore Vincenzo Dandolo, nel militare dal maresciallo Marmont. La regione, per opera del Dandolo, è completamente riorganizzata, ma non pacificata. Continue insurrezioni, favorite dai Russi, scoppiano nella parte bassa, media e insulare. Nel 1809, dopo la guerra franco-austriaca, la Dalmazia, menomata delle isole di Veglia, Cherso e Lussino aggregate all'Istria, fa parte delle "Provinces Illyrieennes". Caduto Napoleone, l'Austria, dopo viva resistenza dei presidî francesi, la rioccupa tra il novembre 1813 e il giugno 1814. Poi s'inizia un periodo di piatta vita provinciale sino al 1848.
Il dominio austriaco
I moti rivoluzionarî del 1848 che scuotono sin dalle sue basi la monarchia degli Asburgo, trovano in Dalmazia un ambiente speciale. Colà non c'è alcuna tradizione asburgica, facendo la Dalmazia parte del complesso austriaco appena dal 1813, insieme con le provincie lombardo-venete. Ed è proprio in quel periodo di tempo che la borghesia italiana inizia i moti del Risorgimento nazionale. La Dalmazia, come sempre, guarda a Venezia, e alla rivoluzione del 1848-49 partecipa con Tommaseo e Seismit-Doda e con i suoi legionarî.
Con la caduta di Venezia nel 1849, la tradizione politica veneta in Dalmazia si spegne e la borghesia dalmata si scinde in due campi diametralmente opposti. I Dalmato-veneti si sentono italiani; sentono che devono rinunciare alle aspirazioni tradizionali venete; si persuadono che al disopra di esse esiste un netto e preciso indirizzo nazionale unitario e si fondono idealmente con la borghesia della penisola.
I Dalmato-slavi si trovano invece completamente disorientati. C'era poca possibilità d'intesa fra essi e le classi borghesi e contadine delle regioni italiane non venete. Dagl'Italiani che abitavano di là dai confini delle regioni venete non riusciva difficile, a chi vi aveva interesse, col pretesto della lingua diversa, differenziare il contadino slavo della Dalmazia e gli elementi slavi di recente assimilati dalla borghesia dalmatica. D'altro canto il governo di Vienna sentiva che i suoi possessi italiani erano minacciati, quindi sentiva che bisognava trovare una formula per salvare quello che si poteva salvare. Insomma, poiché meno paura faceva un qualsiasi moto nazionale slavo o illirico che il moto nazionale italiano, il governo di Vienna si persuase che, dando sviluppo a un movimento slavo in Dalmazia, incerto qual modo poteva garantirsi una parte dell'eredità veneta.
E un moto slavo, ancora incomposto, esisteva già: l'illirismo (v.), movimento di rinnovamento croato il cui fondatore era stato il Gaj. Codesto movimento tendeva alla ricostituzione dell'antico "regno" croato o Triregno (Croazia-Dalmazia-Slavonia), quindi all'annessione della Dalmazia alla Croazia e Slavonia, e trovava fautori nella borghesia dalmato-slava di recente assimilazione; la maggioranza della popolazione dalmato-veneta respingeva invece l'annessione trincerandosi dietro la formula dell'autonomismo. Perciò fra il 1848 e il 1866 in Dalmazia sorgono due movimenti politici: il movimento annessionista e il movimento autonomista che, in quindici anni di rapida evoluzione e sotto l'influsso delle vicende della penisola, e di riflesso di quelle della monarchia asburgica, si trasformano in croatismo asburgico e irredentismo italiano.
La prima fase
I primi sintomi del moto annessionista si scorgono nella stampa del decennio che va fra il 1840 e 1850. Già dal 1844 usciva a Zara il giornale Zora dalmatinska (Aurora dalmata), che sosteneva la tesi annessionista. Intanto il movimento rivoluzionario di Francia si propaga anche in Austria; e mentre i Tedeschi chiedono la costituzione ed eleggono i loro rappresentanti per il parlamento di Francoforte, i Cèchi chiamano a Praga a congresso tutti gli Slavi della monarchia. All'appello rispondono i Croati di Dalmazia con un proclama sottoscritto da circa 200 persone. Pochi mesi dopo, un proclama della Dieta croata invitava tutti i municipî della Croazia, Slavonia e Dalmazia a mandare i loro deputati a una comune adunanza a Zagabria, sostenendo che tutta la gloria e tutta la fortuna dei Croati stava nella costituzione del Triregno di Dalmazia, Croazia e Slavonia. All'invito della Dieta croata non risposero che Ragusa e Macarsca; Spalato si dichiarò recisamente contraria all'annessione, e Zara rispose evasivamente, dicendo "non creder opportuno dichiararsi sull'annessione poiché, per quel che si riferiva alla lingua - fatta eccezione delle campagne - tutti gl'intellettuali parlavano italiano, e se mai si fosse giunti all'annessione, sarebbe opportuno lasciare ai Dalmati di decidere la questione della lingua". C'era poi un altro argomento contrario all'annessione: la Dalmazia era stata sempre contraria alle pretese della Corona ungarica alla quale erano unite la Croazia e la Slavonia.
L'abdicazione di Ferdinando I e l'ascesa al trono di Francesco Giuseppe, che nomina il generale Jelačić bano della Croazia a governatore di Fiume e della Dalmazia, dànno agli annessionisti grandi speranze. Intanto alla prima seduta del parlamento di Vienna, due deputati croati della Dalmazia fanno le prime proposte per la slavizzazione delle scuole, contro cui protestano tutti i ginnasî della provincia. La nuova era costituzionale iniziata nel 1861, dopo la ripresa assolutistica del 1850, permette le libere discussioni, e il dalmata Costantino Vojnović pubblica (1861) in lingua italiana un opuscolo intitolato Un voto per l'unione, nel quale prospetta con molta chiarezza il programma annessionista. La base storica del moto annessionista è la seguente: la continuità nazionale e politica della storia della Dalmazia è stata interrotta dal dominio veneto che durò per oltre 400 anni. Rimasero incolumi soltanto le libertà dei comuni aristocratici. Il governo veneto aprì un abisso fra i ceti superiori e la grande massa del popolo cui non si riconosceva alcun diritto. La ragione della tendenza annessionista è d'indole nazionale, e non una conseguenza del diritto storico di stato. Nell'opuscolo è esposto quindi un circostanziato programma per l'unione della Dalmazia alla Croazia-Slavonia, secondo il quale del "Triregno" Ragusa sarebbe divenuta il centro intellettuale Zagabria il centro politico, e Spalato il centro commerciale.
Un anno dopo (1862), inizia le sue pubblicazioni in italiano Il Nazionale, il primo giornale croato-annessionista, diretto dal prof. Nodilo, il quale nell'articolo-programma definisce la nuova tendenza. "In mezzo alla lotta - egli dice - dei tre partiti: centralista, dualista e federalista, i quali ora si dividono il campo della politica interna austriaca, noi, nell'interesse ben inteso dell'Austria, che sarà felice e prospera solo allora quando avrà accontentato tutti i suoi popoli, e nell'interesse stesso di nostra nazionalità staremo sempre entro i limiti della legge, con gli ultimi". E ancora: "è interesse degli Slavì di avere una Austria una e forte, ma che in pari tempo soddisfi ai giusti bisogni delle varie razze che la abitano, senza che un popolo preponderi comunque sull'altro". Alla pubblicazione di codesto programma segue quasi subito la polemica fra Tommaseo e Nodilo. Ne diede pretesto la Voce dalmatica la quale per combattere l'annessionismo che stava già trasformandosi in croatismo asburgico, sostenne con argomenti presi da scritti del Tommaseo, l'esistenza d'una nazionalità dalmata. La risposta del Nodilo, poco riverente verso il Tommaseo, che allora era all'apogeo della gloria, provocò un suo articolo pubblicato nella Voce dalmatica che pose tosto fine alla questione. Gli annessionisti si dichiarano solidali con Nodilo e vengono perciò espulsi da tutti i ritrovi sociali. Ci sono ancora a Vienna dei circoli e giornali non del tutto favorevoli agli annessionisti; la Donau Zeitung anzi accusa Il Nazionale di eccitare l'odio e il disprezzo contro i Tedeschi, e di tendere al distacco della Dalmazia dal nesso dell'Impero, ciò che impedisce al governo centrale di favorirli apertamente. Ma con la rimozione del barone Lapenna dalla Luogotenenza e la nomina del barone Filipović a governatore della Dalmazia, avvenuta il 17 ottobre 1865, il governo di Vienna inaugura la sua politica croatofila. La patente del 20 settembre 1865, sulla base della quale viene compilato l'indirizzo alla Corona della Dieta dalmata, ne è la base giuridica. Il 15 giugno 1866 scoppiò la guerra austro-prussiana, e il 20 dello stesso mese l'Italia intima la guerra all'Austria. Nel marzo 1867 esce il primo numero del giornale italiano Il Dalmata. La fisionomia e le tendenze dei due movimenti sono ormai ben delineate e s'inizia una nuova fase della lotta nazionale in Dalmazia.
La seconda fase
Dal '60 al '66, sia dal punto di vista politico sia da quello amministrativo, gl'Italiani autonomi sono i padroni della provincia: i municipî sono amministrati dagl'Italiani; e Italiani sono, in gran maggioranza, i deputati alla Dieta e tutti i deputati al Consiglio dell'Impero. Sennonché l'atteggiamento degl'Italiani autonomi durante la guerra austro-italiana preoccupa vivamente il governo di Vienna. L'importanza della notizia che Givannizio e Boxich, due patrioti di Spalato, per incarico di Bajamonti, avevano avuto la sera avanti la battaglia di Lissa un colloquio con un emissario di Persano, non sfuggì al governo che corse ai ripari. L'8 novembre 1866 un decreto del governo croatizzava alcune scuole italiane. Il 1° dicembre dello stesso anno un altro decreto imponeva agl'impiegati dello stato la conoscenza della lingua croata. E la ragione di questi provvedimenti era sufficientemente illustrata da uno scrittore serbo di Ragusa, Mattia Ban: "Di fronte alle tendenze separatiste degl'Italiani - egli diceva - l'Austria aveva un supremo interesse di dare il massimo sviluppo possibile allo slavismo nelle provincie contermini all'Italia, e lavorate dalla propaganda italiana". Le elezioni dietali del 1867 dànno tuttavia ancora una volta la vittoria agl'Italiani. Fra il '67 e il '70 essi riescono ancora a conquistare la maggioranza in alcuni municipî. La grande borghesia italiana tiene ancora testa agli assalti della piccola borghesia slava, fiancheggiata dal clero che svolge una vasta propaganda nelle campagne. Le elezioni dietali del 1870 invece mutano completamente la situazione. La battaglia elettorale di Signo, che doveva dare ai Croati la maggioranza nella dieta, e quindi l'amministrazione della provincia, si svolge fra inaudite violenze; finalmente i Croati annessionisti s'impadroniscono del potere. Appoggiati dal governo, essi iniziano la violenta croatizzazione della provincia: le amministrazioni italiane vengono trasformate in croate, si favoriscono tutte le iniziative croate e si paralizzano quelle italiane e s'inizia la persecuzione degl'Italiani autonomi. Il primo municipio che cadde nelle mani dei Croati fu quello di Sebenico (1873), cui seguirono in un decennio quasi tutti gli altri e finalmente, con l'intervento di due navi da guerra austriache, anche Spalato (1883). Dopo l'assalto alle amministrazioni municipali e ai seggi della Dieta, si organizza l'assalto ai seggi nel Consiglio dell'Impero. Nelle elezioni del 1879 gl'Italiani erano riusciti a mandare al Parlamento di Vienna quattro dei nove deputati eletti dalla provincia. Ma il governo non voleva più sentire requisitorie sulle vessazioni dei Croati e del governo provinciale in Dalmazia, e perciò, alle elezioni del 1885, la parola d'ordine di Vienna fu: nessun deputato italiano deve essere eletto. Il luogotenente Jovanović, successore del barone Rodić, si mise all'opera, e dei quattro seggi, gl'Italiani non riuscirono a mantenerne che due: Antonio Bajamonti di Spalato e il conte Marino Bonda di Ragusa furono gli ultimi rappresentanti degl'Italiani al Consiglio dell'Impero.
In questo venticinquennio di lotta (1865-1890) nel campo degli Italiani autonomi, emerge la grande figura di A. Bajamonti che fino alla sua morte è il capo riconosciuto del movimento italiano. Intorno a lui a Spalato stanno Giovannizio, Rossignoli, Radman e con lui rappresentano la tendenza intransigente. La loro opera è integrata a Ragusa da Bonda e Gondola, a Sebenico da Federico Antonio Galvani, a Zara da Lapenna e Trigari. Questi ultimi due rappresentano la tendenza più transigente. Morto il Bajamonti, la sua eredità politica viene assunta dall'avv. Ercolano Salvi (senatore del regno dal 1920); pochi anni dopo la direzione del movimento passa nelle mani degli avv. Ghiglianovich e Ziliotto (senatori del regno dal 1920) e del dott. Krekich a Zara; dell'avv. Pini a Sebenico, dell'avv. Smerchinich a Curzola: i sei deputati alla Dieta dalmata, che rappresentarono gl'Italiani sino allo scoppio della guerra mondiale. Per impedire che con la nuova legge elettorale a suffragio universale riuscisse eletto un deputato italiano della Dalmazia al Parlamento di Vienna, il governo inquadrava Zara in un enorme collegio elettorale di ottantamila abitanti. Gli Italiani non abbandonano però la lotta: sino al 1900 si mantengono nel comune di Neresi nell'isola di Brazza, sino al 1910 nell'isola di Slarino di fronte a Sebenico. Fra i municipî più importanti quello di Cattaro ebbe per podestà Pezzi, italiano, sino al 1897; fra il 1890 e 1900 il comune di Ragusa fu amministrato da una coalizione serbo-italiana di tendenze anti-austriache e anti-croate, ed ebbe per podestà l'italiano Gondola. Dopo le affermazioni italiane a Spalato nel 1811, i Croati studiarono una riforma dietale, in forza della quale gl'Italiani avrebbero dovuto perdere i sei seggi che loro ancora rimanevano.
Cadute tutte le rappresentanze municipali, eccetto quella di Zara, nelle mani dei Croati; croatizzate tutte le scuole elementari e medie, eccettuate quelle di Zara; esclusi con brogli elettorali dalla camera di Vienna, gl'Italiani erano ridotti alla quasi inesistenza politica. Restavano ancora ai Croati due problemi da risolvere: la croatizzazione di Zara, e la soppressione della lingua italiana dagli uffici dello stato. Al primo servì un clamoroso processo che ebbe larga eco nella penisola (processo Masovčić). In seguito a una provocazione di ginnasti croati un giovane croato venne gravemente malmenato. Per ordine della luogotenenza di Zara vennero tosto arrestati undici giovani, dei quali otto studenti universitarî, sotto accusa di tumulto, sedizione e grave lesione corporale. Il processo durò 13 giorni e si conchiuse con la condanna di un solo accusato, e con la costituzione della polizia di stato (1910) che doveva facilitare la presa di possesso della città da parte dei Croati. Il problema della soppressione della lingua italiana negli uffici dello stato si doveva risolvere mediante un compromesso fra Italiani e Croati; però non erano ancora finite le discussioni fra i delegati dei due partiti che il ministro Bienerth il quale, all'atto della presentazione d'un progetto di legge per regolare l'uso delle lingue in Boemia, affermava solennemente che un atto amministrativo non era bastante per risolvere un tale problema, emanava invece, il 26 aprile 1909, l'ordinanza sulle lingue in Dalmazia. Per questo decreto puramente amministrativo, l'italiano non era più riconosciuto quale lingua ufficiale interna, cioè di servizio interno per il personale e per gli uffici statali tra di loro (le parti conservavano però il diritto di usare la lingua italiana a qualunque ufficio statale ricorressero). Fu questo l'ultimo e uno dei più gravi colpi che il governo di Vienna desse all'elemento italiano. Ormai agl'Italiani non rimanevano che due istituzioni nazionali: La lega nazionale e La Società degli studenti italiani della Dalmazia. La prima, fondata nel 1890, dopo la soppressione della Pro patria, in pochi anni riusciva a costituire un patrimonio sociale (1911) di oltre 300.000 lire, a mantenere oltre una trentina di scuole, istituire asili d'infanzia, sussidiare il convitto Nicolò Tommaseo di Zara. Zara sola, che contava 12.000 ab., versava alla cassa della lega da 50 a 60.000 lire l'anno. La seconda, per mezzo di gruppi in tutti i centri della provincia, teneva desto il movimento irredentista; con i suoi congressi annuali teneva uniti tutti gl'Italiani della provincia, e nei congressi interregionali attirava l'attenzione degl'Italiani delle altre provincie e d'Italia, sulle condizioni della Dalmazia.
La terza fase
Con lo scoppio della guerra mondiale, la lotta nazionale in Dalmazia si arresta; la provincia, prima dell'intervento dell'Italia sorvegliata per timore di moti serbi nelle parti abitate da Serbi ortodossi, avvenuto l'intervento, diventa zona di guerra. L'autorità militare interna o confina tutte le pèrsone sospette, Slavi e Italiani. In seguito all'amnistia per reati politici concessa nel 1917 dall'imperatore Carlo, alcuni internati e i confinati ritornano in Dalmazia. Negli ultimi giorni dell'ottobre 1918, la monarchia comincia a sgretolarsi. Il 31 ottobre il consiglio municipale di Zara, già disciolto nel '15, presieduto dall'on. Ziliotto, con un gruppo di popolani costituitisi in guardia nazionale, disarma i soldati del presidio della città, impone al commissario imperiale e regio la riconsegna del comune. Gli stessi avvenimenti si svolgevano a Spalato e nelle altre città della Dalmazia; a Spalato si costituivano il Fascio nazionale italiano, che aveva a capo un comitato collegato con quello di Zara, e il Consiglio nazionale croato, il quale in nome del Consiglio nazionale di Zagabria prendeva possesso del comune. Si manifestava un immediato conflitto tra gl'Italiani e i Croati che facevano capo al Consiglio nazionale di Spalato. Il 2 novembre il conte Attems, che fu l'ultimo governatore austriaco, abbandonava Zara, e il giorno 4 novembre la torpediniera A. S. 55 appariva nel porto di Zara, e prendeva possesso della città.
Il 14 novembre 1919 arrivava a Sebenico e il 19 a Zara l'ammiraglio Enrico Millo, quale effettivo governatore della zona occupata in base alle clausole del patto di Londra. Il 15 novembre 1919 D'Annunzio viene a Zara a colloquio con Millo. Votato nel novembre 1920 il "Trattato di Rapallo" per cui tutta la Dalmazia, eccetto Zara e Lagosta, passava al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, il 22 dicembre il governatore Millo veniva sostituito dal prefetto Bonfanti-Linares.
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