lunedì 13 novembre 2023

L'Arte nella Dalmazia italiana (Treccani)

(Dalla Treccani del 1931: "Arte nella Dalmazia italiana")

Italiana fu l'arte da Zara alle Bocche di Cattaro nei municipî medievali, nelle chiese e negli oratorî, nelle logge pubbliche e nei palazzi privati. Le forze ingenite dell'arte dalmata trovarono col tempo vigoria, per la riflessione perenne di nuove forme dalle sponde opposte dell'Adriatico, dalle Puglie e dalle Marche, dalla Romagna e dalla Venezia, per cui in Dalmazia fu somiglianza degli aspetti familiari con quelli d' Italia; concordanza con le nostre forme, potrebbe dirsi, casalinghe; la stessa fisionomia aperta del genio italiano.

La scultura preromanica, quale si può vedere nei frammenti del museo di Spalato, in quelli del museo di Zagabria (sec. IX), e della raccolta di Tenin (principio del sec. X), ha corrispondenza con i lavori di scalpello a intrecciature, che si ritrovano principalmente a Roma e nel Lazio, in Lombardia e sulle nostre sponde adriatiche. La susseguente scultura romanica ha rapporti stretti con Venezia e riflette, nelle forme umane, le bizantine, pur modificandole e deformandole. Si vedano, ad esempio, le lastre scolpite nel Battistero di Spalato, ove, sopra un trono, un imperatore con la croce pare che sia ricavato da un foglio di dittico imperiale bizantino dei bassi tempi.

Il fenomeno che si nota chiaramente a Venezia del richiamo delle antiche forme cristiane nell'arte romanica, si ripete nella Dalmazia, nei battenti di legno del duomo di Spalato, intagliati da Andrea Buvina nel 1214; nel rilievo dell'Annunciazione all'interno della porta di quel duomo; ove l'Annunciata che fila la porpora per il velo del tempio, secondo quanto narrano gli antichi Evangelî apocrifi, potrebbe figurare tra le più evolute sculture romaniche veneziane con le innestate bizantine.

Subito dopo il Mille, la civiltà d'arte veneziana abbellisce le terre dalmate. Stefano, figlio di Cressimiro III, che, per l'aiuto dei Veneziani, divenne re di Dalmazia, sposò una veneziana, una Orseolo, e Pietro, suo figlio, che gli successe nel trono, fu educato a Venezia. L'architettura romanica, da principio, si volse a Ravenna, esemplare nel Medioevo a tutt'Italia, per il S. Donato di Zara; quindi a tipi di chiese lombarde per la galleria dell'abside del S. Grisogono della stessa città; alla facciata di Santa Maria di Piazza in Ancona, con gallerie cieche sovrapposte, per la fronte della cattedrale in Zara stessa. Anche qui tuttavia, nonostante che la facciata non rispecchi Venezia, ecco che nei portali si fa ricorso alla città madre, per le arcate e le colonne a spira. Arcatelle a eliche, cornici a cordoni ritorti, tabernacoletti, si rivedono fino al '400, nella porta maggiore e nella laterale del duomo di Sebenico, opera di mastro Antonio di Pierpaolo Dalle Masegne. Anche nelle forme romaniche, a limite delle gotiche sopravvenienti, come nella porta maggiore della cattedrale di Traù, maestro Radovano scolpisce la porta del duomo, esprimendo la forma romanica italiana, quale aveva avuto svolgimento a Verona: sui pilastri le rappresentazioni dei pianeti, dei mesi, delle fatiche umane, secondo le stagioni, del tempo che Dio signoreggia, dei bestiarî a segno della lotta tra i vizî e le virtù, dei fasti del Vangelo, degli Apostoli assistenti al Redentore, dei santi intermediarî tra Dio e l'umanità; dai lati i leoni della Chiesa vincitrice delle potenze infernali; su di essi Adamo ed Eva, sotto a pilastri, gli Orientali, aggiogate cariatidi, oppressi dalle pietre sculte con sacre figure. Maestro Radovano è in ritardo, confuso, ma pur sente tutta la forza dell'arte romanica, la suggella anzi con ultimo impeto su dai cespi d'acanto, nei girari della mistica vite che si aggroviglia tra i mostri. Non così addensato si presenta a Spalato, nel bassorilievo del duomo, Magister Otto, con la rappresentazione della Natività nell'ordine superiore, con quella di S. Pietro tra i santi Doimo e Anastasio nell'altro inferiore, eseguite entrambe nella maniera antelamica diramatasi a Venezia.

Ben presto il nuovo incalza; e s'avverte, nello stesso campanile del duomo di Traù, il gotico, che arriva a modificare l'arte romanica uscita dal gran tronco della latinità. Il gotico trito, minuzioso, a colonnine tortili, a cornici cordonate, a dentelli, a scacchi, a tabernacoletti della fine del Trecento, proprio dei maestri Dalle Masegne, si ritrova in Dalmazia; anche tardi a Sebenico, nel portale maggiore del duomo, a Ragusa nella porta della Pietà della chiesa dei francescani, a Lesina nella porta del duomo. Il gotico dei Dalle Masegne vien soppiantato dal gotico fiorito, che a Venezia prende una forma particolare, grazie ai maestri lombardi, giunti da Milano con Matteo de' Raverti e con Michelino da Besozzo, dopo che ebbero lavorato nella cattedrale della metropoli lombarda, contrastando la supremazia ai maestri nordici. Diedero opera a parare la Ca' d'oro e a rinnovare l'esterno del palazzo ducale; e ne uscì un gotico fiorito, fiammante, veneziano, coi grandi quadrilobi entro cerchi tangenti, che forman rose, oculi, rote, croci, cavalli marini. Nulla della snellezza e dello slancio del gotico iniziale, ma è in esso un traforo marmoreo, un effetto pittorico dato dal contrasto del bianco e del nero, del nitore delle cornici con l'ombra profonda. Queste forme decorative si distendono in Dalmazia: a Traù si rivelano nelle finestre del palazzo del Comune, sulle pareti del campanile del duomo, sui festoni delle finestre del palazzo dell'ammiraglio Coriolano Cippico; a Curzola rivestono il chiostro di trifore trilobate, a Lesina il palazzo Paladini, a Spalato il palazzo pubblico. Si rivelano anche nelle arti minori, nelle oreficerie, negl'intagli degli stalli corali. Rappresentante di questa forma decorativa veneziana in Dalmazia è Giorgio della nobile famiglia Orsini di Zara (detto Giorgio da Sebenico per aver quivi lavorato a lungo); egli a Venezia, sulle orme di Giovanni e Bartolomeo Bon, s'appropriò i principî del gotico fiorito, che divulgò poi nella propria regione e nella Marca anconitana con una nuova libertà di forme, un'energia di vita, tali da far pensare, a volta a volta, al pieno Cinquecento e al Barocco.

La fioritura veneziana fu diffusa da Giorgio Orsini per la Dalmazia, a Curzola, Pago, Arbe, Zara, Sebenico, Traù, Ragusa. Contemporaneo di Giorgio Orsini, che sprigionava con forza indomita energie violente e quasi brutali nel marmo, il suo conterraneo Luciano Laurana (v.) esprimeva nel palazzo ducale di Urbino le armonie più profonde, l'eleganza più schietta dell'architettura italiana. L'architetto di quel palazzo, della rocca di Pesaro, dell'arco di Alfonso d'Aragona a Napoli, fu un "poeta della linea e della massa" il continuatore solenne del Brunellesco, fondatore dell'architettura moderna.

Un altro figlio di Zara, Francesco Laurana (v.), tempra artistica classicamente italiana, come quella di Luciano, idealizza i lineamenti delle sue figure, giunge a una perfetta astrazione, quando Giorgio da Sebenico orientava la sue forme verso il movimento. Francesco e Luciano Laurana, portano nell'arte la stessa facoltà di astrazione fantastica che, nella pittura, ebbe avvento per opera del grande riformatore umbro-toscano: Piero della Francesca. Grande plastico, Francesco Laurana porta nell'arte gli stessi principî di misura e di sintesi volumetrica che Antonello da Messina esprimerà col pennello, e Antonio Rizzo esplicherà poco più tardi a Venezia, e sono tra i caratteri fondamentali dell'arte nostra, essenzialmente plastica. Una profonda corrente del Rinascimento unisce artisti del centro, del settentrione e del mezzogiorno d'Italia, con vivo spirito d'italianità. Giorgio da Sebenico e Francesco Laurana hanno un punto di contatto nella tendenza alla concezione di massa, alla pienezza del rilievo. Concretano diversamente questa visione di forma, che è il substrato della loro vita artistica, questo concetto di peso, che rivela la loro comune origine dalmata. Così le forme della Speranza di un altro scultore di Dalmazia, di Giovanni di Traù, al confronto di quelle di Mino da Fiesole, di cui fu collaboratore nel monumento di Paolo II, mostrano una tendenza maggiore alla rotondità, al rilievo, al distacco della forma dal piano di base.

Anche nella pittura vi furono in Dalmazia maestri che fecero naturalmente proprio lo stile italiano. Quando a Padova apparve dominatore il Mantegna, ecco Giorgio di Tomaso Ciulini (Chiulinovich), detto Giorgio (o Gregorio) Schiavone (v.), attingere insieme con l'istriano Bernardo da Parenzo alle nuove scaturigini della pittura del Rinascimento. E quando a Venezia era passata l'arte di Giorgio da Castelfranco, e Tiziano regnava sovrano culoritore, un figlio della Dalmazia, Andrea Medula o Meldolla, detto Schiavone (v.), siede vicino a Tiziano, al Tintoretto, a Paolo Veronese, per giudicare i mosaici dei fratelli Zuccato nel vestibolo della basilica di S. Marco. Così tra i corifei dell'arte veneziana sedette il Meldolla, proprio nell'anno della sua morte, a segno della sua fama e del suo valore. Come nella scultura e nella pittura, così nell'architettura continua in Dalmazia l'arte veneziana. Si riconosce all'esterno del duomo di Sebenico, dove si sente un'eco del Coducci; nella chiesa di San Biagio a Ragusa, ove l'eco stessa è già alterata; in S. Salvatore a Ragusa, in cui i moduli del Coducci sono di proposito seguiti, ma da un artista lontano da quello spirito d'equilibrio e d'armonia che è fondamento all'arte di quel maestro architetto. Per l'interno della cattedrale di Zara, il modello, sia pure all'ingrosso è la basilica marciana; nei cortili dei palazzi privati, con l'adorna vera da pozzo nel mezzo, dappertutto è evidente l'impronta veneziana. E sembra che il ciclo artistico si chiuda con la porta di Terraferma a Zara, aperta dal Sanmicheli presso l'angolo che le fortificazioni cinquecentesche fanno col bastione Grimani. Ancora Verona col suo grande architetto richiama alla sorella dalmata la propria porta al Pallio, perfino con i simili scudi dogali dei quali si adornano le due porte magnifiche: fu condotta a termine nel 1543 la porta zaratina, saluto solenne della Serenissima alla terra devota.

Avvenne in Dalmazia, come tra le regioni della penisola, lo scambio continuo della produzione artistica. Furono tagliapietra veneziani a Zara, a Traù, a Sebenico, a Ragusa; un orafo lombardo recò l'arca per le reliquie del patrono Sant'Anastasio nel Duomo di Spalato; partì Michelozzo, compagno di Donatello, da S. Eustorgio di Milano per ornare il Palazzo del Rettore a Ragusa; arrivò dallo studio di Donatello, da Padova, Niccolò Fiorentino anche per coronare l'opera dell'Orsini nel duomo di Sebenico; si sparsero in Dalmazia, sugli altari, le pale dei Vivarini, dei Carpaccio, di Marco Marziale, di Tiziano. Così la Dalmazia fu parte dell'organismo forte, indistruttibile, unico, dell'arte italiana. Quando, al limitare dell'età moderna, le nazioni si distinsero con la parola e con le arti rappresentative, la Dalmazia, da Zara a Sebenico, da Sebenico a Traù, da Traù a Spalato e da Spalato a Ragusa, ebbe la stessa fede, lo stesso ideale delle terre italiche, la stessa materia creativa dell'arte.

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