giovedì 2 novembre 2023

Amare riflessioni

Il paradosso più lancinante è che la tragedia dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia – il supremo sacrificio dei nostri nonni o dei nostri padri, o magari della nostra infanzia e della nostra giovinezza, è avvenuta invano, perché “la più grande invenzione degli Stati Uniti”, per dirla con Gore Vidal, e cioè la Jugoslavia, s'è rivelata tutt'altro che un edenico rifugio per i comunisti e i rivoluzionari di tutta Europa: è stata una nazione di cartapesta falcidiata da nuovi e feroci nazionalismi, mortificata dalla pulizia etnica, dall'odio politico e da atroci operazioni di ingegneria sociale, durata quanto uno sbuffo: una balla, una balla totalitaria, violenta e omicida. 


Averci spazzato via da lì, come Tito aveva imposto e qualcuno ha consentito, è stato stupido, cattivo e indegno. Quanti, tra i figli e i nipoti dei coloni titini sloveni, croati, bosniaci, rom o chissà chi che adesso abitano Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Rovigno, Pola, Montona, Grisignana o Parenzo, Orsera, Albona, Fiume o Zara sono coscienti di non avere nessun legame etnico e nessun antenato in città, diverso dal padre colono o dalla mamma "rimasta", magari perché era più croata che italiana? Non è questa una catastrofe antropologica?


A che gioco gioca chi ha voluto assegnare le nostre case e le nostre terre a chi niente aveva in comune con esse, con la loro millenaria storia, con la loro inconfondibile bellezza, con la loro veneziana grazia? Che senso ha avuto sostituire un popolo intero? A che e a chi è servita l'invenzione o l'estensione di altre piccole nazioni?


A chi è piaciuto giocare alla fantastoria sulla nostra pelle, e chi ci gioca ancora oggi, che la mascherata comunista titina è finita?

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