"Dalmati e Istriani in tanto solenne occasione vennero anch'essi a sigillare col sangue il patto di famiglia che lega tutti gli Italiani intorno a Roma come le verghe attorno alla scure." Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), patriota toscano.
Per chi oggidì si fa un compunto dovere di pronunciare i nomi delle località del nostro confine orientale in lingua croata a costo di rendersi ridicolo dal momento che codesti nomi sono un pò astrusi anche solo da ricordare oltre che, in molti casi, da articolare, riporto qui la frase di un patriota del Risorgimento che non si segnalava certo per ridondanza di proclami, infiorettature verbali e frasi di troppo; il Guerrazzi infatti, al di là delle persecuzioni subite per la Patria, era un uomo brusco, pessimista, e di poche asciutte e spesso taglienti parole: ecco perchè, detta da lui, l'affermazione di cui sopra sulla partecipazione di Istriani e Dalmati al Risorgimento suona quantomai fondata, in barba a coloro che negano e minimizzano, tra cui storici titolati, giornalisti affermati e maitre-à-penser in vista, cui ovviamente s'accoda il solito plaudente uditorio. Un uditorio profano che nemmeno immagina la portata e l'intensità della fratellanza secolare degli Italici-Romani -poi Italiani- basata sul patto di sangue, un sentimento di fondo sopravvissuto a invasioni e divisioni, a cui il Guerrazzi faceva riferimento non già a casaccio ma con piena cognizione di causa. Istriani e Dalmati fanno dunque parte dell'Italica famiglia perchè l'hanno dimostrato, e non già dalla fine dell'800 come si sente dire in giro nelle conferenze, ma fin dal Risorgimento e dal suo sorgere, analogamente a tutte le altre regioni italiane.
Oggi, la terminologia in italiano del confine orientale è tutto ciò che ci rimane di quei territori ameni che perdemmo anzitutto a causa degli austriaci, e successivamente in gran parte ci furono vilmente negati dopo la pur vittoriosa 1a guerra mondiale, per finire di perderli con la sconfitta nella seconda. Ci rimangono i nomi, appunto, da legare e ricollegare alla memoria, alla storia, ai documenti che, per chi sa leggerli e interpretarli, spesso gridano la verità, ma purtroppo, per una serie di circostanze anche intenzionali (il rifiuto dell'Austria di consegnare al Regno d'Italia una parte di questi documenti dopo la 3a guerra d'indipendenza), sono in parte mancanti e dunque hanno creato dei vuoti, dei buchi riempiti con ricostruzioni di comodo, secondo cui quelle terre furono sempre slave, gli slavi erano lì da mille anni almeno, gli slavi ne erano i padroni legittimi, gli slavi erano la maggioranza della popolazione: quando, come, dove e perchè non è dato sapere e nessuno lo spiega. Infatti si dovrebbe spiegare che quelle terre cominciarono a diventare a gran maggioranza slave e videro gli slavi spadroneggiare, quando Vienna decise con crescente ossessione di levarsi di dosso gli scomodi italiani minaccianti il suo Impero dall'alta valle dell'Isonzo fino alle bocche di Cattaro, il che non era certo un'impresa facile, e infatti non riuscì dappertutto e non allo stesso modo, anzi in taluni luoghi fallì miseramente, per esempio a Trieste, Gorizia, Fiume e Zara, o non raggiunse gli effetti sperati, come nelle isole del Quarnero e in gran parte dell'Istria.
Perciò, per non perdere definitivamente quelle amene contrade e impedire che finiscano di sprofondare nel nulla in cui attualmente si trovano con le loro preziose vestigia Romane e Veneziane, noi, per pochi che siamo rimasti, abbiamo il dovere di pronunciare quei cari nomi in italiano, anche perchè sono i nomi autentici, originali di quelle terre che mai furono slave, ma che tanti slavi -e non slavi- inclusero e salvarono dall'avanzata rovinosa dei Turchi, dalle carestie, dalla fame e da re balcanici non propriamente "paterni". Furono queste le principali ragioni che videro accorrere torme di slavi e non verso quella florida terra di salvezza affacciata su di un mare luminoso e pescoso qual'era la Dalmazia. Le epidemie di peste marginalmente favorirono quest'affluenza perchè crearono dei vuoti fra gli autoctoni, ma ciò, lungi dal mutare o stravolgere lo statu quo ante, lo rafforzò, dal momento che codesti afflussi allogeni determinarono un forte accorpamento di tutti e di ciascuno con colei che era la regina indiscussa del mare Adriatico, la protettrice, la padrona e la succedanea naturale di Bisanzio lungo tutto quel confine, fino a Cipro addirittura: Venezia. Venezia e il suo paterno e illuminato governo, pur imperfetto e da un certa data in poi decadente, ma compianto e rimpianto da tutti i dalmati, i quali le furono sempre fedelissimi, quali degni figli di San Marco.
Per quanto ai tempi del Guerrazzi l'analfabetismo fosse assai diffuso di contro all'odierna alfabetizzazione di massa fatta di diplomi, lauree e dottorati, fatto sta che mai come oggi capita d'incontrare regolarmente qualcuno il quale è tenacemente convinto, forse ispirato anche da un quadro tardo ottocentesco del pittore croato Otan Ivekovic dal titolo altisonante "l'arrivo dei Croati nel Mediterraneo", che la Dalmazia sia sempre stata a gran maggioranza slava (in particolare croata), il che dovrebbe quantomeno far dedurre che i nomi delle località del confine orientale siano da sempre slavi, cosa logica, appunto, se veramente gli slavi fossero stati lì da mille anni o addirittura dai tempi delle invasioni barbariche come esibito con enfasi dal dipinto: in tal caso, infatti, avrebbero soppiantato le popolazioni precedenti come ad esempio fecero i Franchi nella Gallia, e di conseguenza avrebbero padroneggiato il territorio, lasciando in così lungo lasso di tempo tracce e vestigia ampie e indiscutibili della propria secolare presenza, compresi i toponimi. Ma non è accaduto nulla di tutto questo, e quando Venezia occupò definitivamente quelle terre nel XV°secolo, dopo avervi comunque già messo il piede nei secoli precedenti, vi trovò i dalmati, semplicemente: i dalmati che tali si consideravano e ci tenevano a esser considerati tali, in colleganza con l'Italia. La Dalmazia, infatti, è sempre stata volta all'Italia, e dire che fu volta a un ininfluente regno di Croazia inglobato prima dall'Ungheria e poi dall'Austria, è un solenne falso storico.
Conseguenza di ciò è che i toponimi delle principali località di tutto il confine orientale, dall'Isonzo a Cattaro, sono per lo più italiani, e non già italianizzati, nè, men che meno, "inventati" dal Fascismo. La città di Fiume, per esempio, deve il suo celebre nome all'antico endonimo "San Vitus ad Flumen" (perchè sorge presso un corso d'acqua chiamato Fiumara e il romano San Vito ne è il patrono) mentre il nome Rijeka si trova in un documento medioevale del Re ungherese Bela (gli ungheresi non sono slavi n.d.r.) ove è citata la parola "Rika" che poi i croati rispolverarono. Il nome della città di Scardona, ubicata nell'entroterra di Sibenico, nella Dalmazia centrale, città che diede i natali al grande patriota irredentista Natale Krekich (1857-1938) che soffrì e operò affinchè la Dalmazia fosse annessa all'Italia, è un nome solo successivamente slavizzato in Skradin. Così il nome "Krka" è la slavizzazione di Cherca, il fiume della Dalmazia centrale famoso per le sue cascate, che nasce dalle Alpi Dinariche e sfocia nell'Adriatico vicino a Sebenico. Indipendentemente dal fatto che alcuni di questi nomi abbiano una lontana origine latina (e più raramente greca), resta immutato il fatto che l'italianità dei toponimi si estende fino alle più piccole località e alle più piccole isole nonchè perfino agli scogli, il che non sarebbe possibile se gli italiani fossero sempre stati una minoranza. Essi diventarono sì una minoranza, e sempre più esigua e perseguitata, ma durante la dominazione asburgica. Napoleone stesso, fattosi incoronare Re d'Italia nel 1805, in un famoso proclama rivolto ai Dalmati declamò l'italianità della Dalmazia stabilendo come lingua ufficiale l'italiano, salvo cambiare idea pochi anni dopo per pura opportunità e megalomania politica, quando scorporò la Dalmazia dal Regno Italico per aggregarla alle Provincie Illiriche, un artificioso governatorato con capitale Lubiana dipendente dall'Impero francese che serviva a maggiormente esibire la "grandeur" della Francia e appagare la sua smania imperiale.
Ma torniamo al nome "Sebenico", che i croati affermano essere il nome croato dell'omonima città che loro avrebbero fondato nel Medio Evo: è vero tutto ciò? No. E' risaputo infatti che i Romani chiamavano "sibinicum" quel territorio, ove facilmente esisteva una comunità neolatina ben antecedente ai croati, ragion per cui "contra factum non valet argumentum": vale a dire, mentre l'origine croata del nome è solo una teoria, il nome latino "sibinicum" costituisce un fatto acclarato. Inoltre è indubbio che Sebenico ha avuto uno sviluppo urbanistico solo coi Veneziani tant'è che le due opere attualmente considerate patrimonio dell'UNESCO – la fortezza di San Nicolò e la cattedrale di San Giacomo- sono opera dei Veneziani.
In conclusione: se gli slavi avessero dominato il territorio per mille anni o, addirittura, fin dai remoti tempi delle invasioni barbariche, cioè dal VII°-VIII° sec. d.C., i nomi slavi precederebbero di gran lunga i nomi italiani, i quali sarebbero un'italianizzazione di quelli, mentre invece è il contrario. Ciò dimostra non che nessuno slavo abitava quei territori o che i croati non giunsero mai ad affacciarsi sull'Adriatico settentrionale, bensì che MAI dominarono quel territorio, MAI vi si stanziarono in maniera stabile, maggioritaria e continuativa, il che è storicamente fuor di dubbio: essi non erano la maggioranza della popolazione come solitamente si crede e si fa credere, perchè in tal caso, come ho detto, avrebbero finito per soggiogare l'etnia autoctona e governarla, prendendo il sopravvento in ogni campo. Accadde invece il contrario: e, del resto, nessuna invasione barbarica prese in Italia il sopravvento, nessuna invasione barbarica fu durevole e vittoriosa, nessuna invasione barbarica tolse di mezzo gli Italici-Romani, nessuna invasione barbarica riuscì in Italia a imporsi e prevalere, neanche quella dei Longobardi che pure si stanziarono stabilmente nella penisola, ma già ai tempi del re Rachis contavano una forte fazione filo-Romana (lo stesso re Rachis aveva sposato una donna Romana con rito Romano), e presto scomparvero di scena, risucchiati dagli autoctoni, sennò l'Italia si chiamerebbe "Longobardia" e oggi non ci saremmo noi con la nostra illustre storia post-Romana dall'Alto Medioevo in poi.
Ebbene, in Dalmazia accadde la stessa cosa che nel resto d'Italia, al contrario di quel che pensano certe anime candide secondo cui in quella regione chissà perchè sarebbero successe cose diversissime dalla limitrofa Venezia Giulia, cioè in poche parole ci sarebbe stata l'invasione stabile e massiccia dei croati: ebbene, tutto ciò è fantastoria, anche perchè si scontra con la lunga dominazione Veneziana alla quale gli slavi presenti e futuri s'adattarono benissimo, non solo, ma si scontra col fatto che anche le città che mai furono sotto Venezia, come Gorizia, Trieste e Fiume, erano abitate anch'esse da una gran maggioranza di italiani, ragion per cui non regge la tesi degli storici croati secondo cui fu Venezia a immettere gli italiani nei territori che appartenevano agli slavi.
Il trovarsi la Dalmazia in una posizione geografica estrema di confine la espose certamente molto di più al rischio di estinzione etnica a causa delle invasioni, la espose a subire maggiori saccheggi, scorrerie e distruzioni, ma non si creda che le popolazioni autoctone non si difendessero, non reagissero, e si lasciassero sopraffare e decimare come si figura l'immaginario collettivo. Ergo, gli slavi non conquistarono in modo permanente un bel nulla, anche perchè non erano affatto una popolazione ben definita come lo erano, invece, i Goti, gli Avari, gli Ungari, gli Unni e i Longobardi. Delle tante tribù slave, i Croati, soprattutto in grazia della loro conversione al cristianesimo, riuscirono a ritagliarsi uno spazio territoriale a nord di Zara, il regno di Croazia, ma fu sempre precario e modesto, esautorato dall'Ungheria prima e dall'Austria poi, cosicchè nel corso del tempo molti di loro trovarono di che meglio vivere fra i dalmati, sentendosi più al sicuro e al riparo in quella bella regione affacciata sul mare, rimanendo per ciò stesso inevitabilmente assorbiti nella lingua, nella cultura e nel sentire dalmatico, veneziano e quindi italiano, come lo stesso Natale Krekich e una lunghissima schiera di patrioti italiani con cognomi simili al suo dimostra. Non a caso nel 1848, data della 1a guerra d'indipendenza e dell'insurrezione di Venezia che ridestò grandi speranze in tutto il confine orientale, il massiccio esodo di italiani dalla Marina asburgica verso la rivoluzione italiana contava, in Dalmazia, un gran numero di nomi di origine slava o d'altra origine straniera, appartenenti cioè a coloro che, sentendosi italiani, avevano abbracciato con strenua fede la causa del Risorgimento.
E veniamo all'eloquente raffigurazione di questo articolo, che ribadisce in modo chiaro il concetto fin qui espresso: si tratta di una cartolina postale del 1920 che aveva appunto lo scopo di rammemorare e reclamare apertamente, dopo le ingiuste decurtazioni patite dal Regno d'Italia alla Conferenza di pace di Parigi del 1919, l'appartenenza dell'arcipelago delle isole Curzolane all'Italia, attraverso Venezia. Questo arcipelago, di cui alla Conferenza di Parigi ci fu concessa solo l'isoletta di Lagosta è ubicato nella Dalmazia meridionale ed è composto da numerose isole, isolette e scogli, delle quali la più grande è Curzola, con il suo capoluogo omonimo abitato in toto da italiani prima che si compisse la graduale e inesorabile sostituzione etnica operata dagli austriaci. Per quanto la corrente storica che va per la maggiore s'affanni a teorizzare che gli italiani erano presenti solo nella cittadina di Curzola mentre nel resto dell'isola c'erano da sempre i croati secondo un diffuso adagio che vuole gli italiani abitare le città e i croati le campagne, c'è da dire che parlare di città nell'isola di Curzola è uno sproposito. Si trattava infatti, e non solo lì ma praticamente in tutto il confine orientale, con poche eccezioni, di piccoli paesi e borghetti minuscoli, abitati dagli italiani in ogni dove. Essi pertanto erano presenti in tutta l'isola di Curzola, che infatti a tutt'oggi conserva nomi come Vallegrande, Lombarda, Blatto, Smoquizza e denominazioni italiane perfino nei microscopici scogli del suo arcipelago.
Prima di Venezia, che gli storici croati artatamente considerano l'invasore che s'appropriò dei territori slavi, c'era Bisanzio, cioè l'Impero Romano d'Oriente il quale includeva in sè genti di varie etnìe e certamente concesse ad alcuni gruppi di slavi fin dai tempi del grande imperatore Eraclio II d'insediarsi pacificamente in quei territori per servire nel suo esercito, ma questo non significa nulla, anzi comprova l'integrazione dei nuovi arrivati nel tessuto Romano preesistente. E, parliamoci chiaro: qual era il barbaro che non anelava diventare Romano e abitare nei confini dell'Impero? Nessuno l'ha mai visto.
Legata a stretto filo con Venezia, Bisanzio contribuì prima di questa a salvare la Dalmazia e i dalmati dall'annientamento soprattutto col respingere gli Avari, quella sì un'orda potente, pericolosa e organizzata di barbari guerrieri provenienti dalle immense pianure eurasiatiche che arrivò addirittura a minacciare Costantinopoli e invano tentò di conquistare l'Italia, e al cui seguito probabilmente si trovavano gli slavi, una parola d'incerto significato che poi è venuta a significare "schiavo", perchè gli slavi prigionieri di guerra erano schiavizzati e venduti in massa nei mercati europei quando ancora erano pagani, cosicchè dalla parola "slavo" è derivata la parola schiavo (e non viceversa). Quando Carlo Magno conquistò e tolse di mezzo definitivamente gli Avari che Bisanzio aveva ricacciato nell'europa centro-orientale da dove compivano continue scorrerie nel regno dei Franchi, trovò ingenti quantità di ricchezze, di cui una parte erano i soldi che Bisanzio versava loro per tenerli alla larga dai suoi confini e quindi anche dalla Dalmazia.
Ebbene: in che modo, in queste condizioni, i fantomatici Croati e gli Slavi in generale potessero aver conquistato la Dalmazia al punto da vantarne poi in faccia al mondo con tanta prosopopea i diritti storici ai tempi del dominio asburgico, proprio non si sa. Eppure c'è chi ci crede, soprattutto oggi, nè c'è da meravigliarsene dati i tempi in cui viviamo.
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