Sentiamo spesso, parlando di irredentismo italiano e di storia del confine orientale, che il confine "ideale" dovrebbe essere il fiume Eneo, ovvero il corso d'acqua che separa il centro di Fiume dal quartiere di Sussak e Tersatto (dal latino Tarsatica: Fiume), come se quest'ultimo fosse "da sempre" croato e slavofono e come se il comunque iniquo confine italiano tra 1924 e 1941 fosse perfetto. A costoro, forse, non sono chiari o non vogliono essere chiari alcuni aspetti. Innanzitutto, piaccia o meno, i croati sono sempre e comunque colonizzatori venuti a partire dal 700 circa dalle steppe ucraine, e per questo motivo che tanto spesso si sottace il diritto italiano su queste terre trova già di per sé maggiori giustificazioni. Come sappiamo, infatti, le popolazioni di origine venetica più assimilabili a quelle autoctone sono proprio poi definitesi italiane. Inutile, poi, citare l'esempio dell'inclusione nell'Italia romana di tutta l'area costiera fino a quella poi sarebbe stata la città dalmata di Sebenico, confine arretrato esclusivamente per ragioni militari. Suddette terre entrarono poi nei vari Regnum Italiae, su tutti ricordiamo quello ostrogoto, che seguirono la caduta dell'Impero.
Alle stesse persone, evidentemente, non è chiaro o non vuole essere chiaro un altro aspetto. Queste terre, tutto il Quarnaro compreso, sono di radici tipicamente italiane, e anche gli slavi che vi giungevano erano di fatto italianizzati culturalmente nell'arco di poche generazioni, proprio come avverrebbe per un immigrato che giungesse in uno stato e decidesse di restare lì per mettere su famiglia. Per questo, ai ragionamenti strettamente "etnici" e di sangue che si sono imposti dopo la metà dell'Ottocento anche e soprattutto grazie alle campagne anti-italiane dell'Austria-Ungheria non si possono che preferire quelli culturali, più in armonia con la storia giuliana e dalmata.
Inoltre, il confine geografico dell'Italia che segua il crinale alpino, al di là delle interpretazioni estere sempre pronte a negare i diritti storici e secolari dell'Italia pur tenendo sotto scacco il mondo intero con estesi residui coloniali, è proprio al termine del golfo della Buccarizza, con l'inclusione di Porto Re (villaggio nato con questo nome attribuito dalla stessa Ungheria riconoscendo implicitamente la cultura italiana, e non come Kraljevica). Secondo diverse interpretazioni che seguono le creste del territorio, il confine geografico italiano dovrebbe includere metà Valdivino (area di Drevenico e Tribaglio) e la metà più vecchia di Cirquenizza, terminante al torrente Dubracina. Anzi, sarebbe questa la linea più logica secondo il geografo Gustavo Cumin: "Lo Stato Maggiore sardo ed in questo Reguito da diversi studiosi nostri, giunge attraverso il Risnjak sino al Bitorai per volgersi poi, e con criterio credo sbagliato, al canale di Maltempo. Più giusta rni sembra , ammettendo questo secondo percorso, una linea che dal Bitorai scenda al mare a nord cli Segna e che includa anche il Vinodol nel territorio italiano".
Il processo di Unificazione nazionale italiana, purtroppo, non è mai terminato, perché, in un modo o nell'altro, delle aree nostre per storia e geografia (un diritto anche quest'ultimo sacrosanto, sia per la cultura e la popolazione di origine, sia perché l'Italia è tra le nazioni meglio definite da un punto di vista geografico) sono rimaste al di fuori dello Stato nazionale.
Tornando ai mistificatori, essi affermano stoltamente che "queste terre sono croate da secoli", e che l'area in questione fu chiamata da secoli "litorale croato". Poco importa, dunque, se nei primi secoli il Regno di Croazia che ricomprese l'area si definì "Regnum Chroatiae et Liburniae", evidenziando proprio che il regno si estendeva su due aree diverse e separate da un punto di vista storico, Liburnia compresa. Non sempre, infatti, i confini dei regni coincidevano con aree omogenee!
Anche coloro che, nelle campagne, mantenevano la parlata slava (a differenza di coloro che, giunti direttamente nelle città, si italianizzavano anche da un punto di vista linguistico), e per questo potremmo distinguere due "gradi" di italianizzazione culturale, erano in realtà a continuo contatto con la civiltà italiana e facevano riferimento esclusivamente a città italiane, poiché città slovene o croate definibili tali, in Venezia Giulia o in Dalmazia, per ovvi motivi, non ne sono mai esistite!
E se ancora si crede a stento, pensiamo agli slavi delle valli del Natisone, che, non avendo subìto la discordia avviata dagli austriaci, si sentono ancora oggi pienamente italiani, ricordando il titolo della loro celebre poesia dei tempi dell'Unificazione: "Predraga Italija, preljubi moj dom (Carissima Italia, amatissima mia casa)". E' la cultura ciò che conta, e non il sangue!
Certo, gli slavi del Natisone erano ricaduti sotto il dominio veneziano per secoli, a differenza di Fiume, ma non si potrebbe dire lo stesso per gli "slavi" (come già detto etichetta labile) dalmati, per quattrocento anni sotto la Serenissima? Eppure, in Dalmazia, dal 1866, successe un vero e proprio finimondo, a cui contribuì l'arrivo di slavi dall'entroterra croato e slavone naturalmente su forte spinta dell'Aquila rapace.
Invece, l'importante, per questo gruppo di persone minoritario ma purtroppo esistente, è un'autoflagellazione all'italiana che veda sempre sputare contro la propria bandiera e la propria storia e dedicarsi piuttosto ad una spinta e ridicola esterofilia. Anche di fronte all'evidenza. Magari osservando i cognomi terminanti in "-ich" dal suono "troppo esotico", anche laddove le radici sono di chiara origine latina ed italiana: pensiamo a Fabbrich, Ferrettich, Bastianich, Mattutinovich. I sacerdoti, che spesso erano slavi, aggiungevano semplicemente un "-ich" al termine del cognome.
Di fronte ai Draganovich o ai Krekich nostrani, vale invece quanto detto sopra, ed è anzi un'ulteriore conferma del fatto che non sempre sangue e cultura coincidono. Altrimenti, in maniera totalmente arlecchinesca e anacronistica, dovremmo definire il sud Italia greco e arabo, la Lombardia germanica, e così via.
Costoro, ad esempio, quando non rifiutano l'italianità della stessa Fiume, rifiutano comunque di riconoscere all'Italia i territori oltre l'Eneo. Pazienza se gli italiani, una volta definitesi meglio le etichette etniche, vivevano anche a Tersatto. Pazienza se gli stessi slavi non erano riusciti a sviluppare una propria cultura ed erano afferenti anch'essi a quella italiana. Pazienza se le osservazioni del tempo, come ricorda anche lo storico Mario Dassovich, sottolineano come prima delle politiche austriache anti-italiane, il risveglio croato fu molto incerto.
Gli slavi che vivevano da secoli in queste terre avrebbero con alta probabilità accolto di buon grado il dominio italiano. Eppure, ancora oggi siamo qui a versare lacrime e dolore sul male della storia.
Ed è proprio da Buccari, oltre l'Eneo, che lo storico Alessandro Damiani ci narra un fatto che dovrebbe obbligare a tacere i mistificatori, slavi o italiani che siano, i quali additano gli altri di ignoranza (sic!) pur dimostrando al tempo stesso di essere i primi assertori di fandonie: "Il contesto dei fiumani si espresse in cortei a fiaccolate, comizi e lapidi commemorative, giunse anche da Buccari e da altri sottocomuni una immensa comitiva di ragazze biancovestite, con sciarpe pure tricolori, di vecchi o giovani, donne e fanciulli recanti tutti fra le mani l'olivo in segno di pace e di alleanza, a chiedere venia per l'onta del 1848 (occupazione croata, nonostante, come già detto, il risveglio croato di questi anni fosse molto poco diffuso ed incerto)". Dopotutto, era lo stesso Josip Jelacic, fautore dell'infausta occupazione, ad affermare: "Sopra tutto, noi rimaniamo Austriaci. Se una Austria non esistesse, allora dovremmo crearne una" (Jelačić, proclama dell'autunno 1848)...
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.