lunedì 9 ottobre 2023

L'ISTRIA ITALIANA


 Ab ora Ligustica, Vari fluminis confinia... Istriaequae usque ad Polam


«Non sorge un villaggio, in cui si agiti un po' di vita civile, il quale non sia prettamente italiano. Il carattere nazionale è spiccatissimo in ogni sua esteriore manifestazione. Il vestito, gli usi, le tradizioni, le leggende, i canti, i proverbii sono italiani; italiana l'architettura dall'umile casolare al palazzo pretorio, alla cattedrale; italiano il pennello e lo scalpello che decorano i tempi e i pubblici edifizi; italiane le istituzioni tutte di beneficenza, di istruzione, di chiesa; italiane non meno le fraglie del popolo che le accademie degli studiosi; italiano il pulpito e italiano il teatro; italiane infine le leggi, di cui si hanno luminosi documenti fino dal milleduecento in quegli statuti municipali, foggiati alla romana, che regolavano la vita civile di questi paesi, mentre in non poche illustri parti della rimanente Italia non vi avea che signori feudatari e plebe inconscia di sé, del suo passato e del suo avvenire. E bellissimi nomi vanta l'Istria tra i migliori ingegni d'Italia. Chi non conosce il Vergerio e il Flaccio, tanto celebri nella storia della riforma, il Santorio, caposcuola nelle scienze mediche, il Muzio.. emulo del Davanzati, l'economista Carli, il Carpaccio e le sue tele, le musiche del Tartini, a non dire di cento altri, che di qui partirono ai seggi più onorati nelle università di Padova. di Pisa, di Bologna e di Roma?

La civiltà dunque è tutta nostra, nostro tutto che costituisce la vita di un popolo, il suo decoro, il suo diritto a corrispondenza di affezioni e di cure presso i fratelli, e ciò dai più lontani tempi fino a noi, dai tempi, in cui sorsero qui i grandi monumenti di Roma, fino a questi giorni, nei quali, se la povertà fu retaggio di noi Istriani, non ci è venuto meno il sentimento per ogni italiana grandezza, come lo attestano le costanti nostre aspirazioni, associate con fatti ad ogni opera patriottica che sia stata prodotta per affermare l'Italia, e punite dallo straniero colle carceri, coi bandi, con ogni maniera di tirannie; aspirazioni di cui certo non sono ultima prova gl'iterati scioglimenti delle nostre Diete e dei nostri Consigli municipali, con esempio superiore ad ogni altro nell' impero austriaco, anche solo in ragione di numero, e di confronto a provincie cento volte più popolose e alle stesse provincie italiane, compagne nel servaggio: aspirazioni infine largamente tradotte nel più bell'atto nazionale da quella numerosa schiera di giovani nostri, che accorse presta sotto le armi d'Italia e che già ebbe a suggellare colla vita l'amore della patria comune.

Se poi ci facciamo a chiedere alla storia i titoli di questi paesi ad essere ricongiunti all'Italia, sorgono vanti per essi, di cui andrebbero liete non poche delle provincie sorelle, comecchè più illustri per rumorosi avvenimenti e fatte maggiormente oggetto diattenzione all'universale.

Con Roma essi furono sempre regione d'Italia, e fuor di dubbio la più gelosa, come lo provano i monumenti militari, di cui ammiriamo ancora i numerosi avanzi, e che lungo tutta questa frontiera aveva eretto il genio romano di contro alle nazioni d'oltralpe. E quando queste, fiaccata la potenza dell'impero, irruppero di qui a depredare ed asservire Italia, furono le genti della Venezia marittima e dell'Istria che meglio d'ogni altra ne salvarono il nome, costituendosi a reggimento di liberi comuni (i primi comuni italiani dell'evo medio) sotto la nominale signoria di Bisanzio, Continuò poscia sempre generosa la lotta contro gli stranieri, Longobardi, Slavi, Avari, Unni, Saraceni, sì che sappiamo sino d'allora affidato l'onore del veneto vessillo, o, come dicevasi in que' tempi, l'onore del beato Marco, alle galee, alle armi alleate degl' Istriani. Nè il feudalismo della campagna, imposto da Carlo Magno, franse i tradizionali propositi di questa provincia, chè, sebbene italiana fosse la corona a cui ne veniva ascritto il territorio rustico, i municipii preferirono Venezia, e pugnarono, per lungo volgere d'anni, con tanta tenacità e concordia di voleri contro la signoria dei marchesi e contro il succedutovi patriarcato di Aquileia, che fino dal millequattrocento si trovò anche l'Istria marchesale sotto il diretto dominio della repubblica.

Che se Trieste seguì, per fatale necessità di tempi, altro destino, costretta a dedicarsi al protettorato degli arciduchi d'Austria quale libero comune che continuò a governarsi da sé e ad esercitare perfino i diritti internazionali, ciò nulla toglie all indirizzo storico della parte principale di questa regione, ch'è l'Istria, e che restò sempre, senza interruzione qualsiasi, legata alla fortuna della più italiana potenza d'Italia.

I nipoti dei prodi che militarono a Legnano e a Salvore (le più splendide battaglie della storia degl' Italiani) vanno pur essi superbi della più bella e più legittima nobiltà, nè questa dovrebbe essere disconosciuta da alcuno dei fratelli, i quali, a dire senz' ira il vero, non hanno tutti intieramente pure le memorie dei loro avi, per quella maledizione delle guerre civili e degli invocati stranieri, di cui la piccola Istria non si macchiò mai, e senza la quale vergogna essa potè lunghi secoli brandire armi repubblicane per glorie italiane, mentre altrove in Italia si faceva corteggio a francesi, spagnuoli e tedeschi dominatori.

Non v' ha fatto d'armi, in terra o in mare, segnato dalle venete storie, che non ci rechi illustri ricordi del valore di capitani istriani, e vivono ancora le famiglie loro, che, dimenticate forse sulle scogliere dell'Istria, non dimenticano esse gli obblighi di onore che vengono da onorate memorie.

L'Istria cadde sotto il giogo dell'Austria soltanto allora che vi soggiacque Venezia e per lo stesso delitto del trattato di Campoformio. E se la riparazione del 1805, che fu comune, come voleva giustizia, alla Venezia e all'Istria, andò sperduta sotto le rovine dell'impero del primo Napoleone, essa non deve, non può compiersi ora a metà, senza venir meno al sentimento che non cessò mai di marcare d'infamia quell'atto, senza sconoscere l'essere stesso di Venezia, la quale non si dirà punto restituita integra all'Italia, quando spoglia delle sue marine, e condannata a guardare ancora da serva al campo più bello delle sue glorie e dell'esclusivo suo dominio...

Già ci toccò vedere, ne' suoi arsenali, notati a lettere alemanne i trofei delle cento sue battaglie; ma la stolta offesa veniva dalla mano del signore straniero...»

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