giovedì 19 ottobre 2023

LA BELLEZZA DI ZARA NOSTRA

L'impronta della bellezza italica nelle architetture è tuttora evidente, perché l'architettura è, come si sa, lo specchio della Storia. La Storia infatti si riflette anzitutto nell'Arte, che ne costituisce la fondamentale espressione visiva. E la storia del confine orientale è anche storia dell'arte Romana, Bizantina, Veneziana e Italiana. Di croato non c'era assolutamente nulla. Ma la giustizia, si sa, non è di questo mondo, e alcune volte nemmeno l'evidenza.

Anche Zara conobbe l'esodo di massa nel 1945, ma venne distrutta e spopolata già da prima, durante i disastrosi bombardamenti anglo-americani voluti da Tito per cancellare questo potente centro d'irradiazione culturale italiano in Dalmazia che costituiva una spina nel fianco e un pungolo pericoloso per la Jugoslavia. Zara era infatti la città che durante tutto il corso della dominazione austriaca aveva resistito alla croatizzazione, e dove migliaia di dalmati in fuga dalle persecuzioni anti-italiane di quell'epoca avevano trovato rifugio. I bombardamenti che distrussero oltre 2/3 della città furono dunque un atto premeditato onde impedire che il problema di una Zara intatta e indiscutibilmente italiana venisse sollevato alla conferenza di pace rischiando d'influire negativamente anche sul resto delle pretese territoriali di Tito, che erano poi quelle avanzate fin dalla prima metà dell'ottocento dagli slavi del sud su tutto il confine orientale con l'avallo degli austriaci. 

Nel 1945 dunque era già tutto deciso, e infatti la commissione inter-alleata incaricata di valutare -o di far finta di valutare- la composizione etnica della città, rinunciò a ogni sopralluogo nella medesima. Tenendo conto che la popolazione prima della 2a guerra mondiale ammontava a 21.372 abitanti, il bilancio (incompleto) delle vittime dell'occupazione slava è il seguente (fonte l'avvocato Sabadin, ex partigiano):

900 persone uccise, 435 deportate, 2000 uomini fra i 18 e i 45 anni arruolati a forza, 13.500 profughi. A cui si devono aggiungere i 4000 morti sotto i bombardamenti. 


I tedeschi fucilarono 11 persone e ne deportarono 165.

Fra le vittime degli slavi vanno ricordati i 64 prigionieri rinchiusi nei sotterranei della caserma "Vittorio Veneto" tra percosse e sevizie, e quindi imbarcati presso San Demetrio la vigilia di Natale e gettati in mezzo al canale con una pietra al collo: in sei riuscirono fortunosamente a salvarsi slegandosi, tra cui Simeone Vilahovic, testimone dei fatti che così li ha riferiti. Vanno poi ricordati Dvorzak Antonio deceduto in carcere per le sevizie, Calmetta Cristoforo ucciso a sassate, e Calmetta Alessandro e Calmetta Matteo costretti a scavarsi la fossa prima della lapidazione e poi appesi per i piedi a un palo. L'onorevole Nicolò Luxardo, titolare della celebre fabbrica del maraschino, nota in tutto il mondo, volontario irredento della Grande Guerra e pluridecorato, venne affogato con una pietra al collo assieme alla moglie milanese Bianca Ronzoni. Il padre Pietro Luxardo venne fucilato con le solite speciose accuse sparate da un'improvvisata Corte marziale, che in soldoni si riducevano a questa: essere italiano ed essersi comportato come tale. Sono delitti che gridano vendetta al cospetto di Dio, soprattutto perchè compiuti dopo la fine della guerra, e non per questioni politico-ideologiche, non perchè gli assassini erano comunisti e gli altri non lo erano come ho sentito dire recentemente in un'intervista, ma per odio atavico e atavica brama di quei territori italiani con tutti i beni mobili e immobili che contenevano. La rabbia e l'odio anti-italiano era dello stesso segno allora come al tempo degli austriaci, la radice era la medesima di quella che, durante il Risorgimento, aveva dato fuoco al Teatro Verdi di Zara, e la politica c'entra ben poco, tant'è che gli slavi s'avventarono anche contro gli antifascisti. Al contrario, il movente politico fu fondamentale nei massacri che i titini compirono avverso i propri connazionali: si tratta dunque di due moventi ben diversi anche se la conclusione è la stessa. 

Dopo essersi scagliati come cani rabbiosi sui Leoni di San Marco prendendoli a martellate, gli invasori accesero un grande falò in piazza dei Signori ove bruciarono i documenti del Comune e tutti i libri italiani della biblioteca. Fecero poi piazza pulita di merci di ogni tipo, mobili, soprammobili, macchinari, argenteria, nonchè di 5 milioni di lire dalla Banca d'Italia, due milioni di lire della Prefettura e un milione e mezzo del Comune.

In questa tregenda, è doveroso ricordare il tenente dei Carabinieri IgnazioTerranova, un siciliano che prestava servizio a Zara, il quale, mentre gli slavi stavano per arrivare, con eroico estremo slancio salì sul campanile della chiesa di Sant'Anastasia rimasta miracolosamente illesa in mezzo alle macerie, per issarvi un grande Tricolore: venne fucilato sul posto. Assistè alla scena, nascosto dietro un portone, un ragazzino di 16 anni, Antonio Varisco, che colpito e ammirato dal gesto del giovane ufficiale, volle entrare nei Carabinieri e rimase ucciso poi dalle Brigate Rosse nel 1979.

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