martedì 31 ottobre 2023

ISONZO FIUME SACRO ALL'ITALIA

"Tutti vogliamo esser primi a baciare il manto celeste di Santa Gorizia..." Vittorio Locchi


Vittorio Locchi, irruente patriota toscano interventista e combattente sul fronte dell'Isonzo, scrisse questa lunga poesia, divenuta celebre subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1917 per il siluramento da parte austriaca della nave su cui si trovava: la "sagra di Santa Gorizia", un poemetto pieno di passione che celebra la conquista della città nell'agosto del 1916.


Chi è vissuto nella luce di una fede non potrebbe capire il buio in cui annaspiamo, le assurdità che ci tocca sopportare, in che mani siamo finiti per nostra colpa, egli non ha veduto le disgrazie che ci opprimono, nè ha veduto che abbiamo perso gran parte di quel fiume che, da testimone e combattente, celebrava in quel suo canto di adorazione. 


Dunque, non solo l'Istria, Fiume e la Dalmazia con le sue isole e isolette abbiamo perduto, ma l'alta e media valle dell'amato fiume Isonzo che marca un paesaggio di fiaba attraversato dalla sua vena color di smeraldo. Alla sua sinistra riceve l'Idria e poi il Vipacco, e, attraverso i paesini di Plezzo, Caporetto, Tolmino, Canale d'Isonzo e Santa Lucia d'Isonzo, giunge da Gorizia fino al golfo di Trieste per gettarsi nell'Adriatico. Secondo un'antica leggenda popolare dei "bisiaci", oggi una sparuta minoranza abitante qualche paese Isontino e parlante un dialetto veneto mescolato al friulano e a qualche parola slovena, l'Isonzo fu premiato da Dio con lo sbocco al mare per la sua onestà in una gara con gli altri due fiumi Drava e Sava: una gara in cui avrebbe vinto chi, partendo all'alba, sarebbe arrivato per primo al mare. Un simbolismo quantomai eloquente, visto che lo sbocco al mare è stato sempre il sogno di austriaci e sloveni, e, per averlo, hanno dovuto rubare il territorio all'Italia. Dio diede dunque a ciascuno uno strumento per facilitare l'impresa: un piccone alla Drava, un'ascia alla Sava e un paio di scarpe ferrate all'Isonzo. Ma la Drava e la Sava, imbrogliando, timorose di venir sconfitte dall'Isonzo e vogliose di vincere, senz'aspettare l'alba, mentre l'Isonzo dormiva, partirono prima. Quando l'Isonzo si svegliò e s'accorse dell'imbroglio, andò su tutte le furie, e facendosi largo tra i massi scalciandoli con le sue scarpe ferrate, giunse in pianura dove, stanco, s'adagiò per terra e lentamente giunse al mare, mentre la Drava e la Sava, per la brama e la fretta d'arrivare, persero l'orientamento, sbagliarono strada e andarono a gettarsi in un altro fiume. Ecco cosa succede a chi rigira le carte della Storia. Sembra un'allegoria premonitrice della Grande Guerra.


Ben prima che dal Regno d'Italia, le terre del Goriziano furono infatti sempre rivendicate da Venezia contro l'Austria che non vi aveva nulla a che fare visto che sono al di qua delle Alpi, parte indubitabile del Friuli, tant'è che furono assegnate all'Italia con la Vittoria del 1918. In quanto agli sloveni, essi sono sempre stati nella Carniola, mescolati all'etnìa tedesca che infatti per molto tempo fu maggioritaria a Lubiana e Marburgo, oggi le due città principali della Slovenia: nel corso dei secoli ovviamente sciamarono in ordine sparso nei territori circomvicini, Carinzia, Friuli Orientale e Carso Triestino, ma, prima che l'Austria se ne servisse contro il Risorgimento, si assimilarono facilmente e non raggiunsero mai nessun tipo di supremazia nè numerica, nè tampoco culturale, economica, linguistica e tantomeno militare, e nemmeno una consapevolezza etnica che fu molto tardiva, dimodochè non si vede a che titolo reclamassero e reclamino la immaginaria Slavia veneta la quale non è mai esistita altro che nella loro fertile fantasia.

 

Perché dunque sacro l'Isonzo? Perché è caro alla Patria come lo sono i luoghi perduti e peggio dimenticati, i beni sottratti, i ricordi strappati e rapiti, le memorie obliate e scacciate di cui permane un'orma profonda nell'anima al suono dei loro stessi nomi; sacro perché invaso e sopraffatto da nomi e genti che non sono sue, sacro perché combattuto con dodici battaglie sanguinose nella Grande Guerra, epiche come le dodici fatiche di Ercole; sacro perché fa capo a Santa Gorizia, perché l'Isonzo è Gorizia e il Goriziano, e Gorizia e il Goriziano sono l'Isonzo che li attraversa; sacro perché ricorrente nelle memorie del Risorgimento fin dalle battaglie combattute da Re Carlo Alberto e da tutti coloro che lo seguirono, aventi come meta d'oltrepassare quel fiume per giungere al monte Nevoso e all'Istria. Sacro perché bagnato dal sangue di chi morì massacrato durante la mattanza operata da Tito. Che altro per definirlo sacro all'Italia?


Dalla "sagra di Santa Gorizia":


"TUTTA LA SELVA DI PUNTE ONDEGGIA, SI MUOVE, SI BUTTA SUL MONTE, TRAVOLGE GLI AUSTRIACI SCARAVENTANDOLI GIU' A PRECIPIZIO NELL'ISONZO. 

SEI NOSTRA! SEI NOSTRA! SEMBRA GRIDI L'ASSALTO.

LA CITTA' E' APPARSA, APPARSA A TUTTI NEL PIANO, DALLE VETTE RAGGIUNTE: E TENDE LE BRACCIA, E CHIAMA, LI', PROSSIMA, 

TUTTA RIVELATA, NUDA E PURA NEL SOLE DI FERRAGOSTO, E LIBERA! LIBERA! SOTTO LA CUPOLA CELESTE DEL CIELO D'ITALIA, SOTTO LE GIULIE, ULTIME TORRI SMAGLIANTI DELLA PATRIA."

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