Vi fu un momento, nel secondo dopoguerra, in cui per risolvere il problema dei confini orientali fu avanzata l'ipotesi di uno “scambio” Trieste-Gorizia. L'Italia avrebbe ceduto alla Jugoslavia Gorizia e la Jugoslavia avrebbe concesso Trieste all'Italia.
L'ipotesi rimase in campo per pochi giorni e tuttora è difficile comprendere se si trattava di un'ipotesi concreta o di un'operazione esclusivamente propagandistica da parte del P.C.I. di Togliatti come da molte parti si sostiene. Nell'avvalorare la tesi di una proposta reale va peraltro tenuto conto che all'epoca non vi era ancora stata la “scomunica” del Cominform nei confronti di Tito.
Il rappresentante jugoslavo alla Conferenza di Pace di Parigi aveva dato qualche segnale di apertura ed aveva affermato che si poteva pensare ad un Territorio Libero di Trieste sotto preponderante influenza italiana, ma solo a patto di aggiustamenti alle frontiere. Il 7 novembre, in prima pagina su “L'Unità”, comparve un'intervista a Palmiro Togliatti che riferiva i risultati del suo viaggio a Belgrado e dei colloqui con Tito avvenuti il 4 e 5 novembre 1946. Veniva proposto, in sostanza, un baratto Trieste-Gorizia. e la concessione all'Italia di un corridoio verso Trieste.
Fu una specie di bomba: in due giorni, il Segretario del Partito Comunista Italiano aveva ottenuto dalla Jugoslavia più di quanto la delegazione italiana avesse conquistato nei lunghi mesi precedenti. È vero che il P.C.I. era in difficoltà nel paese sulla vicenda di Trieste e della Venezia Giulia ed aveva bisogno di un risultato clamoroso da sbandierare davanti agli italiani, per dimostrare che i comunisti riuscivano dove il governo - di cui pure essi facevano parte - falliva.
Nell'intervista Togliatti affermava che aveva espresso a Tito "la riconoscenza italiana per il contributo jugoslavo al trionfo della democrazia in Europa". Tito si era dichiarato disposto a lasciare Trieste all'Italia ("a condizione che la città fosse governata democraticamente") in cambio di Gorizia: una piccola città in cambio di una grande porto. Ma sia il governo che la stampa nazionale attaccarono frontalmente Togliatti. De Gasperi in particolare, fin dalla seduta del governo del 7 novembre denunciò l'ambiguità dell'iniziativa, intrapresa dal capo del secondo partito italiano a titolo di leader di partito e non di ministro del governo. Costretto a prendere atto del fallimento della sua iniziativa, Togliatti rilanciò la posta con un editoriale del 10 novembre ("La politica dei calci nel sedere") con cui difendeva il realismo della sua proposta e denunciava la politica di De Gasperi, che affidando le sue speranze al solo aiuto americano, aveva perso l'Istria e rischiava di perdere anche Trieste. Di lì a poco il P.C.I. fu estromesso dal governo nazionale.
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