Codici beneventani conservati nella Biblioteca arcivescovile di Benevento |
Chi conosce la storia e la cultura della costa dalmata conosce i legami culturali profondamente radicati tra Venezia e la Dalmazia. A lui sono altrettanto noti i legami immemorabili tra l'antica Roma e la Dalmazia, che costituirono la base originaria del patrimonio latino e italico della Dalmazia. Molto meno noti, invece, sono i profondi legami culturali tra la Dalmazia e l'Italia meridionale, e in particolare tra la Dalmazia e il Ducato di Benevento
Scrittura beneventana
La scrittura beneventana era una scrittura medievale utilizzata tra l'VIII e il XIII secolo nell'Italia meridionale e in Dalmazia. Ebbe origine nel Ducato di Benevento fra i monaci e gli scribi italiani dell'abbazia benedettina di Montecassino. Evoluzione della corsiva romana, in uso fino al VII secolo d.C. quando diede origine alla scrittura beneventana e ad altre scritture. Sebbene la scrittura beneventana decadde dopo il XIII secolo, sopravvisse in alcuni luoghi fino alla fine del XVI secolo.
L'uso comune della scrittura beneventana è uno dei tanti esempi che testimoniano l'antico e inscindibile legame culturale tra l'Italia e la Dalmazia.
Elias Avery Lowe, uno dei massimi studiosi di scrittura beneventana, ha detto riguardo alla Dalmazia e alla scrittura beneventana quanto segue:
“Lo scopo del presente volume è quello di fornire una storia della minuscola dell'Italia meridionale... L'uso della scrittura beneventana in Dalmazia interessa sia il paleografo che lo studioso della cultura occidentale. L'origine italiana della nostra scrittura non ha bisogno di elaborate dimostrazioni, poiché è ormai ammessa da tutte le parti...
(...)
La storia di una scrittura durata cinque secoli è indissolubilmente legata alla storia della regione in cui venne utilizzata. Una tale scrittura riceverebbe necessariamente qualche impronta dei movimenti intellettuali e politici della sua località, e quindi agirebbe come un registro oltre che come un mezzo di cultura. Nella storia della cultura occidentale l'Italia meridionale ha avuto un ruolo, se non di primo piano, certamente significativo.
(...)
Chiameremo con il nome tradizionale più appropriato di beneventana quella peculiare scrittura che crebbe e fiorì nell'antico ducato di Benevento e che rimase in uso per quasi cinque secoli nei monasteri e nelle scuole di tutta l'Italia meridionale, estendendo il suo dominio anche oltre l'Adriatico fino alla Dalmazia. ... Verso est la provincia della scrittura si estendeva oltre la penisola italiana. Troviamo la scrittura beneventana usata sulle Isole Tremiti nell'Adriatico e lungo tutto il litorale della Dalmazia da Ossero a Ragusa.
Dai dati forniti dai MSS., sappiamo che la beneventana fu utilizzata nei seguenti luoghi:
Bari, Benevento, Bisceglie, Caiazzo, Capua, Cava, Fondi, Gaeta, Mirabella Eclano, Monte Cassino, Monte Vergine, Napoli, Ossero (Dalmazia), Ragusa (Dalmazia), Salerno, San Angelo in Formis, San Bartolomeo di Carpineto, San Benedetto di Cesamo, San Benedetto di Clia, San Libera tore alia Majella, San Lorenzo in Carminiano, San Maria di Albaneta, San Michele, San Nicola della Cicogna, San Vincenzo al Volturno, Sora, Sorrento, Spalato (Dalmazia), Sulmona, Teramo, Traù (Dalmazia), Isole Tremiti, Troia, Veroli, Zara (Dalmazia).
(...)
Tra i centri minori in cui fu impiegata la scrittura beneventana, meritano una menzione speciale quelli in Dalmazia...
Le città marittime della Dalmazia hanno sempre costituito il confine naturale tra razze, religioni e lingue diverse. ... È in quanto avamposti di quella civiltà latina che qui ci interessano. Se esaminiamo i manoscritti e i documenti più antichi rimaniamo colpiti dal fatto curioso che la loro scrittura è la stessa usata nell'Italia meridionale... Il fatto può avere una sola interpretazione: dimostra che la cultura latina della Dalmazia proveniva principalmente dall'Italia meridionale. Se non ci fossero pervenute testimonianze storiche sulla Dalmazia medievale, la scrittura peculiare dei documenti e dei manoscritti dalmati dal X al XIII secolo avrebbe fornito una prova evidente e innegabile che la cultura della Dalmazia derivava in larga misura dai suoi vicini italiani d'oltremare. Così com'è, la conclusione basata su considerazioni paleografiche è confermata da fatti storici.
Nell'anno 986, quando fu ricostruito il monastero di S. Crisogono di Zara, il priore e i nobili della città, desiderando dare all'abbazia un capo il più competente possibile invitarono Madio, monaco di Montecassino, a diventarne abate. In un'epoca in cui i benedettini erano praticamente gli unici depositari del sapere, l'arrivo in Dalmazia di un monaco educato nel più illuminato centro benedettino non fu probabilmente privo di una certa importanza per la cultura dalmata. I rapporti tra Montecassino e Ragusa sono attestati dall'iscrizione sulla porta bronzea di Montecassino, che ricorda il patrimonio di San Benedetto al tempo dell'abate Desiderio: in Dalmatia prope civitatem Ragusiam ecclesia sanctae Mariae in loco qui dicitur in Rabiata. L'abbazia benedettina di Lacroma, nei pressi di Ragusa, fu fondata nel 1023 da Pietro, monaco originario delle Isole Tremiti. Tra queste isole e Montecassino vi furono rapporti costanti e vari nell'XI secolo. Sappiamo da un ms. esistente che nelle isole era usata la scrittura beneventana. Dopo l'incendio di Ragusa si dice che tre monaci di Montecassino si siano recati per restaurare l'ordine benedettino in quella città. Un architetto barese ebbe un ruolo di primo piano nella costruzione, intorno al 1199, della cattedrale di Ragusa. Nel 1081 e ancora tra il 1185 e il 1192 Ragusa fece causa comune con i Normanni dell'Italia meridionale. Il comune di Cattaro, situato tra Ragusa e Antivari, era soggetto alla giurisdizione ecclesiastica dell'Arcivescovo di Bari. È noto infatti che vi erano continui rapporti commerciali tra le città della Puglia e quelle della Dalmazia.
Che la cultura latina della sponda orientale dell'Adriatico non sia altro che un prolungamento di quella prevalente su quella occidentale è abbastanza naturale. Ma il fatto notevole è che le forze dominanti in quella cultura erano pugliesi piuttosto che italiane settentrionali, come illustrano la scrittura e il dialetto. Fino al XV secolo, quando cominciò a cedere al veneziano, il dialetto della Dalmazia somigliava più a quello pugliese che a qualsiasi dialetto del Nord Italia. E lo stile della scrittura beneventana abitualmente praticata in Dalmazia era della varietà rappresentata dal tipo barese, cioè da quello che troviamo in tutta la Puglia.
Come centri importanti della Dalmazia si possono citare Spalato, Ragusa, Zara e Traù, soprattutto Zara, dove avevano sede le case benedettine di S. Grisogono e S. Maria, quest'ultima convento tuttora esistente.
Il fatto che i documenti della Dalmazia dal X al XII secolo fossero scritti in scrittura beneventana farebbe naturalmente pensare che la stessa scrittura fosse impiegata nella produzione di libri. Lo confermano con assoluta certezza i MSS. beneventani pervenutici originari della Dalmazia.”
(Fonte: Elias Avery Lowe, The Beneventan Script: A History of the South Italian Minuscule, 1914)
L'argomento è discusso anche dal professor Richard F. Gyug:
“In questo periodo i centri costieri crebbero e si svilupparono in piccole città dotate di istituzioni civili, tra cui vescovati... Molti mantennero anche stretti legami con i vicini centri costieri dell'Italia meridionale. ... Dopo il VI secolo, la struttura ecclesiastica tardoantica della regione fu ridotta a livello locale da mutamenti civici e da divisioni tra regioni romano-latine e slave. ...le città costiere conservarono molti elementi latini sia nella cultura che nelle chiese. Prima del XII secolo anche i monasteri dell'Italia meridionale longobarda esercitarono un'influenza significativa in Dalmazia. I monaci benedettini si stabilirono nelle Isole Tremiti nell'Adriatico nel X secolo, e ci sono testimonianze di case monastiche fondate in Dalmazia da Tremiti o da Montecassino, che rivendicavano le Tremiti come dipendenza. Il risultato è che molti dei manoscritti altomedievali sopravvissuti dalla Dalmazia sono in scrittura beneventana, la scrittura monastica dell'Italia meridionale, e molti di questi contengono testi o liturgie monastiche. Le chiese dalmate erano aperte anche all'adozione dei culti dell'Italia meridionale.”
(Fonte: Richard F. Gyug, Liturgy and Law in a Dalmatian City: The Bishop's Book of Kotor, 2016)
Particolarmente interessante è l'ultima frase sui culti dell'Italia meridionale, perché è molto probabile che il culto di San Biagio – patrono di Ragusa – si sia diffuso in Dalmazia dall'Italia meridionale. La venerazione di San Biagio è documentata nella città di Maratea, nell'Italia meridionale, già nel 732 d.C., due secoli prima che fosse adottato come patrono da Ragusa. Le testimonianze storiche esistenti indicherebbero che il culto di questo santo – tra molti altri – si diffuse in Dalmazia e nel resto della penisola italiana dal sud Italia.
Canto beneventano
Oltre alla scrittura beneventana, è anche interessante notare che il canto beneventano – una varietà locale di canto liturgico cattolico romano, simile al canto gregoriano e al canto ambrosiano – era praticato non solo a Benevento e in altre città meridionali della penisola italica, ma era anche utilizzato in Dalmazia, fornendo l'ennesima testimonianza dei profondi legami culturali tra la Dalmazia e il circolo benedettino dell'Italia meridionale a Benevento:“Il collegamento transadriatico era più di un espediente politico. Oltre ai già citati legami culturali tra i monasteri dalmati e quelli dell’Italia meridionale, vi furono molte possibilità di scambio che lasciarono tracce nelle pratiche comunitarie, nella liturgia e nelle forme della scrittura.”
(Fonte: Richard F. Gyug, Liturgy and Law in a Dalmatian City: The Bishop's Book of Kotor, 2016)
“La liturgia beneventana fu praticata a Benevento, Montecassino, Bari e Salerno; in Dalmazia; e in altri luoghi quasi fino a Roma.”
(Fonte: Christopher Kleinhenz, Medieval Italy: An Encyclopedia, 2004)
“L'Italia meridionale era la patria del canto beneventano, usato anche in Dalmazia, e vi sono tracce anche di una tradizione napoletano-capuana.”
(Fonte: Peter Jeffery, Re-Envisioning Past Musical Cultures: Ethnomusicology in the Study of Gregorian Chant, 1995)
Quasi tutte le fonti notevoli di musica sacra in Dalmazia furono influenzate dagli ambienti culturali e musicali beneventani e centro-meridionali italiani. La maggior parte delle fonti liturgiche e musicali dalmate furono scritte in scrittura beneventana, e quindi fu utilizzata anche la notazione di tipo beneventano. Nella seconda metà dell'XI secolo il canto beneventano utilizzato nei centri benedettini di Benevento e Montecassino nell'Italia meridionale fu gradualmente sostituito dal canto gregoriano e dal rito romano. Le città dalmate di Ossero, Zara, Traù, Spalato, Ragusa e Cattaro, invece, continuarono ad alimentare il canto beneventano fino alla fine del XIII secolo.
Lingua dalmatica (Dalmatico)
Prima della diffusione del dialetto veneziano e dell'italiano standard, la lingua parlata lungo tutta la sponda orientale dell'Adriatico era un insieme di dialetti neolatini denominati dalmatico. Da Veglia a Ragusa, da Cattaro a Durazzo, questa era la lingua madre parlata nel Medioevo dagli abitanti della costa dalmata. Derivano dal latino, la lingua di Roma che fu portata in Dalmazia nell'antichità dai coloni romani dall'Italia.Sebbene il latino scritto sia rimasto lo stesso, a partire dal IX secolo il latino parlato cominciò a divergere in più dialetti e lingue, dando origine ai diversi, seppur strettamente imparentati, dialetti della penisola italiana e della Dalmazia. I dialetti della Dalmazia subirono in seguito una forte influenza dal veneziano prima di estinguersi nel XIX secolo. Come già notato in precedenza, Elias Avery Lowe considerava i dialetti dalmatici originari più simili a quelli parlati in Puglia, nell'Italia meridionale:
“Ma il fatto notevole è che le forze dominanti in quella cultura erano pugliesi piuttosto che italiane settentrionali, come illustrano la scrittura e il dialetto. Fino al XV secolo, quando cominciò a cedere al veneziano, il dialetto della Dalmazia somigliava più a quello pugliese che a qualsiasi dialetto del Nord Italia.”
(Fonte: Elias Avery Lowe, The Beneventan Script: A History of the South Italian Minuscule, 1914)
Anche l'Enciclopedia Britannica segnala un collegamento linguistico tra la Dalmazia e l'Italia meridionale:
“Il dalmatico e l'italiano meridionale, invece, erano così strettamente legati alle lingue che conservavano la -s e quindi premettevano l'articolo che in questo particolare si distinguevano dal rumeno. ... Nelle sue consonanti e, per quanto si può giudicare, nella sua morfologia, il dalmatico ha conservato l'impronta dell'antichità. Ma nel suo sistema vocalico ci sono notevoli cambiamenti, soprattutto nella sostituzione dei dittonghi con le vocali vicine... Dittonghi come compaiono anche in istriano e abruzzese, per cui dobbiamo presupporre una sorta di connessione.”
(Fonte: Hugh Chisholm, Encyclopedia Britannica, Eleventh Edition, Vol. 23, 1922)
T. G. Jackson, uno dei più importanti scrittori sulla Dalmazia del XIX secolo, fece la stessa osservazione, sottolineando la somiglianza linguistica tra la Dalmazia e l'Italia meridionale:
“L'italiano anticamente parlato in Dalmazia [prima del XV secolo] non era il dialetto veneziano; in alcune parti aveva una forma propria, in altre somigliava alla forma in cui si era sviluppato il latino nell'Italia meridionale o in Umbria, e solo dopo il 1420 cominciò ad assumere il carattere dell'italiano parlato in Lombardia e nel Veneto.”
(Fonte: T. G. Jackson, Dalmatia, the Quarnero and Istria, Vol. 1, 1887)
Anche dopo secoli di influenza veneziana, si poteva ancora individuare un legame tra il tardo dalmatico e i dialetti dell'Italia meridionale:
“Il sistema dalmata si distingue per il fatto che oggi è completamente estinto, sebbene abbia lasciato tracce della sua precedente esistenza. Si suppone che sia il continuatore del latino volgare della provincia romana dell'Illiria, sulla sponda orientale dell'Adriatico... Il dalmatico si fece sempre più ristretto, finché alla fine dell'Ottocento venne circoscritto all'isola di Veglia, alla testa dell'Adriatico. Bartoli riuscì a trascrivare le parole dell'ultimo parlante superstite, Antonio Udina, prima della morte di quest'ultimo. Dal suo studio emergono i seguenti fatti riguardanti la lingua nella sua forma tardo ottocentesca: il vegliote (il dialetto dell'isola di Veglia) sembra costituire un collegamento tra i dialetti italiani orientali, veneto, abruzzese e pugliese, e il rumeno.”
(Fonte: Mario Pei, The Story of Latin and the Romance Languages, 1976)
Lo stesso autore si spinge oltre, affermando che il dalmatico si qualifica come dialetto italiano:
“Nella morfologia non c'è indicazione di un doppio caso, mentre l'eliminazione della -s finale comporta l'uso apparente di forme nominative del latino al plurale, come in italiano. Sotto questi aspetti il dalmatico si qualificherebbe come dialetto italiano.”
(Fonte: Mario Pei, The Story of Latin and the Romance Languages, 1976)
Lingue italo-dalmate
I dialetti dalmatico, istroveneto, toscano, corso, centro-italiano, italiano meridionale e veneto, secondo molti linguisti, sono abbastanza simili da rientrare in un ramo comune delle lingue italiche che chiamano italo-dalmata. Secondo quegli studiosi che aderiscono a questa classificazione linguistica, i dialetti dell'Italia meridionale sarebbero più simili al dalmatico che ai dialetti dell'Italia nord-occidentale, mentre la lingua italiana stessa sarebbe classificata come lingua italo-dalmata:“Italiano: Indoeuropeo > Italico > Romantico > Italo-occidentale > Italo-dalmata.”
(Fonte: E. K. Brown, Encyclopedia of Language and Linguistics, Vol. 2, 2006)
“Il romanzo italo-occidentale si divide binariamente in italo-dalmata e romanzo occidentale. La prima lingua comprende dialetti dell'Italia nord-orientale e centrale, e alcune dell'Italia meridionale, nonché le aree (principalmente costiere?) della Dalmazia e della Pannonia; la seconda comprende i dialetti dell'Italia nord-occidentale, del Norico, della Gallia e dell'Iberia.”
(Fonte: Frederick Browning Agard, A Course in Romance Linguistics, Vol. 2, 1984)
“La lingua parlata in Abruzzo rientra in un insieme di lingue conosciute come italo-dalmata, che comprende anche l'italiano standard ufficiale.”
(Fonte: Luciano Di Gregorio, Italy: Abruzzo, 2017)
Nobiltà dalmata
Molte delle famiglie nobili più famose della Dalmazia ebbero origine nell'Italia meridionale. La famiglia Ghetaldi e la famiglia Bona di Ragusa sono originarie entrambe della Puglia prima di stabilirsi a Ragusa nel X secolo; i Ghetaldi provenivano da Taranto, mentre i Bona provenivano da Vieste. Si dice anche che la famiglia Ragnina sia originaria della città di Taranto, in Puglia, prima di trasferirsi in Dalmazia (sebbene, secondo un'altra tradizione, la famiglia sarebbe di antica origine romana).Anche la famiglia Bertucci o Bertuzzi di Lesina fa risalire le sue origini alla Puglia, mentre la famiglia Paladini di Lesina proveniva da Teramo in Abruzzo. La famiglia Bonifacio di Sebenico è originaria di Capua. Infine la famiglia De Lupis, che divenne prominente in Dalmazia e Fiume, ebbe origine in Puglia prima di stabilirsi in Dalmazia nel XIII secolo.
Queste famiglie italiane diedero origine a molti illustri personaggi dalmati, come Marino Ghetaldi, Domenico Ragnina, Serafino Cerva, Antonio Bertuccio, Natale Bonifacio, Giovanni Battista Benedetti Paladini, Nicolò Paladini, Paolo Paladini, Lorenzo Doimi de Lupis e Giovanni Biagio Luppis.
Santo dalmata in Puglia
Vale la pena qui ribadire brevemente l'antico legame ecclesiastico tra l'Italia e la Dalmazia. Per molti secoli tutte le maggiori chiese della Dalmazia furono italiane, la gerarchia ecclesiastica fu italiana e i vescovati furono occupati da italiani. D'altra parte, in alcune occasioni, anche i dalmati entrarono negli ranghi ecclesiastici in Italia. Uno di questi divenne uno dei santi più amati della Puglia: il beato Agostino Casotti.Italiano per lingua e cultura, Agostino Casotti nasce nella città dalmata di Traù dalla famiglia Casotti, nobile famiglia di origine veneta. È noto soprattutto in Italia per il suo incarico di vescovo di Lucera, in Puglia. Sebbene il suo regno fosse breve, iniziò molte opere pubbliche memorabili. Ristabilì anche il cristianesimo nella città, precedentemente occupata dai musulmani, e restituì alla città l'antico nome: Santa Maria della Vittoria.
Si ritirò nel convento domenicano di Lucera, dove morì in odore di santità il 3 agosto 1323. Dopo la sua morte fu venerato dai luceresi e il suo culto si diffuse rapidamente. Il suo corpo riposa oggi nella Basilica di Santa Maria Assunta a Lucera.
Il Rinascimento
I legami culturali tra la Dalmazia e l'Italia meridionale continuarono nel periodo rinascimentale. Mentre molti architetti e artigiani dall'Italia si recavano in Dalmazia, allo stesso tempo molti dalmati si recavano in Italia. L'esempio più emblematico di questo periodo è Francesco Laurana. Nato in Dalmazia, si trasferì a Napoli nel 1453 e lavorò per diversi anni alla corte del re di Napoli prima di trasferirsi in Sicilia nel 1467. Ritornò a Napoli nel 1471, poi lavorò ad Urbino dal 1474 al 1477.
È proprio Francesco Laurana che è ricordato e accreditato come uno dei fondatori del Rinascimento italiano in Sicilia. A lui si deve in parte la costruzione dell'Arco trionfale del Castel Nuovo a Napoli e della Cappella Mastrantonio a Palermo. Realizzò cappelle, altari, sculture, busti, tombe, monumenti funerari e altre opere artistiche. Sue opere sono conservate in varie chiese, cattedrali e palazzi della Sicilia e dell'Italia meridionale, tra cui Napoli, Palermo, Castelvetrano, Noto, Messina, Siracusa, Sciacca e Andria.
Conclusione
Questi sono solo alcuni dei tanti esempi dell'antico flusso di famiglie e del continuo scambio di culture tra la sponda orientale e quella occidentale del mare Adriatico, un mare che da sempre unisce la Dalmazia all'Italia, anziché separarla.La cultura latina e italica che ha permeato la Dalmazia per millenni è dovuta non solo ai veneziani e agli antichi romani, ma può anche essere in parte attribuita agli stretti legami etnici, linguistici e culturali esistenti tra la Dalmazia e l'Italia meridionale nel Medioevo, che senza dubbio contribuito alla conservazione del patrimonio romano in Dalmazia durante l'assalto delle invasioni barbariche che minacciavano di cancellare la civiltà latina.
L'Italia meridionale, in un certo senso, costituì il proverbiale “anello mancante” tra la Dalmazia e la terraferma italiana in quel periodo tra la caduta di Roma e l'ascesa di Venezia.
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