Nato a Capodistria l'11 aprile 1720 e discendente da nobile famiglia di quella città, fu dai genitori posto a studiare i primi rudimenti letterari in quelle civiche scuole fino ai dodici anni, indi inviato a Flambro nel Friuli presso il dotto abate Giuseppe Bini, sotto la scorta del quale attese allo studio delle scienze esatte e della fisica.
Fornito di straordinario e versatile ingegno, in mezzo a quegli studi severi, trovò modo il Carli di applicarsi anche a quelli non meno ardui della storia e delle antichità. I monumenti del medioevo, e del risorgimento artistico italiano furono per lui oggetto di speciali indagini. Trasferitosi poi a Padova, in quella celebre Università attese a perfezionarsi nelle matematiche, cui aggiunse lo studio della giurisprudenza, e delle lingue greca, latina ed ebraica.
Chi lo avvicinava in quel suo fervore di studi, avrebbe facilmente potuto preconizzare in lui il futuro economista, l'uomo di stato, l'archeologo ed erudito insigne, emulo dei più celebrati d' Italia. Fornito com' era di solida dottrina, e di estesissima cultura, in ancora giovane età, gli furono aperte le porte dell'Accademia de' Rinovati. La fama sempre crescente del suo vasto sapere mosse il governo della Repubblica a chiamarlo a Venezia per insegnarvi astronomia e la nautica, e soprastare ai lavori di quel celebre Arsenale.
La stima altissima guadagnatasi fra i dotti, gli valse la nomina di Presidente di quella stessa Accademia de' Rinovati, che egli sovente onora a con i suoi scritti.
Ammogliatosi nel 1747, dopo soli due anni rimase vedovo con un figlio da allevare e una grande sostanza da amministrare. Fu in questo tempo ch’egli aggiunse al proprio il nome della possidente famiglia della defunta moglie, e si chiamò da allora in poi Gian Einaldo Carli-Rubbi.
Le cure dell' amministrazione domestica lo tolsero alla scuola di nautica, e alla direzione dell'Arsenale, obbligandolo a restituirsi in Istria, dove si recò in compagnia dell'illustre naturalista Vitaliano Donati. In mezzo ai problemi della vasta ed intricata azienda, cui dedicò la massima parte della sua energica attività, trovò ancora forza e mente da proseguire i suoi studi prediletti.
Datosi alla ricerca delle antichità di quella remota regione italiana, scrutò i monumenti della sua patria, e tra questi fece dell'Anfiteatro di Pola l'oggetto principale delle sue dotte illustrazioni.
Ma lo studio delle monete, al quale aveva preludiato colla sua bella dissertazione sull'uso dell'argento, da allora e finche visse, prese il sopravvento nell'animo di lui e ne diede uno splendido saggio in due pregiate dissertazioni, dopo le quali, volendo sempre più approfondire, ed esaurire per quanto gli era possibile quell'argomento, fece nuove indagini, estese le sue corrispondenze, intraprese viaggi a Torino, a Milano, nella Toscana.
Dopo tre anni d'indefesse ricerche, cioè nel 1754, apparve in Mantova il primo tomo dell'opera che doveva collocarlo fra i primi e più celebrati nummologi del suo tempo, con il titolo "Delle monete e dell' istituzione delle zecche d' Italia, dell'antico e presente sistema d' esse e del loro intrinseco valore e rapporto con la presente moneta dalla decadenza dell'Impero fino al secolo XVII" per utile delle pubbliche e private ragioni.
A questo, dopo il breve intervallo di tre anni, tenne dietro il secondo tomo stampato a Pisa nel 1757 e successivamente la prima e la seconda parte del terzo coll'aggiunta di un' appendice, edite a Lucca nel 1760.
La fama che il Carli ottenne con quest'opera monumentale ottenne il plauso dei dotti, dei giureconsulti, degli economisti, degli uomini di Stato e dei Corpi politici che ne attestarono l'eccellenza.
Le Corti più importanti della penisola italiana ne accettarono presto i postulati, ne adottarono i principi nei saggi delle monete, e per stabilire i rapporti di queste.
Fu, infatti, la Corte imperiale di Vienna ad offrirgli l'incarico più prestigioso della sua vita: l'Imperatore Giuseppe II intento a migliorare l'indirizzo degli studi, e le finanze del suo vasto impero, pensò di valersi del sapere del Carli e lo nominò Presidente del Consiglio di commercio e di finanze, nonché del Consiglio della Pubblica Istruzione; ed in questo non meno che in quelli il Carli esplicò la sua energia in utili innovazioni, e nella capitale asburgica, dove era stato chiamato dal celebre ministro Wenzel-Anton von Kaunitz-Rietberg, che nel 1765 reggeva le sorti dell'Impero, suscitò l'ammirazione dei dotti anche della Germania.
Tornato a Milano onorò l'eccelsa sua carica in conferenze sulla pubblica economia, presenziate nel 1769 dallo stesso Imperatore, che gli accrebbe lo stipendio e lo insigní del titolo di Consigliere privato di Stato.
Tante fatiche logorarono la sua salute e sentendosi mancare le forze vitali, decise di abbandonare ogni incarico per vivere tranquillamente e godersi, sciolto daquelle cure pressanti, l'agiatezza conseguita in tanti anni d'indefesso lavoro.
Fu in questo tempo di relativo riposo che diede mano al compimento e alla produzione d'un gran numero di altre opere minori su argomenti svariatissimi che sarebbe troppo lungo accennare.
Citiamo comunque una vasta raccolta di ricerche fatte in tempi diversi sulle antichità italiane, raccolta che rese di pubblica ragione negli anni 1788-91, in 5 volumi e che riscosse le lodi e le onoranze dell'Imperatore Leopoldo II, successo nel 1790 al fratello Giuseppe II.
Gian Rinaldo Carli morì il 22 febbraio 1795, e fu sepolto nella chiesa della Madonna di Cusano a Milano. Alla sua memoria furono poste due iscrizioni, una nell'interno, l'altra esternamente della menzionata chiesa , riportate nell’ Elogio del Carli, scritto da Luigi Bossi. Una sola
di quelle iscrizioni si conserva ancora, davanti l'altare:
OSSA IOAN. RINALDI CARLI
IVSTINOPOLITANI
ANNO MDCCXCV EX TEST. H. S. S.
QVO PIE CONSTANTER
DEC. IX KAL. MARTL ANN. AGENS LXX
STVDIO ERVDITIOME SCRIPTIS
Il Carli, che per più di un trentennio aveva vissuto nella metropoli lombarda, fu dai milanesi considerato quale loro concittadino, e la città, passato quasi un secolo dalla sua morte, in memoria dell' insigne filosofo, del grande statista e dell'integerrimo magistrato, ne scrisse il nome nel suo famedio tra quelli de' più benemeriti ed illustri suoi figli.
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