Per lungo tempo l’articolo “Della patria degli Italiani” comparso anonimo sulle colonne del numero 2 del giornale illuminista “Il Caffè” è stato attribuito a Pietro Verri. In realtà quel testo datato 1765 era opera di Gian Rinaldo Carli, raffinata figura di intellettuale, economista e storico nato a Capodistria l’11 aprile 1720, 300 anni fa.
Tanto nella riscoperta della storia istriana quanto nei suoi lavori di carattere economico, Carli denotò un grande acume di ricercatore e di teorico: un suo tentativo imprenditoriale non ebbe successo, ma fu comunque per 15 anni presidente del Supremo Consiglio dell’Economia del Ducato di Milano, all’epoca sotto il dominio degli Asburgo. Trasferitosi in Lombardia ebbe così modo di affinare la propria formazione illuminista e di collaborare con i fratelli Verri in quella fucina di idee rappresentata dalla rivista “Il caffè”. Il suo lealismo nei confronti dei sovrani austriaci non gli impedì di sviluppare un sentimento patriottico ante litteram, che sarebbe sfociato nel già ricordato articolo che contestava l’eccessivo asservimento dei suoi connazionali nei confronti delle dominazioni straniere che avevano portato alla frammentazione dell’Italia in una miriade di Stati e staterelli. E la natia Istria era considerata, non solo per l’appartenenza alla Repubblica di Venezia, come parte integrante della comunità di lingua, cultura e tradizione italica, come ebbe modo di documentare e ribadire, anche con riferimento alla Dalmazia, nella sua poderosa opera in 5 volumi “Delle antichità italiche”, data alle stampe nel 1788. L’anno successivo avrebbe visto scatenarsi la rivoluzione francese, uno dei cui lasciti fu il concetto di “nazione”, al quale Carli si era pertanto in qualche misura già approcciato.
Carli rientra a tutti gli effetti tra quegli istriani, fiumani e dalmati che nel corso dei secoli sono stati partecipi del percorso culturale, letterario ed artistico italiano, dimostrando che il mare Adriatico univa e manteneva in collaborazione le comunità italofone radicate su entrambe le sponde.
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