In tanti - e comunque sempre in troppi - parlano di Foibe, di Esodo, di Fascismo e persecuzione delle minoranze slave nella Venezia Giulia, senza sapere la storia.
Oppure falsandola abilmente, ma con noi non funziona!
Coloro che tirano in ballo, anche commentando su questa pagina, questioni delicate come la politica di snazionalizzazione dell’elemento slavo dopo l’avvento del Fascismo - cosa che non si può che confermare, perché fu messa in pratica - per giustificare ciò che avvenne dopo l’8 settembre 1943, e addirittura i massacri compiuti dai titini nel maggio-giugno 1945 nella Venezia Giulia, a guerra finita, non spiegano mai che prima della salita al potere di Mussolini, ben prima del suo discorso di Pola, gli slavi avevano già snazionalizzato le minoranze tedesche e magiare dello stato che avevano fondato nel dicembre 1918, ovvero il Regno dei Serbi Croati e Sloveni.
E stiamo parlando di minoranze consistenti, che in determinati territori erano la totalità degli abitanti.
Nei primi dieci decreti del Governo del nuovo e tumultuoso Paese, nel periodo dal dicembre 1918 al giugno 1919, erano stati decisi e subito attuati i seguenti provvedimenti:
- cambio della storica, secolare toponomastica originale tedesca, magiara, ed italiana;
- chiusura di tutte le associazioni, dei circoli di cultura, dei giornali della minoranza tedesca e magiara, che costituivano, in particolare modo in Stiria e Carniola, la classe culturale ed economica della società di allora in quei luoghi, così come quella italiana in Dalmazia;
- chiusura di tutte le scuole tedesche e magiare;
- confisca dei beni delle famiglie aristocratiche e possidenti non slave;
- divieto di parlare in pubblico il tedesco e l’ungherese.
Marburgo e Cilli - due gioielli artistici della Stiria compattamente tedesche, diventate Maribor e Celje, così come innumerevoli altre piccole cittadine come Friedau (oggi Ormož) e St. Leonhard (oggi Lenart) - vennero evacuate dalla popolazione che le abitava da secoli, con un allontanamento di massa.
In pochi mesi, dunque, questi provvedimenti messi in pratica dagli Sloveni e dai Croati - che non lo ricordano mai, preferendo di gran lunga fare il ruolo di vittime, dimenticando quello di persecutori! - hanno decretato la morte di una civiltà!
È bene che questo venga ribadito, con la sottolineatura che tali provvedimenti furono messi in pratica ben prima dell’incendio del Balkan a Trieste (luglio 1920) e ben prima della nascita del regime fascista (ottobre 1922).
Vogliamo ricordare oggi ciò che accadde a Marburgo il 27 gennaio 1919: una odiosa strage di civili compiuta da militari sloveni nota tra i discendenti dei sopravvissuti e dalla comunità storica della città, cacciata subito dopo, come “Domenica di sangue” (“Marburger Blutsonntag”).
Una strage che la Slovenia non ha finora mai, abbastanza vergognosamente, nonostante gli appelli della piccola minoranza tedesca del paese, riconosciuto.
Marburgo era allora la seconda città più grande del vasto Ducato di Stiria: a quasi totalità tedesca, era però inserita in una zona geografica poco abitata (campagne e foreste), ma prevalentemente da sloveni, e di conseguenza reclamata da questi ultimi.
Il 1º novembre 1918 i battaglioni della riserva slovena della regione (k.k. Landsturm) occuparono la città al comando di Rudolf Maister, capitano del k.k. Landsturm-Bezirkskommandos Nr. 26 dell'imperialregio esercito austro-ungarico. Questi fece occupare anche una serie di località della Stiria meridionale quali Radkersburg, Spielfeld, Mureck ed altre ancora, parte delle quali in seguito vennero assegnate alla neonata Repubblica Austrogermanica: lo scopo di Maister era quello di isolare Marburgo dal resto della Stiria abitata da popolazioni tedesche. In rapida successione, Maister si autoproclamò a Lubiana comandante militare della città di Marburgo, deponendo l'allora borgomastro Johann Schmiderer e il consiglio municipale, tutti di lingua tedesca.
Nei giorni seguenti, i funzionari municipali di lingua tedesca vennero licenziati e sostituiti con impiegati sloveni, mentre per impedire una resistenza armata vennero presi degli ostaggi fra i personaggi prominenti della comunità tedesca.
Dopo mesi di rapporti estremamente tesi, durante i quali in alcune località della Stiria occupata militarmente dalle truppe di Maister - nominato nel frattempo generale dal Consiglio Nazionale degli Sloveni della bassa Stiria - erano anche sorti dei gruppi di resistenza costituiti da volontari, venne annunciata per il 27 gennaio 1919 la visita di una delegazione statunitense: scopo della visita era la verifica della situazione etnica di Marburgo.
Una parte della popolazione cittadina e dei paesi circostanti si era riunita nella piazza del municipio, sventolando le bandiere delle varie corporazioni tedesche, preparandosi a dimostrare per l'inserimento della città nella nuova Austria.
I soldati sloveni - che facevano la guardia tutt'attorno - ad un certo momento aprirono il fuoco: gli spari vennero esplosi senza motivo contro i pacifici manifestanti, armati soltanto di bandiere, che reclamavano il diritto di rimanere nella loro città rivendicata dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Il bilancio della strage fu pesante: 13 morti e circa 60 feriti fra i manifestanti.
Successivamente alla sparatoria, la piazza venne sgombrata e all'arrivo della delegazione americana gli austriaci di Marburgo non poterono far giungere al colonnello Miles, il capo della missione, i propri appelli.
Subito dopo il massacro, il generale Maister ordinò la soppressione dello storico quotidiano cittadino in lingua tedesca Marburger Zeitung, e poche settimane dopo iniziarono ad essere messi in pratica i provvedimenti per eliminare la secolare presenza tedesca e magiara nella regione: chiusura di associazioni e della stampa non slava, chiusura delle scuole, cambio della toponomastica, divieto di usare la lingua tedesca in pubblico, esproprio dei beni alle famiglie aristocratiche non slave.
A differenza della Carinzia, le cui sorti vennero decise da un plebiscito, e a differenza di altre località della Stiria meridionale ove si mantennero dei contingenti armati di cittadini di lingua tedesca fino al trattato di Saint Germain, Marburgo si rimise semplicemente alle decisioni della conferenza di pace, facendo unicamente pervenire un appello firmato dagli ex borgomastri e dai rappresentanti decaduti dei vecchi consigli municipali. La città venne annessa al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e sottoposta ad un capillare processo di slovenizzazione, unitamente all'emigrazione forzata di gran parte della popolazione originaria e alla sua sostituzione con popolazione slovena.
Nessun politico in Slovenia ha mai chiesto scusa per questo feroce atto contro la popolazione inerme.
Cari vicini Sloveni: prima di accusare di amnesia storica l'Italia, guardate bene le omissioni e le censure a casa vostra!
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