Enrico Morovich nasce a Sussak di Fiume nel 1906. Sussak nacque come sobborgo di Fiume soltanto dopo la metà dell'Ottocento, e anche se venne popolato in maggioranza da slavi (comunque con una percentuale italiana consistente), era strettamente a contatto con la realtà italiana, la città italiana e la cultura italiana, tanto che numerose testimonianze storiche ci sottolineano l'utilizzo del dialetto fiumano quale lingua veicolare.
Negli anni in cui Morovich si diploma in ragioneria, il futuro autore è stato costretto a sopportare il passaggio della "Fiume al di là dell'Eneo" alla Jugoslavia: la divisione della città e la separazione dall'entroterra lo renderanno piuttosto insofferente.
È del 1936 la sua prima produzione letteraria, L'osteria sul torrente, a cui seguiranno Miracoli quotidiani (1938), I ritratti nel bosco (1939), Contadini sui monti (1942) e L'abito verde (1942). Gli ultimi anni di guerra e i primi del dopoguerra, drammatici e sanguinosi per la Venezia Giulia e la Dalmazia, interromperanno per alcuni anni la sua attività letteraria, che riprenderà solo nel 1962, con Racconti e Fantasie.
Lo scrittore sceglie di abbandonare la sua terra d'origine e vive prima a Napoli, poi a Lugo (Ravenna), Viareggio, Busalla (Genova) e Pisa, per poi stabilirsi a Genova. Qui pubblica Il baratro (1964), Gli ascensori invisibili (1981), I giganti marini (1984), Piccoli amanti (1990). Nel 1990 si trasferisce nella zona di Lavagna, dove si spegnerà, ottantasettenne. Un anno prima di morire pubblica Un italiano di Fiume (1993), commossa rievocazione della propria città d'origine quale terra italiana.
Ecco una sua descrizione di Fiume, venata di malessere e pessimismo:
"La vista spaziava oltre i tetti
di piccole case fino al mare
azzurro, percorso dalla bora
nell'oro tenue del tramonto di
un giorno sereno. Perché mi
accorgevo del bello spettacolo
soltanto dopo?
Prima, era come
se una coltre rossa di fuoco mi
impedisse di vedere ogni gioia
anche minima, a portata di mano".
Nelle sue Cronache vicine e lontane appare di nuovo la realtà fiumana e quarnerina:
"Guardo
giù la baia in tempi lontani pacifica e
vuota, ora tutta un cantiere, piena di
navi piccole e grandi. Quanta gente è scesa
tutt'intorno e vive giorno e notte accanto
al mare. Lo vede, lo guarda, lo scorda lo
sogna, c'è chi lo dipinge e lo descrive;
in tanti cervelli quel mare è spettacolo quotidiano,
in altri, lontani,
è solo un ricordo sempre più pallido e sbiadito".
È sempre Morovich a dire di sé stesso: "Quand'ero a Fiume dicevo che avrei voluto vivere in mezzo agli italiani per imparare a scrivere. Bruciai, prima di partire, tutti i miei quaderni in una grande stufa di maiolica. [...] Stavo meglio quando non pubblicavo libri, ma scrivevo sui giornali. [...] Ho cominciato a scrivere tanto tempo fa, avevo ventidue anni. Quando collaborai con "Solaria" mi resi conto che avrei dovuto scrivere cose serie. Io credo di scrivere come un medium, ispirato da una forza inconoscibile. Quando ero a Fiume avevo una realtà che descrivevo; quando il mio mondo è divenuto onirico, il mio ambiente si è fatto mentale e mi piace. Vedo la letteratura come un sogno animato da un soffio, comincio a scrivere senza sapere dove andrò, ma poi arrivo, per una forza sconosciuta, in fondo alla pagina. Credo che la vita continui dentro, oltre la morte, per questo non ne ho paura. Mi trovo meglio a scrivere racconti, per essere un romanziere bisogna essere pazienti. Ma ormai mi è rimasta solo la memoria".
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