Osservazioni su “Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia patria” Edito a Parenzo dalla tipografia Coana & figli nel 1933, di Camillo de Franceschi
Nel suo scritto il De Franceschi, vuole dimostrare che Dante soggiornò in Istria e , in particolare a Pola dove ebbe occasione di vedere nella necropoli romana, che all’epoca si estendeva subito fuori dalla cinta muraria, le arche che ci descrive mirabilmente nel nono canto dell’inferno.
Partito da Firenze il poeta vagò per l’Italia come dice lui stesso nel Convivio ( scritto tra il 1306 –1308) “ essere per le parti quasi tutte alle quali questa lingua (l’italiano) si stende, peregrino quasi mendicante.” E più sotto aggiunge di essersi” quasi a tutti gli Italici appresentato.”
Nel trecento Pola, come altre città dell’Istria, era soggetta alla Repubblica di San Marco, aveva perso la propria autonomia, ma aveva guadagnato tranquillità e pace, ed aveva accolto molti forestieri, soprattutto toscani, profughi raminghi che si occupavano di traffico minuto e di credito bancario. Questa immigrazione toscana, che fu scarsa nel duecento, per quasi tutto il trecento si fece più importante e lasciò notevoli tracce di influenza sia economica che culturale.
Fra i primi fiorentini rifugiatisi in Istria il De Franceschi nomina Lapo Peroni che visse a Pirano e sposò nel 1282 Istria Apollonio, il fratello di lui Neri, Corso del fu Alberto Ristori, Tignoso di Rogerio ed altri. Questo per dimostrare che Dante , recandosi in Istria, avrebbe trovato facilmente amici e concittadini felici di ospitarlo
Pietro Kandler, che il De Franceschi cita come storico insigne, dice di aver letto in qualche “cronachetta polese” andata poi smarrita, la notizia della venuta di Dante a Pola. Egli infatti scrive: “Corre tradizione che Dante visitasse Pola tra il 1302 e il 1321, e che albergasse nell’Abbazia di san Michele in Monte; di che si ha conferma laddove nella sua Commedia accenna ai tanti sepolcri che coprivano le vicinanze di Pola.”
Ma pare che questa notizia non sia attendibile e che il Kandler, che visitò Pola nel terzo decennio dell’ottocento, osservando dall’alto di San Michele la paludosa campagna di Prato Grande in cui ancora vi erano sepolcri scoperchiati ed altri reperti archeologici, ebbe la netta sensazione che Dante, per descrivere l’avello in cui bruciavano gli eretici, dovesse aver visto quei luoghi. Infatti le campagne intorno a Pola con le acque stagnanti intorno all’abitato che producevano miasmi funesti, le grandi arche di pietra caratteristiche di un paese ricco di cave calcaree, che ai tempi dell’Alighieri erano disseminate a migliaia su quei terreni acquitrinosi, erano proprio fatte per colpire la fantasia artistica del poeta.
Ma il documento che per il De Franceschi è determinante per dimostrare la presenza del Poeta in Istria è la sentenza del podestà di Parenzo Andea Michiel contro un certo Matteo di Giovanni Cortese per pesca abusiva nelle acque del vescovado del 4 ottobre 1308, sentenza che condanna l’imputato a pagare cento soldi di denari piccoli veneziani. Fu pronunciata sotto la nuova loggia del Comune presentibus dominis Dante tuscano habitatore Parentii e Antonio Peio.
Chi era questo Dante toscano?
Il nome Dante, diminutivo di Durante, non era comune a quei tempi, inoltre tuscanus era nei documenti istriani del trecento sempre sinonimo di fiorentino, habitator veniva contrapposto a civis e significava abitatore temporaneo, che non godeva della cittadinanza. Dominus era un titolo riservato alle persone nobili o comunque distinte. Qui il nome Dante è anteposto a quello di Antonio Peio cittadino ragguardevole che appare in parecchie scritte parentine in qualità di notaio, evidentemente il sunnominato Dante era considerato un personaggio degno di grande rispetto.
A questo punto il De Franceschi è convinto dell’esattezza della sua tesi, non gli resta che fissare la data della presenza del Poeta in terra istriana. Calcolando che il viaggio deve essere avvenuto prima della composizione della cantica dell’Inferno che fu scritta nel primo decennio dell’esilio, ne deduce che Dante soggiornò in Istria negli anni fra il 1304 e il 1308.
Ma la prova più certa della presenza di Dante a Pola, sostiene il De Franceschi, restano i versi del nono canto dell’Inferno, in cui parla del sepolcreto polese e del golfo del Quarnaro. Come poteva l’Alighieri darci una raffigurazione così efficace di un posto che non aveva mai visto? Poteva solo averne udito una descrizione orale, perché della necropoli di Pola, contrariamente a quella di Arles di cui troviamo varie rappresentazioni in testi medioevali, non si parla in nessun libro attualmente noto anteriore a Dante, e una descrizione orale non sembra sufficiente, neppure a un grande poeta, a ispirare un quadro così esatto di quei luoghi.
“Sì come ad Arli, ove il Rodano stagna,
Sì come a Pola presso del Quarnaro
Che Italia chiude e i suoi termini bagna.”
Ci piace pensare che, se Dante avesse proseguito il suo viaggio lungo la costa orientale dell'Adriatico, i termini li avrebbe fatti bagnare fino alle Bocche di Cattaro, forse più giù...
«Dante dice che il Quarnaro Italia chiude... Dante m'esilia me, il disgraziato. Iddio gli perdoni: e' non sapeva quello che si facesse». — Niccolò Tommaseo
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