Trieste è sempre stata in Italia dacchè l'Italia esiste. E l'Italia come ogni grande nazione è un entità inscindibile, perenne, fatale. Era anche quando non era nelle carte geografiche: perfino quando non era nella coscienza degli Italiani.
I suoi confini, la sua forma statale, la sua realtà politica possono variare nel tempo e nello spazio: ma da quando i Romani, interpretando una necessità della storia, ne segnarono nel centro del Mediterraneo, entro I'arco delle Alpi, la figura effettiva, l'Italia non ha potuto variare. La sua vita essenziale qualunque ne fosse l'aspetto politico momentaneo si è perpetuata, nella vicenda delle sue grandezze, nella continuità delle sue glorie e dei dolori. E in questa unità ideale che ha preceduto il presente aspetto della patria, Trieste è sempre stata, membro vivo del corpo, elemento necessario dell'organismo.
Trieste è in Italia, perché non può essere che in Italia. Il confine politico che la divide non è più che un segno convenzionale sulla carta, più che un reticolato di filo di ferro nella realtà. In confronto con le sue città sorelle, Trieste è una città occupata da uno straniero: patisce i pericoli, le umiliazioni delle città occupate: ma ancora la storia non ne ha ratificato il possesso al conquistatore. Non è possesso dove il consenso non lo giustifichi e lo assicuri. E il consenso di Trieste al suo possessore austriaco non c'è. Anzi il dissidio cresce con il crescere della città posseduta, con il chiarirsi della sua coscienza nella comunione della coscienza italiana.
Trieste è in Italia: paga il suo tributo di richezza a Vienna, deve pagare quello del sangue alla casa austriaca di Asburgo; ma la sua capitale è Roma, perché Roma ha impresso il primo segno della civiltà all'oscuro borgo senza storia che doveva essere Tergeste; perché Roma è stata la capitale d'Italia anche quando l'idea di un'Italia e della sua capitale non era neppure nei sogni dei veggenti. Trieste è nella storia italiana sempre. La sua lingua nativa è uno dei dialetti italiani, uno dei più insigni, glorioso quasi quanto la lingua nazionale: il dialetto veneto. I pensieri che essa esprime nel dialetto e nella lingua comune rifiettono il pensiero italiano nei suoi atteggiamenti necessari: i vanti di cui si compiace la sua coscienza cittadina sono vanti comuni all'Italia: i grandi spiriti in cui riconosce la sua nobiltà latina sono i grandi spiriti italiani, i confessori molteplici dell'unica grande anima italiana: da Dante a Carducci. da Ferruccio a Garibaldi.
La sua storia municipale, quando la rovina di Roma travolse anche il destino di Trieste, è tutta storia italiana. Salvata dal diluvio barbarico delle invasioni, riappare, dall'oscurità feudale, libero comune di lingua e costume italiano, umile ma puro nel suo angolo marino tra l'Aquileia dei Patriarchi e l'Istria già promessa ai Veneziani. Troppo povera e internata nell'estremo golfo dell'Adriatico, Venezia la occupa un momento, poi la abbandona. Trieste non ha bisogno di esser veneziana per rimanere in Italia. Ci rimane anche quando, per conservare la sua gelosa autonomia, si offre in protezione, nel 1382, ad un lontano e oltramontano duca d'Austria. Così, per garantirsi dal vicino pericoloso, altre città italiane si erano appoggiate a un potente straniero: Modena che si era data al re di Boemia, Parma che nel 1328 si era affidata a Lodovico il Bàvaro.
Affidatasi dunque Trieste al duca d'oltre Alpe, Trieste si crede sicura della sua indipendenza comunale. Di fatti accanto ai capitani imperiali continuano ad avvicendarsi reggitori cittadini: la città continua a parlare il suo linguaggio italiano, a confermare la sua vita civile sul tipo comune a tutta la vita civile d'Italia. I Triestini si vantano «discendenti e imitatori dei Romani» quando protettori germanici si illudono di poter imporre la propria lingua ai loro tribunali, risponde il Comune (1523): «Essendo latini, ignoriamo la lingua teutonica».
Nello statuto del del 1550 la città chiama se stessa repubblica, e Domenico Rossetti, sincero narratore, delle memorie patrie chiarisce la repubblica triestina «un piccolo stato tributario dell'Austria».
Seguono secoli oscuri in cui la città vivacchia dimenticata, tanto da Venezia che non la teme, quanto dall'Austria che non sa che farsene. Ma quando la vicenda del destino ha già segnato la decadenza commerciale di Venezia, Trieste ne raccoglie l'eredità. Non per Sua scelta, nè per quella dei suoi dominatori: e la necessità stessa, la logica fatale della storia che si fissa nei punti segnati dalla natura; è la posizione geografica che prepara a Trieste la fortuna del futuro grande porto adriatico. Non poteva essercene un altro perché nessun'altra città esiste cosi internata nel golfo adriatico, così vicina ai paesi dell'interno che da quella parte hanno bisogno del mare e delle merci d'oltremare.
— Da Trieste e l'Italia di Giulio Caprin (1915)
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