Carlo Combi (Capodistria, 27 luglio 1827 – Venezia, 11 settembre 1884) è stato un patriota e insegnante italiano.
Compiuti gli studi ginnasiali a Capodistria e poi a Trieste (dove il ginnasio latino-tedesco venne trasferito nel 1841), si recò a Padova per frequentare il liceo e, quindi, la facoltà di giurisprudenza all'Università. Tornato per un breve periodo in Istria, e quindi a Padova (dove rinunciò ad un posto di assistente all'ateneo rifiutando di giurare all'Imperatore d'Austria), ridiede nel corso del 1853 gli esami all'Università di Pavia per farsi riconoscere il titolo di studio conseguito negli Stati sardi e poter quindi praticare l'avvocatura.
Nel settembre del 1856 accettò una cattedra in lettere italiane e storia al liceo di Capodistria, cattedra che gli venne però revocata tre anni dopo dal luogotenente del Litorale Friedrich Moritz von Burger per sospetta attività di patriottismo italiano. Combi infatti, dopo la seconda guerra di indipendenza italiana del 1859, era stato fautore dell'iniziativa di unione dei comuni dell'Istria al Veneto, il quale secondo i preliminari di Villafranca avrebbe dovuto far parte come possedimento austriaco di una Confederazione italiana. Inoltre le autorità imperiali sospettavano, a ragione, la sua appartenenza ad un "Comitato nazionale segreto per Trieste e l'Istria" che era in stretto contatto con i comitati patriottici di Torino e di Milano.
Nel giugno del 1866, alla vigilia dell'apertura delle ostilità tra Italia e Austria, dovette lasciare Capodistria su intimazione delle autorità austriache.
Passando attraverso il Tirolo e la Svizzera giunse in Italia, dove si mise a disposizione del governo di Firenze (allora capitale del Regno) a proposito dei progetti annessionistici sull'Istria e Trieste. A questo scopo fondò assieme ad altri emigrati istriani il "Comitato Triestino-Istriano", che produsse una serie di documentazioni propagandistiche rivolte al Re, ai ministri e all'opinione pubblica del tempo. A tal proposito il Combi stilò appositamente l’Appello degli Istriani all'Italia.
Finita la guerra, deciso a rinunciare alla cittadinanza austriaca in favore di quella italiana si stabilì a Venezia, dove nel 1868 vinse la cattedra di diritto civile alla scuola superiore di commercio. Continuò l'attività in favore della causa istriana, tenendo discorsi ufficiali come quello sulla Rivendicazione dell'Istria agli studi italiani all'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti (1877), e collaborando alla stesura di opuscoli irredentistici (per esempio La Venezia Giulia di Paulo Fambri). Assieme al conterraneo e stretto amico Tomaso Luciani di Albona rappresenterà l'ala della destra moderata del movimento irredentista in Italia, opponendosi alla proposta di estradizione in Austria dei compagni di Guglielmo Oberdan.
Nel frattempo proseguì anche la sua attività giornalistica, assumendo la direzione del Corriere della Venezia e scrivendo articoli anche per La Gazzetta del Popolo di Firenze oltre che per La Provincia di Capodistria.
Divenuto anche assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Venezia e attivo nell'iniziativa di riordino del Museo Correr, dedicò gli ultimi anni a scrivere studi di carattere storico e geografico sull'area veneta e istriana.
Tra le iniziative letterarie del Combi un posto centrale occupa la Porta orientale, una strenna pubblicata in tre edizioni annuali nel 1857, 1858 e 1859 (Schubart – Rezza, Fiume / C. Coen, Trieste). Si tratta di una raccolta di contributi di vari autori sull'Istria sotto gli aspetti storico, culturale, etnografico, artistico, economico, e folkloristico, che il Combi promosse sul modello degli annuari stampati all'epoca in Italia. Il significato implicito dell'opera era chiaro sin dal nome di “Porta orientale d'Italia” dato all'Istria, nome peraltro ripreso da una circostanza polemica a proposito di un'affermazione di Cesare Correnti.
La concezione irredentistica del Combi derivava principalmente da due aspetti. In primo luogo la lettura della storia che nei decenni successivi del XIX secolo sarà una costante nel mondo liberal-nazionale istriano, e cioè l'immagine di un'Istria nei secoli ancorata all'Italia sin dal periodo romano e continuando poi con quello veneziano. In secondo luogo v'era la considerazione – che al Combi derivava anche dalla cultura della città “civilizzata” contrapposta alla campagna “incolta”, tipica del suo tempo e della sua estrazione sociale – della componente slava istriana come eterogenea e perciò quasi “inconsapevole” di sé, oltre che relegata unicamente all'ambito rurale, e in sostanza destinata ad assimilarsi al più acculturato contesto italiano dei centri urbani. Tale impostazione emerge chiaramente negli scritti successivi che il Combi pubblicò in varie riviste in Italia: ad esempio nel saggio sull’Etnografia dell'Istria (Rivista contemporanea, settembre 1860 / giugno 1861) dove egli conclude che “mentre le schiatte slave dell'Istria si presentano tanto varie, ed estranee non solo ai limitrofi d'oltremonte, ma eziandio tra loro, una è la popolazione italiana, e sue le città, le borgate, le terre tutte ove si accolga qualunque elemento di cultura”.
Accanto a ciò, Combi non mancava di rilevare il fattore “strategico” di un'Istria italiana nell'ambito di una ridefinizione mazziniana dell'Europa sul principio di nazionalità, principio che avrebbe determinato la scomparsa degli Imperi asburgico e ottomano. Scriveva infatti ne La frontiera orientale d'Italia e la sua importanza (Il Politecnico, 1862) che: “dall'Alpe Giulia soltanto e dalle rive del Quarnaro noi daremo la mano a due forti nazioni, l'ungara e la slava. E l'Istria sarà la sentinella avanzata dalla civiltà italiana nel festoso suo viaggio per le vie dell'Oriente”.
Morì a Venezia l'11 settembre 1884.
Le sue spoglie verranno traslate nel maggio 1934 a Capodistria.
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