La strage di Vergarolla, avvenuta alle 14.15 di domenica 18 agosto 1946, è la più sanguinosa (circa 100 vittime) fra quelle dell’Italia repubblicana.
Tenuta nascosta per oltre mezzo secolo, non viene conteggiata tra le stragi nazionali, ma come altre stragi del nostro Paese non ha ancora ottenuto una verità processuale. Forse adesso alcune associazioni di esuli cercheranno di ottenere l’attenzione della Commissione Stragi: si spera almeno in una verità parlamentare.
Quel fungo disegnato da nuvole di fumo in una normale domenica estiva a Pola, tragicamente simile al fungo atomico di Hiroshima, ebbe sugli italiani che caparbiamente resistevano a Pola lo stesso effetto che ebbe sui giapponesi: resa incondizionata.
Le conseguenze della strage di Vergarolla furono impressionanti: oltre ai 64 cadaveri identificati anche se disintegrati (di una signora fu ritrovato solo un dito con la fede, piccolo ma determinante dettaglio; di uno dei figli del dottor Micheletti – l’eroe di quei giorni, medaglia d’argento al Valor Civile – fu rinvenuta solo una scarpetta) ci furono circa una cinquantina di altri sventurati che persero la vita in quello scoppio.
Probabilmente uomini e donne che scappavano dai territori istriani occupati dai titini e che non erano mai stati registrati come domiciliati a Pola per paura di ritorsioni contro le loro famiglie rimaste in zona B. Basandosi sulle ossa e i resti umani reperiti, il dottor Micheletti stimò insieme a un dottore inglese che i morti totali avrebbero potuto essere compresi tra 110 e 116. In una relazione ufficiale il dottor Chiaruttini dichiarò che ci furono circa 100 morti.
La terra tremò per una vasta area e i vetri di molte case di Pola andarono in frantumi, come le speranze di mantenere Pola in territorio italiano. Purtroppo ancor oggi questo episodio difficilmente viene identificato come un attentato contro la popolazione italiana e, perfino dagli attuali vertici della Comunità italiana di Pola, viene derubricato a semplice incidente (nei discorsi ufficiali si cita solo: tragica fatalità, tragico incidente).
In quel periodo a Parigi erano in corso i negoziati per definire lo status dei territori italiani in tutta la Venezia Giulia e in Dalmazia e l’italianissima Pola faceva sentire quasi quotidianamente la sua voce per manifestare la volontà di rimanere parte integrante, magari sotto forma di enclave, di una ancora acerba Repubblica Italiana o di far parte del Territorio Libero di Trieste. Quella strage fiaccò definitivamente il morale dei nostri connazionali, fino alla firma del Trattato di Parigi (10 febbraio 1947) e all’esodo.
Tra i pochi testi che si sono occupati di questo eccidio, lo studio più approfondito che prende in esame tutti gli aspetti della tragedia è La strage di Vergarolla (18 agosto 1946) secondo i giornali giuliani dell’epoca e le acquisizioni successive (editore LCPE), dell’ex-direttore del mensile L’Arena di Pola Paolo Radivo, figlio di istriani. Con un grande sforzo di ricerca, Radivo compara gli articoli dell’epoca con i documenti successivamente rinvenuti e ulteriori testimonianze. Il corposo volume di Radivo potrà essere il testo-chiave in caso di una commissione d’inchiesta.
Quella domenica d’agosto erano in programma le gare natatorie della Pietas Julia, evento che attirò sulla spiaggia di Vergarolla buona parte della gioventù italiana di Pola e dintorni. Al momento dell’esplosione (14.15) erano presenti sulla spiaggia solo italiani, per lo più giovanissimi con le rispettive famiglie.A esplodere furono degli ordigni incustoditi di vario genere che erano stati disinnescati e accatastati sulla spiaggia. Per esplodere, quegli ordigni avrebbero dovuto essere nuovamente riattivati e poi innescati, quindi in nessun modo si trattò di un incidente ma di un vero e proprio attentato. Rosmunda Bronzin Trani vide un uomo vestito (cosa un po’ strana d’estate) che aggiuntava dei fili elettrici presso la catasta dei residuati. E’ probabile che quell’uomo, mai identificato, sia stato l’esecutore materiale della strage, magari utilizzando l’attrezzatura delle vicine miniere di carbone dell’Arsa.
Terminate ufficialmente le ostilità, Pola era rimasta territorio italiano sotto amministrazione alleata. Il maresciallo Tito pretendeva di acquisirla nella neonata Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia e la Conferenza della Pace di Parigi era orientata in tal senso.
Va sottolineato che il delfino di Tito Milovan Gilas, poi caduto in disgrazia, in una intervista rilasciata al quindicinale fiumano Panorama (21 luglio 1991) dichiarò: «Nel 1946 io ed Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana… bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto.»
Pola fu annientata, il suo spirito e quello dei suoi abitanti fu completamente distrutto. Le autorità jugoslave incolparono subito il governo alleato di scarsa sorveglianza, mentre a Pola il muro di omertà ha coperto e continua a coprire mandanti ed esecutori. Da qualche anno spuntano testimonianze che portano inequivocabilmente nella direzione dell’attentato, ma ancora la prova regina non c’è (come non c’è per altre stragi più recenti).
E fin qui niente di nuovo: anche se non hanno ancora un colpevole, per alcune si è arrivati alla definizione di mandanti ed esecutori analizzando la realtà socio-politica dell’epoca. Ma le altre stragi italiane (da piazza Fontana a Bologna, che fino ad oggi è considerata la più tragica con le sue 85 vittime) vengono celebrate con tutti gli onori e con ampia partecipazione delle istituzioni e delle forze politiche. E hanno comitati che pungolano le autorità a ricercare la verità, anche quando questa ricerca sembra vivere momenti di pausa.
Vergarolla, purtroppo, non gode del medesimo trattamento, come quasi tutte le vicende che riguardano il periodo sul finire della seconda guerra mondiale nei territori del confine orientale: nessun comitato delle vittime, nessun processo (se si esclude quello sbrigativo e incocludente doverosamente cominciato dagli anglo-americani e finito in una sciatta archiviazione), nessun riconoscimento.
Tu che riposavi nella pineta dove l’aria di pace
era magica ascoltando il rumore del mare,
il suono della grande conchiglia curioso,
felice e innamorato, stanco delle nuotate
vedevi correre i fanciulli sulla spiaggia
e poco lontano i genitori felici che con
il canto e l’allegria allontanavano i brutti
ricordi della guerra sotto il sole d’agosto
che scaldava Pola rinata!
Era un giorno di festa per tutti
prima che un tuono non mandato dal cielo,
ma dalla vile mano dell’odio portasse via
la luce di vita, la speranza e la gioia,
i sogni dei Polesani, di una città con le sue
contrade, in una terra appena libera di nuovo
sporca di sangue.
E hai visto la morte, la carne a pezzi, l’orrore,
quel maledetto fumo nero e denso che copriva
i corpi di quei piccoli angeli, dei martiri d’ogni età,
la roccia bianca di Vergarolla,
con i tuoi occhi innocenti, tutto in un attimo!
E poi il silenzio, la ferita nell’anima che sanguina
nel tempo con il frastuono e le urla impresse
nella mente, il tempo che non ti ha ancora portato
via nel sonno eterno. E così tu puoi raccontare tutto
ascoltato da tutti, anche con un solo filo di voce,
e forse oggi sei qui in chiesa a messa o davanti
al cippo, ma rimani ignoto come un reduce, come
il figlio di Pola, e per te che sei così importante
parla la storia, quella del nostro Popolo.
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