Mentre la Jugoslavia implode, alcuni esuli sognano la riconquista" delle terre natie. Le promesse dello Stato maggiore della federazione: "Rivedremo il trattato di Osimo".
«Ora o mai più», al crollo della Jugoslavia di Tito, nei primi anni novanta, spunta il “sogno” di una Dalmazia indipendente, ma gli esuli vengono contattati anche dagli autonomisti istriani, per una “base” a Trieste. E a Belgrado il nostro addetto militare, esule da Pola, riceve l’offerta dai vertici dell’esercito jugoslavo di ridiscutere il trattato di Osimo in cambio dell’appoggio dell’Italia all’unità della Federativa socialista.
Pagine di storia, all’epoca esplosive, a cominciare dalla proposta velleitaria di una Dalmazia indipendente venuta alla luce il 9 gennaio sul sito dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia grazie ad Elio Varutti, studioso di Udine. Il titolo non lascia dubbi: L’implosione della Jugoslavia e il sogno di una Dalmazia indipendente.
Varutti scrive: «I documenti riportati dimostrano che, alla disintegrazione della Jugoslavia del 1991, alcuni italiani di Dalmazia profughi in patria aspirassero, nientemeno, che all’indipendenza della loro terra d’origine». Ameglio Gradi, zaratino riparato a Siena, scrive l’8 agosto 1992 una lettera-manifesto «al Sindaco e al Consiglio del Comune di Zara in esilio» composto da personaggi di rilievo come Ottavio Missoni e Franco Luxardo. Davanti al crollo della Federativa di Tito «che si aspetta a chiamarla Regione Dalmata in esilio o meglio Stato Dalmata in esilio, con un governo? E a presentarci come tali all’Unione Europea e alle Nazioni Unite per dare il nostro contributo per la sistemazione della ex Jugoslavia e della Dalmazia?». Gradi è referente a Siena dell’Associazione nazionale reduci e rimpatriati d’Africa e socio degli ufficiali in congedo d’Italia. Il 17 agosto 1992 scrive all’avvocato Pietro Serrentino del Libero comune di Zara. L’idea è esplosiva: «Approfittiamo del disordine attuale, perché la Dalmazia divenga uno stato franco sotto l’egida dell’Unione Europea o dell’ONU». E conclude così la lettera-manifesto: «Coraggio! Ora, o mai più».
In un’altra missiva indirizzata a Giovanni Pucciarelli, segretario del Comune di Zara in esilio, Gradi conferma che la proposta è stata inviata a «Missoni, Luxardo, Rismondo, Serrentino, Trigari e Mattarelli» esponenti di rilievo della diaspora dalmata. E che «il consigliere Barich e lo zaratino de’ Vidovich» condividono la sua opinione sulla Dalmazia.
Renzo de’ Vidovich ex parlamentare e alfiere degli esuli ricorda che nel 1991 «ho presentato una mozione che conteneva la richiesta, da avanzare agli organi competenti come l’Onu, su uno statuto speciale per la Dalmazia con l’accordo del governo jugoslavo. È stata votata e approvata. L’avevamo inviata a Roma (VII esecutivo Andreotti nda), che l’ha fatta cadere».
Franca Balliana Serrentino è assessore alle Attività promozionali del Libero comune di Zara: «La proposta ricevuta da mio marito e girata a tutti i diretti interessati, sul futuro della Dalmazia nella disgregazione jugoslava, fu discussa, ma c’erano troppi paletti a livello governativo e internazionale».
Franco Luxardo non ricorda né Gradi, né la lettera: «Sogni di un esule, che non abbiamo preso in considerazione. La priorità era aiutare Zara, sotto attacco, dove abbiamo inviato aiuti umanitari».
A Trieste, nel 1991, è arrivato un “abboccamento” da oltreoceano al presidente dell’Unione degli istriani. «Quando è scoppiata la guerra in Croazia ho ricevuto un fax in inglese da un centro studi serbo negli Stati Uniti - rivela Silvio Delbello - Il messaggio invitava esplicitamente l’Italia a un ritorno in Istria. La proposta era esplosiva e non mi sono fatto coinvolgere, ma l’ho fatta pervenire al governo italiano».
Due anni dopo il capoluogo giuliano e l’associazione degli esuli è al centro di una “missione” da film. A Trieste arrivano in gran segreto Ivan Pauletta, fondatore della Dieta democratica istriana, partito autonomista della penisola, e G. P., ex colonnello dell’esercito jugoslavo sfaldatosi con la proclamazione dell’indipendenza di Lubiana e Zagabria. Il politico e il militare prendono contatto con Delbello e un altro esponente degli esuli.
«Volevano organizzare una sorta di “comando” a Trieste, con una copertura magari commerciale spiega l’esule - La guerra nell’ex Jugoslavia si stava espandendo e se la penisola fosse stata piegata con la forza al volere del regime croato, ovvero occupata militarmente, il colonnello aveva in mente un piano militare per organizzare la resistenza armata». Gli esuli non credono alle loro orecchie e fanno capire che sono disposti ad aiutare l’Istria, ma non ad appoggiare piani bellicosi.
Nella seconda metà degli anni 1990, a Belgrado, il nostro addetto militare, generale Silvio Mazzaroli, viene «convocato dal responsabile della Sezione di Collegamento (dello Stato maggiore della Federativa, nda) perché comunicassi a Roma la disponibilità a ridiscutere, a fronte del nostro impegno a favore del mantenimento dell’unità del loro paese, i termini del Trattato di Osimo del 1975, relativo alla cessione della ex Zona B (una parte dell’Istria, nda) alla Jugoslavia».
Mazzaroli, che lo ha rivelato nel suo libro Una vita con il capello alpino conferma di «avere inviato a Roma la proposta attraverso la mia catena di comando». E ricorda che «ne avevo parlato con il presidente Cossiga, ma non mi è stata mai data alcuna direttiva».
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