giovedì 27 giugno 2024

Girolamo John Dominis, un italiano nel Pacifico

Quando poco dopo il 1815 la polizia austriaca si presentò a casa del conte Vincenzo De Dominis, in Dalmazia, chiedendo notizie del figlio Girolamo, che aveva disertato la Marina austriaca per combattere per l’Italia a Lissa, il padre finse di ripudiarlo. In realtà il giovane era stato aiutato a fuggire per raggiungere la vicina isola di Lussino, dove trovò il primo di una serie d’imbarchi che lo avrebbero portato, l’anno seguente, in America.

Nel 1823 fece richiesta della cittadinanza americana, dichiarando davanti alla Corte distrettuale di Boston di essere nato a Trieste, in Italia, e di chiamarsi John Dominis. Boston era il più importante porto mercantile americano e John ebbe la fortuna di venire assunto da un ricco armatore, la cui flotta era spesso impegnata tra la Cina e le Hawaii.

La sua fu una carriera tutta in ascesa nella Marina commerciale americana, durante la quale si dedicò con successo alla compravendita di pelli, salmone sotto sale e olio di balena. Nel 1837 il capitano, con la moglie americana e il figlio John Owen a seguito, sbarca a Honolulu. Qui, all’inizio degli anni Quaranta del XIX secolo acquista un terreno, con l’intenzione di costruirvi uno splendido palazzo. Nel 1846 la dimora non è ancora pronta e John Dominis riparte per una missione commerciale diretta a Manila e in Cina, dalla quale non farà più ritorno. La moglie, in difficoltà finanziarie, sceglie di aprire la propria casa, ormai terminata, a ospiti paganti e un po’ alla volta salda tutti i debiti. Il Washington Place, questo il nome dato al palazzo, rimane per anni la più aristocratica dimora delle Hawaii.

Il figlio John Owen frequenta le migliori scuole dell’isola e lì conosce la principessa Lydia Kamaka’eha Paki, con cui convolerà a nozze. Il matrimonio gli apre porte prestigiose: è nominato governatore dell’isola di Oahu e, per un breve periodo, anche delle isole Maui, Molokai e Lanai.

Nel 1891 la moglie è incoronata regina delle Hawaii e lui è insignito del titolo di principe consorte. Ma il regno durerà davvero poco: due anni dopo la regina verrà esautorata da una manovra politica americana e, ormai semplice cittadina, sceglierà il nome di Lydia Dominis, in omaggio al marito. Si spegnerà a Honolulu nel 1917, vivendo gli ultimi anni della sua vi. ta a Washington Place, con il rammarico di non essere riuscita a scoprire chi fosse davvero il suocero John Dominis, che aveva fatto edificare lo splendido palazzo che l’aveva ospitata.

A ricostruire la sua storia e il relativo albero genealogico ci hanno pensato, esattamente un secolo dopo, le sue pronipoti. Che oggi possono affermare con certezza: «John Dominis era dalmata, nato ad Arbe poco prima della caduta della repubblica marinara di Venezia. Si sentiva ed era italiano: discendeva da un ramo dei principi Frangipane, arrivati nella Dalmazia settentrionale da Roma nel tredicesimo secolo».

La famiglia de Dominis era iscritta nel Libro d’oro dei nobili veneziani e finché a dominare su quelle terre vi fu la Francia napoleonica continuò a prosperare. Ma con la restaurazione del 1815, che portò la Dalmazia sotto il dominio dell’impero Austriaco e Austro-Ungarico poi, la fortuna dei nobili italiani cessò e iniziarono le prime cospirazioni contro gli austriaci e gli scontri tra italiani e croati, che l’impero austro-ungarico incoraggiò, per contrastare l’irredentismo della popolazione italiana.

Fu allora che Girolamo-John Dominis decise di partire, per costruire la sua fortuna altrove.


Storie di uomini senza terra, di italiani coraggiosi che affidarono la loro anima al mare

La vita è viaggio. Talvolta però il viaggio non è più possibile. L’unica possibilità è fuggire. La fuga è sempre l’inizio di un nuovo viaggio: verso la salvezza. Eppure fuggire è un po’ morire. L’anima che vuole salvare il corpo si sente morire. E’ indissolubilmente legata al proprio luogo, ai propri affetti, a quel passato che chiamiamo vita, perché è tutto quello che conosciamo di noi. Il resto è ignoto.

Ci vuole coraggio, però. Perché l’ignoto da attraversare è spaventoso: lontano e inesistente.

Per farlo esistere, bisogna ricominciare. A vivere. Senza anima non si va da nessuna parte. Partendo si strappa l’anima, ma qualcosa di lei sopravvive e ci dà la forza di andare.

Lo chiamano spirito di sopravvivenza, alludendo all’istinto che hanno pure gli animali. Se bastasse l’istinto, andarsene, lasciare, abbandonare sarebbero solo la conseguenza di un impulso, qualcosa di impensabile fino a un attimo prima. Invece la scelta è sempre sofferenza, perché è pensiero sul bene e sul male che ci attende. Ma di cui inizialmente conosciamo solo il male, perché ci sentiamo male. Non possiamo restare e non vorremmo andare.

L’abbandono è perdita. Di affetti, identità, radici. E’ convinzione dell’emigrante di cercare una nuova terra dove reimpiantare le proprie radici. Poi cresceranno una nuova identità e nuovi amori. Al contrario, ci sono stati uomini che non hanno più voluto aver radici, forse proprio per non essere costretti a reciderle un domani di nuovo. Uomini senza terra che si sono affidati al mare. Delle loro esistenze la casa editrice Odoya ha fatto un’antologia: Storie straordinarie di italiani nel Pacifico. L’ho definita io antologia, perché in greco antico “anthos” significa fiore e “lego” raccolgo. La vita è come un fiore che, sebbene reciso, lascia il profumo. Leggendo le 300 pagine di autori diversi, che narrano dieci storie di “gentiluomini di ventura” dell’Ottocento, lo si avvertirà. Sarà misto alla salsedine di quel mare che hanno scelto per sperare. Il volume è stato ideato e curato da Marco Cuzzi, professore di Storia contemporanea all’Università di Milano, e da Carlo Guido Pigliasco, professore di Antropologia all’Università delle Hawaii.

Avvicinandosi il 50° anniversario di “Una ballata del mare salato”, che narra le avventure di Corto Maltese ideate da Hugo Pratt nel 1967, Cuzzi e Pigliasco hanno voluto rendere omaggio all’eroe della loro infanzia, quando sognavano di solcare i mari. In verità Guido Pigliasco, che ho conosciuto vent’anni fa a Milano, ha avuto il coraggio di abbandonare la professione di avvocato e i suoi affetti familiari per realizzare il suo sogno hawaiano. I due curatori e amici hanno chiesto agli autori di raccontare le vicissitudini di dieci italiani che tra il 1850 e il 1950 lasciarono la madrepatria per inseguire un’utopia. Copertina e ritratti dei protagonisti sono stati illustrati da Nicola Pastori nello stile di Pratt.

La realtà è romanzesca e potrei scrivere un romanzo per raccontare come ho conosciuto e ricostruito la storia del mio trisavolo, il capitano John Dominis e di suo figlio John Owen, che insieme a mia cugina Paola Predolin ho narrato in questa antologia.

Ne scrissi in parte sul settimanale Oggi7 di America Oggi, nel settembre 2009, di ritorno dal mio viaggio alle Hawaii, dove rividi Guido Pigliasco e scopersi di avere una parente hawaiana, nipote del figlio naturale di John Owen Dominis, che fu principe consorte di Lili’uokalani, l’ultima regina delle Hawaii. Quindici giorni dopo il mio ritorno in Italia, mi telefonarono da Honolulu che era arrivata lì pure un’altra discendente italiana: Paola Predolin, una cugina che abitava nella mia stessa città e di cui non conoscevo l’esistenza. Fu allora che decisi di aprire il cassetto dove tenevo le carte di famiglia lasciatemi da mio padre e trovai una vecchia lettera spedita anni prima dalla Francia da Gianfranco Dominis, un altro cugino che non sapevo esistesse. Iniziò un periodo bellissimo di “ricomposizione familiare”, dove gli affetti fluivano in una dimensione naturalmente marina. Perché l’immersione nei ricordi mi ha fatto comprendere che il coraggio di attraversare il mare era stata la salvezza dei miei avi per secoli. Sino a mio padre e ai sui parenti, per sfuggire ai comunisti jugoslavi.

Per un altro caso imperscrutabile del destino, Paola aveva trascorso diverse estati nell’Oregon risalendo con lo yacht dello zio il Columbia river, senza sapere che il suo trisavolo John Dominis, un secolo e mezzo prima per commerciare con gli indiani, era stato il primo americano ad avventurarsi in quelle insidiose acque dove erano naufragate diverse navi inglesi. Cominciammo a ricostruire la storia di John Dominis, zio dei nostri bisnonni, e Paola Predolin, che è ricercatrice storica, riuscì a procurarsi ogni sorta di documento nelle biblioteche americane, perfino i portolani di bordo.

Girolamo de Dominis era nato nel 1796 in Dalmazia, nell’isola di Arbe, poco prima della caduta della Repubblica marinara di Venezia, che aveva dominato sul mare Adriatico per oltre quattro secoli. Era italiano e mal tollerava l’avvento dell’impero austroungarico che aveva deprivato la sua famiglia di titoli e proprietà. Aveva cominciato a cospirare nei primi gruppi carbonari. Agli agenti della polizia austriaca, che lo cercavano, il conte Vincenzo de Dominis disse che c’era stato un duello in famiglia e che poi il figlio era scomparso. Due anni dopo, nel 1817 Girolamo arrivava a Boston e dichiarava di chiamarsi John Dominis. Pochi anni più tardi divenne cittadino americano, fu assunto dall’armatore Josiah Marshall e al comando del brigantino Owhyhee iniziò a circumnavigare le Americhe lungo la rotta Boston-Northwest-Canton, barattando con gli indiani dell’Oregon cibo, metalli, coperte, liquori, moschetti in cambio di pelli di animali pregiati, richiesti dai ricchi cinesi di Canton. Era estremamente difficile accordarsi con gli indiani chinook perché gli inglesi avevano il monopolio delle transazioni a Fort Vancouver, mentre i russi in Alaska. Ma John Dominis offriva di più. Infatti dai documenti inglesi risulta che “gli americani hanno completamente rovinato il commercio di questo luogo”. John Dominis fu il primo a portare nella costa dell’Est il salmone affumicato, ricevuto dagli indiani, e a importare in Oregon pecore e semi di pesco. I suoi viaggi duravano circa tre anni. Nel 1837, a seguito di una grave crisi economica americana, decise di trasferire la famiglia alle Hawaii, che si trovavano sulla rotta per la Cina. Iniziò a costruire un magnifico palazzo, che la moglie volle chiamare Washington Place. Per acquistare mobili di pregio, il 5 agosto 1846 s’imbarcò come passeggero sul brigantino William Neilson con destinazione Manila e Cina. Il ritorno era previsto per Natale. Da quel viaggio John Dominis non ritornò più. Un anno dopo la nave fu dichiarata ufficialmente dispersa in mare.

Il figlio John Owen Dominis frequenterà le migliori scuole di Honolulu, diventando primo segretario del re Kalakaua e sposandone la sorella. Sarà poi nominato governatore dell’isola Oahu. Nel 1891 quando la moglie verrà incoronata regina delle Hawaii con il nome Lili’uokalani, sarà insignito del titolo di principe consorte. Purtroppo morirà sei mesi dopo e nel 1893 la regina, nonostante il suo regno costituzionale fosse riconosciuto dalle potenze occidentali, verrà costretta ad abdicare da un colpo di stato perpetrato dai possidenti americani, interessati alle proprietà delle piantagioni hawaiane. La regina scriverà inutilmente al presidente americano Grover Cleveland.

E da questo momento inizia il mistero di John Dominis in Europa. Alla morte del marito, Lili’uokalani che non aveva figli né eredi diretti, aveva scritto al suo console a Vienna affinché cercasse la famiglia del suocero. Egli era sempre stato reticente nel raccontare chi fosse, ma aveva detto di provenire da una famiglia italiana di nobili natali. Nessun Dominis venne trovato in Italia, ma i giornali dell’epoca scrissero che si cercava “l’erede dell’enorme fortuna del re dei selvaggi”. Subito spuntarono Dominis come funghi, ma la parentela era indimostrabile. Solo due anni più tardi, quando ormai la regina era stata detronizzata, seppe che il cugino del marito abitava in Dalmazia, a Zara, ed era consigliere aulico dell’imperatore Francesco Giuseppe. Gli scrisse per chiedergli di essere ospitata con la sua corte, essendo rimasta con il solo kahili di piume. Era questo il simbolo della regalità hawaiana, ma Dragomir de Dominis s’immaginò che si sarebbe presentata vestita di un gonnellino di piume. Scandalizzato e preoccupato per la sua posizione sociale, addusse un pretesto per non riceverla. E lei non seppe mai chi davvero fosse il suocero, nella cui sontuosa dimora di Honolulu continuò a vivere come Lydia Dominis fino a quando si spense, nel 1917.

Oggi il palazzo Washington Place è sede del governatorato americano.


Elisabetta de Dominis

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