lunedì 25 marzo 2024

La questione di Fiume

 The question of Fiume

        (Modern Italy, Volume 2, Issue 15, 1919)

Dopo le lunghe e un po' aspre discussioni, i deludenti ritardi e gli avvenimenti drammatici che hanno indurito il popolo italiano al punto da essere pronto a osare quasi tutto pur di non indebolire i propri diritti, troviamo ancora irrisolta la questione di Fiume. Quanto ancora dovremo attendere una decisione?

La nazione italiana si è trovata improvvisamente di fronte al veto di un solo uomo, un uomo che ha una fiducia in se stesso così illimitata da ritenersi infallibile e unico arbitro dei destini del mondo. Quest'uomo è legato dalle catene denunciate dal suo amico professor Herron? Ha la sua gente dietro di lui? Chi può dirlo? Perché, pur essendo l’ultimo apostolo della democrazia, fa a meno dei parlamenti e dei popoli. Parola e atto, verità e diritto sono suoi, il saggio che correggerebbe la follia di quarantatré milioni di italiani.

Ci sono, tuttavia, alcune fratture nel liuto. I senati dello Stato di New York, dell'Illinois e del Massachusetts hanno inviato un telegramma al Presidente chiedendogli esplicitamente di accettare pienamente le rivendicazioni italiane. E il leader della maggioranza al Senato, Lodge, ha sostenuto la stessa politica. È chiaro quindi che la politica italiana nei confronti di Fiume trova sostenitori anche in America.

Sono venuti alla luce nuovi fatti che confermano la caparbietà del Presidente? Il dottor Wilson ha rivolto un appello al popolo italiano al di sopra delle teste del Parlamento e del Governo, e il popolo italiano ha risposto stringendosi attorno al Governo e dimostrando di essere indissolubilmente unito. Insensibile a tutto ciò, il presidente americano continua a dilungarsi su tutti i suoi vecchi argomenti. Il capo e si può dire che l'unico argomento da lui avanzato è un argomento che ha stupito tutti per la sua mancanza di senso logico. Secondo il presidente Wilson, Fiume è un porto internazionale e, poiché deve rimanere internazionale, dovrebbe essere ceduto ai croati. Deve cioè diventare parte del nazionalismo jugoslavo. Questo modo di ragionare è così evidentemente al di fuori di ogni limite della ragione che non abbiamo bisogno di preoccuparci di discuterne. Evidentemente il presidente Wilson pensa, e pensa ostinatamente, che si tratti di un dogma sano e solido.

Ora tutti sanno che i croati non sono un popolo internazionale ma interamente nazionalista. Che motivo c'è allora per supporre che Fiume possa internazionalizzarsi donandola a loro invece che agli italiani? Dobbiamo supporre che gli italiani, la cui secolare civiltà è stata la culla ed è ancora in gran parte il centro vitale di tutto ciò che c'è di meglio in Europa, sarebbero meno attenti ai loro obblighi internazionali rispetto ai croati che sono solo di ieri? Il Presidente argomenta più o meno allo stesso modo in cui argomentarono i tedeschi quando cercarono di giustificare l'occupazione di Anversa, lo sbocco naturale delle province del Reno. Rotterdam, visto che è un porto internazionale per eccellenza, dovrebbe essere condannata, a causa della sua situazione internazionale, a vivere sotto il giogo tedesco? Dobbiamo regalare Genova alla Svizzera o alla Germania meridionale? Sicuramente il dottor Wilson deve avere altri argomenti archiviati nel suo portfolio. Ma non ne parlerà al mondo. La segretezza, però, serve solo ad acuire la curiosità delle persone desiderose di conoscere il segreto dei misteri d'oro denunciati dal professor Herron, confidente e amico del presidente. Non è compito nostro tentare di scostare il velo che nasconde l'Arca dell'Alleanza, o forse il Vitello d'Oro.

Intanto i giornali escono con un altro ballon d'essai. Perché Fiume non dovrebbe essere ceduta alla Società delle Nazioni per cinque anni, mentre si sta costruendo un altro porto per gli jugoslavi? Gli italiani non hanno obiezioni alla costruzione di un nuovo porto croato se ciò risolvesse il problema di Fiume. Non cercano le miniere d'oro di Fiume. Si preoccupano solo delle libertà e dei diritti del proprio popolo. Del resto l'idea di un porto croato a Buccari o Segna è già stata menzionata in questa Rivista. A Fiume l'Italia cerca soltanto di salvaguardare la libertà del proprio popolo, il che è poca cosa e senza valore per gli estranei.

Ma nessuno può fare a meno di notare che è piuttosto straordinario che si insista sulla necessità di creare un nuovo porto jugoslavo abbastanza vicino a Fiume, in una posizione del tutto lontana dalle naturali rotte commerciali jugoslave. Lasciando fuori Fiume, il trattato di Londra assegna un gruppo di porti agli jugoslavi che nel 1910 avevano un commercio complessivo di 12.000.000 di tonnellate; cioè un volume di scambi doppio di quello di Marsiglia. Il totale del commercio di Fiume era meno di un quarto, perché ammontava soltanto a 2.500.000 tonnellate, di cui un quarto di milione provenivano dalla Jugoslavia. Quindi solo una cinquantesima parte del commercio marittimo della Jugoslavia passava per Fiume.

Perché insistono così tanto affinché il nuovo porto jugoslavo sia così vicino a un luogo dove, nonostante tutti gli incoraggiamenti del governo ungherese, passava solo una piccola parte del commercio jugoslavo? È difficile comprendere il significato dell’insistenza su una simile richiesta. C'è chi pensa che dietro tutta questa ostinazione ci debba essere qualche motivo particolare. Forse c'è qualcuno mosso interamente da motivazioni idealistiche che pensa che grandi vantaggi si ricaveranno da quello sperduto angolo del Quarnaro. Dove, è difficile dirlo. Forse si potrebbe ricorrere al Prof. Herron per la risposta.

E c'è un'altra domanda. Se l’Italia vuole avere la città italiana di Fiume dopo un periodo di cinque anni, perché non ora? Perché la Lega delle Nazioni dovrebbe entrare nell’Adriatico? L’Italia ha già avuto prove di come funzionerebbe questo tipo di accordo. Una certa commissione internazionale ha percorso l'Adriatico e ha fatto cose che non sono ancora di dominio pubblico, ma che negli annali della Marina Militare sono sottolineate in nero. L’Italia sarà messa sotto tutela? Si rendono conto gli Alleati di quanto gravemente peccano contro ogni buon gusto, contro tutti i principi del cameratismo, e di quanto gravemente offendono la suscettibilità del popolo italiano quando suggeriscono che si debba esercitare un controllo di vigilanza sul governo italiano durante il periodo di cinque anni? anni, entro i quali Fiume sarà l'"unico" sbocco per gli jugoslavi? Di quali crimini pensano che si renderebbe colpevole il governo italiano contro la libertà commerciale del piccolo paese jugoslavo? Forse nemmeno il presidente Wilson potrebbe rispondere a questa domanda. Ma coloro che lo ispirano probabilmente pensano che dietro la copertura della Società delle Nazioni i dollari potrebbero facilmente fluire e fluire a Fiume, e che gli interessi economici della città potrebbero essere gestiti più facilmente. Certamente il governo italiano, consapevole del suo dovere, non potrebbe mai permettere l'usura e lo sfruttamento che gli jugoslavi volentieri permettono, andando di pari passo con la corruzione delle classi dirigenti.

Il dottor Wilson guarda ancora Fiume con i pollici rivolti verso il basso. Tutta la nazione italiana anela al riscatto della città italiana. Se il dispotismo e il dollarismo dovessero trionfare, potremmo avere un esodo da Fiume della popolazione italiana: e non è impossibile che i croati vi trovino alla fine solo rovine e desolazione. In questa Rivista si è già detto che Fiume è la pietra di paragone della politica degli Alleati. Questa è una verità importante, e quanto prima la sua importanza sarà riconosciuta da coloro che hanno nelle loro mani la direzione della politica alleata, tanto prima si arriverà ad una soluzione adriatica che sarà giusta e duratura.