mercoledì 28 febbraio 2024

La voce di un soldato di Capodistria

(Scritto da Ugo Pizzarello, tratto da The Journal of American History, Vol. 13, N. 1, 1919.)

Il colonnello Ugo Pizzarello, valoroso combattente della Grande Guerra, è originario di Capodistria, che si trova poche miglia a sud di Trieste. Nacque nel mezzo della tragedia delle province irredenti, poiché, nella sua infanzia, suo padre fu sequestrato e imprigionato per l'atroce colpa di amare l'Italia e combattere con Garibaldi. Tutta la sua famiglia, esiliata dalla propria casa, si rifugiò nel regno d'Italia. Queste circostanze rimasero impresse nella sua mente giovanile come una fiamma. La sua giovinezza fu consacrata alla preparazione spirituale e morale per quella grande ora in cui l'Italia si sarebbe levata in potenza materna e avrebbe raccolto nel suo ovile i suoi figli: Trieste, Fiume, l'Istria, la Dalmazia e la valle dell'Adige. Prese le armi per l'Italia quando era ancora un ragazzo. La Grande Guerra fu per lui un chiaro appello alla realizzazione dei suoi primi sogni. Come capitano di fanteria combatté con tale eroismo che, dopo ventisei mesi di trincea, e dopo aver ricevuto quattro gravi ferite (una da un proiettile che ancora oggi giace conficcato nel cervello), fu promosso colonnello il 1 dicembre 1916. Gli furono conferite due medaglie d'argento al valor militare ed una d'oro, oltre alla croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Le ultime due gli furono assegnate dal Re d'Italia, e sono le due più ambite tra tutte le onorificenze militari italiane. È stato decorato anche da Francia, Russia e Serbia. Le sue parole meritano un ascolto.
— Gli autori.

La voce di un soldato di Capodistria
Del colonnello Ugo Pizzarello

Durante gli anni della Grande Guerra ebbi viva la consapevolezza di tutti gli enormi sacrifici sopportati dal mio Paese per dare seguito a quella vittoria che si irradiava con decisione da ogni fronte italiano. Era quindi naturale che mi addolorassi ancora di più per le ingiuste trattative volte a defraudarla delle sue province italiane in favore di una nazionalità che, sul teatro dell'azione, è stata nostra nemica, oltre che dell'Intesa, fino all'ultimo battaglia.

Le nostre aspirazioni adriatiche sono solo ed esclusivamente nazionali. A chi capisce, sembra tradire ignoranza chiamare tali aspirazioni imperialismo italiano quando si ricorda che l'idea dell'unità nazionale italiana ha sempre abbracciato le regioni della Valle dell'Adige, del Friuli orientale, di Trieste, dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia.

La nostra antica madre, Roma, dopo la seconda guerra punica, sentì l'assoluto bisogno di occupare e colonizzare la Dalmazia per la propria vita e per la protezione dell'Adriatico orientale. Ancora oggi permangono le tracce di questa antica occupazione, tracce molto evidenti e positive che, per la maggior parte, la civiltà della Dalmazia moderna è essenzialmente latina.

Tale esigenza è necessariamente richiamata alla mente nel caso di Venezia, la quale, per la protezione dei suoi commerci e per la sua stessa esistenza, aveva un disperato bisogno delle coste della Dalmazia. Solo dalla Dalmazia come base d'azione poteva ostacolare le incursioni predatorie dei pirati provenienti dai numerosi porti illirici. Tutte le cittadine della costa dalmata, nei loro grandi monumenti e nelle loro costruzioni architettoniche, cantano Venezia e il suo glorioso spirito di grandezza. La stessa terribile necessità grava oggi sull'Italia, solo rafforzata dalla verità che, durante la Grande Guerra, il non possedere la costa adriatica orientale costituì uno dei maggiori svantaggi nella lotta armata. È quasi esclusivamente a causa di questo svantaggio strategico via mare se, nonostante il superbo valore della Marina Militare Italiana, noi italiani abbiamo subito così tante gravi perdite sull'acqua. Il Bollettino Ufficiale Navale, nelle sue pubblicazioni, ha chiarito molto chiaramente che, durante la crudele lotta del suo popolo, l'Italia ha sacrificato 60 unità, grandi e piccole, della sua Marina Militare e ha subito la perdita di tante navi della sua marina mercantile quante sono complessivamente a 880.000 in termini di stazza. Tutto questo depauperamento non comprende la situazione penosa della nostra costa adriatica; poiché nelle città recuperate, costantemente minacciate da invasioni così accessibili e da bombardamenti così facili, soffrimmo gravi perdite materiali e molte vittime. Oltre a ciò, furono chiamati a sopportare la rovina economica che seguì alla necessaria cessazione di tutti i loro traffici marittimi.

Dopo tanti sacrifici sul mare; dopo quell’oceano di sangue che costò circa mezzo milione di vite; dopo centinaia di migliaia di nostri feriti sparsi per l'Italia in ogni città, in ogni villaggio e nei lager, tutti registrando con la tortura vivente del proprio corpo il prezzo della propria vittoria; dopo il sacrificio economico, che grava su di noi tanto e più delle nostre risorse (la spesa di sessanta miliardi di lire per la Guerra); dobbiamo subire la discussione e la disputa su quell'unità nazionale che noi italiani nella nostra lotta abbiamo anelato e nella nostra vittoria effettivamente ottenuta?

L'Italia aveva già salvato l'umanità restando neutrale, e rendendo così possibile la prima grande vittoria dell'Intesa, quella della Marna. Quando l'Italia entrò in guerra, lo fece rinunciando a facili e magnifici guadagni e all'offerta di terre ben più estese di quelle stesse a cui aspira oggi. Ella vi entrò, affrontando serenamente tutte le torture e tutte le distruzioni di una guerra come quella che si combatte oggi, perché, terra di giustizia quale è, era consapevole dell'ideale del diritto che la spingeva a difendere la giusta causa e ciò le rese chiara la necessità del ristabilimento del Belgio, della restaurazione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia e della giusta restaurazione di Boemia, Polonia, Romania, Serbia e Armenia.

Ma accanto all'ideale della libertà per gli altri popoli e per le altre nazionalità, è sempre esistita e tuttora vive sia nel popolo che nell'esercito una viva coscienza dell'urgente necessità dell'unità nazionale. Solo questo può assicurare lo sviluppo economico dell'Italia senza ostacoli o minacce, uno sviluppo economico che possa metterla in una situazione di potenziale prosperità per il futuro. Questa unità nazionale alla quale siamo impegnati, dopo un secolo di lotta pieno di martiri e sublimi sacrifici, non può, anzi, non deve giungere a noi contestata, soprattutto dai nostri grandi alleati che conoscono così bene lo sforzo eroico compiuto dal nostro Paese, e sappiamo altrettanto bene quanto potentemente questo sforzo abbia contribuito alla vittoria di tutti.

Riteniamo, inoltre, che le nostre aspirazioni adriatiche siano ridotte ad un minimo tale da non poter certo offendere o limitare lo sviluppo economico degli altri popoli adriatici, i quali, sotto la protezione della libera bandiera italiana, possono avere libero spazio per le loro sviluppo economico e per il loro commercio.

Chiediamo solo quel tratto di costa della Dalmazia dove gli italiani di quella terra riuscirono a difendere e mantenere la loro nazionalità nonostante le grandi avversità a loro sfavore. Gli Italiani della Dalmazia, esaltati dal lungo martirio di sottomissione al giogo straniero, devono ottenere la giusta ricompensa per tutte le sofferenze sopportate nella lunga lotta come solo i Latini sanno sopportare. Quella ricompensa è l’unione con il proprio paese.

In tutta la Dalmazia il tenore di vita e la prosperità civile portano da sempre l'impronta della civiltà italiana, mentre in tutti i suoi duemila anni di storia non scendevano in Dalmazia dalle Alpi Dinariche altro che barbari, pericoli, devastazioni, e massacri. Aspra fu la lotta di Venezia contro il suo feroce sterminatore venuto dai Balcani orientali.

La storia più recente delle nazioni balcaniche ha messo ben in luce le loro inquietudini e le loro violenze. Dopo la vittoria si rivoltarono l'uno contro l'altro, facendosi a pezzi a vicenda. Peggio ancora, un popolo tra loro, i bulgari, non ha esitato ad allearsi con i loro spietati oppressori, gli infedeli turchi, per combattere la Russia, la madre alla quale la Bulgaria deve la sua stessa esistenza come nazione.

L'Italia desidera l'amicizia con gli slavi, e lo ha dimostrato con l'efficace assistenza diplomatica sempre estesa alla Serbia nei momenti critici prima della guerra. Lo ha dimostrato durante la Guerra con le gesta compiute dai corpi dell'Esercito italiano che combatterono nei Balcani e lasciarono migliaia di morti per la resurrezione della Serbia. Lo ha dimostrato con le gesta della Marina italiana, la cui meravigliosa audacia e sacrificio sia di navi che di uomini ha salvato l'eroico esercito serbo dalla rovina definitiva.

L'Italia ha tutto l'interesse a favorire l'ascesa dei popoli slavi, ma non fino al punto di sacrificare una parte di sé e del suo popolo. Se lo facesse, si esporrebbe a nuovi pericoli di tipo pericoloso e a crescenti occasioni di guai futuri. L'Italia offre e può offrire amicizia, giusto governo, legislazione autonoma e libere comunità a tutti i popoli di ceppo non italiano che vivono nel suo territorio; ma una dura necessità oggi, che non può essere ignorata, ci spinge, ancor più di quando esisteva l'Impero austriaco, a garantire sotto adeguato controllo la sponda orientale dell'Adriatico. Questo è, ed è sempre stato, l'avamposto latino d'Oriente. Qui abbiamo un popolo nuovo nella società delle nazioni civili, un popolo al quale l’Italia ha offerto ospitalità e ha effettivamente iniziato il cammino verso la civiltà, alla cui redenzione l’Italia ha contribuito così tanto nei suoi recenti sacrifici di linfa vitale e prosperità. Eppure pretendono di esigere che l’Italia abbandoni il proprio popolo all’inevitabile violenza barbarica, i cui segni sono ormai fin troppo evidenti. Essi infatti vorrebbero che l'Italia cedesse, al di là di un mare stretto, a poca distanza dalle proprie coste incapaci di difesa, quella parte del proprio territorio meglio fortificata dalla natura per respingere i pericoli che minacciano la sicurezza e la pace dell'intera nazione...

A queste affermazioni l'Italia risponde all'unanimità: "Per i nostri figli morti in guerra; per l'eroismo dei nostri caduti; per i migliori tra i nostri figli viventi, i soldati; per le aspre battaglie delle Alpi, del Carso, dell'Isonzo, il Grappa, il Piave; dalle epiche imprese di Luigi Rizzo, Goiran, Pellegrini, Paolucci, Rossetti, Ciano e d'Annunzio; dal martirio di Battisti, Sauro, Chiesa, Felzi, Rismondo; dai supplizi di tutti i nostri feriti; in nome della Giustizia, del Diritto e della Libertà, imploriamo che ci siano restituiti i nostri figli del Trentino, del Friuli Orientale, di Trieste, dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Sono lo scopo speciale del nostro tenero amore, perché per tanti anni hanno sofferto invano sotto il giogo insopportabile degli stranieri."

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.