mercoledì 27 dicembre 2023

Il martirio della Dalmazia

Il modello federativo asburgico prevedeva il dominio di Vienna su ogni regione, la quale tuttavia poteva contare su una Dieta provinciale le cui leggi, dietro approvazione austriaca, diventavano valide e vincolanti per la Regione o Provincia. La Dieta aveva un organo esecutivo: la Giunta provinciale che amministrava la provincia e controllava i municipi. Il domi­nio di una provincia austriaca era dunque nelle mani del partito che disponeva della maggioranza dietale, la quale eleggeva la Giunta che soprastava ai Municipi. La Dieta dalmata del 1864 era composta da 32 rappresentanti autonomisti filo-italiani e 9 croati: una composizione emblematica del consenso popolare. Nel 1867, un anno dopo il famigerato decreto del 1866 il peso del partito autonomista si ridusse a 26 eletti contro 15. Ma fu nel 1870 che Vienna iniziò concretamente la politica di snazionalizzazione.

Il governo austriaco puntava a consegnare la maggioranza dietale in Dalmazia ai deputati di parte croa­ta. Siccome lo scopo non si poteva raggiungere lasciando libertà di voto agli elettori, che avrebbero optato per il partito autonomista (quello italiano, che nonostante un orientamento verso l'Italia, diventerà dichiaratamente irredentista quando la snazionalizzazione sarà reale e violenta), le elezioni si svolsero con un sistema che diventò in breve tempo molto famoso come "sistema dalmata". 

Si assistette a liste truccate, brogli di ogni genere, voti doppi e tripli, annullamenti e alterazioni di voto, morti votanti, sostituzioni di personale e punizioni per chi denunciava le irregolarità, il tutto con l'aiuto del clero, dichiaratamente a favore della "cattolicissima" Austria e avverso agli autori della breccia di Porta Pia. Un esempio per tutti i brogli che vennero compiuti: in un corpo elettorale di Macarsca di 260 elettori iscritti, in 290 votarono a favore del partito croato. Sicuramente un record di unanimità.

Il caso simbolo fu quello della città di Signo. Dopo 8 giorni di voto (tempo lunghissimo dovuto alla costante superiorità del partito autonomista), di notte venne fatto un rapido conteggio: i risultati non quadravano. Nonostante tutto, il partito autonomista filoitaliano era sempre in maggioranza, benché centinaia di voti fossero stati annullati o addirittura conteggiati a favore del partito croato. Si ricorse così a mezzi estremi: un telegramma del luogotenente barone Rodic, ordinò al commissario governativo di terminare le votazioni, e due compagnie di cacciatori tirolesi giunte a dare manforte alla gendarmeria (che faticava nel contenere lo sdegno degli autonomisti per i brogli), sgomberarono la sede elettorale, caricando con la baionetta inastata circa 200 votanti filoitaliani che dovevano ancora depositare il voto. Le votazioni vennero dichiarate concluse, e una volta falsati i risultati, i candidati vennero proclamati eletti. Il copione fu lo stesso in tutta la Dalmazia. La maggioranza dietale andò così al partito croato, 25 eletti contro 15, che elesse a sua volta una giunta provinciale croata.

Il sistematico ricorso a brogli elettorali venne attuato con il preciso scopo finale di diseredare un popolo dalla propria terra natale, ponendolo sotto il governo di un partito che aveva come obiettivo la distruzione della sua cultura e della sua civiltà, retaggio millenario della Dalmazia intera. Il dominio croato sulla regione dalmata, si origina da questa violenza. E per mezzo di questa violenza inizierà la cancellazione dell’italianità della Dalmazia.

La maggioranza ottenuta dal partito croato nella Dieta della Dalmazia uscita dalle elezioni-farsa del 1870, fu di fatto l’imposizione di una minoranza, voluta dagli austriaci e raggiunta con brogli ed espedienti di ogni sorta, in spregio dell'opinione popolare. La dieta elesse una giunta provinciale croata, la quale con l’appoggio di Vienna, demolì ogni municipio autonomo. Vennero modificati i territori dei comuni, accorpando o separando al bisogno frazioni dai centri cittadini, in modo da alterare la composizione dell’elettorato al fine di favorire il partito croato, specialmente nei comuni come Spalato, Sebenico, Traù, dove la conquista era impossibile in maniera legittima. Tuttavia, nonostante gli artifici, la maggioranza risultava andare sempre a favore del partito autonomo filoitaliano, e l’autorità slavo-asburgica decise di ricorrere al "sistema dalmata" attuato a Signo per truccare il voto.

Vennero respinti legittimi reclami sulle liste elettorali sfacciatamente partigiane, venne rifiutato l'uso del diritto di voto a centinaia di elettori autonomi una volta constatata la loro identità personale, si accettarono a favore dei candidati croati voti di morti e di assenti, malgrado ci fossero le relative attestazioni ufficiali, e dove tutto questo non fu sufficiente, si giunse ad usare il terrore, come a Spalato. Qui inoltre avvenne un caso emblematico della situazione: un tale Colombatovich, membro della commissione elettorale croata, nel corso dei brogli per assegnare il comune al partito croato, rifiutò addirittura di riconoscere suo padre, poiché di parte autonoma filoitaliana.

A tutto questo va aggiunta forse la truffa più grande, quella che privò gli italiani della Dalmazia di ogni rappresentanza al Parlamento di Vienna. Fino al 1884 i deputati al Consiglio dell'impero venivano eletti dalle Diete, metodo che venne cambiato con il regolamento elettorale del 1885 che prescrisse l'elezione diretta. Le elezioni col nuovo regolamento vennero indette per il giugno del 1885. I croati della Dalmazia promisero all’allora Ministro Presidente austriaco conte Taoffe, corrotto e corruttore, il loro pieno appoggio, a patto che i propri candidati venissero eletti deputati. Fu stipulato un vero e proprio patto, garantito dal luogotenente Jovanovic, che non fu nemmeno tenuto troppo segreto.

Il copione fu identico a quello delle elezioni dietali. Nella compilazione delle liste elettorali fu legge l'arbitrio. Frazioni comunali furono staccate dai propri comuni ed aggregate ad altri, dove il partito dei croati era in pericolo. Emissari croati corsero in tutta la provincia per diffondere l'ordine del governo di Vienna, ossia che nessun candidato italiano riuscisse ad essere eletto deputato. I reclami esposti dagli elettori autonomi al ministero, per denunciare le alterazioni delle liste elettorali, vennero girati dal connivente governo austriaco alla luogotenenza (ricordiamo, garante del patto Taoffe-croati) affinché risolvesse la questione. 

A favore dei candidati croati scesero in campo il clero, le autorità comunali, politiche, finanziarie e giudiziarie: tutto l’imponente sistema amministrativo asburgico. Per assicurare la vittoria, che in maniera legittima non sarebbe mai arrivata, si fece ricorso a frode, corruzione, violenza. La gendarmeria venne autorizzata a fare uso delle armi, nel caso gli autonomi avessero osato opporsi alla violenza croata. Le commissioni elettorali, composte all’uopo da compiacenti commissari governativi con maggioranza croata, e presiedute da fidi complici, fecero strage di elettori autonomi italiani, non ammettendo al voto addirittura le personalità più importanti e conosciute, col pretesto che non si poteva provare la loro identità personale.

Un esempio per tutti fu quanto accadde a Zara, che riportiamo citando testualmente una testimonianza dell'epoca: 

"A Zara era capo della commissione elettorale, pel collegio dei maggiori censiti il sacerdote Danilo, le cui risorse nel creare pretesti per respingere gli elettori italiani dureranno a lungo nella memoria degli zaratini. Egli fu lo strumento del governo provinciale, dal quale fu poi largamente ricompensato. Mentre egli nella sala elettorale commetteva tutte le possibili e, per dire così, anche impossibili trufferie, la città di Zara era posta in stato d'assedio, sapendo bene il luogotenente, che l'eccesso delle illegalità avrebbe potuto provocare una violenta reazione da parte dei cittadini privati del loro diritto. Le vie principali della città e la piazza del Duomo furono sgombrate dalla gendarmeria a baionetta innestata, fu requisito il militare, fu perfino proibito a signore e fanciulli di affacciarsi alle finestre, fu intercettato l'accesso alle abitazioni e l'approvvigionamento alle famiglie. Le persone non potevano andare a casa propria, molti genitori reclamavano i figli, questi reclamavano i genitori, non sapendo come rincasare prima della notte che presentavasi minacciosa, malgrado gli estesi provvedimenti presi dalla polizia, perché durante la notte doveva seguire in tutta la provincia lo spoglio dei voti deposti pel deputato dei maggiori censiti, e già si prevedeva che nello spoglio si sarebbero perpetrate le più sfacciate trufferie.

"Neppur uno!" ripeteva il luogotenente Jovanovic. E questo "neppur uno" echeggiava in tutta la provincia a terrorizzare i commissari governativi che, per adeguarsi al categorico ordine imperiale di non permettere l'elezione di alcun candidato italiano ed evitare ogni responsabilità, si fecero comunicare telegraficamente dai colleghi i risultati dei rispettivi atti elettorali, e così seppero regolarsi nell'annullare i voti favorevoli al candidato autonomo e nell'aggiungere voti a favore del candidato croato.

Lo scambio dei telegrammi continuò per tutta la notte, e in tal modo risultò eletto il candidato croato con una maggioranza di quattro voti."

In questo modo, gli italiani della Dalmazia cessarono d'avere una rappresentanza al Parlamento di Vienna.

Dopo le truffe elettorali che lo portarono al potere in Dalmazia, il partito croato iniziò subito la politica di repressione, snazionalizzando tutte le scuole popolari e medie, che da italiane divennero croate.

La croatizzazione delle scuole era obiettivo necessario per mantenere saldo il potere. In pochi anni, le scuole impregnate di nazionalismo croato anti-italiano, avrebbero stravolto l'anima dalmata, da sempre avversa alla componente slava, facendo leva sulla malleabilità delle giovani menti, specialmente in un contesto eterogeneo come quello dalmata. Agli italiani non rimase che la scelta tra subire la snazionalizzazione, o tentare di mantenere la propria identità.

Ai "resistenti" venne in aiuto la Lega Nazionale, nata nel 1891 dalle ceneri della Pro Patria che era stata sciolta nel 1890 per decreto imperiale. Gli italiani, che con le proprie tasse finanziavano indirettamente le scuole croate, si sottoposero volontariamente ad una nuova tassa per sostenere le scuole italiane in Dalmazia. I croati, spalleggiati dagli austriaci, posero in atto tutti i provvedimenti possibili per impedire l’apertura delle scuole e il regolare svolgimento delle lezioni.

Durante la sessione dietale del 1909, l’on. Ziliotto, futuro sindaco di Zara italiana, fece la seguente proposta: "La Dieta dia incarico alla Giunta provinciale di rivolgersi all'autorità scolastica provinciale perché assuma: i rilievi occorrenti per fissare i luoghi della provincia in cui sussistono le premesse legali per la istituzione di scuole popolari con lingua d'istruzione italiana, e di provvedere perché nel prossimo preventivo scolastico, da sottoporsi all'approvazione della Dieta, sia compresa la somma necessaria per l'istituzione ed il mantenimento delle relative scuole". La Dieta, a maggioranza croata, respinse la proposta.

Agli inizi del 1900 quindi, il dominio croato sulla Dalmazia si faceva sempre più saldo, ma nonostante tutto persisteva il rifiuto di riconoscere alla popolazione italiana dalmata, (purtroppo in costante diminuzione a causa delle persecuzioni) i più elementari diritti. Come l'assassino cancella ogni traccia del delitto commesso ed ogni cosa che glielo ricordi, cosi il partito croato parve non trovare pace finché non avesse cancellato dalla Dalmazia ogni traccia di italianità, al fine di evitare qualsiasi possibilità di risveglio italiano nella regione. Dove non c'è la vittima, manca il delitto e non c’è da temere la punizione. Una politica identica a quella attuata tra il 1943 ed il 1945.

Per perseguire questo preciso disegno di cancellazione di ogni traccia di italianità dalla Dalmazia, i croati organizzarono una vera e propria "caccia" all'italiano. Iniziò in questo modo, il vero esodo degli italiani di Dalmazia. La plebe venne aizzata ed ebbe l'incarico di esercitare per le vie ogni tipo di violenza contro gli italiani, con la garanzia dell’impunità. Nelle scuole i ragazzi italiani subirono ogni sorta di vessazione, ricevendo con motivazioni assurde cattive valutazioni, al punto da costringerli ad abbandonare la scuola. Gli studenti che al contrario si dichiaravano croati, vennero favoriti in tutto. Nell'opera di snazionalizzazione, giocò un ruolo importante anche il clero croato, (che oltre al chirurgico lavoro di slavizzazione dei cognomi), rinnegando il messaggio di Cristo in favore del più becero nazionalismo anti-italiano, malediceva pubblicamente chiunque fosse italiano o di cultura italiana, e lo additava alle masse di croati analfabeti, facilmente manovrabili, come nemico di Dio e dello Stato.

La Dieta croata giustificava e approvava tutto. I pubblici funzionari che non si prestavano alla persecuzione contro gli italiani, mantenendosi imparziali, non facevano carriera. La pubblica amministrazione veniva terrorizzata, mentre la polizia dei vari municipi divenne il braccio armato del partito croato e principale artefice del martirio italiano. A Spalato un poliziotto del Comune uccise senza motivo con un colpo di rivoltella un pescatore chioggiotto. A Sebenico, un altro poliziotto tagliò di netto la testa a un cittadino. A Traù sempre un poliziotto, tale Macovan, all’uscita di un’osteria freddò con due sciabolate un povero operaio di partito avverso a quello croato.

Le violenze si diffusero a macchia d’olio in tutta la regione, e fu così che molti italiani della Dalmazia presero la via dell'esilio.

Il partito croato giustificava tutte le violenze e le persecuzioni, adducendo il fatto che gli italiani rifiutavano di riconoscere il carattere nazionale croato della Dalmazia. In sostanza, per sfuggire a questo stillicidio fatto di vessazioni, atrocità e omicidi, per aver diritto di cittadinanza in quella che era la propria Patria, gli italiani avrebbero dovuto rinunciare alla propria identità, alla propria cultura, al legittimo diritto italiano sulla Dalmazia. 

A testimonianza di quanto detto, riportiamo ciò che disse l'on. Macchiedo, deputato croato della Dieta dalmata (notare il cognome), nella seduta dietale dell’ottobre 1909: "Soltanto nel caso che gli italiani si pongano dal punto di vista culturale, abbandonando quello nazionale, è possibile la pacificazione. Riconoscano essi il carattere croato di questa terra e c'intenderemo facilmente". Parole eloquenti.

Questa era la linea guida del partito croato. Il loro diritto nazionale sulla Dalmazia non aveva solidità né fondamenta, non poteva sostenere un esame critico oggettivo, e per questo perseguitavano un popolo per carpirgli, in una crisi di dolore, lacrime e sangue, la rinuncia ai propri diritti in quella che era la propria Patria, ed imporre l’accettazione dello straniero.

Il 1909 fu uno degli anni in cui la repressione croata giunse a livelli inauditi. Il dominio croato non era oramai in discussione, al punto che nella Dieta si giunse a proclamare: "La maggioranza (croata) è padrona di spender il denaro della provincia come le pare e piace", sottintendendo che i croati si potevano permettere persino lo sperpero del denaro pubblico, tanta era la loro potenza. Tuttavia il processo di cancellazione dell'italianità dalmata non solo non si attenuò, ma raggiunse il culmine.

Di seguito, riportiamo una breve cronologia di alcuni degli eventi di quel triste anno, che segnò un ulteriore decisivo passo verso la snazionalizzazione della Dalmazia.

8 marzo 1909 - A Zara alcuni studenti croati sputano platealmente sul tricolore italiano deposto sopra una corona mortuaria.

6 aprile,15 aprile, 30 ottobre 1909 - Le scuole della Lega Nazionale a Spalato sono fatte bersaglio da alcuni croati che ne infrangono i vetri a sassate. 

Fine di aprile 1909 - Gli studenti croati delle scuole medie di Spalato fanno una clamorosa dimostrazione anti-italiana alla presenza dei professori e sotto gli occhi della polizia. 

9 giugno 1909 - Viene arrestato dalle guardie della polizia municipale e senza alcun motivo il signor Merighi, un anziano cittadino italiano. Essendo piuttosto avanti con gli anni e malato alle gambe, il signor Merighi fatica a camminare, e viene mandato avanti a spinte e insultato. In carcere viene picchiato e maltrattato, per poi essere bandito dal territorio dell’impero.

27 giugno 1909 - Il "Veloce Club zaratino" progetta di fare una gita a Spalato, dove viene diffuso un feroce proclama contro gli italiani stampato clandestinamente. La gita viene vietata dall’autorità.

31 luglio 1909 - arriva a Zara la banda croata di Sebenico e, malgrado il divieto dell'autorità, suona marce provocatrici. I cittadini reagiscono e molti di essi finiscono in carcere.

15 agosto 1909 - I membri del “Sokol” (ginnasti croati) tentano un assalto al gabinetto di lettura italiano e feriscono numerosi cittadini. Alcuni giorni prima, gli stessi si erano resi responsabili della devastazione di un piroscafo della “Dalmatia”.

15 agosto 1909 - A Zara otto marinai croati pestano selvaggiamente un italiano.

5 settembre 1909 - Alla presenza delle guardie comunali, alcuni croati picchiano violentemente due italiani, uno dei quali riceverà anche una coltellata.

29 settembre 1909 - A Metcovich alcuni marinai italiani di ritorno dal caffè vengono aggrediti da dieci croati e colpiti con pugni e bastoni. 5 feriti, fra i quali Ernesto Cunegotto, che riporterà una grave frattura del cranio. 

30 settembre 1909 - A Zara il congresso degli studenti italiani viene sciolto violentemente, e nel pomeriggio alcuni soldati scagliano delle grosse pietre contro gli studenti che si erano recati a Borgo Erizzo (scuola della Lega Nazionale) a tre chilometri dalla città. La gendarmeria arresta chiunque osi protestare.

2 novembre 1909 - viene ritrovata deturpata la tomba di Antonio Bajamonti, storico podestà italiano di Spalato, sulla quale era stata deposta in precedenza una corona di metallo con la scritta "Al martire santo - La gioventù italiana", anch’essa vilipesa. 

14 Novembre 1909 - Le squadracce croate di Spalato danneggiano un caffè e picchiano sotto gli occhi delle guardie alcuni italiani.

17 ottobre 1909 - A Sebenico un soldato croato, certo Baranovic, dopo una "discussione politica", uccide con una baionettata nella schiena il non ancora ventenne Riccardo Zanella. Il fatto destò enorme impressione in città. Alle esequie del giovane ci fu partecipazione generale. L'epigrafe dedicata alla vittima, sintetizza in poche parole le condizioni degli italiani della Dalmazia, il loro animo, e il loro martirio:

Lagrime e fiori — Donate concittadini — A — Riccardo Zanella — Che nel rigoglio degli anni — Da ferro omicida — Barbaramente — Ebbe spezzate le calde speranze i vagheggiati ideali — E dolorando — Nell'estrema amarezza dell'anima disconsolata — Non ancora ventenne — Fu tolto da violenza efferata — Alla Patria ai parenti agli amici — Uscito di popolo, dal forte intemerato popolo nostro — agli affetti gentili — La carità del natio loco — Generoso congiunse — Sicché alle corruttrici lusinghe agli adescamenti follaci — Oppose costante la virtù dei ricordi — E fra gli stenti delle sudate fatiche — Con sacrificio di sè — Non maledì all'avito linguaggio — Disdegnando — in mezzo a tanta accolta servile — I facili applausi i disonesti guadagni — Concessi al tradimento — Oggi — XX Ottobre MCMIX — Nello strazio comune — Fra le zolle fiorite dei dalmatici autunni — Scende prematuro sotterra — Perdonando — A coloro che non sanno ciò che si fanno — agli iddii tutelari — Pace chiedendo — Per i traviati fratelli — E desiderando ai futuri — Che il sangue suo senza colpa versato — Sia seme fecondo — Di giustizia e di rimorso — Fonte perenne — Di fede e di amore.

La violenta repressione croata imperversò in tutta la Dalmazia in quel tristemente noto 1909. Alcune testimonianze affermano che a Cittavecchia i croati furono particolarmente violenti. Riportiamo alcuni eventi degni di nota:

6 gennaio 1909 - Croati assaltano la sede della società italiana "Unione" (a distanza di 7 giorni dal primo assalto), scagliando pietre, pezzi di ferro, bottiglie, mentre le guardie comunali arrestano quegli italiani che osano protestare. 

11 giugno 1909 - Bortolo Boglich viene aggredito e ferito all'orecchio. Non guarito ancora da quella ferita, il 27 luglio, viene picchiato sotto gli occhi delle guardie comunali da un influente membro del "Sokol" (ginnasti croati). La stessa sera il giovane Serafino Pavich viene picchiato e ferito, senza che le forze dell’ordine intervengano. 

28 luglio 1909 - il giovane italiano Tanascovich viene preso a sassate, stessa sorte che subirà il 6 settembre il giovane G.G.Botteri, colpito da pietre lanciate da ignoti.

18 luglio 1909 – A Salona alcuni operai croati minacciano sei operai del Regno, che si rifugiano ritirandosi in fabbrica. I croati assaltano il complesso a sassate e vengono fermati appena in tempo dalla gendarmeria.

6 settembre 1909 – A Curzola venti studenti croati pestano violentemente due artigiani italiani. 

24 luglio 1909 – A Signo le tabelle dei negozi italiani vengono insudiciate dagli studenti croati venuti da Spalato in vacanza. 

30 giugno 1909 – A Bibigne i contadini, radunati ed aizzati da un sacerdote croato, scagliano pietre contro 28 cittadini di Zara, andati in gita di piacere con un piroscafo. 

28 agosto 1909 – A Sebenico Pietro Addobbati e Giovanni Graovaz-Brunelli vengono aggrediti e picchiati da suonatori in divisa della banda municipale. 

31 dicembre 1908 - A Traù il podestà Madirazza, di parte croata, tiene un discorso aizzando la gente alla caccia contro l'italiano, passando poi a realizzare una dimostrazione antitaliana al grido "abbasso la cavra di Dante!" lanciando sassi contro il gabinetto di lettura italiano.

10 gennaio 1909 – A Traù due operai croati aggrediscono e feriscono alla testa un marinaio di una barca anconetana.

8 febbraio 1909 – Ancora Traù le tabelle italiane dei negozi e del gabinetto di lettura vengono insudiciate con letame e i vetri delle finestre della sede della Società italiana vengono rotti a sassate.

22 febbraio 1909 – Sempre a Traù i soci della società croata "Berislavic" fanno una dimostrazione antitaliana. Vengono assolti dal giudice perché "tali scenate sono d'uso paesano".

Emblematica questa motivazione: se tali piazzate violente furono dichiarate da un giudice operante nel nome dell’imperatore di uso paesano, e quindi impunibili, è chiaro che non ci sia molto da aggiungere sull'orientamento dell'amministrazione asburgica nei riguardi degli italiani. 

Agli italiani di Dalmazia, non rimase altra via che l’esilio per difendere la propria identità dalle continue persecuzioni. Una strada che intraprenderanno in molti, dando concretezza ad un lento esodo causato dalla violenza croata, che puntava alla completa snazionalizzazione e croatizzazione della regione. 

Per più di cinquant'anni in Dalmazia si assistette a questo inarrestabile processo persecutorio per mano austriaca e slava, mirante ad annientare l’intero popolo dalmata italiano, la sua storia e la sua cultura.

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